lunedì 26 luglio 2010

Un pò di ferie non fanno mai male...



E dopo quello di Roberta, finalmente, è arrivato anche il mio momento: per una settimana sarò in ferie.
Non appena possibile risponderò alle mail e ai commenti che dovessero aggiungersi a questo (o in altri) post. Nella speranza di farlo comodamente sdraiato al mare.
Ritornerò online, a tutti gli effetti, la prossima settimana.

Continuerò a seguire, ovviamente, tutti gli avvenimenti e i movimenti di mercato intorno alla nostra Vecchia Signora. Nella speranza che si continui a percorrere la strada per farla tornare bella come (e più di) prima.

Lascio con un video di uno dei comici che apprezzo maggiormente: Franco Neri. Giusto per farsi due risate.
Buona settimana a tutti. A presto

domenica 25 luglio 2010

Da Cosenza segnali di una buona Juve

I tifosi del Foggia che ieri hanno assistito al primo allenamento della nuova "era Zeman" erano 40.
E lui non ha risparmiato battute al vetriolo: questa volta i diretti interessati sono stati José Mourinho e Claudio Ranieri. Il doping nel calcio? Un accenno, su richiesta.
Ma mancavano i bersagli grossi: Luciano Moggi e la sua Juventus. Scomparsi loro, si sono spenti i riflettori. Gli altri non suscitano così tanto interesse: garantiscono qualche riga sui quotidiani, nulla più.
Ma prima era tutta un’altra musica: loro erano "odiati". E "utili". A tutti. Compreso lui.

Circa duemila sostenitori presenti all’aeroporto di Cosenza, ad attendere i giocatori della Juventus che raggiungevano la città dalla lontana Varese per l’amichevole da disputare - di lì a poche ore - contro il Lione.
In centinaia, dopo, si sono presentati all’hotel "Mercure", dove i bianconeri hanno sostato per qualche ora.
In ventitremila, la sera, hanno riempito lo stadio San Vito per assistere all’incontro. Giocato il 24 luglio, a cinque giorni di distanza dal primo impegno ufficiale.

Sono numeri di un amore che non conosce ostacoli, ma solo speranze: quelle di rivedere, prima o poi, la vera Juventus.
Ci si arrabbia immediatamente se i primi acquisti portano i nomi di Pepe, Motta, Storari, Martinez. Con un po’ di calma, e l’arrivo delle prime amichevoli, si inizia a capire, poco alla volta, cosa si vuol dire quando si parla di giocatori "funzionali alle idee calcistiche di Del Neri".

Una follia di Cissokho (con conseguente espulsione) regala alla Juventus la possibilità di godere della superiorità numerica già dopo 26 minuti. Un Lione con qualche assenza prima del fischio di inizio si è trovato di fronte una Vecchia Signora in formato "cantiere aperto": alle novità di mercato, all’integrazione tra i vecchi e i nuovi, all’applicazione del ritrovato 4-4-2.

Le gambe che iniziano a girare per chi è stato presente sin dai primi giorni di ritiro, qualche gradito ritorno (Sissoko) e alcune giocate di qualità tipiche del marchio bianconero: il "cucchiaio" di Diego in occasione dell’assist a Pepe per la seconda marcatura della gara, è la ciliegina sulla torta di una squadra che sembra voler affrontare col piglio giusto una stagione che dovrà essere quella del riscatto.
Si (intra)vedono rabbia, grinta e voglia di vincere. Ora bisognerà aggiungere un po’ di classe. Per vincere le partite che contano, sarà necessaria anche quella.

"Dzeko o non Dzeko", e ora "Diego o non Diego": mentre l’attaccante bosniaco viene fotografato con il broncio durante i primi allenamenti del Wolfsburg, in attesa di novità sul suo futuro (a tinte bianconere?), il brasiliano cerca di riconquistare la fiducia dell’ambiente con prestazioni convincenti.
Là davanti, e non solo, nei prossimi giorni si attendono novità importanti.

Per intraprendere il suo percorso nella Torino bianconera Luigi Del Neri si ispira - come da lui stesso affermato due giorni fa - alle Juventus del passato: "penso alla Juve dei Tardelli, dei Bonini, dei Cabrini... Ad una società che sceglieva ragazzi giovani, ma dotati di mentalità vincente. Ecco, noi dobbiamo costruire un gruppo forte e omogeneo, che possa mantenersi nel tempo".

Nelle parole pronunciate a margine dell’incontro giocato ieri sera, invece, ha stilato un bilancio della serata cosentina e di questi primi giorni di preparazione: "dovremo innestare energie fisiche e tornare a essere la Juve, nella mentalità: un pò s’è già rivista. Non è ancora la Juve che assomiglia alla mia idea, ci vuole tempo. Comunque è una squadra motivata e attenta. E ora deve imparare a stare in campo".
Una signorina che aspira a diventare Signora. Quando sarà anche Vecchia, il processo di ricostruzione si potrà dire completo. Adesso bisogna continuare a percorrere questa strada.

Un’ultima annotazione: (almeno) ieri non si è infortunato nessuno.
A volte i cambiamenti si vedono anche dai piccoli segnali.
Si riprenderà la preparazione domani, nuovamente a Varese. Con il ricordo e i ringraziamenti per un pubblico, quello presente ieri sera allo stadio San Vito, semplicemente straordinario.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 24 luglio 2010

A Cosenza nella speranza di vedere sprazzi di vera Juve


Così Marco Amelia, nuovo portiere del Milan, sui rivali dell’Inter: "cercheremo di scucire i trofei dalla loro maglia e attaccarli sulla nostra. Questa squadra non può tenere un basso profilo. Se i tifosi sono scettici, li faremo ricredere".
Altro che basso profilo: lui è partito subito con il piede pigiato sull’acceleratore, bisogna vedere ora se la sua nuova squadra asseconderà questi buoni propositi.

E’ il Milan che - ad oggi - punta su un Ronaldinho "fuori peso" più che fuoriclasse (un giocatore con la testa divisa tra l’Italia e l’America, si parla di un’offerta dei Galaxy), che vive un periodo di transizione dopo aver speso montagne di milioni da quando Berlusconi atterrò per la prima volta con l’elicottero a Milanello nel lontano 1986 e che ora spreme da un gruppo vincente di ultratrentenni le loro ultime energie. Per non intaccare più quel bilancio che piange (e ha fatto piangere il suo proprietario) da anni.

E dire che Gianni Petrucci (presidente del Coni), qualche giorno fa aveva elogiato tanto lo stesso Berlusconi quanto Massimo Moratti in un’intervista rilasciata al "Corriere della Sera": "attualmente sono l’esempio da seguire, perché sono riusciti a ripianare situazione economiche pesanti".
Create da loro, e delle quali ne hanno patito, indirettamente, le conseguenze anche le altre società.

Giorni dopo, però, si è spinto "oltre", in merito alla possibile (probabile) cessione di Mario Balotelli (Manchester City): "potrebbe andare a giocare in Premier League? Non è un danno, non lo è mai quando i giocatori vanno e vengono: è il frutto della globalizzazione".
Della serie: qualunque cosa deciderà a di fare Moratti, andrà comunque bene. Anche se l’Italia calcistica perderà uno dei maggiori talenti esplosi negli ultimi anni. Forse per gli stessi motivi che hanno spinto Lippi a non convocarlo nella recente spedizione azzurra nei mondiali sudafricani, quando in molti (prima e dopo il fallimento) gliene facevano una colpa. Proprio nel momento in cui il giovane attaccante girava per Milano a sparare con una pistola scacciacani in compagnia di tre amici e veniva fermato dalla polizia.

