giovedì 29 agosto 2013

Juventus, tre contratti per la storia

 
Conte, Benitez, Montella, Mazzarri, Petkovic e Garcia. Dicono che chi ben comincia si trovi a metà dell'opera. Beh, se le cose stanno realmente in questo modo i tecnici di alcune tra le squadre italiane più blasonate possono dormire sonni tranquilli. Almeno per il momento. Al prestigioso elenco di allenatori appena stilato manca Massimiliano Allegri, visto e considerato che il suo Milan è caduto rovinosamente a Verona sotto i colpi (di testa) di Toni. Orfano già dalla scorsa stagione di Thiago Silva e diversamente da quanto è accaduto in estate, il Diavolo avrebbe dovuto ritoccare la propria difesa, laddove in passato aveva mostrato le lacune maggiori. Gli errori, prima o poi si pagano. E quello del "Bentegodi", per il club rossonero, rischia seriamente di non trattarsi di un episodio isolato. Se non altro è riuscito ad accedere alla fase a gironi della Champions League. Nel caso in cui non fosse riuscito a raggiungere almeno questo traguardo, indispensabile per le casse societarie, i risvolti negativi sarebbero stati innumerevoli.
 
Così come una rondine non fa primavera, una sola giornata di campionato non può bastare per esprimere valutazioni ponderate sul reale rapporto di forza tra le prime della classe. Il calendario consente alla Lazio la possibilità di prendersi un'immediata rivincita sulla Juventus dopo la scoppola rimediata in Supercoppa italiana. A questo proposito il bianconero Chiellini ha già messo le mani avanti, invitando i suoi compagni a non considerare il risultato della recente gara di Roma come lo specchio del reale divario tecnico tra le due formazioni.
 
Quella di Torino sarà la partita di cartello della seconda tappa della serie A. L'ultima vittoria casalinga di Madama contro la Lazio risale all'11 aprile 2012. A decidere le sorti dell'incontro pensò Alessandro Del Piero, alla sua settecentesima gara con la maglia bianconera. Dopo il vantaggio iniziale siglato da Pepe era stato il laziale Mauri a riportare il risultato in parità. La Vecchia Signora aveva seriamente rischiato di vedersi sfuggire dalle mani tre punti più che meritati per quanto visto sul campo.
 
Nella pancia dello stadio Del Piero aveva raccontato con queste parole il momento decisivo del match: "Pirlo chiedeva la distanza, che non viene mai rispettata. Ho visto caos davanti a Marchetti e ho calciato nell'angolo libero. Spero, il 13 maggio sera, di poter raccontare che questo gol è stato fondamentale per lo scudetto". Quella rete era valsa la quinta vittoria di fila ed il trentaduesimo risultato utile consecutivo in serie A per i bianconeri. Proprio in quell'occasione era stato battuto il precedente record nei campionati in cui vengono attribuiti tre punti per ogni successo, appartenuto in precedenza all'Inter che nella stagione 2006/07 si era fermata a quota trentuno. A proposito dei nerazzuri, il patron Moratti aveva così commentato la corsa al tricolore: "Chi vince il titolo? Sono ammirato dalla Juventus. Esprime un calcio davvero efficientissimo, non me l'aspettavo così già quest'anno. Il Milan invece ha una struttura molto forte. La mia preferenza comunque è per il Napoli... ".
 
In quel periodo in casa bianconera tenevano banco le questioni dei rinnovi contrattuali di due pezzi da novanta della rosa: Del Piero e Buffon. Nel merito, l'allora numero dieci aveva risposto in maniera vaga ad una precisa domanda postagli da un cronista: "Il mio futuro è il Cesena (la gara successiva all'intervista, ndr). Sono felice, sto bene, di testa e di gambe. Di certo continuerò a giocare anche l'anno prossimo, vedremo dove". Per conto del portiere, invece, fu Silvano Martina, il procuratore, a chiarire la situazione contrattuale del suo assistito: "Il contratto? Non è il momento, quando sarà ora la società ci chiamerà. Ma non credo che la Juve voglia privarsi di Gigi".
 
Dall'Inghilterra, intanto, arrivavano le voci di un interessamento della Juventus per un giovanissimo talento in forza al Manchester United, Paul Pogba. Mino Raiola, il suo agente, le aveva confermate proprio in quei giorni: "Ho parlato con Ferguson, lui ci tiene a rinnovargli il contratto: lo considera da prima squadra. Ora tocca al ragazzo decidere: io non voglio forzarlo. Ma è chiaro che ormai non ci sono alternative. O resta allo United o viene alla Juventus". Tre contratti per altrettante situazioni diverse, tutte in seno alla Vecchia Signora: un addio, una conferma ed un arrivo. In pratica: il passato, il presente ed il futuro della Juventus.
 
