martedì 26 marzo 2013

Hristo Stoichkov, un Pallone d’Oro a Parma


Il primo giocatore bulgaro a sbarcare in serie A fu Nikolaj Stefanov Iliev. Lo aveva ingaggiato il Bologna nel 1989, su esplicita richiesta di Luigi Maifredi. Il tecnico non aveva dato peso a quanto era accaduto in occasione di una gara di Coppa dei Campioni tra il Milan ed il Vitosha Sofia, la squadra nella quale militava il difensore. In quella partita avrebbe dovuto francobollare Marco Van Basten, ma la punta rossonera riuscì a segnare la bellezza di quattro reti (6 ottobre 1988).

Andrà meglio con il secondo, avranno pensato con ogni probabilità in Bulgaria all’epoca in cui il campionato italiano era considerato l’ombelico del mondo calcistico. E avranno pure tirato un sospiro di sollievo nell’apprendere la notizia del trasferimento di Hristo Stoichkov, pallone d’Oro nel 1994, alla corte del Parma di Calisto Tanzi. Il quale, tirato in ballo in merito all’esplosione dei costi sostenuti dai club in quel particolare periodo storico, aveva allontanato con fermezza le accuse mosse alla sua società di mettere con troppa frequenza mano al portafogli: “Non è solo il calcio italiano a spendere cifre folli. In Europa tutti stanno spendendo più di quanto facciamo noi: Germania e Inghilterra aprono aste insostenibili. E’ tutto il mondo che deve darsi una regolata. Ha ragione il presidente della Repubblica Scalfaro quando censura le spese pazze del pallone: noi siamo i primi ad essere d’accordo sulla necessità di un ridimensionamento“.

Hristo Stoichkov, dunque. Per chi possedeva una buona memoria non doveva essere stato difficile ricordare le dichiarazioni che lo stesso attaccante aveva rilasciato qualche mese prima del suo arrivo nello Stivale in merito al livello tecnico della serie A: “Il vostro campionato non è il più importante del mondo. Ora i migliori stranieri giocano in Spagna“. Naturalmente era da lì che proveniva, dal Barcellona formato “Dream Team”.  Lo aveva voluto fortemente Johan Cruijff, leggenda vivente del football olandese, con il quale i rapporti si erano incrinati irrimediabilmente nel corso del tempo: “E’ un invidioso. Mi ha fatto la guerra perché io, da giocatore, ho vinto tutto a Barcellona. E lui ben poco“.

In cuor suo immaginava di restare in Catalogna ancora per molti anni. Fresco di Pallone d’Oro aveva giurato amore eterno ai blaugrana: “Credo proprio che continuerò a vestire i colori del Barcellona fino alla conclusione della carriera. Ho appena prolungato il contratto fino al ’98, ormai difficilmente mi lasceranno andare“. In realtà l’abbandono fu più facile del previsto.

Guai, poi, a chi osava mettere in dubbio la legittimità della conquista del trofeo di miglior calciatore del Vecchio Continente: “Due anni fa Van Basten mi soffiò il Pallone d’Oro giocando alla grande una sola partita, quella dei quattro gol al Goteborg. Di regola si tiene invece conto di quello che uno ha fatto durante tutto l’ anno… E lasciamo perdere Usa ‘ 94. Avevo già dichiarato che Dio è bulgaro e che Quiniou, l’arbitro di Italia-Bulgaria, è francese. Confermo: Dio è sempre bulgaro e Quiniou purtroppo resta francese”.

A Parma, una volta salutati i tifosi che lo aspettavano adoranti al “Tardini” per il primo caloroso abbraccio, corresse leggermente il tiro: “Forse Dio non è più bulgaro, ma l’arbitro resta francese. Però con quelli italiani mi troverò bene“. Con i difensori avversari e con la serie A, invece, ebbe qualche problema di ambientamento.  Le prime parole pronunciate sul suolo italiano mostravano una fiducia che andava di pari passo con il suo immenso talento: “Il mio primo obiettivo? Vincere lo scudetto. Una squadra che in tre anni ha fatto tre finali europee, vincendone due, può farcela. Io non prometto goals, ma successi“.

Di questo era convinto anche il tecnico del Parma, Nevio Scala: “Lavoreremo insieme, parleremo insieme. Con Stoichkov sono garantiti bel calcio e spettacolo“. Stefano Tanzi, il figlio del patron, si era invece mostrato meravigliato per l’entusiasmo che aveva contagiato l’ambiente gialloblù: “Sono stupito e soddisfatto anch’io. Se la città ha risposto così significa che in questi anni abbiamo fatto bene: abbiamo un Pallone d’Oro, a fine anno speriamo di averne un altro: Zola“.

A fine stagione, invece, il bulgaro tornò al Barcellona. Non aveva promesso molte reti, e infatti ne segnò soltanto cinque in campionato. Credeva di restare al Barcellona fino al 1998, ma in quel caso i fatti gli diedero ragione: fece ritorno al “Camp Nou” rimasto orfano di Cruijff, per poi accasarsi nuovamente al CSKA Sofia. Dall’amata Bulgaria iniziò una carriera da giramondo del pallone. Anche nella sua nuova veste di allenatore, nella quale ha dimostrato di non aver ancora imparato l’arte della diplomazia.

Articolo pubblicato su Lettera43

mercoledì 20 marzo 2013

Intervista a Carlo Nesti


Carlo Nesti, noto giornalista e scrittore, ha concesso in esclusiva un’intervista a “Pagina” in cui parla del presente del calcio italiano, campionato e Champions League, e del proprio passato...