E visto che "sparare" sulla vecchia Signora è diventato l’(anti)sport nazionale, non si poteva che aggiungere, all’elenco dei partecipanti, Gaetano D’Agostino, l’aspirante regista del centrocampo bianconero nel corso della scorsa sessione estiva del calciomercato. Promesso (e promessosi) alla Juventus per tre mesi circa, la trattativa non si realizzò per la valutazione economica del suo cartellino: eccessiva, esagerata. Così come era altissima quella di Felipe Melo che, invece, venne acquistato (per fare il regista, sì: ma quella è tutta un’altra storia…).
Fu solo per quel motivo che non si concretizzò il suo arrivo a Torino. Nonostante ci fossero Blanc e Secco, perché l’Udinese tirò troppo la corda e perché Sergio Gasparin giocò a fare "il Moggi" (con la vendita di Zidane).
E non è un caso se oggi lo stesso calciatore è passato alla Fiorentina per una cifra (parecchio) inferiore al passato, se alla Juventus ora c’è Marotta, se Blanc tra poco si spera venga allontanato, se Secco non c’è più, se Gasparin è alla Sampdoria, se tutto ad un tratto i bianconeri di Torino e quelli di Udine sono tornati d’amore e d’accordo e realizzano trattative in un lampo.
E se, soprattutto, (anche) per lo stesso motivo lo scorso anno non saltò soltanto il suo trasferimento a Torino, ma anche quello al Milan (al posto di Pirlo o come sua alternativa) e al Real Madrid (gli spagnoli, poi, presero Xabi Alonso).
Tre grandi club persi in un’estate: la si smetta di dare colpe soltanto alla Juventus. In alternativa: si dica le cose come stanno realmente.

Anche nella Torino bianconera, alla luce di quanto accaduto lo scorso anno, sarebbe stata (forse) necessaria una rivoluzione alla (nazionale) francese: tanti erano i ventitré giocatori convocati al mondiale in Sudafrica, tanti e tali saranno quelli che non parteciperanno ai primi impegni della nuova era Blanc (Laurent).
Un cambiamento radicale, in società, in realtà c’è stato. E anche in panchina.
Per ciò che concerne la squadra, dopo una partenza "a razzo" (sei acquisti), adesso si registra un rallentamento: colpa delle cessioni difficili da realizzare (più per convincere i "partenti" che non gli "acquirenti", quelli non mancano), e perché si stanno trattando (anche) giocatori di caratura "superiore". Valutazioni economiche più alte, acquisti più onerosi e trattative più complesse. Qualcuna di queste potrebbe sbloccarsi a breve.

Nel frattempo la Vecchia Signora si affaccia a Cosenza, e viene sommersa dall’amore dei suoi tifosi. Ventiduemila cuori bianconeri batteranno al San Vito, stasera, nell’ultima amichevole contro il Lione prima del terzo turno dei preliminari di Europa League di giovedì prossimo, contro lo Shamrock Rovers. Nonostante il settimo posto della scorsa stagione, nonostante sia il 24 luglio, nonostante gli ultimi anni di delusioni, nonostante… Nonostante tutto.
Anche se la maglia non ha più le sue tradizionali strisce verticali bianconere, ma quelle "seghettate", e se le novità in campo non si chiamano (ancora?) Dzeko o Krasic, allo sterminato popolo bianconero che seguirà l'incontro - sia allo stadio che in televisione - l’unica cosa che conta, per ora, è vedere sprazzi di "Juventus".
Sarebbe bellissimo.
Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 23 luglio 2010

Buone vacanze da Roberta


Poche righe per augurare buone vacanze a tutti.
Buone vacanze ad Andrea Agnelli, sperando che vada a fare un giro in barca con Blanc e lo lasci a largo, senza riportarlo a Torino.
A Giuseppe Marotta che faccia un bel viaggio e ci porti qualche souvenir, per intenderci di quelli capaci di segnare 20 gol e/o di illuminare il gioco di tutta la squadra.
A Gigi Del Neri che, per il nostro ritorno, abbia trovato la quadratura del cerchio e che la squadra sia in grado di girare e rispondere perfettamente ai suoi desideri.
Ai medici ed ai preparatori atletici perché - oltre a Buffon, e senza essere ancora stati a Vinovo - contiamo già altri due infortuni seri.
Buone vacanze anche ai giocatori (che in realtà le ferie le hanno già godute) perché dai loro prossimi viaggi in Europa ci consegnino la qualificazione in EL, così…tanto per cominciare bene la stagione.
In particolare, a David Trezeguet, perché nonostante tutto ho voglia di vederlo ancora con la stessa maglietta indosso. E se arriva un nuovo attaccante, che non sia lui a lasciargli il posto in rosa.
Buon trasloco a Tiago, Grosso, Camoranesi, Brazzo, Zebina e pure a qualcun altro.
Buon lavoro a capitan Del Piero, sperando che sia tornato dalle ferie riposato, carico, meno altezzoso e più disponibile.
Buon lavoro a Giorgio Chiellini, sperando che rimanga, perché insegni a tutti i nuovi con quale grinta si deve giocare nella Juve, ed ovviamente l’augurio vale anche per i nuovi arrivati affinché imparino presto.
A tutti gli altri perché non commettano gli errori e gli orrori dello scorso anno. E soprattutto che comincino fin d’ora a parlar poco, a non prometter nulla, ma a lavorare tanto.
Auguri di pronta guarigione a Gigi Buffon.
Auguri comunque a Diego, che in fondo é quasi coetaneo di Dzeko e del quale, in Germania, aveva una media gol solo di poco inferiore.
Auguri a Giovinco e a tutti quei ragazzi, come Pinsoglio, Immobile, Ekdal, Fausto Rossi perché facciano bene e possano tornare a casa presto e più forti.
Uno speciale caloroso e sentito augurio di buone vacanze va alla Dottoressa Casoria.
E soprattutto buone vacanze a voi, che avete sempre la pazienza di leggermi.

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

giovedì 22 luglio 2010

Marchisio indica la strada per la nuova Juve



"Pensiamo a noi stessi e non al divario con l’Inter o altri avversari. Dobbiamo fare gruppo perché dall’anno della serie B pian piano si è persa l’identità, la voglia di combattere, lo spirito Juve".
Nelle parole di Claudio Marchisio, pronunciate nel corso dell’ultima intervista rilasciata nei (suoi) primi giorni di ritiro, c’è la sintesi del recente passato, del presente e del prossimo futuro della Vecchia Signora: da quanto si è perso (e non è stato fatto) durante l’immediato periodo post Farsopoli, all’analisi della situazione attuale sino ad arrivare agli obiettivi da raggiungere.
Tra i quali, il primo, è quello di tornare ad essere "la" Juventus. Nel minor tempo possibile.
"La Juventus è stata un esempio per il mio Manchester United. Facevo vedere ai miei giocatori le videocassette della squadra di Lippi e dicevo: non guardate la tattica o la tecnica, quella ce l’abbiamo anche noi, voi dovete imparare ad avere quella voglia di vincere" (Sir Alex Ferguson)

Proprio Marchisio segnò un bellissimo goal nell’incontro con i nerazzurri nel girone di andata del campionato appena concluso, a Torino, il 5 dicembre 2009. Quello fu l’ultimo momento positivo di una stagione calcistica che già dalla successiva gara (con conseguente eliminazione) in Champions League, contro il Bayern Monaco, mostrò le crepe di un progetto che di concreto non aveva nulla.

"E’ un piacere immenso ricordare che tutto "il meglio" del calcio è passato dalla Juve" (Umberto Agnelli).
Storari, Motta, Bonucci, Martinez, Pepe, Lanzafame.
Come inizio.
Non c’è più Nedved; Trezeguet e Camoranesi potrebbero aver terminato la loro avventura in maglia bianconera; quella che sta per iniziare dovrebbe essere l’ultima stagione di Del Piero a Torino; Chiellini si spera possa rimanere alla corte della Vecchia Signora, prolungando il suo contratto e rifiutando le offerte proveniente da Inghilterra e Spagna così come accadde l’estate del ritorno in serie A, quando sembrava in procinto di accasarsi al Manchester City.
C’è ancora tempo per aggiungere a questa squadra giocatori di livello tecnico superiore. Sino al 31 agosto.
Ma è arrivata l’ora di farlo.

