domenica 6 gennaio 2013

Intervista a Roberto Beccantini


Roberto Beccantini, giornalista sportivo, ha risposto per «Pagina» ad alcune domande inerenti sia la Juventus sia il calcio in generale. 

Il tuo amore per la Juventus è legato alla passione per Omar Sivori, iniziata nel 1957 dopo un'amichevole precampionato disputata a Bologna, la tua città, tra rossoblù e bianconeri. La Vecchia Signora perse 6-1 ma tuo padre, che assistette alla partita, ti raccontò di essere rimasto favorevolmente colpito dal fuoriclasse argentino. Quali emozioni hai provato la prima volta che lo incontrasti dal vivo?
L'emozione di trovarmi di fronte a un genio, a un calciatore diverso, per il gioco e per il look: chioma selvaggia, calzettoni giù, quel sinistro affilato come un bisturi. Menato, menava: e spesso, per paura o per calcolo, cominciava lui. Un "granfigliodi", Omar. Allora, da ragazzo, non è che avessi molti termini di paragone. Negli anni Cinquanta la televisione italiana era appena nata, quindi dovevo navigare a vista: di più, "a carta" (di giornale). Quella che provai fu l'emozione di aver scoperto, in ambito sportivo e calcistico, un alieno di fronte al quale anche i tifosi delle altre squadre provavano un sentimento che andava oltre il rispetto e il dispetto. 

In quel momento avevi i calzini abbassati?
No, no, in quel momento no. Scherzo. Li abbassavo soltanto da ragazzino, sul campetto di San Cristoforo, la mia parrocchia, il mio oratorio. Giocavo in quella maniera per moda, per la proprietà transitiva del sivorismo, calzettoni alle caviglie e numero dieci stampato sulla schiena. E come Omar, naturalmente, mancino. 

Potendo scegliere tra le decine di Juventus che hai ammirato dal vivo, a quale formazione bianconera sei rimasto maggiormente affezionato?
Sono rimasto affezionato a tutte le grandi Juventus che ho conosciuto e frequentato. Nato il 20 dicembre 1950, tanto per cominciare, ho perso la grande Signora del quinquennio, Edoardo Agnelli presidente, Renato Cesarini, "Mumo" Orsi e via discorrendo. La prima che ricordo con affetto è quella del trio Boniperti, Charles, Sivori: ha accompagnato la rinascita dell'Italia. Stiamo parlando degli anni del "boom" economico, nei quali la Juventus vinse tre scudetti in quattro stagioni nel periodo compreso tra il 1957 ed il 1961. Era una squadra assolutamente e rigorosamente bianconera, per via della televisione che all'epoca faceva vedere ancora poco calcio. Pensa che poteva permettersi il lusso, senza essere investita di contumelie, di collegarsi con lo stadio "Santiago Bernabéu" soltanto per il secondo tempo di Real Madrid-Juventus, quarto di finale della Coppa dei Campioni 1961/62. La Juve aveva perso all'andata per 1-0 a causa di un gol realizzato da Di Stefano in un pomeriggio, e sottolineo pomeriggio, nel quale l'inviato di «France Football» aveva consegnato il Pallone d'Oro a Omar Sivori di fronte a un Umberto Agnelli in cappotto, infreddolito e sognante. Ecco, poteva permettersi un lusso per il quale oggi l'avremmo "massacrata". Collegandosi all'inizio della ripresa, ci perdemmo la diretta della rete dello stesso Sivori, che ci consentì di andare allo spareggio, poi perso, di Parigi. 

Quella, quindi, è stata la prima delle Juventus alle quali è legato un pezzo del tuo cuore. La seconda?

Direi la Juventus con la quale ho cominciato il mio lavoro a "Tuttosport". I primi anni nei quali arrivai a Torino li dedicai al basket, per passare successivamente al calcio. Quindi parlo delle formazioni di Parola prima e Trapattoni poi. Guidata dal Trap la Vecchia Signora prese parte al braccio di ferro entusiasmante con il Torino nel campionato dei record del 1976/77, in una gara ai punti vinta di misura dai bianconeri per 51 a 50. In quella stagione arrivò pure la vittoria in Coppa Uefa, unico trofeo internazionale alzato da una squadra italiana composta di soli italiani. Era una formazione senza regista, senza "un" Pirlo. Disponeva di un centrocampo che sembrava un muro, composto da Tardelli, Furino, Benetti con l'estro di Franco Causio parcheggiato in corsia, preferibilmente a destra. Senza dimenticare, poi, la classe chirurgica di Bettega, numero nove o numero dieci a seconda delle esigenze. Con meno fisico, un po' come l'Ibrahimovic di oggi. 