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martedì 27 agosto 2013

Le amichevoli estive non contano nulla

 
Se tre tenori non hanno fatto uno scudetto, adesso spetterà all'ultimo tenore rimasto sotto il Vesuvio, Marek Hamsik, provare a scucire dalle maglie della Vecchia Signora il tricolore. In attesa del completo ambientamento di Higuain e dell'arruolamento a tutti gli effetti del colombiano Zapata, è proprio Hamsik a guidare la neonata creatura di Benitez nella gara d'esordio al “San Paolo”. La doppietta con la quale il centrocampista slovacco ha steso il Bologna rappresenta il miglior biglietto da visita per ricordare alla Juventus le proprie ambizioni di successo. “Beh, forse è davvero l'anno in cui si vince qualcosa”, si è lasciato scappare mentre abbandonava lo stadio al termine della partita.
 
Madama, dal canto suo, aveva già sbancato la Genova blucerchiata nel delicato anticipo serale della prima giornata di campionato. Il goal porta la firma di Tévez, un altro argentino sbarcato in serie A nel corso di questa estate, ma per la coralità che ha accompagnato l'esecuzione finale si può tranquillamente affermare che appartiene a tutta la squadra bianconera. Tecnico compreso. La Juventus ha dimostrato con i fatti di non sentirsi appagata dalle recenti conquiste e di essere famelica esattamente come lo era stata negli ultimi due anni. Le avvisaglie si erano già avute nella finale di Supercoppa Italiana vinta contro la Lazio, la conferma è arrivata sei giorni dopo. Il caso ha voluto che la prossima avversaria di Madama sarà nuovamente la squadra di Petkovic, questa volta a Torino, nella partita valevole per la seconda giornata della serie A.
 
Un solo incontro di campionato disputato sino ad oggi ed una settimana di calciomercato ancora a disposizione dei club per ritoccare le rispettive rose non consentono di stilare bilanci, avventurarsi in giudizi approfonditi o emettere sentenze definitive. Tranne quella che tutti conoscono ma che ogni anno in molti puntualmente dimenticano: i risultati delle amichevoli estive non contano nulla.
 
Viceversa, c'è chi invece già alla fine di agosto potrebbe vedere compromessa l'intera stagione: se il Milan non dovesse superare l'ostacolo rappresentato dal PSV Eindhoven, il prossimo mercoledì, si ritroverebbe tutto ad un tratto senza quelle entrate milionarie che gli consentirebbero di sistemare i conti del club e di far quadrare quelli di natura squisitamente tecnica ad Allegri. Siamo ancora in estate, ma in Champions League non si scherza mai.

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venerdì 23 agosto 2013

Via al campionato, Juve da battere


Adesso, finalmente, si comincia a fare sul serio. Sabato 24 agosto, alle 18.00, partirà una nuova edizione della serie A. Sarà il Milan a dare il via alle danze. Incontrerà il rinnovato Verona di Andrea Mandorlini, in quello stesso stadio dove in passato ha visto più volte crollare in soli novanta minuti di gioco le proprie ambizioni di scudetto. Chi ha già avuto modo di dare uno scrollone all'estate del pallone è stata la Juventus, capace sia di infliggere una sonora sconfitta alla Lazio nel primo impegno ufficiale della stagione che di zittire Lotito, l'artefice e il protagonista principale di alcune polemiche che avevano tenuto banco durante la sosta forzata del campionato. 

L'estate calcistica era iniziata con la Confederations Cup, uno dei tornei più commerciali del pianeta. In maglia azzurra avevano brillato tanto il bolognese Diamanti quanto il bianconero Giaccherini. Il primo è stato (e forse lo è ancora oggi) un oggetto dei desideri di Madama, mentre il secondo è finito in Premier League, al Sunderland. In Inghilterra avrà modo di legittimare le proprie ambizioni di una convocazione ai prossimi mondiali del 2014 da parte di Cesare Prandelli. Buffon, intanto, aveva smentito chi maliziosamente sosteneva che non fosse bravo a parare i rigori. In Brasile, laddove si vive a pane e football, il popolo era invece insorto contro le spese folli del mondo del pallone. 

Poco tempo dopo a Torino è sbarcato Carlos Alberto Tévez, uno dei pochi fuoriclasse che negli ultimi anni è entrato in Italia invece di uscirne fuori con una valigia piena di milioni di euro. Ora indossa una maglia, la numero dieci della Juventus, che sotto la Mole ha un fascino particolare. Lui lo sa bene, ne è consapevole, ma questo non sembra rappresentare un problema. Nel suo passato, d'altronde, è stato in grado di reggere il peso di quella portata da Maradona all'epoca in cui militava nel Boca Juniors.

La Vecchia Signora si è rinforzata alla ricerca del terzo scudetto consecutivo, consapevole che la strada per accorciare il gap tecnico con gli squadroni europei è ancora lunga. Per non parlare di quello economico. Anche se Antonio Conte, su questo tema, lo scorso maggio aveva mostrato idee diverse: "Certo, i soldi aiutano a vincere, ma non bastano. Il modello da seguire è il Bayern: un progetto serio iniziato anni fa con Van Gaal, passato anche da sconfitte brucianti che hanno alimentato la ferocia dei calciatori. Alla base di ogni successo c’è: una organizzazione di gioco, una società disposta a seguire una strada precisa con investimenti mirati e una gestione oculata del vivaio. Solo così si può invertire la rotta" . 