Il vero "gap" che la Juventus dovrà colmare non è quello che la divide, attualmente, dall’Inter (in Italia) e dal Barcellona (in Europa), quanto quello che la separa da quanto è stata "bella" in passato, a quanto è stata “brutta” (troppo, per essere vera) sino a ieri.

"Programmare" e non "progettare"; "vincere" e poi - forse - "divertire"; "dominare" (in campo) e non essere continuamente "schiacciati" (nella propria metà campo); non guardare gli altri ma pensare a se stessi, a tornare ad essere i migliori.
Come sostiene Marchisio.

La nuova dirigenza non prenderà decisioni "popolari" o "impopolari", ma semplicemente investirà (e già lo sta facendo) sul mercato quelle che sono le idee (e i soldi) della società. Sarà il campo, poi, ad emettere il verdetto definitivo.
Dzeko, Krasic, Aogo, Elia… I tifosi possono tranquillamente concentrarsi sui nomi dei singoli giocatori: chi sta costruendo la nuova Juventus opterà per l’acquisto di elementi funzionali alle caratteristiche della squadra che si ha intenzione di affidare a Del Neri.

"La vera gara tra noi e le milanesi sarà tra chi arriverà prima: noi a mettere la terza stella, loro la seconda" (Gianni Agnelli)
Si torni presto a vincere. E a scrivere nuovamente una storia ferma al 2006.
Per quello che è accaduto prima di quella data, qualcosa potrà succedere soltanto quando la Juventus tornerà ad essere se stessa anche fuori dal rettangolo di gioco.
Non soltanto "vigilando", ma anche "agendo".
Dando la possibilità ai sostenitori bianconeri di tornare ad esercitare - semplicemente - il loro ruolo di "tifosi", e non di avvocati difensori di una società che - di fatto - è scomparsa quattro anni fa.
Sembra strano, ma è la semplice realtà.
E chi non è juventino non può capire.

"La Juve è qualcosa di più di una squadra, non so dire cosa, ma sono orgoglioso di farne parte" (Gaetano Scirea)

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com
Ringrazio l'amico Sandro Scarpa per aver pubblicato l'articolo anche qui Juvenews.net
Ps: Sandro, mi hai fatto provare una sensazione da "ritorno a casa"... zebrabianconera10 ti abbraccia

martedì 20 luglio 2010

Dossier calciopoli Parma - Juve 1-1


Mi unisco a molti blog, siti e forum, che stanno facendo girare questo bellissimo articolo, tratto da Il Blog dell'Uccellino di Del Piero.
Mi limito a riportare l'introduzione di Mimmo Celsi, direttamente dal sito
Tutto Juve.com, invitandovi a visitare il blog per approfondire i contenuti.
Buona lettura


Lavoriamo da mesi alla ricerca delle risposte riguardo alle indagini su "calciopoli" svolte dai carabinieri, e grazie alle informative ottenute, alle telefonate che il dottor Penta gentilmente ci ha concesso, e una serie di contatti personali, siamo riusciti a farci un quadro completo della storia.
La preoccupazione di tutti noi era rivolta a capire quale fossero le principali motivazioni dei capi d’accusa, e su quali telefonate si basassero le colpe più gravi della famosa cupola o associazione a delinquere che dir si voglia. E scopriamo magicamente che le telefonate trascurate e considerate irrilevanti, invece si rivelino essere non solo di fondamentale importanza, ma anche di sostegno a smontare la tesi accusatoria fin qui sostenuta nel processo sportivo ed in quello penale. Addirittura, con una serie d’intrecci storici e testimonianze varie, veniamo a conoscenza che alcune delle conversazioni telefoniche utilizzate nei dibattimenti processuali, vedessero come protagonisti personaggi che fanno delle millanterie e delle cattiverie gratuite regole comunicative e di accreditamento, che risultano poi però smantellabili non solo dai CC ma anche dai PM, questi ultimi poi, se avessero messo cura nella ricerca delle prove e nella garanzia di equità, cosa che ricordo e una caratteristica peculiare del loro ruolo, avrebbero forse evitato tanti processi e tante ore di dibattimento.
Ma ancora peggio è scoprire che la FIGC e il procuratore Palazzi, hanno in mano queste telefonate da tempo, e bastava una attenta ricerca ed ascolto, e non una maniacale scelta, delle intercettazioni, per dimostrare come il calcio dell’epoca fosse si malato, ma non avesse un solo “sistema” ascrivibile al Moggi, ma una serie di sistemi tutti forti e paralleli che cercavano di portare acqua al proprio mulino, e dai quali forse proprio Moggi cercava di difendersi coma si evince in una famosa telefonata con Tosatti.
È qui che un gruppo di persone quindi decide di lavorare a dimostrare questa nostra teoria e lo fa partendo dalla partita che dimostrerebbe come De Santis fosse arbitro della “cupola”, ma che invece con pochi riscontri si scoprirebbe avverso alla Juve, la famosa Parma Juve del 6 gennaio 2005, momento in cui si parla di “sdoganamento” nuove sim svizzere e altre cose facilmente controbattibili.
Vi lascio al dossier scritto da Antonio Corsa con la mia collaborazione.

domenica 18 luglio 2010

Del Piero o Diego? Decide Del Neri...



E ora si riparte. Col calcio giocato, ma non solo.
Juventus-Amburgo come importante banco di prova in attesa dell’andata del terzo turno di preliminare dell’Europa League, previsto per il 29 luglio.
Nel mezzo ci sarà un’ultima amichevole, il 24 luglio, a Cosenza, contro l’Olympique Lione.

Così come a Pinzolo gli spettatori al seguito della Vecchia Signora sono aumentati mano a mano che il ritiro si avviava verso la sua conclusione, per l’incontro con i francesi di sabato prossimo i biglietti stanno andando letteralmente a ruba: ad oggi ne sono stati venduti ben 18.000.
E non è finita qui. Anche perché gli organizzatori stanno pensando di richiedere un aumento della capienza dello stadio, elevandola - in via del tutto eccezionale - a poco più di 24.000 unità.

"Di Ekdal e Krhin abbiamo i contratti che attendiamo di depositare non appena saranno liberati da Juve e Inter, cioè verso la fine della prossima settimana" (Carmine Longo, consulente di mercato del Bologna).
Dopo Fabio Cannavaro, emigrato in Arabia Saudita (Al Ahi), in uscita - in casa bianconera - al momento sono previsti soltanto movimenti relativi ad alcuni tra i calciatori più giovani: lo stesso centrocampista svedese (ad un passo dal vestire rossoblù), Giovinco (Bari, Parma e Arsenal su di lui) e Paolucci (Chievo).

Ma non sono (soltanto) quelli i giocatori che dovrebbero lasciare la Vecchia Signora.
Ce ne sono altri, di età più avanzata, che hanno trovato l’Eldorado del pallone a Torino.
Con una vecchia gestione, non più presente, e con contratti onerosi (in rapporto alle effettive qualità tecniche e a quanto riportato sulle rispettive carte d’identità) di cui anche la nuova Juventus fa fatica a liberarsi.
Con le loro promesse di un pronto riscatto e il mancato addio, complicano non poco i piani della società.

"L’anno scorso è l’anno scorso e se penso che due non sono complementari come attitudini, non giocano assieme" (Luigi Del Neri su Del Piero e Diego, 14 luglio 2010)
"Non c’è nulla di male nel dire che io e lui possiamo ricoprire lo stesso ruolo. Magari nel corso della stagione, conoscendoci meglio può vedere altre soluzioni. Nessuno di noi due sta vivendo il dualismo. Vediamo quel che capita, adesso è presto: il tecnico si è un po’ sbilanciato, io non me la sento di farlo" (Del Piero, 16 luglio)
"La concorrenza con Del Piero? Possiamo giocare insieme, è un grandissimo giocatore ed una grandissima persona. Io ho tanto voglia di dimostrare quello che valgo, ma nelle grandi squadra la concorrenza c'è sempre. L'eventuale panchina? E' difficile accettarla, ma rispetterò sempre le scelte dell'allenatore" (Diego, 16 luglio)
"È giusto che abbiano detto ciò che pensano. Del Piero è un giocatore, e non un dirigente: ha fatto capire che sarà disponibile in pieno e questo non può che fare piacere. È legittimo che Diego abbia rivelato le proprie intenzioni e quelle della società. Simili atteggiamenti mi trovano in piena sintonia" (Del Neri, 16 luglio).