Ci sono altre Juventus, oltre a queste?
La Juventus di Platini, Boniek, Paolo Rossi e dei sei campioni del mondo in Spagna: se avesse vinto ad Atene, avrebbe allargato e allungato il ciclo internazionale. Se non la più forte, di sicuro la più bella. Dall’era Platini all’epoca di Marcello Lippi e della Triade. La Juventus di Zinedine Zidane e poi di Pavel Nedved, con Alessandro Del Piero filo d’Arianna. Poi, con l’asterisco dovuto a Calciopoli, la Juventus di Fabio Capello: non ricordo una coppia d’attacco meglio assortita del tandem Ibrahimovic-Trezeguet. Come riserva, avevano un "certo" Del Piero, fai un po’ tu... Spero di poter incollare all’album anche quella di Antonio Conte, protagonista del primo scudetto dopo Calciopoli. Tranne Buffon e Pirlo, non ha fuoriclasse in grado di competere con le rose precedenti, ma nonostante ciò è riuscito a darle un gioco di stampo europeo. Più orchestra che solisti. Giù il cappello. 

Sfogliando l'album dei ricordi c'è una partita giocata dalla Vecchia Signora che vorresti rivivere dal primo minuto per raccontarla nuovamente ai tuoi lettori?
Queste domande, solitamente, le definisco "pallottole a bruciapelo". Su due piedi è difficile rispondere in maniera esaustiva. Sfugge sempre qualcosa, sempre qualcuno. Fammi pensare... La partita che vorrei rigiocare per un motivo opposto, immagino, allo spirito della tua domanda, è la finale di Atene. Il 25 maggio cadrà il trentesimo anniversario: 1983-2013. La cito per lo sviluppo incredibile che ebbe: la Juventus più forte, la Juventus più bella, imbattuta in Coppa dei Campioni sino a quel momento, contro l’Amburgo che accettava il pronostico sfavorevole. Trap aveva fiutato il pericolo. Il popolo juventino si sentiva già campione. I tedeschi, viceversa, non muoiono mai. Lo ribadirono quella sera. Gran parte del merito lo attribuisco ad Ernst Happel, che incartò tatticamente Trapattoni. Ad Atene, i panzer amburghesi furono gli indiani, i Sioux; la Juventus, viceversa, i soldati del generale Custer che, invece di stanarli, si fecero circondare e caddero in trappola. Mi sorprese la consecutio degli eventi: colpo di testa di Bettega dopo sette minuti, grande parata di Stein e poi il buio. Il buio totale. Solo Magath. Solo Amburgo. 

Te ne viene in mente qualcun'altra?
Mi viene in mente la vittoria di San Siro contro il Milan del Sacchi-bis, 6-1 nel 1997, partita durante la quale Franco Baresi capì che sarebbe stato meglio, probabilmente, farla finita; e difatti, a fine stagione, si ritirò. Ricordo con piacere anche il successo per 3-2 contro la Fiorentina, in rimonta da 0-2, con il gol più straordinario di tutta la collezione Del Piero. Poi, l’impresa di Birmingham, nel 1983, contro i campioni in carica dell'Aston Villa. E poi le due finali intercontinentali, quella decisa da Platini ai rigori, contro l’Argentinos Juniors, e l’altra risolta da Del Piero contro il River Plate. Chiudo, per ora, con il 3-0 al Chelsea. 