Parlando di Ibrahimovic e del suo desiderio di riportarlo alla Juventus, Pavel Nedved ha recentemente stuzzicato la fantasia di molti tifosi bianconeri in tema di calciomercato. Crede sia realmente possibile un ritorno dello svedese in maglia juventina, ovviamente attraverso la regia dell'ormai celebre Mino Raiola?
Il punto è proprio questo, nel senso che si tratterà di vedere se in sede di mercato, alla fine del campionato, sarà ancora salda la posizione della coppia Marotta-Paratici oppure se prenderà prestigio, potere o comunque una maggiore importanza un’altra coppia, formata da Nedved (che opera già in società) e dallo stesso Raiola (esternamente). I due sono legati da grande amicizia dato che il secondo, come noto, è stato per anni il procuratore del ceco. Dico questo considerando scontato, ovviamente, che Raiola non entrerebbe mai all’interno del club, ma agirebbe soltanto nella veste di “consulente esterno”. Credo che gli equilibri non cambieranno, e immagino che verrà concessa a Marotta e Paratici una giusta fiducia. Ancor più meritata se dovesse arrivare un altro scudetto, e indipendentemente dall’esito del cammino dei bianconeri in Champions League. Di conseguenza direi che Ibrahimovic, come assicurato recentemente dallo stesso Marotta, non arriverà. 

Il vantaggio di nove punti accumulato dalla Juventus sul Napoli mette la Vecchia Signora in una posizione di relativa tranquillità in vista della conclusione dell'attuale campionato. A suo modo di vedere la lotta per la piazza d'onore della serie A riguarderà esclusivamente la squadra di Mazzarri ed il Milan?
La concorrenza non manca, visto che ci sono altre squadre che indubbiamente hanno credenziali maggiori rispetto a quanto mostrato nel recente passato. Mi riferisco alla Roma, che va molto meglio col nuovo allenatore piuttosto che con Zeman, e alla Fiorentina, che ha superato un momento delicato ed è tornata ad esprimersi ad alto livello. Però io credo che il duello per il secondo posto effettivamente sarà ristretto a Milan e Napoli. E penso che i rossoneri abbiano ottime possibilità di spuntarla. 

Antonio Conte ha assicurato di voler restare alla Juventus anche per la prossima stagione. Ritiene possibile anche per lui un rapporto duraturo con il club bianconero come quello che si è instaurato in Inghilterra tra sir Alex Ferguson ed il Manchester United?
Nonostante la dichiarazione promettente di Conte, temo che le abitudini del nostro calcio non glielo consentano. Ne sarei felice, tra l’altro sarebbe anche la prima volta nella storia del campionato italiano. 

Quindi…
Quindi non credo che Conte resterà tantissimo alla Juve. Direi che ci sarà sicuramente anche nella prossima stagione, però non penso che potrà andare oltre i tre, massimo quattro anni. Che non saranno mai paragonabili quantitativamente a quelli di Ferguson, così come alla totalità dei periodi diversi rispettivamente di Trapattoni e di Lippi. Questa d’altronde è un’epoca in cui si brucia tutto molto in fretta, non soltanto nel calcio. 

In Italia, ultimamente, sono venuti alla ribalta giovani calciatori dal sicuro avvenire. Per citare due esempi indicativi in tal senso basta fare i nomi di Pogba ed El Shaarawy. Tra quelli meno reclamizzati, invece, le viene in mente il nome di qualcun altro in grado di seguire le orme dei coetanei più famosi?
In questo particolare periodo è fortunatamente più difficile individuare dei nomi, anche perché nel recente passato i pochi giovani in circolazione facevano un’anticamera troppo lunga prima di arrivare in prima squadra o addirittura in nazionale. Ora, invece, con la complicità della crisi economica siamo stati costretti a lanciarne molti in avanscoperta. El Shaarawy, per me, rappresenta una gradita sorpresa ad altissimi livelli. A parte questo giustificabilissimo momento di appannamento, la sua stagione è stata straordinaria. E’ un calciatore che si è dimostrato capace non soltanto di segnare sedici gol in campionato, ma anche di percorrere decine e decine di chilometri. E’ una punta modernissima, votata al sacrificio. Più che fare altri nomi preferirei lanciarmi in una previsione: se lo stesso El Shaarawy avrà la fortuna di non incorrere durante la carriera in grossi problemi fisici allora potrà entrerà nella storia del calcio italiano. Può diventare uno dei primi dieci calciatori italiani di sempre. Per la sua classe, per la sua capacità di essere nello stesso tempo cannoniere, trequartista e uomo tutto campo. E anche per quel requisito fondamentale che è la testa. E’ bello vedere la sua maturità in un giocatore così giovane. Io glielo auguro di cuore. 

Lionel Messi si è recentemente aggiudicato il quarto Pallone d'Oro consecutivo. Ritiene siano corretti gli attuali criteri di attribuzione del trofeo, che premiano il miglior calciatore del mondo nel corso dell'anno solare?
Forse sarebbe necessario adeguarsi ad uno standard diverso, come è stato fatto in tanti altri settori su altri fronti. Per essere più credibile questo premio dovrebbe essere legato ad una stagione sportiva, quindi non al periodo che va da gennaio a dicembre ma a quello ricompreso tra luglio e giugno. Lo vedrei migliore se “allargato”, con uno sforzo di elasticità, anche a giocatori di altri ruoli. Non dovrebbe essere vincolante il fatto che quel determinato calciatore sia un giocatore d’attacco, che segni tante reti e che per forza il suo nome sia legato alla vittoria della propria squadra. Parlo di un trofeo più individuale e meno legato al reparto nel quale si gioca. 

Le chiedo un pronostico secco sulla vincente in Champions League, ovviamente per gioco. Mi potrebbe indicare la sua favorita alla vittoria finale?
Non mi costa nulla. La scorsa estate avevo indicato il Napoli come la formazione che avrebbe potuto togliere lo scudetto alla Juve, e avevo pronosticato la stessa Juventus in grado di lottare sino in fondo per la Champions League. Ad essere sincero non avevo specificato cosa significasse questa mia previsione, se semplicemente arrivare in finale oppure vincerla. I tifosi bianconeri conoscono molto bene che razza di ostacolo sia la finale visto che la loro squadra, purtroppo, ne ha più perse che vinte. Una di queste ultime, poi, è legata a momenti atroci. Associo il pronostico ad una speranza. Dico che la Juve se può essere inferiore ad altre formazioni sul piano individuale, in questo momento è una delle migliori del mondo sul piano collettivo. Con un po’ di fortuna, evidentemente legata all’eliminazione di altri club dalla manifestazione, potrebbe vincere la coppa. Il mio al 40% è un pronostico, mentre al 60% è una speranza. 