Sta a Del Neri, il "dittatore-democratico" della panchina bianconera, chiudere il cerchio della piccola discussione intorno al dualismo Diego-Del Piero.
Nella Juventus dello scorso anno avrebbero dovuto giocare (e divertire) insieme.
La squadra era stata costruita per permettere al brasiliano di esprimere le proprie potenzialità, nel ruolo a lui più gradito.
A Del Piero, Trezeguet, Amauri e Iaquinta rimaneva il compito di battersi per due maglie da titolari in attacco.
Ora i tempi, e gli spazi disponibili in campo, sono cambiati.

Non è detto che Diego rimanga alla Juventus.
Sicuramente non sta a Del Neri sbilanciarsi su questo tema: sino a quando vestirà la casacca bianconera, lo gestirà esattamente al pari degli altri componenti la squadra.
Con l’unico criterio da lui stabilito sin dal suo arrivo a Torino: quello della meritocrazia.
E certi punti è meglio fissarli bene sin dal primo giorno di ritiro: è lui che comanda, con la società pronta ad appoggiare le sue decisioni.
Il bene del gruppo, della Juventus in generale, dovrà tornare ad essere un obiettivo da raggiungere tutti insieme, dal primo all’ultimo elemento della rosa. Anche questo servirà per evitare che si ripetano annate come quella appena trascorsa.

Vale per chi gioca, così come per chi starà in panchina.
E per chi è pregato di togliere il disturbo.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 17 luglio 2010

La storia è fatta di corsi e ricorsi

(vignetta di Claudio Rugge)

Si avvicina il primo impegno ufficiale (29 luglio, andata terzo turno preliminare di Europa League), e ora si conoscono i nomi delle due squadre che si contendono la possibilità di incontrare la Juventus: Shamrock Rovers (Irlanda) e Bnei Yehuda (Israele).

Per partecipare alla Coppa UEFA del 1999-2000 i bianconeri dovettero affrontare - nell’ordine - Ceahlăul Piatra Neamţ (1-1 all’andata, con goal di Tacchinardi, 0-0 a Cesena), il Rostov (4-0 in trasferta, 5-1 in casa) e il Rennes (2-0 e 2-2, in Francia). Non c’erano i preliminari, ma la vecchia Coppa Intertoto, che la Juventus si aggiudicò insieme a Montpellier e West Ham.
Anche allora - come oggi - la Vecchia Signora doveva ripartire da un’annata fallimentare (quella precedente: 1998-99). Corsi e ricorsi storici. Perché la storia è fatta di cicli, e a volte "ritornano".

"Se il problema di questa squadra sono io, come pare da quando ho detto che a fine stagione me ne sarei andato da Torino, e' meglio che io mi faccia da parte".
Così parlò Marcello Lippi dopo la sconfitta interna per 4-2 della Juventus contro il Parma di Alberto Malesani, nella stagione incriminata.
Si trattava del periodo più basso della prima Juve Lippiana, quella del tridente Del Piero-Vialli-Ravanelli che conquistò l’Italia e l’Europa nel giro di due anni, così come quella (anche) di Zidane e Boksic che raggiunse la vetta del calcio mondiale in quel di Tokyo.
L’incontro coi parmensi segnò la fine della sua avventura in bianconero, con le dimissioni subito accettate. Dopo, arrivò Ancelotti.

Dalle polemiche con l’Inter nella stagione 1997-98 al suo addio comunicato con largo anticipo, proprio per raggiungere i nerazzurri l’anno successivo. Si era "rotto" qualcosa già da subito nello spogliatoio (e qualcosa di grosso accadde proprio prima dell’incontro col Parma), mentre sul campo si infortunò, nel novembre del 1998, Alessandro Del Piero. A Udine.

Una stagione nata sono una cattiva stella, e iniziata nel lontano 26 luglio del 1998, allorchè Zdenek Zeman si eresse a paladino dello sport pulito, pronunciando la famosa frase: "il calcio deve uscire dalla farmacia e dagli uffici finanziari, se vuol tornare ad essere sport".
Quello fu solo un antipasto.
Dopo pochi giorni, continuò: "mi hanno sbalordito le esplosioni muscolari di Vialli e Del Piero".

Il resto, è storia. Che è fatta di corsi e ricorsi.
E mentre Gianni Paglia, presidente dello Zagarolo calcio (serie D) vuole comprare il polpo Paul per "sapere in anticipo le sorti della mia squadra. Mi eviterebbe stress e sorprese" e Antonio Percassi si presenta al ritrovo dei tifosi atalantini (erano in 12.000) su una diligenza trainata da quattro cavalli (…), il calcio ritrova le sue "certezze": la Juventus che prova a tornare ad essere "la" Juventus e Zeman che riparte dal suo Foggia, in prima divisione. Un ritorno al passato, in compagnia di Pasquale Casillo e del direttore sportivo Giuseppe Pavone.

Non ci voleva quel Benítez: la panchina dell’Inter si era liberata dal peso ingombrante di Josè Mourihno, la sua prima Champions League da allenatore sembrava un obiettivo finalmente raggiungibile. E invece Moratti ha preferito far cadere la sua scelta sul tecnico spagnolo.
Pazienza, anche se ora - per arrivare ai massimi vertici del calcio europeo partendo da così lontano - ci vorranno, occhio e croce, una trentina d’anni. Anche senza Luciano Moggi.

La Juventus tornerà a vincere prima di tutto questo tempo. E sarà un boccone duro da digerire. Non solo per lui.
Ma la storia è fatta di corsi e ricorsi.
C’è chi è nato vincente, e chi no.
Basta rendersene conto. E non prendersela con gli altri.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 16 luglio 2010

"Complotti"? Sì, nome azzeccato. Bravi...



Viva l’Italia.
Viva il Belpaese: quello dell’arte, della cultura, della storia, della varietà (e bellezza) dei suoi paesaggi.
Viva la mia nazione, quella della quale sono orgoglioso. Anche se da tempo non la riconosco più.
La amo comunque, nella speranza che cambi.
Qui si parla di calcio, è vero. Uno sport, una passione per “molti”.
Un gioco di potere, intriso di interessi economici, per “pochi”.
Ma sono quelli che lo rovinano.
Ecco cosa è capitato a Stefano Discreti: è lui a raccontarlo, mi limito ad esporlo (anche) nel mio blog.