Che idea ti sei fatto di Andrea Agnelli? Nel suo modo di gestire la società bianconera noti qualche analogia col padre Umberto?
Guarda, dal mio punto di vista più che con il padre vedo molte analogie con colui che il padre impose: Antonio Giraudo. Se posso fare un altro esempio allora cito Giampiero Boniperti, pure lui presidente operativo. Non siamo di fronte a un dirigente "messo lì" per ricoprire una carica formale, ancorché suggestiva, come in epoche diverse toccò all'avvocato Vittorio Chiusano, a Franzo Grande Stevens e Giovanni Cobolli Gigli. Siamo di fronte a un ruolo esecutivo, non esecutore. La gestione del caso Del Piero, in questo senso, è stata illuminante: polso fermo, taglio netto. E rimorsi, zero. A essere sinceri, di Andrea mi stupì il silenzio nel 2006, all’alba di Calciopoli, quando si limitò a un giro di campo con la Triade nel pomeriggio di Juventus-Palermo. Improvvisamente, dopo tutto quello che si era scritto sulle faide familiari degli Agnelli, me lo ritrovo presidente "sotto" John Elkann. Andrea è un giraudiano che parla alla pancia dei tifosi e di Abete. Deve gestire le scorie velenose e sommarie delle sentenze di Calciopoli, ha ricostruito la Juventus, ha sacrificato le due stelle paterne ai trenta (scudetti) sul campo (sbagliando, secondo me), ha fatto causa alla Figc: non è antipatico per caso, è antipatico per scelta. Ha 37 anni, uno in meno di Del Piero: mi piacerebbe che, in futuro, si parlasse di lui come di un dirigente capace di governare la "res publica" e non solo la "res privata". In attesa di limare i difetti, ha un vantaggio: la mediocrità della concorrenza. 

Nel tuo libro "Juve ti amo lo stesso" hai scritto che la "Juventus non mi ha cambiato la vita. Me l'ha riempita". Quanto è difficile essere obiettivi nel tuo mestiere di giornalista quando il cuore ti spinge nella direzione contraria?
E' difficile, molto difficile. Innanzitutto va detto che la realtà giornalistica è stata profondamente modificata dalla rivoluzione tecnologica: prima le televisioni, poi internet, quindi i telefonini e chissà cosa ci serba quel diavolo di futuro. Prima di questo scenario il garante del lettore era l'inviato, una sorta di "polpastrello della realtà". Adesso invece bisogna far fronte alle migliaia di inviati, con e senza virgolette, che seduti davanti a uno schermo o a un pc o a un tablet possono vedere la partita. Tornando alla tua domanda, essere obiettivi è molto difficile. Nel mio piccolo ho cercato di essere sincero così come ha insegnato Alberto Cavallari nella sua opera "La fabbrica del presente". La consiglio ai giovani che sognano di diventare giornalisti. L'importante è essere credibili attraverso la sincerità e la competenza. Senza dimenticare che l’ultima e decisiva parola tocca al lettore. 

Nell'opera appena citata hai scritto: "Il calcio che lascio alle nuove generazioni è conciato peggio, molto peggio di quello che ho ereditato dalla vecchia". C'è un paese straniero da prendere come esempio nel tentativo di migliorare la nostra cultura sportiva?
Il paese al quale mi rifaccio sempre non è abitato da eroi o santi, ma è quello che ha inventato il calcio, vale a dire la Gran Bretagna. Tanto per riassumere: in Italia l'arbitro fa parte dei giochi, in Inghilterra fa parte del gioco. Prendendo spunto dalle due grandi tragedie nelle quali furono protagonisti, all’Heysel nel 1985 e a Hillsborough, Sheffield, nel 1989 (incluse le novità emerse negli ultimi tempi), hanno ripulito gli stadi e creato un nuovo modo di vivere il calcio. Penso al comportamento del Liverpool nel caso di Luis Suarez, reo di aver rivolto insulti razzisti a Patrice Evra del Manchester United e, per questo, squalificato per otto turni: bene, il club di Anfield rinunziò all’appello. In Italia sarebbe successo il finimondo. Citando un esempio di strettissima attualità, la partita sospesa tra Pro Patria e Milan offre un segnale forte. Speriamo sia forte davvero: in un Paese normale, se ti ritiri in un'amichevole dovresti poi ritirarti, a maggior ragione, anche a livello ufficiale. Ecco perché nutro molti dubbi. 