Aggiungendo, poi: "Scendiamo sul pratico: ho sentito Robben l’altro giorno dire: "La nostra è stata una vittoria di squadra". Ha capito, Robben è un talento puro. Come Ribery. Eppure si sono messi al servizio della squadra. E’ l’organizzazione di gioco che esalta il talento, purtroppo da noi questo è un pensiero di minoranza. Si dice: "l’attaccante non deve stancarsi con il pressing altrimenti non è lucido in area, il 10 deve essere libero da ogni marcatura e tutto ruota intorno a lui". Non è così, almeno per me. E mi pare che questo possa essere un modello vincente". 

Da quando ha rimesso piede a Torino, il tecnico di origine leccese ha portato Madama a vincere due scudetti ed altrettante Supercoppe Italiane, perdendo una finale di Coppa Italia contro il Napoli degli ex Mazzarri e Cavani. A proposito dei partenopei: in questa stagione le loro guide in panchina e sul campo saranno rispettivamente Benitez e Higuain. Dell'anti-Juventus si sentirà parlare sino a quando dal lotto delle pretendenti non uscirà fuori una seria contendente della Vecchia Signora nella corsa al tricolore.

I giocatori bianconeri faranno comunque bene a non abbassare la guardia. Sono favoriti, ma uno sguardo al passato ogni tanto può servire per evitare cadute rovinose: il 12 settembre 1982, ad esempio, nel corso della prima giornata del campionato Madama venne sconfitta dalla Sampdoria per 1-0 allo stadio "Luigi Ferraris" di Genova. Giovanni Trapattoni aveva schierato un nutrito gruppo di neo campioni del mondo, insieme agli esordienti Platini e Boniek. Nonostante tutto, vinsero comunque i padroni di casa. Al termine di quella stagione una delle Juventus più forti della storia conquistò la miseria di una Coppa Italia. Può succedere, è successo. E' meglio non dimenticarlo.

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martedì 20 agosto 2013

La cultura della sconfitta non esiste

 
Il 26 novembre del 2011 un titolo a nove colonne della "Gazzetta dello Sport" annunciava il sorpasso compiuto dalla Juventus sul Milan nella corsa all'acquisto di Carlos Alberto Tévez. L'offerta della società bianconera - stando a quanto affermava il quotidiano - sembrava ammontare a quattro milioni di euro netti al giocatore per la restante parte di quella stagione (da gennaio a giugno), per poi salire sino a nove per i successivi tre anni di contratto. 
 
Kiavash Joorabchian, l'agente del calciatore, aveva ammesso il contatto con il club torinese, salvo tirare fuori i nomi di altre due società interessate al suo assistito: Corinthians e Inter. Il Milan, però, sino a quel momento restava in pole position nelle preferenze dell'argentino. Il caso ha voluto che proprio quella sera la nuova Juventus di Antonio Conte affrontasse la Lazio a Roma, in una gara valevole per il campionato di serie A, nello stesso stadio dove Tévez ha appena conquistato il suo primo trofeo con la maglia bianconera. Nel novembre del 2011 Madama vinse con il risultato di 1-0, grazie ad un gol di Simone Pepe. Nell'attesa di recuperare pienamente il centrocampista, ancora infortunato, i suoi compagni questa volta ne hanno rifilato quattro al club di Lotito.
 
Un vecchio aforisma recita che "quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito". Mentre i bianconeri si trovavano in America a proseguire la seconda parte della preparazione estiva Antonio Conte aveva invitato i detrattori della sua Juventus a guardare oltre i risultati negativi conseguiti in quel periodo: "Se in futuro il presidente mi chiederà di vincere la Guinness International Champions Cup, imposterò il lavoro e la preparazione in maniera diversa. Ma al momento preferisco concentrarmi su Supercoppa, campionato e Champions League".
 
La Juventus è stata preparata e oliata dal suo mentore in vista degli impegni reali e importanti della stagione, non dei semplici tornei estivi. Per quanto importanti fossero (e sono) dal punto di vista commerciale ed economico. Anche Gianluigi Buffon, dopo aver sollevato nella veste di capitano la Supercoppa Italiana, ha tenuto a precisare questo concetto: "Le grandi squadre e i grandi giocatori si vedono quando conta, quando la posta in palio è alta, e non nelle tournée. Sono felice di questo trofeo, il primo che conquistiamo in una gara secca davanti ai nostri tifosi".
 
La sintesi della finale si può racchiudere in poche parole: troppa Juventus per questa Lazio, troppo largo il risultato per promuovere senza riserve i bianconeri o bocciare definitivamente i biancocelesti in vista del campionato ormai alle porte.
Nell'album dei ricordi del primo appuntamento ufficiale della stagione, come solitamente accade in Italia, resteranno cose belle ed altre meno belle: dall'ospitalità della Roma, che lascia a disposizione degli uomini di Conte il proprio campo di allenamento, ai “buu” razzisti indirizzati ai calciatori di colore della Juventus provenienti dalla curva laziale.
 