Succede che in un pomeriggio di Maggio ti contatta una società di produzione che lavora per La7
“Sig. Discreti vogliamo realizzare un nuovo documentario su Luciano Moggi. Se la sente di rilasciare un’intervista sul personaggio, su Calciopoli, sulle intercettazioni e sulla faida familiare degli Agnelli?”
Succede che il primo pensiero va alla docu-fiction “off-side”, testimonianza più falsa di una moneta da 3 euro e allora qualche dubbio sulla linea editoriale ti sorge subito, in fondo è sempre la stessa emittente televisiva.
Succede che comunque decidi di non tirarti indietro e di dire sempre quello che pensi.
Succede che se si parla di Calciopoli e di schede svizzere finisci per parlare prevalentemente della Telecom e di tutti i collegamenti con l’Inter, lo spionaggio industriale, la pratica “ladroni”.
Succede che pensi “avranno mai il coraggio di attaccare i padroni della propria emittente?”
Succede che passa oltre un mese e ti viene comunicato che lo speciale “Complotti” su Luciano Moggi andrà in onda il 13 Luglio e che la tua testimonianza non è stata ancora tagliata.
Succede che allora quasi ci speri che per una volta qualcuno avrà il coraggio di fare veramente chiarezza sul presunto scandalo montato in scena a partire dall’estate 2006.
Succede che poi a 5 ore dalla messa in onda del documentario stesso ti arriva una comunicazione “purtroppo la sua intervista è stata tagliata in quanto la direzione ha ritenuto che sono presenti troppe testimonianze e argomenti a favore di Luciano Moggi”
Succede che allora ripensi a quando ridevi mentre rispondevi certe cose nell’intervista, perché eri certo che non avrebbero mai avuto il coraggio di mandarle in onda.
Succede che la mente torna a 4 anni prima quando nessuno si scandalizzava perchè tutti erano contro Moggi e gli juventini e non esisteva persona alcuna a cui importava di dare parità di spazio anche alle tesi difensive.
Succede che decidi comunque di vedere il documentario e succede che rispetto ad off-Side lo trovi anche meno di parte, quasi obiettivo.
Succede però che si parla di Calciopoli, di schede svizzere e non è presente nessun riferimento al processo Telecom in corso, allo spionaggio industriale subito da Moggi, alla pratica “ladroni”, ai vantaggi ottenuti dall’Inter così vicino al mondo Tronchetti. E allora ti rendi conto che non c’è nemmeno bisogno di cercare di capire oltre il perché sei stato tagliato.
Succede che ancora una volta è mancato il coraggio e la voglia di provare a ristabilire la verità “ma chi ce lo fa fare di rischiare per riabilitare Moggi?”
Succede che a fine trasmissione passano i titoli di coda e leggi “si ringrazia Stefano Discreti”.
Succede che allora ti accorgi che in quel ringraziamento c’è tutto:
“Grazie signor Discreti per aver detto la verità, ma noi non possiamo mandarla in onda anche perché l’Italia colpevolista non la vuole conoscere”
E allora succede che ancora una volta, camminando a testa alta per non esser sceso a compromessi, ti torna in mente Abramo Lincoln
“Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo”.

(visita il blog di Stefano Discreti)

martedì 13 luglio 2010

Programmare oggi per vincere domani



E adesso viene il bello.
Nel pomeriggio di domenica la Juventus ha affrontato la prima amichevole estiva contro la Rappresentativa Dilettanti Trentino, mettendo finalmente il piede in campo poche ore prima l’ingresso nel prato verde di Johannesburg di Nelson Mandela.
Con il suo arrivo la manifestazione sudafricana ha vissuto il momento più emozionante. A seguire, la finale vinta dalla Spagna sull’Olanda ha decretato la Roja campione del mondo per la prima volta, due anni dopo aver conquistato l’Europeo.
Ma questo, il polpo Paul (o, forse, Paolo. Si dice sia stato catturato in Italia) già lo sapeva.

Se Italia - Francia giocata a Berlino nel 2006 aveva rappresentato la chiusura (forzata) di un ciclo che aveva visto come assoluti protagonisti giocatori juventini (ed ex) in abbondanza tanto da una parte quanto dall’altra, questa è stata la finale che ha celebrato la sconfitta delle ultime scelte di Florentino Pérez, il presidente del Real Madrid.

I soldi aiutano, ma non danno la felicità. Nel calcio garantiscono l’amore eterno dei procuratori dei giocatori e spalancano le porte ai grandi acquisti, ma se non sono mirati ad un’idea calcistica ben precisa finiscono con il portare maggiori benefici a chi vende piuttosto che a chi compra.
La sua "prima era" da presidente dei madrileni (dal 2000 al 2006) aveva dato origine alla strategia dei "Galattici". Nel corso dei primi tre anni questa politica riuscì a coniugare investimenti onerosissimi con vittorie prestigiose. Poi, dal 2004 in avanti, sono state solo delusioni.

Vicente Del Bosque, attuale tecnico della Spagna campione del mondo, fu "scaricato" senza tanti problemi (e stile) nel 2003, dopo 35 anni di Real Madrid.
All’inizio della sua "seconda era", Robben e Sneijder - i trascinatori dell’Olanda vice campione - sono stati (s)venduti a Bayern Monaco e Inter.
Da José Mourinho, ora, si aspetta quello che Fabio Capello diede al suo successore alla presidenza, Ramón Calderón: successi, gioco e concretezza.
E che si dimostri in grado di far "fruttare" gli investimenti realizzati in queste ultime due sessioni di calciomercato estivo.
Ad oggi, in occasione delle sue ultime (e uniche) vittorie, a guidare il Real c’era ancora il "ripudiato" Del Bosque.

In Sudafrica ha vinto la Spagna dei fraseggi, del gioco breve, del centrocampo dei "piccoli" Xavi e Iniesta, di una squadra che ha smesso di specchiarsi nella sua bellezza, evitando di anteporla alla "praticità".
Ha vinto un "movimento calcistico" che raccoglie, con ingordigia, tutto quanto ha seminato.

E adesso viene il bello.
Perché va bene Marco Motta sulla fascia destra difensiva della nuova Juventus, potrebbe andare ancora meglio Bonucci a formare - con Chiellini - una coppia di baluardi davanti a Storari (prima) e Buffon (poi), saranno anche funzionali alle idee di Del Neri i vari Pepe, Martinez e Lanzafame…
Però, ora, bisogna "alzare il tiro".

Questa sessione di calciomercato si chiuderà il 31 di agosto, e Marotta ha dichiarato l’intenzione di completare l’organico entro la fine di luglio.
Dai confronti costanti con il neo allenatore bianconero, che pian piano sta prendendo confidenza con il suo nuovo mondo, fioriranno le decisioni da prendere nei prossimi giorni, allorquando si inizierà a chiudere il cerchio sulle scelte da operare per rinforzare la rosa.

Attraverso le cessioni ("un Trezeguet" o "un Diego" non si danno mai via a cuor leggero…) si arriverà ai nuovi acquisti: non solo di contorno, ma anche di sostanza.
Dzeko, forse. E non solo.
Ma con l’idea in testa di una programmazione che dovrà permettere di "seminare" oggi, per "raccogliere" domani.
"Non sono un indovino, ma so che quando la Juve tornerà a vincere non si tratterà di un fatto episodico" (Giuseppe Marotta)
Il polpo Paul, probabilmente, sarebbe in grado di anticipare anche questo.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

lunedì 12 luglio 2010

domenica 11 luglio 2010

Nasce la Juve della meritocrazia di Del Neri


"Il problema di fondo è che in una squadra come la Juve tutti possono giocare al posto degli altri. E allora tutti devono conquistarsi il posto"
Si chiama (e così la chiama) "meritocrazia". Per Luigi Del Neri, nuovo tecnico bianconero, questo è il "credo" che accompagnerà il viaggio della Vecchia Signora nella nuova annata calcistica.

E’ la prima Juventus di Andrea, l’ultimo degli Agnelli. Potrebbe diventare (anche) quella di Marotta, se lo stesso direttore generale riuscirà a costruire e completare - da qui al prossimo 31 agosto (data della chiusura di questa sessione del calciomercato) - una rosa altamente competitiva. E’, almeno per ora, la Juventus di Luigi Del Neri.

Rimasto vittima (e carnefice) di un’annata deludente, al pari della sua squadra di club, in questi primi giorni di lavoro Diego non è accompagnato dalle attenzioni e dalle speranze che gli sono state riservate la scorsa estate. E mentre i reduci dall’infelice spedizione delle rispettive nazionali in Sudafrica devono ancora aggregarsi al gruppo, ad oggi la stella bianconera più luminosa in quel di Pinzolo continua ad essere quella di Alessandro Del Piero (18ma stagione, la sua, a Torino).