Lei è uno dei giornalisti più conosciuti ed apprezzati nel vasto panorama italiano. C'è un'esperienza in particolare, tra quelle vissute nel corso della sua carriera, che le è rimasta particolarmente nel cuore?
C’è un aneddoto curioso che mi riguarda, noto a diversi appassionati. In occasione della finale dei mondiali americani del 1994 tra Italia e Brasile, svoltasi a Los Angeles, mi era capitato di dover sostituire Bruno Pizzul nei primi istanti della telecronaca. Il collegamento era partito un quarto d’ora prima del calcio d’inizio, Bruno era stato chiamato in tribuna d’onore dall’allora presidente della Camera Irene Pivetti, che doveva consegnargli un messaggio augurale da parte del capo dello Stato da leggere all’inizio della gara. Lui, però, purtroppo aveva lasciato l’accredito in tribuna stampa e, quando era arrivato il momento di tornare nella sua postazione, trovò un ostacolo formato dalle inflessibili forze dell’ordine statunitensi che non lo lasciarono passare. Si rese necessario l’intervento di altre persone per liberarlo da quella sorta di trappola. Era toccato a me cominciare la telecronaca, coronando per almeno sessanta secondi quello che era stato sempre il mio massimo sogno da bambino: realizzare la telecronaca della finale di un mondiale. 

Ve ne sono altri, oltre a questo?
Ricordo con gioia anche i tre campionati consecutivi vinti dalla nazionale Under 21 di Cesare Maldini. Sono stato veramente molto fortunato. Per loro sono passato come un portafortuna, in realtà è stato il contrario. Nel 1992, 1994 e 1996 ho vissuto momenti meravigliosi. Orgogliosamente mi piace ricordare, poi, che nel programma “I migliori anni” su Rai 1, condotto da Carlo Conti, è stato festeggiato un record che mi riguarda. In pratica, nella storia italiana siamo stati soltanto in due radio-telecronisti, il sottoscritto ed il grandissimo Nicolò Carosio, ad aver partecipato a due campionati del mondo vinti dall’Italia. A me è capitato nel 1982 e nel 2006, a chi è stato il mio modello da bambino nel 1934 e nel 1938. Lui era riuscito a seguire anche le due finali, io invece mi sono fermato alle semifinali. Questo primato era stato possibile perché nel 1982 ero il numero sei dei telecronisti, dato che ne avevo cinque davanti, mentre ventiquattro anni dopo non c’era più nessuno degli altri colleghi. O perché erano scomparsi, o perché erano andati in pensione. 

Nella sua biografia, presente sulle pagine online del sito che le appartiene, ha raccontato di aver assistito da bambino alle partite disputate al vecchio "Stadio Comunale" sia dalla Juventus (in compagnia di suo padre) che dal Torino (con lo zio). Come è riuscito a rimanere imparziale nel suo lavoro di giornalista, visti i sentimenti che la legano (seppur in modo diverso) alle due squadre della città?
Imparziale in senso assoluto lo sono diventato grazie agli insegnamenti di mio padre. Da lui ho imparato a conoscere la cultura sportiva. Fin da bambino sono sempre stato portato a badare alla bellezza dello spettacolo a cui stavo assistendo prima che al fatto che potesse vincere una squadra piuttosto che un’altra. Significa apprezzare anche il valore degli avversari e rispettarli. A questo si è aggiunta l’opportunità di appartenere a un’epoca, parlo della metà degli anni Settanta, in cui la prima cosa che ti veniva detta quando entravi in un giornale era “da questo momento in avanti, se vuoi essere un buon professionista devi dimenticare il tifo”. A me lo disse anche il mio vice direttore, poi diventato direttore di “Tuttosport”, Pier Cesare Baretti. Allora non esistevano i giornalisti schierati, veniva apprezzata la capacità di essere equidistanti dalle parti. I tempi poi sono cambiati, ora ritengo che sarebbe bello se fossero compresenti le due figure: con funzioni ovviamente differenti offrirebbero dei grossi vantaggi editoriali alle televisioni che realizzano talk show di questo genere.

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lunedì 18 marzo 2013

Dopo la sosta la Juve si sdoppierà

 
Nei piani alti della serie A la situazione è rimasta pressoché inalterata rispetto al fine settimana precedente: la Juventus si trova ancora in vetta solitaria, con il Napoli (più nove) ed il Milan (più undici) tenute a debita distanza. La vittoria esterna ottenuta dalla Vecchia Signora a Bologna, però, ha un peso specifico diverso, di particolare importanza.
 
Questo dipende, in parte, anche dal momentaneo vantaggio maturato sabato sera sulla seconda di dodici punti, grazie all'anticipo della gara disputata allo stadio "Dall'Ara". Visto che di giornate alla conclusione del torneo ne mancano ormai nove, nella successiva domenica pomeriggio a Napoli e Milan non restava altra scelta se non quella di fare a loro volta bottino pieno.
 
La squadra di Pioli veniva da tre successi consecutivi, si trattava - quindi - di un avversario da prendere con le molle. La Juventus, dal canto suo, è riuscita nell'intento di non concederle quasi nulla. L'esultanza mostrata da Antonio Conte nei minuti conclusivi della partita ha reso onore alla prestazione offerta sul campo dai suoi uomini. La successiva polemica con il tecnico rossoblù, durata il tempo di una stretta di mano (anche se le vedute continuano ad essere diverse), ha contribuito a mettere nuovamente l'allenatore bianconero al centro dell'attenzione mediatica.
 
Stavolta, però, lo stesso Conte ha chiuso con decisione la porta alle critiche, chiedendo invece maggiore attenzione su altri aspetti dei pre-partita della Juventus: "Piuttosto andate a vedere le entrate della Juventus negli stadi. Sono rimasto veramente esterrefatto che una città civilissima come Bologna ci abbia accolto con bastonate, pietre, sputi, gente che ha dei bambini in braccio di tre-quattro anni e che bestemmia, insulta. Ma io dico: che educazione diamo? Perché non mettiamo qualche telecamera, visto che ce ne sono tantissime dentro il campo, all’interno, e perché non facciamo vedere quello che succede fuori dallo stadio quando arriviamo? Magari qualcuno si vede col bambino in braccio, si vergogna e non viene più allo stadio. Di questo bisogna vergognarsi, non delle cavolate. Uno non può neanche esultare con i suoi tifosi. Diciamo che fa male perdere, diciamo questo: fa male perdere, forse".
 