Qualche mese fa il "Guerin Sportivo" ha pubblicato un tuo editoriale in cui hai affrontato l'argomento della squadra più forte della storia. Citando l'esempio dell'attuale Barcellona hai affermato come per valutare nel complesso la grandezza di una formazione bisogna aspettare che esca dalla cronaca per entrare nella storia. Esclusi i catalani, a tuo modo di vedere qual è stato l'undici più forte di tutti i tempi?
In attesa di poter fissare il Barcellona nella scala gerarchica assoluta, l'undici più forte è stato il Real Madrid. E' vero che si trattava di un altro calcio e che per arrivare in finale bastavano pochissime partite, a differenza di quanto capitò - ad esempio - al Milan nel 2003, quando in totale ne giocò la bellezza di diciannove (in pratica un girone di andata di un campionato a venti squadre). Però... su Alfredo Di Stefano posso solo ricordare che, a distanza di un secolo, si parla ancora di "giocare alla Di Stefano"; Francisco Gento, ala sinistra, è stato il "nonno" di Cristiano Ronaldo; Ferenc Puskás ha preparato la pappa a tutti i Maradona e i Messi del pianeta. Quella macchina era talmente forte da oscurare il nome dell'allenatore. Oltretutto in cinque anni ne ha avuti ben tre: José Villalonga, Luis Carniglia e Miguel Muñoz. Nella memoria ho ancora impressa la vittoria di Glasgow contro l'Eintracht Francoforte del 1960: 7-3, con quaterna dell'ungherese Puskás e tripletta di Di Stefano. Il Real come giocatori. Come gioco, viceversa, l'Ajax del calcio totale. Anni Settanta. L’Ajax e l’Olanda di Rinus Michels e Johan Cruijff. 

In diverse occasioni hai avuto modo di affrontare il tema della regola del fuorigioco e delle continue modifiche alle quali è stata sottoposta nel corso del tempo. Enzo Bearzot, che avrebbe voluto eliminarla, era dell'idea di limitarla alle sole aree di rigore. Sei d'accordo con lui?
Il fuorigioco è stato modificato troppe volte nel corso del tempo, a partire soprattutto dagli anni Trenta. Affrontando questo argomento mi è capitato di usare persino il termine "stuprato", volutamente forte, per mettere in evidenza - e alla berlina - le deroghe, le eccezioni, le picconate allo spirito della regola. Per Joseph Blatter, presidente della Fifa, più gol ci sono più ci sarà spettacolo. Di qui, la deriva liberista e liberticida, off-side compreso. Ovviamente, come avrai capito, non sono d’accordo. Nello stesso tempo, credo che il calcio senza fuorigioco sarebbe un altro sport. Di limitarlo nelle sole aree di rigore se n'è parlato spesso, non fu soltanto Enzo Bearzot a gettare il sasso. Perché no, visto che si è provato di tutto: proviamo pure quello. La strada da percorrere, però, penso che sia quella di tornare allo spirito del fuorigioco senza cavalcarne gli eccessi contrari: o troppo repressivi, come in passato, o troppo permissivi, come nel terzo millennio. 

All'epoca in cui eri giurato del Pallone d’oro di «France Football» ti è mai capitato di assistere alla conquista di quel trofeo da parte di un giocatore che non avresti mai votato, oppure che non avresti mai immaginato come vincitore?
Il problema principale del Pallone d'Oro è sempre stato l'escluso, mai l'intruso. Sino al 1995 non si potevano votare i giocatori extra-europei: nel 1986, tanto per fare un esempio, avrebbe stravinto Diego Armando Maradona. Non nascondo che il successo di Matthias Sammer nel 1996 abbia fatto discutere, così come è dura accettare che campioni del calibro di Paolo Maldini, Franco Baresi, Gaetano Scirea o Marco Tardelli non l'abbiano mai vinto. E’ il sale di tutti i premi. 

C'è un collega in particolare, da scegliere anche tra quelli che oggi non sono più tra di noi, con il quale avresti piacere di conversare liberamente di calcio per più di novanta minuti?
Citavo prima il trentennale della finale di Atene: il 2013 sarà anche il ventennale della scomparsa di Vladimiro Caminiti. Ecco, mi piacerebbe conversare con Vladimiro. Un giornalista che secondo me ha avuto meno di quanto meritasse. Nella scia di Gianni Brera, è stato uno dei pochi capaci di "fondare" un linguaggio. Ci lasciò il 5 settembre 1993. Siculo fino al midollo. Grande, indimenticabile Camin.


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14 commenti:

Danny67 ha detto...