"A lui spetterà il delicato compito di riportare cultura e disciplina sportiva nello spogliatoio" (lettera di Andrea Agnelli ai tifosi, 18 giugno 2010)
Ma adesso è arrivato il momento di Del Neri, del "sergente di ferro", del "dittatore-democratico", di quell’allenatore che godrà (almeno per adesso lo si può dire) di una protezione e di un appoggio da parte della società sicuramente maggiori di quelli che erano stati concessi ai suoi recenti predecessori (Ranieri, Ferrara e Zaccheroni).

Stanco di assistere al predominio delle squadre milanesi in Italia ed in Europa, il presidente Vittorio Catella, nel lontano 1964, affidò la gestione della prima squadra bianconera in mano ad Heriberto Herrera, paraguaiano, profeta del "movimiento" (l’antenato del calcio totale), l’allenatore che - ironicamente - venne definito "il ginnasiarca".
Anche lui fu considerato, all’epoca, un sergente di ferro. Anche allora c’era una disciplina da riportare in seno alla squadra, elemento fondamentale per costruire un gruppo in cui - comunque - i giocatori di maggior talento avrebbero dovuto garantire quel "qualcosa in più" indispensabile per tornare a primeggiare.

Omar Sivori, ad esempio, invece emigrò - di lì a poco - al Napoli: le nuove regole erano troppo strette per chi affrontava gli avversari con i calzettoni abbassati alle caviglie e dribblava le imposizioni e gli allenamenti duri così come faceva con i difensori rivali. Si creò una Juventus "umile ed operaia, solida e compatta", che poco piaceva agli Agnelli (Gianni ed Umberto), ma che divenne un punto importante da cui ripartire per costruire quella che - di lì a pochi anni - sarebbe diventata la Juventus di Boniperti prima, e Trapattoni (anche) poi. Uno scudetto vinto nel 1967 ed una Coppa Italia nel 1965 furono le uniche vittorie di questo periodo di "transizione".

"Non ci è precluso nulla, abbiamo tutti i mezzi per inseguire tutti gli obiettivi, anche se poi alla fine vince una sola squadra. Non c’è risultato che non si possa raggiungere se hai una identità di gioco e la giusta mentalità, come ci ha ricordato Andrea Agnelli, il nostro Presidente"
Da quattro anni a questa parte la Juventus ha perso, lentamente, la propria identità. In campo e fuori.
Nelle parole di Del Neri, il "Comandante" (così come lo chiamato alcuni suoi calciatori), e (indirettamente) in quelle di Andrea Agnelli, c’è una ricetta semplice per riprenderla al più presto. Il difficile, sarà farlo.

Nell’attesa che diventi presto (anche) la Juventus di Marotta.
Ciò significherebbe che oltre alla "quantità" è stata aggiunta (altra) qualità.
Magari a breve.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 8 luglio 2010

Una Juventus da chiamare per nome



Nell’aprile del 2009, a Recco, Marcello Lippi era stato protagonista con Jean Claude Blanc di un pranzo tristemente passato alla storia (bianconera): lì si celebrò la fine dell’era Ranieri (ancora in corso), e si gettarono le basi per un progetto calcistico mai completato. Quello della Juventus e della nazionale azzurra legate a doppio filo dalla figura dell’ex tecnico bianconero, con risultati che avrebbero dovuto portare benefici a tutte le parti in causa.

Martedì scorso, a Viareggio, ospite dello stesso Lippi è stato Cesare Prandelli da Orzinuovi, nuovo CT dell’Italia e suo successore alla guida della nazionale.
Lì si è parlato della "nuova" Italia: quella dei giovani e degli oriundi, quella che dovrà ripartire dal fallimento sudafricano. Senza, però, il suo ultimo selezionatore.

"Non buttero via l’eredità di Marcello Lippi"
Queste sono state le ultime ammissioni dello stesso Prandelli, al termine del passaggio di consegne e prima di partire per le vacanze.

E Luigi Del Neri?
Lui non ha pranzato con nessuno: si è ritrovato a (quasi) 60 anni sulla panchina della Juventus, realizzando i sogni di un allenatore quando ormai la carriera inizia ad intravedere le sue ultime stagioni. Ha ora in mano una squadra mista di giovani, giocatori esperti, campioni da ricostruire, da "inquadrare" in un nuovo contesto o rivendere ad un prezzo che non generi (esagerate) svalutazioni. Il suo primo obbligo, ad oggi, è quello di renderla presentabile (ed in forma) per il 29 luglio, data del primo incontro ufficiale (andata dei preliminari di Europa League).

Non esiste un’eredità da conservare della Juventus dell’anno scorso, a meno che non ci si riferisca ai vari Buffon, Chiellini e Marchisio. Per quanto riguarda il resto, molto era da cambiare. In parte, qualcosa è già stato fatto.
Lui è stato scelto per la sua natura di allenatore "dittatore-democratico", perché la disciplina, tra le altre cose, era uno degli ingredienti che più mancava nel menù quotidiano di Vinovo.

Padre della Juventus che verrà è Andrea, l’ultimo degli Agnelli, il Presidente che vuole essere semplicemente chiamato per nome. Quello che sale a Pinzolo e si immerge con naturalezza tra i tifosi presenti nel ritiro bianconero, ascolta le (ovvie) preghiere ("Fatti restituire i due scudetti, che sono nostri", "compra Dzeko o Krasic"), ma rimane sensibile al motto caro alla Famiglia: "Dobbiamo essere all’altezza della nostra storia, delle nostre tradizioni, poche parole e fatti".

Il calciomercato estivo del 2010 è iniziato ufficialmente il 1° luglio, e si concluderà il 31 agosto, alle ore 19.00. La rivoluzione bianconera ha avuto inizio in società, nei vertici alti: dalla presidenza in giù, molto (quasi tutto), è cambiato. Per chi manca all’appello, dovrebbe essere solo questione di tempo.
Prima di ricostruire una squadra come la Juventus, era necessario si creasse una dirigenza all’altezza di un simile impegno: una volta terminato questo primo (grande) passo, è stato possibile iniziare il cammino verso quello successivo.

Gli acquisti appena conclusi (sicuramente non di "grido") sono serviti a puntellare la rosa nei punti dove è stato ritenuto possibile intervenire sin da subito. Adesso si passerà alle cessioni, per poi tornare - anche in parallelo a quest’ultime - alle nuove entrate.

Si parla spesso, al giorno d’oggi, di puntare sui giovani, quando questo - però - richiede "tempo" e "pazienza" per poterne raccogliere i primi risultati. Si chiede da più parti una società in grado di programmare il proprio futuro, aspettandosi anche riscontri immediati. Non accorgendosi, in realtà, che le due cose sono in contrasto tra loro. Per tanto è stato chiesto, a gran voce, un "ribaltone societario" in seno alla Vecchia Signora: una volta che si è concretamente realizzato, adesso ci si immagina che dall’oggi al domani una FIGC lenta più che mai riconsegni alla Juventus i due scudetti tolti nel 2006. Si attendeva da anni un dirigente capace di muoversi tra le ragnatele del calciomercato: ora che Marotta e il suo staff hanno messo piede a Vinovo, ci si aspettano acquisti di campioni da un momento all’altro, trascurando, a volte, che nella gestione societaria pesano (e non poco) giocatori acquisti a prezzi altissimi (difficili da rivendere senza creare minusvalenze) e dagli stipendi spropositati (in relazione al loro effettivo valore tecnico e/o al loro contributo recente alla causa bianconera).

Con un gruppo forte e unito, verso un’unica direzione, si va lontano. Senza la classe, non si vince. Il 31 agosto, al termine del calciomercato estivo, sarà possibile stilare una valutazione globale di una squadra da rifondare non (sol)tanto dalle ceneri di Farsopoli, ma da una gestione dissennata durata quattro anni. Questo è il tempo effettivamente trascorso nella speranza che le numerose promesse fatte si tramutassero in realtà.
Attendere ancora (meno di) due mesi per dare modo alla nuova gestione di costruire una squadra competitiva può non essere così difficile. Soprattutto se, al termine di questo breve periodo, la si potrà tornare a chiamare "Juventus". Senza incertezze. E per nome.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Dedico questo articolo all'allenatore della Juventus, Luigi Del Neri, colpito oggi da un grave lutto in famiglia

Interviste a Marotta e Amauri. E Andrea Agnelli va in mezzo ai tifosi...

lunedì 5 luglio 2010

Il calcio dei giganti, dei bambini, dei nani...