Lo sfogo del tecnico di origine leccese è capitato nel momento giusto, dato che nel prossimo turno di campionato (dopo la sosta imposta per gli impegni della Nazionale) Madama andrà a visitare l'Inter in trasferta. Qualsiasi accenno sulla rivalità esistente tra i due club è superfluo, la sua storia si aggiorna continuamente con nuovi episodi che tendono tutti (anche quelli apparentemente insignificanti) a rinvigorirla ed accentuarla. La Juventus affronterà quella gara consapevole che un ulteriore successo le fornirebbe una spinta notevole in chiave scudetto, oltre a consentirle di affrontare con un pizzico di serenità in più il successivo incontro con il Bayern Monaco. Problemi, questi, che i tedeschi sicuramente non hanno, dall'alto di una Bundesliga ormai vinta a mani basse.
 
Conte ed il suo staff saranno quindi chiamati ad un dosaggio delle energie e degli uomini a disposizione calibrato a questo duplice impegno ravvicinato. E se in Italia qualche passo falso le è ancora consentito, in Europa la Juventus non potrà permettersi il minimo errore. Si tratta di un concetto valido per tutti i componenti della sua rosa, compresi gli attaccanti.
 
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un altro passo avanti



Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Ritornare a casa dalla difficilissima trasferta di Bologna con i tre punti è sicuramente un passo importate verso il traguardo finale, soprattutto per le modalità con le quali la vittoria contro i felsinei è maturata. Infatti dopo una prima parte di gara in cui la Juventus ha studiato l’avversario frenandone un paio di iniziative pericolose, una delle quali grazie ad una portentosa uscita di Gigi Buffon su Gilardino,i bianconeri hanno iniziato a sciorinare il loro gioco, fatto di pressing, aggiramento della difesa, verticalizzazioni rapide e chiusure tempestive a centrocampo ed in difesa. Gli uomini di Conte hanno, soprattutto nei secondi 45 minuti, aggredito l’avversario, lo hanno chiuso nella sua metà campo e costretto infine a capitolare per due volte, ma le reti avrebbero potute essere molte di più se la mira degli attaccanti fosse stata più precisa. 

Finalmente Vucinic ha offerto una prestazione all’altezza delle sue doti, dopo diverse gare in cui era sceso in campo in infradito, mettendo a segno la prima delle due reti e fornendo l’assist a Marchisio per la seconda. Due gol molto belli,frutto di manovre corali e risultato di uno spartito interpretato a memoria dai musicisti di Antonio Conte. Proprio su di lui vorrei soffermarmi quest’oggi, o meglio sulla stucchevole ed, a mio avviso, ridicola polemica creata da Stefano Pioli in seguito all’esultanza del Mister bianconero. Polemica amplificata oltre misura da tutte le televisioni. Ora, io capisco la rabbia per una sconfitta netta giunta dopo una serie positiva di tre vittorie, capisco che stavolta non ci fossero gli estremi per la minima protesta, visto che non c’è stato alcun episodio dubbio (o meglio uno c’è stato ed è la mancata espulsione di Perez, nei confronti del quale Bergonzi “non se l’è sentita” di tirare fuori il secondo giallo), ma attaccare l’allenatore della squadra avversaria perché esulta per una vittoria importante mi sembra veramente assurdo. 

Oltretutto lo si attacca non valutando affatto quello che non è un particolare e che non può essere sfuggito all’allenatore del Bologna e cioè il fatto che il mister salentino è stato insultato per tutti i novanta minuti (insulti che nemmeno la telecronache di Sky e Mediaset Premium riuscivano a coprire), che la Juventus anche stavolta è stata al suo arrivo accolta da una sassaiola, da sputi, insulti e bestemmie. Ma soprattutto non può essere sfuggito a nessuno, tantomeno a Stefano Pioli presente la sera di quel maledetto 29 maggio, perché faceva parte di quella Juventus, l’osceno striscione che per l’ennesima volta offende i morti dell’Heysel, cosa che ormai avviene su tutti i campi dove si esibisce la Vecchia Signora, nel becero ed omertoso silenzio dei media, pronti invece a sparare a zero sullo Juventus Stadium e sui tifosi juventini appena capita l’occasione. 

Intendiamoci, qualsiasi coro a sfondo razzista o offensivo e lesivo della dignità sia dei vivi che dei morti va condannato aspramente e punito nella maniera più dura possibile, così come ogni comportamento vandalico e violento, ma questo deve avvenire sempre e non a corrente alternata. Questo atteggiamento che di volta in volta esibiscono quasi tutti gli avversari della Juventus quando da essa vengono battuti fa parte di un odio generale, condiviso da tifosi, media, addetti ai lavori, calciatori, allenatori, opinionisti che ormai accompagna Madama dovunque vada, un odio che pensavamo fosse finito nel momento in cui nel 2006 la Juventus aveva espiato e pagato duramente colpe assolutamente inesistenti, e che invece da quella condanna ha tratto linfa vitale e la giustificazione ad ogni tipo di accusa e persecuzione nei confronti dei nostri amati colori. 

Torniamo ora a parlare di calcio. Un grande passo avanti e’ stato fatto, ma guai ad essere troppo convinti di avere già vinto, altre insidie ed altre trappole attendono i nostri ragazzi. Le partite con Inter, Milan e Lazio saranno decisive. Superare questi ostacoli indenni vorrebbe dire aver praticamente raggiunto il traguardo, ma occorre rimanere concentrati.

Concludo augurando a Martin Caceres una pronta guarigione dopo il terribile incidente di sabato notte che avrebbe potuto costargli molto caro. Forza Martin, tutti noi attendiamo il tuo rientro.

venerdì 15 marzo 2013

Il Bayern sulla strada della Juventus

Il sorteggio avvenuto a Nyon (Svizzera) ha stabilito che il prossimo avversario della Juventus nell’attuale edizione della Champions League sarà il Bayern Monaco di Jupp Heynckes. Se la fortuna aveva strizzato l’occhio a Madama in occasione degli ottavi di finale, riservandole i modesti scozzesi del Celtic, non si può dire altrettanto per quanto accaduto nel turno successivo.