L'intervista è bellissima Thomas. Francamente io non amo molto Beccantini, pur riconoscendogli grandissime doti e capacità giornalistiche ed una grande cultura sportiva. Ma non ho mai ben capito, e nemmeno da qui lo si evince, la sua vera posizione riguardo a Calciopoli. Io me lo ricordo un colpevolista della prima ora che, in seguito alle verità venute a galla successivamente, ha corretto, ma solo parzialmente il tiro. Tu sotto questo punto di vista che impressione hai avuto?

Giuliano ha detto...

E' anche mia la frase di Beccantini "la Juventus non mi ha cambiato la vita. Me l'ha riempita".
Fra l'altro, qui si smonta anche uno dei luoghi comuni più triti e ritriti, che i bambini comincino a fare il tifo per le squadre che vincono
:-)
io sono più giovane di Beccantini, il mio primo ricordo vero (ero piccolissimo) è un paginone di Sivori appeso in casa da mio cugino Cesare, la foto più famosa di Sivori; e di qualche anno dopo la notizia che Sivori era stato venduto, notizia clamorosissima.
Negli anni '60, dopo Sivori, la Juve non è stata gran cosa - e anche qui si smonta un altro dei peggiori luoghi comuni, quello sugli Agnelli che spendevano e spandevano. Non è mica tanto vero: quando è successo, la Juve è andata male (vedi Maifredi e Montezemolo, vedi Melo e Blanc...), quando invece sono arrivate le persone giuste, quando è stato curato il settore giovanile, allora sono arrivati Bettega, Causio, oggi Marchisio, costo quasi zero e tanti risultati.
Un'altra bella intervista, posso suggerirti un nome? Non è un giornalista, è Salvatore Accardo: sarà strapieno di impegni, ma se gli parli della Juve...
:-)

Thomas ha detto...

Grazie, Danny.
La posizione di Beccantini sulla Calciopoli juventina non è mai stata né colpevolista né assolutista, quanto – dal suo punto di vista – realista.

Le sentenze, a suo tempo, non lo scandalizzarono. Ciò che lo colpì in modo particolare furono la riesumazione di Fiorentina e Lazio e la Champions League riconsegnata al Milan.

Non condivido il suo pensiero, ma lo rispetto. Mi è capitato in poche occasioni di parlare con lui di questo argomento, ma quando è successo ho trovato pane per i miei denti.
Ad oggi c'è un punto dove non riesco a controbattere, sino a sentenze contrarie, e riguarda le decisioni partorite dal Tribunale di Napoli. Non parlo di quanto si è discusso in aula, sia chiaro, ma delle decisioni.
Spero che il tempo possa darmi ragione.

Beccantini è uno juventino innamorato della sua Signora, che si è sentito deluso da quanto accaduto.
Ha conosciuto i protagonisti degli episodi citati, si è fatto una sua idea e l'ha portata avanti integrandola con quanto emerso negli anni successivi.

Questo è un suo recente articolo sull'argomento in questione: http://it.eurosport.yahoo.com/blog/roberto-beccantini/non-chiamatelo-frate-massimo-061858991--sow.html