Col senno del poi va detto che Lotito probabilmente aveva ragione quando si lamentava del cambio di sede della finale, della mancata opportunità di giocarla a Pechino: in questo modo avrebbe evitato una figuraccia memorabile alla Lazio davanti ai propri tifosi. In compenso, però, avrebbe avuto l'opportunità di mostrare con orgoglio al mondo cinese la sportività di Klose e Petkovic, laddove ancora ricordano la fuga del Napoli prima della premiazione della scorsa edizione.
Si parla di due tesserati di origine straniera, ovviamente.
La cultura della sconfitta in Italia non esiste ancora.
 
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lunedì 19 agosto 2013

Un ottimo inizio


Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

E’ passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che ho scritto un post in questo blog a causa di alcune mie vicissitudini personali che per un bel pezzo mi hanno tolto la serenità ed il piacere di mettermi davanti al pc per esprimere opinioni, idee e pareri calcistici, ma anche, e questo vale per il periodo più recente, per scaramanzia. Vi devo confessare che ero molto arrabbiato per come si è sviluppata tutta la questione Supercoppa (tranne la partita di ieri ovviamente), per come è stata gestita dalla Lega, anche un po’ per come è stata affrontata dalla Juventus come società, ma soprattutto per l’atteggiamento tenuto dal Presidente della Lazio nonché consigliere di Lega Claudio Lotito in tutta la vicenda. 

Quello che più mi ha infastidito è stato il solito complice silenzio dei media che mai hanno osato, nemmeno lontanamente, criticare e condannare come invece era necessario, i suoi comportamenti e la totale inadeguatezza di tutto il sistema calcio che, come sempre, ha cercato di rimandare ogni presa di posizione sul ricorso presentato dalla Juventus contro la decisione di devolvere quasi tutto l’incasso del match alla società Lazio. Tutto questo è assolutamente non degno di un paese democratico. Non è possibile che chi ha gli amici più potenti debba ottenere qualsiasi cosa anche contro ogni legalità ed ogni logica. 

Devo dire che non ho apprezzato affatto la disponibilità della Juventus (di Elkann in primis) a giocare all’Olimpico, anche se mi rendo conto che forse Andrea Agnelli ha capito che, almeno fino a che nel calcio italiano le forze e gli equilibri penderanno tutti da una sola parte, è inutile opporsi e lottare contro i mulini a vento ed è meglio affidarsi a quello che da sempre alla Juventus riesce meglio: vincere sul campo. 

 Il campo, l’unico luogo dove le chiacchiere non contano, dove chi è veramente il più forte quasi sempre vince. E la Vecchia Signora ieri ha imposto la propria legge, demolendo l’avversario, in una seconda frazione di gioco, in cui le è bastata una manciata di minuti per mettere tutti a tacere ed assicurarsi la vittoria del primo trofeo vero della stagione. Nonostante ancora lontani dalla miglior condizione atletica gli uomini di Antonio Conte, dopo un primo tempo tutto sommato caratterizzato da un discreto equilibrio turbato solo dalla rete di Paul Pogba, subentrato all’infortunato Marchisio, ha chiuso quasi subito il discorso infilando la difesa laziale prima con Chiellini, servito magistralmente da Lichtsteiner, poi con lo svizzero stesso che infilava Marchetti, ed infine con l’unico nuovo acquisto in campo ieri dall’inizio, Carlitos Tevez. 

Mi sembra troppo presto per parlare di schemi, di gioco, di chi è in forma e di chi non lo è, anche se ci sono alcune certezze dalle quali si parte e Paul Pogba è una di queste. Le altre sembrano essere la difesa, apparsa anche ieri molto solida, la concretezza, il dinamismo e la grande qualità di Arturo vidal e soprattutto la grinta e la voglia di vincere di Antonio Conte che sul 4-0 rimproverava urlando l’eccellente Lichtsteiner per un errore in disimpegno.

Ora la Juventus è attesa da un inizio di campionato molto difficile, a partire dalla trasferta di Genova di sabato prossimo. Sarà un'annata dura, piena di trappole come ha più volte sottolineato il nostro condottiero. Sarà necessario che la squadra abbia la stessa fame di vittorie messa in mostra poche ore fa allo stadio Olimpico di Roma, dove risuonano ancora le note dell'inno bianconero. 

venerdì 16 agosto 2013

Vieri e la sua Supercoppa Italiana

Nell'unica occasione in cui Lazio e Juventus hanno incrociato le loro strade nella Supercoppa Italiana non era andata bene ai colori bianconeri. Era accaduto il 29 agosto del 1998, allo stadio "Delle Alpi" di Torino. Deserto come in altre occasioni, dato che il numero degli spettatori presenti superava di poco le sedicimila unità. "La gente sta in tribuna, le partite si vincono in campo, lo stadio vuoto non ci interessa", aveva sentenziato Marcello Lippi, il tecnico di Madama. Sul campo, però, fu la Lazio ad aggiudicarsi con merito la posta in palio. 