E’ il mondiale delle stelle cadenti (e cadute). Così come se ne va in pensione il Pallone d’oro (verrà sostituito, a partire dal prossimo gennaio 2011, dal "Pallone d’oro Fifa", unificazione del vecchio premio con il "Fifa World Player"), escono dal mondiale sudafricano gli ultimi vincitori del prestigioso premio attribuito dalla rivista "France Football": Lionel Messi (Argentina, 2009), Cristiano Ronaldo (Portogallo, 2008), Kakà (Brasile, 2007), Cannavaro (Italia, 2006).

Fuori da subito le ultime finaliste della competizione (Italia e Francia), il tonfo più clamoroso si è sentito dalle parti del Sudamerica, dove due tra le più accreditate (Brasile e Argentina) sono state estromesse rispettivamente agli ottavi e ai quarti. Rimane l’Uruguay, capace di gestire al meglio un tabellone non proibitivo e di resistere ad una lotta sino all’ultimo rigore con il Ghana. Ora incontrerà, in semifinale, l’Olanda di Sneijder e del mister Van Marwijk.

Poteva essere il mondiale di Fabio Capello, di Rooney e della loro Inghilterra: ci si sono messi di mezzo Joachim Löw e i suoi terribili ragazzi di una Germania multietnica, che si sono dimostrati in grado di eliminare - nell’ordine - gli stessi inglesi (agli ottavi) e l’Argentina (ai quarti). Adesso, per loro, ci sarà la Spagna, detentrice dell’Europeo.

Sembrava fosse diventata la manifestazione in grado di consacrare Diego Armando Maradona (anche) come allenatore: decisioni discutibili sia in tema di convocazioni che sulla scelta degli uomini da schierare in campo e sulla loro disposizione sul rettangolo di gioco. Ma tant’è, i risultati gli davano ragione. Prima di trovare la Germania sulla propria strada. Aveva, tra gli altri, Lionel Messi: il "gigante" che insegna al "bambino" come si fa a vincere un mondiale, a caricarsi il peso di una nazione intera sulle spalle, un paese bisognoso di gioie (anche momentanee) per dimenticare, almeno per qualche istante, i problemi che da anni lo affliggono.
Non ce l’hanno fatta, né uno né l’altro.

E’ diventato il mondiale delle novità, delle scoperte e di qualche conferma (la Spagna, Villa, Klose, Schweinsteiger, Sneijder, Robben, Forlan e Suarez, tra gli altri).
E la speranza che il vento del cambiamento arrivi in Italia, già dalla prossima stagione, è forte. Perché solo ripartendo (quasi) da zero si può provare a costruire qualcosa di positivo.
Da Abete in giù, sulla falsariga di quello che sta capitando alla Juventus, un "repulisti" totale potrebbe portare quelle innovazioni indispensabili per cambiare marcia. Un po’ come ha fatto la Germania: dall’insuccesso del 2006 agli ottimi risultati di questa competizione.

E’ una federazione calcistica, la nostra, che deve (ri)trovare (anche) credibilità, innanzitutto all’interno dello stivale. Che deve mostrare equilibrio e omogeneità di giudizi di fronte a tutti, per il bene della giustizia (sportiva). Quella, ad oggi, fatta di due pesi e due velocità, di un massacro mediatico (nel 2006) verso una sola squadra e di qualche riga (e notizia, oggi) verso le altre. Quella che passa dalle intercettazioni "irrilevanti" a quelle "rilevanti" quasi con fastidio, solo perché in internet sono iniziati a girare gli audio delle telefonate che hanno contribuito a ritoccare l’immagine - anche nei confronti delle altre tifoserie - di un calcio diverso da come era stato raccontato quattro anni fa.
A qualcuno, questo, dà fastidio.

"Giusto per chiarire ai lettori, ai siti di nani e ballerine e a chi monta queste porcherie come la pensa il direttore di Gazzetta".
Questo è un breve stralcio della parte finale del "Palazzo di vetro", la rubrica di Ruggiero Palombo, comparsa nella "Gazzetta sportiva" della giornata di ieri. Il direttore Andrea Monti, a difesa del giornalista, ha iniziato così una postilla nella quale - oltre a prendere le sue difese - ha attaccato chi utilizza lo strumento di internet per cucinare "polpette avvelenate" che "vengono per nuocere".

Il "gigante" dell’informazione sportiva contro i "nani". Una lotta impari, se così si può definire: perché in realtà, non c’è nessuna guerra (e nessun avvelenamento), ma solo la ricerca della verità. Se lo "scudetto di cartone" assegnato all’Inter, proprio alla luce delle nuove intercettazioni, ora viene messo in discussione da tanti (giusto per fare un esempio), vuol dire semplicemente che "qualcosa" (di grosso) è stato trascurato, nel 2006. Piaccia o non piaccia.

Anche al "gigante" Maradona capitò di non volersi sedere allo stesso tavolo del "bambino" Thomas Müller, nel corso di una conferenza stampa di quattro mesi fa. Qualche istante prima lo aveva scambiato per un raccattapalle.
Sabato scorso, proprio il tedesco è stato il migliore in campo contro la sua Argentina, segnando un goal e contribuendo ad eliminarla dal mondiale.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 3 luglio 2010

Un altro "black out" di Felipe Melo. E adesso?


Non ci voleva. Quel fallaccio di Felipe Melo su Robben proprio non ci voleva. Una prestazione, quella del brasiliano ieri, dai due volti: bene il primo tempo, condito con un bellissimo lancio in verticale per il goal di Robinho; malissimo nella ripresa, con l’incomprensione con Julio Cesar in occasione dell’autogoal e - soprattutto - l’espulsione per il calcio al giocatore olandese a terra.

Se in occasione dell’autorete dell’1-1 (parziale) il portiere interista rivendica l’aver chiamato la palla e condivide la paternità dell’errore con il compagno, per ciò che concerne l’attimo di follìa successivo, quello ha un solo nome e cognome: Felipe Melo.

Si conclude, così, una stagione negativa per il centrocampista verdeoro, legata a doppio filo con quella della Juventus, il suo club di appartenenza. Proprio nel momento in cui la squadra bianconera si è appena ritrovata per iniziare la preparazione in vista dei preliminari dell’Europa League.
E dire che tutto era iniziato sotto ben altri auspici: nella sessione di calciomercato della scorsa estate, impegnata a cercare un regista, la Vecchia Signora (tale di nome, non di fatto) corteggiava D’Agostino, allora all’Udinese. Non riuscendo ad arrivarci, ecco il colpo di scena che non t’aspetti: 25 milioni di euro (meno Marchionni), clausola rescissoria voluta da Corvino pagata e rispettata, un altro campione che si apprestava a raggiungere Torino, sponda bianconera. Un mediano costato più di un trequartista.

Amauri non era ancora italiano, Diego era stato già acquistato e si attendeva proprio Melo per presentare ai nastri di partenza una Juventus "brasiliana" come mai in passato.
Settantacinque milioni (circa) di investimento in due anni per i tre calciatori, per una squadra che avrebbe dovuto giocare a ritmo di samba. Il "gap" con l’Inter, in Italia, sicuramente ridotto. Col tempo, chissà, il campo avrebbe potuto anche dire "annullato".
Dalla successiva cessione di Cristiano Zanetti alla Fiorentina, ecco i primi equivoci tattici manifestarsi in campo, per poi esplodere fuori dal rettangolo di gioco al presentarsi delle prime critiche.
Partito l’unico regista rimasto in rosa (quando non era alle prese con problemi muscolari), con il posizionamento di Diego come vertice alto del rombo di centrocampo, a Felipe Melo non rimaneva che rispettare gli ordini di scuderia, e piazzarsi davanti alla difesa.