Al di là del caso Vieri, molto grave, e in attesa che vengano tagliati i nodi De Santis e Moggi, ancora più gravi, il problema riguarda sempre la voragine lasciata da Calciopoli. Spionaggi illegali, l'argomento scotta. La giustizia è pregata di fare il suo corso, ma non, possibilmente, sull'aria della pucciniana «Madama Buterfly»: «Un bel dì, vedremo levarsi un fil di fumo». Un fil di fumo? No, grazie: abbiamo già dato.
Non discuto, tornando alla calda estate del 2006, le responsabilità della Juventus, e le relative sanzioni in ambito sportivo, soprattutto se l'associazione a delinquere inflitta a Giraudo e Moggi dovesse mai «resistere» in appello; contesto il percorso netto di Carraro, i buffetti al Milan, lo scudetto regalato all'Inter e, sempre a proposito di Inter, lo scandalo delle telefonate scomparse in base alle quali, secondo il procuratore Stefano Palazzi, la società nerazzurra avrebbe dovuto rispondere di illecito sportivo (articolo 6, Giacinto Facchetti) e slealtà sportiva (art. 1, Massimo Moratti). Auricchio, dico a lei.
Ogni tifoso coinvolto fissa il suo podio; e sin qui, nulla di male. Quello che mi disturba è la patente di santità che gli interisti si tramandano di tabulato in tabulato, neanche fossero fraticelli. Il procuratore Antonio Ingroia ha parlato di «squadra della legalità». Prego? Riassumo per sommi capi: passaporto di Recoba, patteggiamento di Oriali, bilanci borderline, intercettazioni omesse (por qué?), dossieraggi misteriosi e illegali, dossier Nucini, il nome di Facchetti speso nei nodi cruciali, sia prescritti sia pendenti. Tutto o quasi per legittima difesa, naturalmente.
Non è facile districarsi tra le schede svizzere di Luciano (Moggi) e gli schedati italiani di Giuliano (Tavaroli), però non è che nel 2006 Moratti e Facchetti andassero all'asilo. E comunque, basta con 'sta storia del «celopurismo» di Massimo contrapposto al «celodurismo» di Andrea, che sbaglia a dare retta ai tifosi (stelle, sistema dittatoriale e menate assortite) ma fa bene a portare avanti, nelle sedi opportune, le cause che ritiene giusto portare avanti. La perenne contrapposizione guardie-ladri mi sembra oggettivamente forzata e faziosa. A Moratti piace che lo specchio rifletta l'immagine di una società onesta, pura, vergine, ma se al cuore (e a Tavaroli) si può comandare, allo specchio no: comanda lui.
Il vangelo recita «Scagli la prima pietra chi è senza peccato», e non chi ne ha commessi di meno. Andate in pace.

Thomas ha detto...

Giuliano, grazie a te per il tuo bellissimo commento.
Uno "dei tuoi", come amo definirli.

Accardo? E se ti rispondessi "assurdo"?
;-)

Scherzo... E' dura, ma proverò a realizzare qualcosa di simile, promesso.

Un abbraccio e grazie!

Danny67 ha detto...

Beh è chiaro che, almeno in teoria, non si possono contestare le sentenze. Però l'importanza ed il valore delle sentenze sta, oltre che in quello che esse decretano e sanciscono, anche nelle motivazioni che le hanno partorite, ed i dispositivi delle motivazioni del primo grado del tribunale di Napoli parlano di campionati non alterati, di sorteggi regolari, di ammonizioni preventive assolutamente inventate, di cupole inesistenti (viste le molteplici assoluzioni di arbitri addirittura aumentate di numero nel rito abbreviato relativo ad Antonio Giraudo)e parlano di una condanna per "reato di pericolo", figura praticamente inesistente come quella per "illecito strutturato" partorita da una giustizia sportiva malata. Insomma, per farla breve, anche alla luce dei numerosi tentativi di ricusazione avvenuti nei confronti del Giudice Casoria e delle pressioni che la stessa Casoria pare abbia ricevuto dalle due giudici a latere, ma anche da qualcuno più in alto, hanno tutta l'aria di un'assoluzione mascherata e questo, senza tenere conto del fatto che le nuove prove (telefonate varie) trovate dalla difesa di Moggi e che hanno letteralmente demolito il pilastro più grande su cui si reggeva il processo sportivo e penale, e cioè l'esclusività dei rapporti tra Moggi ed il mondo arbitrale, non sono state prese veramente in considerazione in questo primo grado di giudizio.
Mi fa piacere, come leggo, che Beccantini abbia giustamente sottolineato come coloro che da tempo si ritengono, ma soprattutto vengono ritenuti dei santi, non lo sono affatto e confesso che, in un primo momento, nel 2006, anche io mi sono sentito tradito dalla mia Signora,anche perchè ingannato dalle falsità del sistema dell'informazione italiana, ma poi, una volta capito come sono andate le cose, ho riabbracciato mentalmente e con il cuore quella Signora che adesso amo ancora più di prima.
Ovviamente dico questo con il dovuto rispetto che porto ad un giornalista che, cosa molto rara in questa Italia, può veramente ancora definirsi tale.

Paolo ha detto...

Anche io condivido le parole di Danny: non amo troppo Beccantini soprattutto per la sua posizione, a mio avviso ambigua, su calciopoli. La mia impressione è quella di chi si sforza di essere obiettivo a tutti o costi, più per gli altri che per se stesso.
Comunque l'intervista è molto bella e le risposte non sono mai banali.