Pavel Nedved, l'autore del vantaggio iniziale dei biancocelesti, all'epoca dei fatti era un abituale giustiziere della Vecchia Signora, così come aveva avuto modo di sottolineare lui stesso al termine del match: "E' vero, quando affronto i bianconeri ho una carica eccezionale. E dire che avevo la febbre. Sono felice per la società, per i tifosi e anche per noi. Le critiche sinora ce l'eravamo meritate. Ma abbiamo saputo riflettere sui nostri errori, mostrando la forza del gruppo con la bella reazione in questa Supercoppa. C'è molto ancora da lavorare, ma possiamo diventare grandissimi".
 
Il discusso pareggio della Juventus, avvenuto grazie ad un rigore realizzato da Alessandro Del Piero, tenne le sorti dell'incontro in bilico sino ai minuti di recupero, quando Sérgio Conçeicão - servito da un ispirato Roberto Mancini - chiuse definitivamente. Due a uno per la Lazio, quindi, che era così riuscita - per la prima volta nella sua storia - a sollevare al cielo un trofeo lontano da Roma. La guida di Sergio Cragnotti stava conducendo la società capitolina verso i posti privilegiati del calcio che conta. Ancora quasi due anni di attesa e per lei sarebbe arrivato anche lo scudetto, conquistato all'ultima tappa di una rincorsa estenuante che la vide superare una Juventus rimasta impantanata nella risaia di Perugia. La vittoria in Supercoppa ebbe un sapore particolare per i biancocelesti, dato che era stata ottenuta senza quello che fu giustamente considerato il colpo dell'intero calciomercato estivo: l'acquisto di Christian Vieri dall'Atletico Madrid.

Cragnotti era riuscito a strapparlo agli spagnoli nonostante qualche problema: "Ad un certo punto ho temuto che l'affare saltasse. Venerdì, con Vieri già in sede e pronto a firmare, c'è stato un momento in cui tutto stava saltando, perché qualcuno stava pressando per strapparcelo. Chi? Lasciamo perdere. Diciamo che probabilmente la finale di Supercoppa è cominciata con un giorno d'anticipo...".

L'Avvocato Agnelli, giunto al "Delle Alpi" a bordo di una Lancia K, aveva manifestato il rammarico per non poter nuovamente ammirare il bomber della nazionale italiana con la maglia bianconera: "Sì, l'ho visto ai Mondiali, contro il Cile. E' stato il migliore di tutti. Per la sua partenza provo ancora un grande rimpianto. Se cinquanta miliardi si possono spendere per Vieri, c'è bisogno anche della voglia, per spendere quella cifra. C'è gente che può, e gente che non può. Noi non possiamo, loro invece possono spendere".

Il “perché” e il “come” potessero accadere cose simili lo spiegò successivamente il patron laziale: "I nostri ricavi sono aumentati rispetto ad un anno fa di 60 miliardi, passando da 75 a 135 grazie a maggiori entrate per diritti tv, incassi e sponsor. E per la stagione che sta iniziando le previsioni portano a 170 miliardi. A quei 60 guadagnati, vanno aggiunti i 70 derivanti dall'aumento di capitale con l'ingresso in Borsa. Ecco dunque che la Lazio ha reinvestito subito su giocatori tutto quanto entrato in cassa. E senza ricorrere ad altre aziende".

Lui, Vieri, aveva seguito le sorti del match da Prato, dove trascorreva il fine settimana in compagnia della famiglia, incitando a distanza i suoi nuovi compagni nella delicata gara di Torino: "Era la prima volta che tifavo contro la Juve. La Lazio è proprio forte. Sono contento, ho visto un bel calcio".
A distanza di anni si può parlare a ragion veduta di un cuore diviso a metà, soprattutto dopo aver letto la recente intervista rilasciata dall'ex calciatore al settimanale “Chi”: “Tifo per la Juventus. Sono bianconero dentro. Amen, l'ho detto”.
Appese le scarpette al chiodo, ora sarà libero di guardarsi la prossima finale di Supercoppa Italiana in totale tranquillità, senza alcun tipo di vincolo contrattuale.

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venerdì 9 agosto 2013

Thuram, Cannavaro, Nesta e il calciomercato dei difensori


Nella storia del calciomercato italiano c'è stato un momento, in particolare, nel quale alcuni tra i migliori difensori del pianeta si sono trovati contemporaneamente al centro dell'attenzione generale. E' accaduto nel mese di agosto del 2002, undici anni or sono. I loro nomi? Thuram, Cannavaro e Nesta. Il primo si era già laureato campione del mondo con la nazionale francese nella competizione disputata oltralpe nel 1998; gli altri due, invece, avrebbero dovuto attendere ancora qualche tempo per aggiudicarsi il prestigioso trofeo nell'edizione tedesca del 2006. Fabio Cannavaro, oltretutto, in quello stesso periodo conquistò pure il Pallone d'Oro.

Fresco vincitore di uno scudetto con la Juventus dopo un'appassionante corsa all'ultimo punto con l'Inter, Lilian Thuram aveva deciso di rompere gli indugi e spazzare via le insistenti voci che lo avrebbero voluto lontano da Torino: "Sembrava che dovessi partire, da quel che si leggeva sui giornali. Si parlava di Manchester United, di Milan, di Real Madrid. Ma io non credo che ci sia qualcuno che possa affermare di avermi sentito dire che non sto bene alla Juventus. E non credo ci fosse da parlare, perché penso di aver sempre dato la mia disponibilità a giocare dove dice l'allenatore". 