La gara contro la Roma all’Olimpico (30 agosto 2009, vinse la Juve 3-1) aveva fatto sognare i tifosi bianconeri: se Diego si era espresso su livelli eccezionali (mai più rivisti), Felipe Melo gli era andato dietro, producendosi - ad incontro ormai concluso - in una cavalcata potente e devastante che gli permise di realizzare la terza marcatura, quella che chiuse definitivamente la partita.
Ma l’Olimpico di Roma fu, appunto, l’eccezione, non la regola.
Eppure Cesare Prandelli, neo CT della nazionale azzurra ed ex allenatore del brasiliano ai tempi della Fiorentina, lo aveva detto, nel corso di una intervista: "No, consigli non ne voglio dare. Vi dico però che noi l'anno scorso avevamo creato un gioco che per Melo era possibile: non è un regista, ha visione ma non abbastanza. E così avevamo creato meccanismi di gioco facendolo giocare come mezzo destro del 4-2-3-1, con movimenti delle ali che facilitavano il suo gioco".

Il "4-2-3-1", lo schema spesso adottato dal Brasile e qualche volta - nel corso della stagione appena conclusa - dalla Juventus. Il vestito che più si addice alle caratteristiche di Felipe Melo. Proprio nella sua nazionale si è sempre sentito a casa, protetto e coccolato da un allenatore - Carlos Dunga - che adesso, al pari di Marcello Lippi, si assume tutte le responsabilità di un fallimento che ha iniziato a materializzarsi al 28° del secondo tempo dell’incontro con l’Olanda, cinque minuti dopo la rete dell’1-2 segnata da Sneijder, proprio grazie all’attimo di follìa del centrocampista brasiliano. Esattamente nel momento in cui la sua nazionale avrebbe avuto necessità di raccogliere tutte le proprie forze nel disperato tentativo di un recupero in extremis per evitare l’eliminazione dai mondiali.

Lui se ne frega delle critiche. Va in vacanza, felice - poi - di tornare alla Juventus.
"Del passato non mi interessa molto, nello spogliatoio so cosa porterò. Le regole vanno rispettate in campo e fuori. Dialogo senza imposizioni, ma decido io. La base di tutto è il rispetto".
Queste sono alcune delle parole pronunciate ieri da Luigi Del Neri, durante la presentazione delle nuove divise da gioco della società bianconera. Questo è il nuovo ambiente che Felipe Melo troverà, a Torino, se prima non verrà ceduto (a quale prezzo?) a qualche altra squadra.
Potrebbe durare, sì. Ma quanto?

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 2 luglio 2010

Paolo Montero, l'Avvocato e il gruppo-Juve


Il giorno dopo arriva l’Avvocato Agnelli (al campo). Mi chiama e mi dice: "Montero vieni… Non lo hai preso bene…" E io gli dicevo: "No, no, guardi che più o meno io l’ho preso…". "No, no. Se tu lo prendevi bene, lui cadeva…"
L’episodio a cui faceva riferimento Paolo Montero, nel corso dell’intervista comparsa sulla "Gazzetta TV" lo scorso 27 giugno, è quello del famoso pugno a Di Biagio (3 dicembre 2000, Inter - Juventus 2-2). A cui lo stesso uruguaiano, nel bel mezzo delle polemiche che scoppiarono nei giorni immediatamente successivi a quella gara, dedicò queste parole: "Questo è il calcio. Di Biagio può andare a giocare a pallavolo, al massimo".
Baluardo difensivo della Vecchia Signora per nove stagioni: le prime da protagonista, le ultime (quasi) da spettatore. Una presenza forte, in campo e fuori. Il "gruppo", prima di tutto. E tutti.

Nel periodo mio la Juve non era forte come quella di Capello, però aveva un cuore… C’era un gruppo straordinario.. Una delle cose più belle che abbia mai vissuto è il gruppo della Juve…

La Juventus che vinceva aveva un’anima di ferro: non guardava in faccia a nessuno. Fissava gli avversari direttamente negli occhi. Senza paura. Poteva perdere, ma non senza aver dato tutto il possibile per evitarlo.
La forza di quella squadra la si poteva cogliere da un’infinità di segnali. Uno tra i tanti, fu l’esultanza di Ciro Ferrara dopo aver segnato un goal nell’incontro di andata valevole per l’assegnazione della Supercoppa Europea, giocato a Parigi il 15 gennaio 1997. Avversario della Juventus era il Paris Saint Germain di Rai e Dely Valdes (finì 6-1 per i bianconeri).
Al momento della marcatura la sua reazione fu un misto di gioia e rabbia, come se si fosse trattato di una rete decisiva. Ma era la terza, per di più in trasferta. L’importante, per lui, era aver segnato, non in "quale" momento dell’incontro.
Questo è lo spirito da "cannibali", quello tipico dei vincenti.

Durante un suo intervento nel corso di un seminario sugli sport di squadra organizzato dal Coni, nello scorso mese di aprile, l’ormai ex CT della nazionale Marcello Lippi - che di quella Juve era l’allenatore - "separò" i grandi calciatori in campioni e fuoriclasse: "I primi sono dei solisti, dei galli nel pollaio, che hanno grandi doti ma che non fanno nulla per migliorare e mettono in mostra le proprie qualità solo in poche occasioni. Sono primedonne che non si mettono a disposizione del gruppo, non aiutano la squadra". Sui fuoriclasse: "Hanno il talento, non solo tra i piedi, e lo mettono al servizio del collettivo. Hanno grandi qualità in campo e fuori, incarnano i valori della leadership. Di questi giocatori più se ne hanno e meglio è".

Non è facile creare un gruppo vincente. Non basta avere una guida forte e sicura: quella è la base di partenza, ma può non essere sufficiente.
A volte, invece, nasce quando meno te l’aspetti.
Accadde, ad esempio, a Roma, sponda laziale, nel 1974. La squadra dei clan, di quelli uniti in campo ma separati più che mai nello spogliatoio. Quella divisa tra il gruppo di Re Cecconi e Martini (da una parte) e quello di Chinaglia e Wilson (dall’altra). Una Lazio che combatteva contro tutto e tutti, dentro e fuori il campo. Ma che ha saputo vincere uno scudetto rimasto nella storia dopo esserci andata vicino l’anno precedente.

Ripartire, per la nuova Juventus, non sarà uno scherzo. Ci vorrà tempo, laddove (di tempo) non ne verrà concesso. Ci vogliono campioni, per alzare il tasso tecnico della squadra. Anzi, per dirla alla Lippi: fuoriclasse. Ci vorrà - almeno - un "gruppo" di calciatori unito come non mai (sicuramente non come è capitato in questi ultimi anni) per colmare quelle lacune che potrebbero evidenziarsi al termine di una campagna acquisti/vendite che si annuncia numerosa, sia in entrata che in uscita.
Cercare nella massima unità di intenti la forza per superare alcuni ostacoli, potrebbe rivelarsi un’arma vincente. Viceversa, limitarsi a quella sin dal principio, rischierebbe di rivelarsi un boomerang.
Il gruppo dovrà essere l’arma in più, non l’unica: senza classe, non si vince.

Mi chiamava alle 5 di notte. A me e a tutta la squadra. Lui si svegliava alle 4.30 per andare a lavorare e ti chiamava 5 minuti. Io non ci credevo, pensavo fosse un amico e buttavo giù. Alla fine avevo capito che era lui e ho risposto. "Uh sì, Avvocato, come sta?" "Che sta facendo?" "Stavo dormendo…" Alle 5.00, che vuoi fare?...
Lui era l’Avvocato. Il fuoriclasse più fuoriclasse di tutti.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

(Guarda qui la video intervista a Paolo Montero)

giovedì 1 luglio 2010