Ho conosciuto Sivori dai racconti entusiasti di mio padre, che me lo ha dipinto come un grandissimo, parlandomi dei tunnel ma non delle squalifiche. Ho conosciuto il suo 'lato oscuro' solo più tardi, e ho capito che negli occhi del tifoso restano le magie e non le bizze.

Riguardo il 2006 confesso di non aver mai creduto a calciopoli e di aver sempre sospettato quello che poi è emerso nel corso degli anni. Ma non sono un veggente

paratadizoff ha detto...

Veramente una grande intervista. Complimenti Thomas. Permettimi di ringraziarti per averla fatta e pubblicata, come ringrazio anche Danny per aver espresso quello che è anche il mio dubbio circa la posizione di Beccantini su calciopoli.
Mi dispiace ma non sono d'accordo col l'assunto che le sentenze si applicano e non si commentano. Ovviamente si applicano, ma secondo me si possono anche commentare, perchè non rappresentano una verità assoluta. Troppe le variabili, le strategie tecniche, il lavoro svolto dagli inquirenti, comprese le "intuizioni" dei giudici. L'errore è umano e va compreso. Ciò che si condanna è l'eventuale dabbenaggine o peggio ancora l'eventuale malafede.
Beccantini è un grande del giornalismo italiano. A mio parere poco "televisivo", ma dalla penna soffice e poetica. Il calcio è bello anche grazie a chi ne sa decantare le gesta. Beccantini è un mirabile cantore.
Antonio

Danny67 ha detto...

@paratadizoff
Si Antonio, condivido quanto dici sulle sentenze e sulle variabili che le condizionano ma anche sul tuo giudizio riguardo Beccantini, che, al di là della diversità di opinioni, resta "un grande del giornalismo italiano".

Ovviamente anche io ringrazio ancora Thomas per regalarci ogni tanto queste splendide interviste. Thomas sa benissimo quanta stima io nutra per lui e che sono fermamente convinto delle sue eccellenti qualità giornalistiche. Vorrei precisare che non dico questo perchè Thomas è mio amico e perchè mi ha permesso di scrivere sul suo blog, ma perchè è la verità. Del resto basta leggere i suoi pezzi per rendersene conto.

Danny67 ha detto...

@Paolo
"Ho conosciuto Sivori dai racconti entusiasti di mio padre, che me lo ha dipinto come un grandissimo, parlandomi dei tunnel ma non delle squalifiche. Ho conosciuto il suo 'lato oscuro' solo più tardi, e ho capito che negli occhi del tifoso restano le magie e non le bizze"

Esattamente ciò che è successo a me.

Thomas ha detto...

Danny, Paolo e Antonio, vi chiedo scusa. Nella mia risposta sul tema “Calciopoli” sono stato “troppo” stringato e “poco” chiaro.
 
Riprendo il filo del discorso, procedendo con ordine.
Quando ho concordato l’intervista con Beccantini gli ho posto un “paletto”: non parliamo di “Calciopoli”, discutiamo soltanto di calcio giocato. Del presente, del passato e del futuro di questo sport meraviglioso.
 
Lui attualmente gestisce due siti, dove raramente affronta questo scottante (e, per certi versi, “trito e ritrito”) argomento.
Al termine di ogni suo articolo potete contare centinaia di commenti (su “Beck is Back” arrivano facilmente al migliaio): il 90% di quelli vertono su “Calciopoli”, nonostante in quasi tutti i post non ci siano – come detto – quasi mai accenni a quel periodo.
 
Dico una banalità: avete fatto caso che anche noi ne stiamo discutendo in questo momento?
 
La posizione che ha assunto sin dal 2006 lo porta ad essere continuamente stimolato (e stuzzicato) a discuterne.
 
@Danny: le sentenze del Tribunale di Napoli io le contesto, eccome
;-)
 
Come scritto in precedenza, purtroppo sono ancora a mio (nostro) sfavore.
 
Faccio un esempio pratico per spiegare il mio pensiero: è come se costringessi un avversario all’angolo per novanta minuti, ma poi lui con un contropiede al ’95 mi punisce.
In questo senso, spero le cose cambino nel prossimo futuro.
 