L'allenatore cui faceva riferimento il francese era Marcello Lippi, anche lui futuro vincitore di un mondiale. Nel corso della stagione precedente il tecnico viareggino gli aveva chiesto di giocare sulla fascia destra anziché al centro della difesa, il suo habitat naturale. A Parma, ad esempio, stazionava in coppia fissa con Cannavaro proprio in quella posizione. A proposito del nazionale azzurro va ricordato come Thuram avesse accolto con piacere la notizia del suo trasferimento all'Inter, nonostante l'ex-compagno di squadra fosse entrato nel mirino dalla Juventus: "Sono felice per Fabio: so che voleva cambiare squadra e che alla fine la cosa si era fatta difficile. Penso che potrà dare il suo aiuto ad una squadra che cerca fortemente di vincere lo scudetto. Ovviamente mi auguro che il suo apporto non basti e che vinciamo ancora noi. Ma l'Inter l'ho vista molto bene a Bari (dove si era appena disputato il triangolare tra i bianconeri, i nerazzurri ed il Chelsea valevole per il trofeo "Birra Moretti", ndr), anche se si capiva che era più avanti nella preparazione".

Il 7 agosto 2002 Cannavaro era partito intorno alle ore 15.30 da Collecchio per raggiungere il ritiro del Parma di Cesare Prandelli a Sestola. Esattamente un'ora dopo ricevette una telefonata di Gaetano Fedele, il suo procuratore, che lo avvertì di aver raggiunto un accordo di massima con l'Inter. Dopo il roboante colpo di mercato messo a segno dal Milan con l'ingaggio del brasiliano Rivaldo era quindi arrivato il momento della fragorosa risposta da parte dei nerazzurri. Nei salotti importanti del calcio c'era chi sosteneva la tesi di un'asta scatenata dai rossoneri per accapparrarsi il calciatore di origine napoletana solo e unicamente con l'intento di far lievitare il prezzo del suo cartellino. Era comunque chiaro a tutti che Galliani avrebbe provato a concludere almeno un'operazione importante prima della chiusura di quella sessione estiva. L'ultimo tassello di una squadra che avrebbe dovuto scucire lo scudetto a Madama si chiamava Alessandro Nesta. Il difensore romano era più giovane di Cannavaro e veniva considerato dai rossoneri un ottimo investimento per il futuro.

Il cerchio alla fine si chiuse effettivamente in questo modo: Cannavaro si trasferì all'Inter (nonostante le azioni di disturbo, i nerazzurri lo acquisirono ad un prezzo pari alla metà di quanto i Tanzi chiesero a Franco Sensi l'estate precedente), mentre Nesta traslocò al Milan. E Thuram? Era effettivamente rimasto alla Juventus, convinto più che mai della sua decisione: "Al mille per mille? Ma no: al milledue per mille! Ricomincio con grande entusiasmo, perché giocare al calcio mi piace ancora, e tanto". 

Il francese emigrò qualche anno dopo in Spagna, dove indossò la maglia del Barcellona. Nel frattempo era stato raggiunto a Torino da Cannavaro, prima che il terremoto di Calciopoli contribuisse a sciogliere definitivamente quella grandissima coppia di difensori. Nesta, invece, restò in rossonero ancora per molto tempo.
Questa, però, è tutta un'altra storia.

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sabato 3 agosto 2013

Intervista a Paolo Condò

Paolo Condò, prima firma della “Gazzetta dello Sport”, esperto di calcio internazionale e giurato italiano per il Pallone d'Oro Fifa, ha accettato di essere sottoposto a qualche domanda sul mondo del pallone per “Pagina” .

Pochi giorni fa Antonio Conte si è mostrato più battagliero che mai rispondendo a tono ad una recente dichiarazione di Guardiola sulle reali possibilità economiche della sua Juventus, in maniera indiretta a Mazzarri (“Mette le mani avanti per coprire i fallimenti”) e ammonendo i suoi giocatori dal pericolo di avere la pancia piena dopo le ultime vittorie ottenute in Italia. Cosa pensi del metodo di comunicazione adottato dal tecnico bianconero?
Penso che vada bene in campo italiano, ma non in quello internazionale. So che l'intenzione di Guardiola era quella di affermare cose completamente diverse da quelle percepite da Conte, e che è rimasto molto stupito dalla sua reazione. Frasi del tipo “ognuno guardi a casa sua” non fanno parte di un galateo internazionale al quale penso che il tecnico bianconero, per bravura tecnica, debba aspirare. Sono cose da “parrocchietta” nostra. Questa immagino sarà la stagione nella quale sia lui che la sua Juventus potranno fare il salto di qualità in Champions League. Ecco, in questo senso direi che i modi per presentarsi al meglio in quella platea dovranno essere un pò diversi. 

Lo scorso lunedì è stato stilato il calendario della prossima serie A. Proprio alla Juventus toccherà un avvio di campionato denso di scontri ostici, almeno sulla carta. Sei della stessa idea dei vari Conte, Mazzarri, Donadoni, Guidolin e Galliani per i quali non serve commentare l'operato del computer della Lega, “tanto prima o poi bisogna incontrare tutte le squadre”?