Preso atto dell’accoppiamento, Antonio Conte non ha mostrato alcun segnale di paura: “Stiamo coltivando un sogno e vogliamo vivere fino alla fine questa esperienza. L'anno scorso abbiamo assistito alla Champions dal divano di casa nostra. Quest'anno siamo tornati a recitare un ruolo da protagonisti”.

Dopo aver estromesso dalla manifestazione il Chelsea detentore del titolo nella fase a gironi, la Vecchia Signora si troverà ora a dover fronteggiare l’altra finalista della scorsa edizione. L’ultimo appuntamento, come noto, era stato fissato proprio nella casa dei bavaresi (19 maggio 2012).

Del club tedesco si è parlato molto negli ultimi tempi, dato che lo scorso 16 gennaio fu ufficializzato l’accordo con Josep Guardiola come futuro tecnico della società. Heynckes, quindi, il 30 giugno lascerà il posto allo spagnolo, nella speranza di aggiungere qualche altro trofeo ad una bacheca che già oggi ne è stracolma. L’allenatore tedesco in passato ha giocato un brutto scherzo alla Juventus, soffiandole la Champions League alla guida del Real Madrid nella finalissima giocata ad Amsterdam il 20 maggio 1998.

Quella sera Antonio Conte, in maglia bianconera agli ordini di Marcello Lippi, era subentrato a Didier Deschamps (attuale c.t. della Francia) al 32’ della ripresa. Il Bayern Monaco ha completato da tempo lo stesso percorso che la Vecchia Signora ha intrapreso da poco: il bilancio del club è sano, non ha problemi di spesa sul mercato, sul campo è talmente competitivo da trovarsi spesso e volentieri nella condizione di poter vincere in ogni manifestazione alla quale partecipa.

Se il campionato è diventato una pura formalità (alle soglie della ventiseiesima giornata ha accumulato venti punti di vantaggio in classifica sul Borussia Dortmund), nella coppa nazionale si è qualificata per le semifinali, dove affronterà il Wolfsburg il prossimo 17 aprile.

In Europa il Bayern Monaco è arrivato ai quarti di finale dopo aver travolto l’Arsenal in trasferta per 3-1 ed aver successivamente rischiato, nella gara di ritorno, una clamorosa disfatta (0-2). Quest’anno la squadra di Heynckes aveva sempre vinto in casa (dieci partite su dieci). In quella sconfitta, capitata nel momento opportuno, ha mostrato una sua versione diversa da quella formazione schiacciasassi che si era guadagnata con pieno merito il titolo di favorita del torneo assieme al Barcellona.

L’ultima occasione nella quale i bavaresi hanno incontrato la Juventus risale all’8 dicembre 2009, quando vinsero per 4-1. Si giocava allo stadio “Olimpico” di Torino, lontano parente del vecchio (e caro) “Comunale” e tutt’altra cosa rispetto all’attuale “Juventus Stadium”.
Lì, il prossimo 10 aprile, si disputerà la gara di ritorno di un doppio confronto dall’esito tutt’altro che scontato.

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mercoledì 13 marzo 2013

A Wembley con i Re d’Europa


Come anticipato nelle pagine di questo blog e sui miei profili personali su Twitter e Facebook, lo scorso mercoledì ho avuto il piacere di assistere dal vivo alla gara tra la Juventus e il Celtic, match valevole per il ritorno degli ottavi di finale della Champions League.

A questo proposito ringrazio Domenico Armatore e lo staff di We Are Social per avermi contattato in merito ad un'iniziativa, marchiata UniCredit, denominata "A Wembley con i Re d'Europa".

In cosa consiste? Attraverso un'applicazione su Facebook sono state create opportunità di vincere alcuni premi legati al mondo del calcio e di assistere alla finale della manifestazione prevista a Londra il prossimo 25 maggio.

Questo è il link: A Wembley con i Re d’Europa

L’utente può accedere all’applicazione tramite una tab presente sulla pagina Facebook di UniCreditChampions, e può scegliere di:
- realizzare un video personalizzato che riprende un po’ il mood della Champions; 
- compilare un form per partecipare all’estrazione di un coriandolo della UEFA Champions League personalizzato con il suo nome;
- compilare un form per attivare la Genius Card di UniCredit e partecipare all’estrazione di due biglietti della finale di Wembley.

L’app mette a disposizione dell’utente tre opportunità, ma lo stesso è libero di sceglierne anche una soltanto. Può, ad esempio, realizzare il video senza attivare la Genius Card o compilare il form per il coriandolo. Tutta l’iniziativa, inoltre, è accompagnata da un tour offline (“A Wembley con i Re d’Europa” Tour), per il quale si possono trovare tutte le tappe a questo link: “A Wembley con i Re d’Europa” Tour

Era dall'11 settembre del 2011 che non mettevo più piede allo "Juventus Stadium". Pochi giorni prima era stata inaugurata la nuova casa bianconera, pronta ad ospitare la neonata creatura di Antonio Conte. Di quegli istanti ricordo che rimasi impressionato dalla disposizione tattica della squadra sin dal fischio di inizio dell'arbitro. 

Abituato a passare da Ranieri a Delneri, con gli intermezzi di Ferrara e Zaccheroni, non mi sembrava vero di poter ammirare da subito una formazione così compatta, con una (sua) precisa identità di gioco.

Sullo stadio... beh, quello che si dice in giro è vero: è semplicemente stupendo.

Non appena possibile spero di riuscire ad andare a visitare il museo del club. Un pezzo della nostra storia che mi auguro verrà aggiornato al più presto con nuove vittorie.

martedì 12 marzo 2013

La Juve e il pericolo assuefazione

Ora che nessuno si prende più la briga di scovare un'anti-Juve tra le avversarie di Madama alla corsa verso lo scudetto, è chiaro che la squadra di Conte ha messo una seria ipoteca alla conquista del suo secondo tricolore consecutivo. Mancano ancora dieci giornate alla conclusione del campionato, i giochi non possono certo dirsi fatti ma è indubbio che quanto accaduto la scorsa domenica non può passare inosservato.