Sul resto, credimi, la penso come te.
Ho fatto parte del team di  “Ju29ro.com” anche perché condivido in “toto” il loro pensiero.
Oggi, se possibile, ancora più di prima.
Ps: la stima e' reciproca
 
@Paolo: grazie di cuore.
Continuo anche qui: posso affermare con estrema sicurezza che Beccantini non ha mai cavalcato l’onda del sentimento popolare. Quello che scrive è quello che pensa. Corretto o sbagliato, sarà il tempo a dircelo.
 
Su Sivori: lo adoro, pur essendo nato nelle generazioni successive alla sua epoca.
Recentemente ho scritto un pezzo su di lui pubblicandolo anche sul mio blog su “Linkiesta”
:-)
 
@Antonio: grazie a te!
Leggo Beccantini da quando ero ragazzino, proprio per la sua “penna soffice e poetica”. E’ stato un piacere poterlo intervistare.
E il merito della buona riuscita, senza falsa modestia, è da riconoscere in toto all’intervistato.
 
Un abbraccio!!!
 

Giuliano ha detto...

i dieci-dodici anni dal 99 in su sono stati anni pessimi per il calcio italiano, l'unica cosa buona la finale di Champions Milan-Juve (più il Mondiale, ovviamente: ma parlo a livello di club).
Nessuno ne ha ancora parlato in modo completo: per esempio, ed è un fatto clamoroso, ci sono anche i fallimenti di squadre importanti, alcune hanno rischiato di sparire altre sono state più che aiutate, ed erano nelle stesse condizioni.
Ne vogliamo parlare? Direi di no, soprattutto a Roma e Lazio fanno i pesci in barile, o magari si offendono...
E la famiglia Matarrese, proprietari del Bari al centro dello scandalo del 2012? Anche qui, silenzio...
Certe cose che sono successe mi danno l'impressione di cannonate con la mira ben presa, la Juve ma non solo la Juve. (del genere: non ci sono più gli Agnelli, all'assalto!)(o il povero Cecchi Gori...)

Danny67 ha detto...

@Giuliano
"ci sono anche i fallimenti di squadre importanti, alcune hanno rischiato di sparire altre sono state più che aiutate, ed erano nelle stesse condizioni. Ne vogliamo parlare? Direi di no, soprattutto a Roma e Lazio fanno i pesci in barile, o magari si offendono."

Ben detto fratello!!!

Come sai io sono di Roma e ti posso assicurare che i romanisti e i laziali fanno finta di non sapere che da un pezzo le loro squadre sarebbero fallite se qualcuno non fosse intervenuto ad aiutarle!! Per quanto riguarda la Lazio fu creato ad arte un decreto spalmadebiti applicabile anche al calcio, mentre per quanto riguarda la Roma sono ben note le strane operazioni compiute dalla banca cui fanno riferimento tuttora e la storia della fideiussione falsa, ma a quanto sembra certe cose "le vittime del vento del nord" non le ricordano.

Giuliano ha detto...

andando ancora indietro nel tempo, e parlando di banche, ci sarebbe la storia di Maradona al Napoli: il Banco di Napoli rifiutò di concedere i soldi, ritenendo la somma spropositata, ma poi arrivò una telefonata dall'alto (vertici Dc, pare un ex sindaco) e al Banco di Napoli furono costretti a firmare un gigantesco esborso, sicuri che quei soldi non sarebbero mai tornati.
Le conseguenze arrivarono molti anni dopo, il fallimento del Banco di Napoli (quella di Maradona non fu l'unica operazione fatta in questo modo...) e anche il fallimento del Napoli di Ferlaino. I nodi erano venuti al pettine.
Ma di queste cose non parla mai nessuno, così come sono subito sparite sott'acqua le storie recentissime su Real, Barcellona, e le banche spagnole...
Ci sarebbe materiale per tanti libri, Danny, ma poi si diventa antipatici!
:-)

Danny67 ha detto...

@giuliano
Per non parlare dei falsi in bilancio, delle finte vendite di marchi e dei passaporti falsi delle milanesi, per le quali tutto si è risolto con un minimo esborso pecuniario...
;-))

Antipatici....Beh...ma tanto noi, in quanto "Juventini" siamo antipatici di default, quindi...tanto vale parlarne quando abbiamo l'occasione di farlo, almeno tra di noi.