Questa è un'ovvietà che ritengo giusta. Però non va dimenticato che nel corso della passata stagione la Juventus aveva ucciso il campionato da subito, visto e considerato che era partita benissimo con la sola esclusione del passo falso compiuto contro l'Inter. Già a fine novembre era abbastanza chiaro a tutti quale sarebbe stata la squadra favorita per la vittoria dello scudetto. Quest'anno, sempre prendendo come esempio i bianconeri, potrebbe risultare loro difficile vincere tutti i primi incontri, così come è possibile che il gruppo in vetta alla classifica per un pò di giornate risulterà composto da tre o quattro squadre. Poi, però, esattamente come accade in una gara di atletica dei quattrocento metri alla lunga verranno fuori i veri valori. Alcune contendenti inizieranno a scontrarsi l'una con l'altra ed alla stessa Juventus capiteranno per cinque o sei settimane consecutivamente match contro le più deboli del lotto. In quel momento potrebbe capitarle l'occasione per fare uno scatto in avanti decisivo.

La regola del fuorigioco ha subito una nuova modifica. Non sarebbe stato forse più opportuno lasciarla così com'era e toccare quella che prevede per portieri o i difensori l'assegnazione di un rigore contro più espulsione per aver negato una chiara occasione da goal, oltre ad una squalifica per la partita successiva?
Per quanto riguarda la seconda cosa che hai detto sono sempre stato favorevole all'ammonizione e non all'espulsione per il portiere che tira giù l'avversario in una chiara occasione da goal. Più che altro per non rovinare la partita. Ho letto ieri qualche articolo sulla questione del fuorigioco: in generale sono dell'idea di togliere la discrezionalità agli arbitri, perché è l'unico modo per avvicinarsi ad un'uguaglianza di trattamento di tutte le squadre per tutti gli episodi. Mi sembra invece che questa variazione vada nel senso contrario, aggiungendo all'arbitro una discrezionalità che in Italia viene sempre vista con sospetto.

Robert Lewandowski ha recentemente espresso tutto il proprio malumore in merito al mancato trasferimento estivo verso il Bayern Monaco, affermando: “Non escludo che arrivi un momento in cui questa situazione mi condizioni, magari a livello inconscio. E, quindi, potrebbe anche succedere che inizi a giocare male”. Al di là del gioco delle parti e della presunta promessa di farlo partire non mantenuta dal Borussia Dortmund, non ritieni che con queste dichiarazioni l'attaccante abbia esagerato? 
 Sì, le ritengo molto sbagliate. Il grande calciatore internazionale ogni volta che scende in campo viene osservato non soltanto dai suoi tifosi del momento, ma anche dai potenziali sostenitori e manager (direttori sportivi e allenatori) del futuro. Quando io voglio andare a comprare un giocatore e lo vedo comportarsi male per venire da me mi dovrebbe venire automatico il pensiero che in un domani ipotetico questo potrebbe accadermi con lui, ovviamente a parti invertite. Non mai stato d'accordo con il luogo comune che “se un calciatore vuole andare via non c'è nessun mezzo per trattenerlo”. Preferisco quei comportamenti, che definirei “civili”, tenuti nel passato dal Parma con Thuram e dalla Fiorentina con Toni. Entrambe le società li trattennero contro la loro volontà per qualche anno in più rispetto al momento in cui avevano espresso il desiderio di andarsene, forti di un regolare contratto stipulato con la controparte al momento dell'acquisto. I club dovrebbero ribellarsi al potere ricattatorio messo in atto da alcuni tesserati.

A partire dalla prossima stagione dovrebbe entrare in vigore a tutti gli effetti il fair play finanziario fortemente voluto da Michel Platini. Alla luce di certi comportamenti sul mercato di società quali il Paris Saint-Germain e il Manchester City, è ancora lecito attendersi la sua effettiva applicazione? Qual è il tuo parere su questo tema?
Adesso vedremo se, una volta entrato a pieno regime il fair play finanziario, scatteranno davvero le eventuali penalizzazioni. In generale credo si tratti di un imbroglio. Se per aggirarlo basta gonfiare i conti delle sponsorizzazioni, come fanno Qatar Tourism Authority e Etihad Airways per le società che hai citato, diventa troppo facile. Da questo punto di vista sono un ammiratore del vecchio calcio, quello nel quale l'importante industriale, che si chiami Agnelli per la Juventus o Berlusconi per il Milan, mette i soldi per la sua grande passione e si toglie lo sfizio di essere presidente e proprietario della squadra di calcio per la quale tifa. Detto questo chiarisco che non chiudo gli occhi di fronte alla modernità, però il concetto che un club debba raggiungere il pareggio di bilancio mi sembra una sciocchezza. Per spiegarmi meglio prendo come spunto la tua Juventus...