Anche il Napoli ha avuto la sua piccola "fatal Verona": perdendo al "Bentegodi" contro il Chievo ha visto allontanarsi ulteriormente la Juventus in classifica, proprio mentre alle sue spalle si è minacciosamente fatto sotto il Milan. Dopo aver trascorso buona parte del torneo nella speranza di azionare la freccia per poi sorpassare i bianconeri, adesso il gruppo di Mazzarri deve prestare attenzione allo specchietto retrovisore.

Con un tecnico il cui futuro sotto il Vesuvio sembra tutt'altro che scontato ed un Cavani con le polveri bagnate da diverso tempo a questa parte, poco alla volta il club campano ha sciupato diverse occasioni per restare agganciato ai propri sogni di gloria. La Vecchia Signora prende quindi il largo segnando la rete decisiva nei minuti di recupero, con quel Giaccherini che sembra incarnare l'esatto prototipo del “calciatore gregario” tanto apprezzato dagli allenatori: recita in silenzio la sua parte, è sempre pronto all'occorrenza nel rispondere "presente" e a fornire il massimo impegno possibile.

I punti di vantaggio sulla seconda adesso sono nove, dieci considerando il vantaggio acquisito negli scontri diretti. "Oggi i punti in palio, vedendo anche i risultati, sono molto di più dei tre canonici, saranno almeno sei, visto e considerato che alla fine manteniamo questa distanza anche dal Milan", sentenziava domenica Buffon quando ancora si trovava nella pancia dello "Juventus Stadium". Non dimenticando, però, i passi falsi compiuti dai bianconeri nel recente passato: "Più punti riusciamo a racimolare sulle inseguitrici e meglio è. Anzi, quando abbiamo avuto un margine così importante poi la domenica abbiamo sempre steccato, per cui c'è da tenere le antenne belle dritte".

Le dichiarazioni rilasciate da Antonio Conte viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda del suo portiere: "Lo scudetto? Non lo abbiamo ancora vinto. Pensiamo solo a goderci questa vittoria".
E, verrebbe spontaneo aggiungere, a gustarsi il ritorno di una Juventus protagonista in tutte le competizioni alle quali partecipa.

Lo scoppio di Calciopoli distrusse una società che aveva in pugno il secondo scudetto consecutivo e che era uscita dalla Champions League ai quarti di finale (per mano dell'Arsenal), sepolta da una selva di fischi all'interno del suo stesso stadio. Per alcuni sostenitori juventini conquistare il tricolore era diventata un'abitudine, ormai non si accontentavano più di dominare in Italia guardando con interesse al trono europeo.
Conte, conoscitore come pochi del mondo bianconero, ha annusato nei giorni scorsi il pericolo che una sorta di assuefazione alla vittoria potesse insinuarsi tra gli habitué dello "Juventus Stadium": "Non voglio illudere nessuno, bisogna stare attenti a cosa si promette. Se riusciamo a confermarci in Italia facciamo qualcosa di straordinario. Mi auguro che l’entusiasmo della gente non scemi".

Corteggiato da altri club blasonati sparsi per il continente, lo stesso tecnico ha assicurato più volte di voler restare ancora a Torino per continuare il processo di crescita personale e della squadra che allena. Ai propri uomini ripete spesso di ricordare il punto di partenza della loro avventura. Sarebbe opportuno se ogni tanto lo tenesse bene a mente anche qualche tifoso smemorato e troppo ben abituato.

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lunedì 11 marzo 2013

Vittoria in zona Giaccherini...




 Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Vittoria importantissima quella ottenuta ieri pomeriggio allo Juventus Stadium dagli uomini di Conte. Una vittoria sofferta, raggiunta in pieno recupero, battendo un Catania ostico, messo benissimo in campo, chiuso tutto nella propria metà campo, che quasi mai, nell’arco dei novanta minuti, ha creato pericoli alla porta di Gigi Buffon, ma che ha rischiato di togliere due punti utilissimi alla Vecchia Signora per poter tenere alla giusta distanza le dirette inseguitrici. Tutto questo mentre il Napoli crollava a Verona in casa del Chievo e mentre, il venerdì precedente, il Milan, spinto da un vento (di che tipo decidetelo voi) molto favorevole, vinceva a Genova proponendosi a pieno titolo come concorrente per la seconda piazza. 

Come dicevo il match è stato molto duro, reso tale dal valore degli avversari, squadra rivelazione del campionato in corso, ma anche dalla pochezza della coppia di attacco schierata da Conte, Giovinco e Vucinic. Il primo, pur battendosi come un leone (e questo gli va riconosciuto), non riusciva mai a mettere in difficoltà i difensori etnei, mentre il secondo, a mio modo di vedere, sta facendo di tutto per convincere la società ad accettare la proposta del Macnhester United (semmai fosse vera). Personalmente io sono molto irritato dal suo modo di giocare, e ancora di più perché conosco le doti tecniche di cui dispone. Troppo spesso è irritante, tiene eccessivamente palla, ritarda la verticalizzazione, tenta numeri improponibili e quando deve concludere a rete ha sempre il piede frenato o fuori misura. 

Diciamo che nonostante le difficoltà e la non brillantissima prestazione di alcuni singoli (oltre agli attaccanti, Pirlo, Asamoah e Marchisio su tutti) la Juventus, da grande squadra, ci ha creduto fino alla fine spinta da un sontuoso Pogba e da un grandissimo spirito di gruppo riuscendo a sbloccare il risultato in extremis grazie a Giaccherini, uno dei calciatori ultimamente meno impegnati, che ha saputo farsi trovare pronto nel momento decisivo. La squadra di Conte è piena di uomini così, di veri uomini e grandi professionisti che non creando mai polemiche sanno attendere ciascuno il proprio momento di gloria. Matri è uno di questi. Il suo ingresso, seppur non decisivo come quello di Giaccherini, ha dato maggior profondità alla manovra benché sia avvenuto in un momento in cui le energie fisiche e nervose della Juventus stessere venendo meno. 