Ossia...
Se la famiglia Agnelli ha il desiderio di spendere cento milioni di euro per la squadra del cuore e lo fa di tasca sua non ne vedo il problema, penso sia sempre la cosa migliore. Dentro il fair play finanziario credo ci sia anche qualcosa di subdolo, perché con quello viene cristallizzato il potere dei grandi club tradizionali, dal Manchester United al Real Madrid, sino ad arrivare al Barcellona. Ti faccio un altro esempio pratico: poniamo che io diventi miliardario e, visto che sono un sostenitore della Triestina, voglio farle vincere la Champions League. Al momento la vanno a vedere in quattro gatti, mentre in un futuro roseo potrebbero assistere alle sue partite una media di spettatori intorno alle venti o trentamila unità. Ecco, in quel caso vorrei essere libero di poter spendere liberamente i miei soldi, senza alcun condizionamento. Con il fair play finanziario i nuovi ricchi, come potrei essere diventato io, troverebbero difficoltà a sedersi al tavolo dei grandi club storici.

Dato che sei uno dei giurati del Pallone d'Oro, auspichi una modifica nei criteri di attribuzione di questo prestigioso premio oppure sei d'accordo con quelli attuali?
Una volta il Pallone d'Oro veniva attribuito da trentadue giornalisti dei paesi europei più competenti in materia calcistica. Poi la platea dei votanti è stata allargata, il premio si è sposato con quello attribuito dalla Fifa e sono entrati in gioco i commissari tecnici, i capitani e i giornalisti di tutti i paesi del mondo. E' ovvio che un italiano come me, un inglese, uno spagnolo ed un argentino ne sappiamo molto di più di un membro delle isole Vanuatu, però il nostro voto pesa esattamente alla stessa maniera. E' anche per questo motivo che vince sempre Messi: alle isole Vanuatu, cito nuovamente questo esempio nella speranza che mi invitino laggiù per smentirmi così mi faccio una bella vacanza (ride, ndr), arrivano gli spezzoni delle partite più belle, dove spopolano i goals dell'argentino. Questo è uno dei motivi per i quali nell'anno in cui Iniesta ha segnato la rete decisiva per vincere il mondiale spagnolo il premio è andato comunque all'argentino. Lo spirito del premio, che a me piaceva, era quello di premiare il giocatore che si era dimostrato il migliore e il più decisivo in quella stagione. Su questo, oltretutto, ho anche una mia teoria divertente, che ho espresso in più occasioni...

Quale, scusami?
Quella secondo la quale i giornalisti ne sanno molto di più dei commissari tecnici e dei capitani... (ride, ndr). Noi non abbiamo l'obbligo di votare per i nostri giocatori o per i nostri c.t.. Ecco, in questo senso potrebbero introdurre una regola per la quale ogni avente diritto al voto sia obbligato a scegliere persone di un'altra nazione.

Nel corso della tua carriera c'è stato un momento talmente significativo per te da provare il desiderio di riviverlo una seconda volta?
Ce ne sono stati tanti, naturalmente, forse perché ritengo il mio mestiere il più bello del mondo ed in questo senso sono facilitato. Ho vissuto dal vivo momenti di grande impatto emotivo, anche se non ho avuto, purtroppo, la fortuna nel lungo periodo durante il quale ho seguito la nazionale di vederla conquistare un campionato del mondo. Mi sono fermato nel 2002 e quei disgraziati l'hanno vinto nel 2006... Scherzi a parte, il goal di Roberto Baggio all'ottantottesimo minuto della gara disputata nel mondiale americano contro la Nigeria (5 luglio 1994, ndr) mi diede una gioia incredibile. Lui stesso, per chiarire bene il valore specifico di quella rete, disse che ci “tirò tutti giù dall'aereo”. Un'altra partita che non dimenticherò mai è quella disputata dall'Italia nell'Europeo del 2000, il 29 giugno, quando sconfisse ai rigori l'Olanda. Sopravvivemmo ad una gara incredibile dove loro sbagliarono la bellezza di due penalty durante i tempi regolamentari. Nella lotteria finale dei calci di rigore dopo il nuovo errore di Frank de Boer ed il successivo sbaglio di Stam io ed un paio di giornalisti italiani ci alzammo in piedi dalle nostre postazioni di lavoro per urlare ai colleghi olandesi: “arrendetevi!!!” (ride, ndr). Pensa che durante l'incontro non eravamo mai usciti dalla nostra area... Nel mio caso, poi, aggiungerei un elemento che ritengo importante... 

Quale sarebbe?
Mi considero un tifoso non competitivo. Come ho già avuto modo di spiegarti in precedenza tifo per la Triestina, per la squadra della mia città. Gioca in serie “Z”, e quindi mi riesce facile osservare gli avvenimenti con quel distacco che mi permette di essere il più possibile obiettivo e competente, libero da ogni concetto di antipatia o simpatia. In alcuni dei miei colleghi che hanno una passione nel cuore noto che quando vanno a vedere un'altra formazione la cosa li lascia indifferenti. Al loro posto non riesco a non sostenere emotivamente e liberamente tutti quei club italiani che disputano le competizioni europee. Questo, ovviamente, fino a quando la Triestina non tornerà in serie A. In quel momento non ce ne sarà più per nessuno... 

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