Ma grandissime lodi vanno alla difesa ed in particolare al trio Barzagli-Bonucci-Chiellini, sempre pronti a chiudere gli spazi ad ogni iniziativa degli avversari (pur privi di Barrientos e Berghessio) ed a riavviare l’azione con intelligenza, tecnica (soprattutto Barzagli e Bonucci) e visione di gioco. Ora i punti di vantaggio sul Napoli sono 9. I partenopei, al di là delle dichiarazioni di facciata hanno subito decisamente il contraccolpo psicologico derivante dalla mancata vittoria nello scontro diretto del turno precedente, e il peggioramento del loro rendimento in gran parte dipende dalla scarsa vena realizzativa che affligge Cavani da un po’ di tempo a questa parte. La Juve ha un grandissima organizzazione di gioco, il Napoli un grandissimo attaccante si dice da tempo…certo tra le due cose è meglio avere la prima, ma averle entrambe sarebbe un sogno.

sabato 9 marzo 2013

Champions, Juventus ai quarti di finale

Alla fine della partita disputata a Torino tra la Juventus ed il Celtic cantavano tutti i tifosi presenti allo stadio, senza distinzione alcuna tra vincitori e vinti. Merito soprattutto degli ospiti scozzesi, irriducibili nel sostenere i propri giocatori nonostante il diluvio di gol (cinque) subiti nelle gare di andata e ritorno degli ottavi di finale di Champions League. Grazie a questo spirito, chi indossa la maglia biancoverde può sentirsi sicuro di non camminare mai solo.

Il vantaggio di tre reti accumulato nell'incontro di andata al "Celtic Park" metteva la Juventus contiana di fronte ad un nuovo esame di maturità. Dopo essersi diplomata in serie A lo scorso anno (ed in attesa della conferma del tricolore, che le varrebbe una laurea), la matricola bianconera doveva cercare di contenere la prevedibile reazione degli avversari evitando di sperperare quanto fatto di buono in precedenza. Oltretutto senza schierare la formazione titolare, visto che domenica Madama aprirà i cancelli dello "Juventus Stadium" al Catania di Pulvirenti.

La missione, al di là del risultato finale, è stata superata a pieni voti. Gli attaccanti hanno fatto il loro dovere (una rete a testa per Matri e Quagliarella), Buffon ha prolungato la propria imbattibilità in Europa (giunta ormai a 490’), Pirlo si è divertito col resto dei compagni sino a quando Conte non è riuscito a toglierlo dal campo. La sua voglia di restare ancora per qualche minuto sul prato verde rende benissimo l'idea di una Vecchia Signora che ha ripreso a giocare divertendo e divertendosi anche al di fuori dei confini italici.

La Juventus aveva iniziato il cammino in questa edizione della Champions League con un tris di pareggi che aveva ricordato la sua ultima (e triste) versione europea, quella targata Luigi Delneri. Poi si è finalmente scrollata di dosso le paure tipiche di una debuttante, superando il girone di qualificazione da primatista ed eliminando dalla manifestazione persino i campioni in carica del Chelsea. Sconfitti in modo netto i modesti scozzesi del Celtic, ora dovrà aspettare l'esito del sorteggio dei quarti (previsto per venerdì 15 marzo) per conoscere il nome della prossima avversaria.

Che quasi certamente sarà un club di tutto rispetto e con giocatori dall'altissimo tasso di qualità. Una delle favorite d'obbligo per la vittoria finale, il Barcellona, avrà l'arduo compito di rimontare la sconfitta per 2-0 patita contro il Milan a "San Siro" lo scorso 20 febbraio. Non è escluso che l'esito del match di ritorno tra queste due formazioni possa rivelare scenari imprevedibili sino a poco tempo fa.

La scorsa stagione in pochi avevano immaginato una vittoria in Champions League del Chelsea, guidato - oltretutto - da un allenatore che aveva preso in mano le redini della squadra soltanto a partire dal mese di marzo. Gli inglesi, guarda caso, prima di sollevare la coppa a Monaco di Baviera avevano eliminato gli stessi catalani in semifinale. Negli ultimi quattro anni il club spagnolo ha trionfato nella massima competizione ben due volte, fermandosi in semifinale nelle altre. Le recenti sconfitte subite dai rossoneri e dal Real Madrid (in campionato e nella Coppa del Re) hanno suscitato un comprensibile clamore, ma non ne hanno quasi certamente certificato la resa, l'uscita definitiva dalla cronaca per la successiva entrata nella storia.
Per quello, così come per altre eventuali sorprese, bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo.

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Mercoledi sera ho avuto l'opportunità di assistere alla gara direttamente dagli spalti dello "Juventus Stadium".
Ringrazio Domenico Armatore, lo staff di We Are Social e UniCredit per avermi concessa questa possibilità. Nei prossimi giorni, al proposito, parlerò diffusamente della loro iniziativa che mi ha visto coinvolto in prima persona.

martedì 5 marzo 2013

Totti-record, e non è finita

 
Lo scontro al vertice tra Napoli e Juventus avrebbe dovuto catalizzare l'attenzione generale degli appassionati sportivi in occasione della ventisettesima giornata appena conclusa. Terminata la partita dello scorso venerdì, invece, le luci della ribalta si sono velocemente spostate sulle due squadre milanesi e su Francesco Totti.
 
Se in vetta alla classifica la situazione è rimasta apparentemente inalterata (il vantaggio acquisito dai bianconeri negli scontri diretti, in realtà, non andrebbe trascurato), alle spalle del gruppo di Mazzarri adesso soffia forte il vento del nord. Il brusco rallentamento accusato dalla Lazio ha favorito la risalita di Milan e Inter, che ora iniziano ad ambire ad una posizione migliore rispetto al gradino più basso del podio. Quella rossonera, poi, è diventata la squadra del momento. Non è da tutti vincere 2-0 contro il Barcellona in un ottavo di finale di Champions League, proprio nello stesso momento in cui iniziava a concretizzarsi una sua rimonta in serie A sulla quale in pochi avrebbero scommesso soltanto qualche mese addietro.
 
Per il Diavolo cominciare la stagione affidandosi ad El Shaarawy e De Sciglio dopo aver salutato le partenze di Ibrahimovic e Thiago Silva non è stato facile. All'undici di base, oltretutto, nel corso dei due anni precedenti era stata progressivamente tolta la qualità che l'aveva reso vincente anche in Europa, sostituendola con chili di muscoli spalmati sulla linea mediana del campo. Il cambio di strategia societaria ha prodotto risultati sino a quando lo stesso Ibrahimovic riusciva a gestire autonomamente il reparto offensivo rossonero.
 
Con l'addio dello svedese e di altri elementi che avevano fatto le fortune del Milan, quella in corso più che una stagione di transizione mostrava le sembianze di un fallimento annunciato. Mentre a Torino Pirlo continuava a guidare la Juventus davanti a tutte le avversarie, in casa milanista soltanto l'arrivo di Balotelli è riuscito a far tornare l'entusiasmo. Allegri, sostenuto da Galliani, ha tirato dritto per la propria strada senza farsi condizionare dalle critiche e dai suggerimenti che gli erano piovuti addosso da ogni dove. Neanche il tempo di pensare ad una sorta di dipendenza dalle prestazioni offerte dall'ex attaccante del Manchester City, che in sua assenza Pazzini ha saputo trascinare il Diavolo alla vittoria contro la Lazio. Su questo tema è sorta spontaneamente la domanda più gettonata di questi giorni: ma non era l'Inter ad aver fatto l'affare nello scambio con il Milan, dal quale aveva prelevato Cassano?
 
I mal di pancia del giocatore di Bari Vecchia sono ciclici, stupiscono solamente chi ancora si stupisce ogni qualvolta si verificano. Stramaccioni in cuor suo non sentiva certamente la necessità di aggiungere un altro problema a quelli che già lo tormentano da tempo. Il recente tentativo messo in atto dal club di Moratti di tesserare il norvegese Carew alimenta ulteriori dubbi sulla bontà dell'operazione conclusa la scorsa estate con i rossoneri.
 
Nella capitale, intanto, Francesco Totti ha tagliato la scorsa domenica il prestigioso traguardo delle 225 reti segnate in serie A. Raggiunto Gunnar Nordahl, ora può tranquillamente puntare a sorpassarlo nel corso delle prossime giornate di campionato. Davanti a lui resterebbe solamente Silvio Piola, che di goal ne aveva realizzati la bellezza di 274. Con ogni probabilità il numero dieci giallorosso si fermerà prima. L’auspicio degli sportivi è che la parola fine arrivi nello stesso momento in cui il suo corpo lo avvertirà che la benzina è finita.

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sabato 2 marzo 2013

La Juve manca il colpo del kappaò


Tanto tuonò che alla fine non piovve. Quello era già capitato nella scorsa stagione quando la gara al “San Paolo” tra Napoli e Juventus, originariamente fissata per il 6 novembre 2011, venne poi spostata al successivo 29 dello stesso mese dopo un diluvio di polemiche. La partita si concluse con un pareggio (3-3), così come è accaduto nel recente scontro tra le due formazioni avvenuto in questa ventisettesima giornata di campionato. Lo scudetto, ora, inizia a tingersi sempre più di bianconero.

Madama torna a Torino senza quella vittoria che sotto il Vesuvio le manca dal lontano 30 settembre 2000 (2-1). Il gol decisivo lo aveva messo a segno un certo Alessandro Del Piero, numero dieci di maglia e di fatto. Quella divisa è ancora in attesa di un nuovo proprietario, di un campione decisivo come lo è stato per tanti anni il fantasista di Conegliano.

Nella settimana che ha visto il ritorno di Maradona nella sua Napoli le contendenti si sono sfidate in una partita che, alla fine, ha lasciato intatta la distanza che le separa in classifica. In realtà la Juventus adesso può fruire di un vantaggio a proprio favore negli scontri diretti che dovrà stare attenta a non sperperare nel prossimo futuro. Le restano da giocare undici incontri e tra questi ci saranno quelli con Inter, Milan e Lazio. Contro queste tre squadre, per inciso, durante il girone di andata la Juventus aveva guadagnato un misero punticino.

Uno dei protagonisti principali della gara, Giorgio Chiellini, prima del fischio d’inizio aveva riassaporato le emozioni del precedente appuntamento tra le due formazioni al “San Paolo”: “È cresciuta la nostra consapevolezza. Fu proprio quella partita a darci la carica per credere in un sogno come lo scudetto, che però era ancora molto lontano. Poi si è realizzato, abbiamo vinto e ora vogliamo rivincere”. Si tratta, in pratica, dello stesso concetto ribadito al termine degli ultimi novanta minuti (e più) di gioco: “Era una partita chiave. Abbiamo dimostrato di voler vincere questo campionato e di meritare il primato”.

Il difensore bianconero ha messo a segno la rete del momentaneo vantaggio juventino (prima che Inler lo annullasse), si è attaccato alla criniera di Cavani per tutta la durata del match consentendogli solo una bella conclusione di testa e qualche gomitata. Una di queste l’ha centrato in pieno, ma Orsato ha preferito tirare fuori dal taschino il cartellino meno “pesante”.

Alla Juventus è mancato il colpo del kappaò (con Vucinic) per chiudere l’incontro e, forse, il campionato. Al Napoli, viceversa, quello per riaprirlo (con Dzemaili). Adesso non avranno più occasioni per guardarsi dritte negli occhi sino al prossimo campionato dato che anche in Supercoppa Italiana, comunque andrà a finire questa stagione, non potranno contendersi il trofeo in palio. Ancora una curiosità: l’ultimo incontro di serie A terminato 1-1 tra le due squadre in Campania risale al lontano 12 maggio 1991. Alla rete di Silenzi rispose, nella seconda frazione di gioco, Angelo Alessio, l’attuale vice-allenatore di Conte. Sulla panchina della Juventus era seduto, ancora per pochi giorni, Luigi Maifredi.

Quella Vecchia Signora fallì miseramente l’obiettivo che si erano preposti i suoi dirigenti quando le avevano disegnato un nuovo vestito: vincere giocando un “calcio champagne”. Tra cadute e risalite susseguitesi nel corso di questi anni, questa costruita da Andrea Agnelli ed il suo staff sembra invece in grado di poter lasciare aperta la bacheca dei trofei per un bel po’ di tempo.

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