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lunedì 26 settembre 2011
domenica 25 settembre 2011
Signora Omicidi cercasi
Dopo il pareggio interno ottenuto contro il Bologna, il rischio in cui l’ambiente bianconero può incappare è quello di riprendere ad analizzare ogni singola partita rispolverando il famoso concetto del bicchiere "mezzo vuoto" oppure "mezzo pieno".
Inutile girarci intorno, si tratta di due punti persi: avesse conquistato pure quelli Madama ora si troverebbe sola in testa alla classifica a punteggio pieno, con tre vittorie in altrettante gare disputate. Una volta, in ossequio al cinismo che sapeva tirare fuori nelle migliori occasioni, veniva chiamata "Signora omicidi". Adesso, nel percorrere la strada intrapresa per tornare ad essere se stessa, dovrà nuovamente imparare a chiudere alla svelta a proprio favore gli incontri, evitando di compiere sciocchezze o di ricadere in pericolosi cali di concentrazione.
Il triste mercoledì di Mirko Vucinic, la cui espulsione (successiva alla marcatura del vantaggio iniziale) ha inciso pesantemente nelle sorti dell’incontro, è stato sintetizzato da molti addetti ai lavori con le parole "croce e delizia": il problema è che la Juventus negli ultimi cinque anni è stata messa ripetutamente in croce per svariati motivi, adesso non ha più tempo da perdere dietro a queste considerazioni.
Caso vuole che a Siena, subito dopo aver magistralmente consegnato il pallone tra i piedi di Matri per la comoda realizzazione della rete decisiva, l’attaccante fu sostituito da Conte: al tecnico non vennero risparmiate critiche per non aver modificato le proprie intenzioni nonostante la prodezza appena compiuta del montenegrino.
E’ arrivato il momento di cambiare regime, tanto sul campo da gioco quanto fuori, e certe leggerezze - umanamente comprensibili fin che si vuole - nel prossimo futuro non dovranno più verificarsi. A differenza del recente passato, oltretutto, sulla panchina bianconera siedono spesso giocatori di valore che scalpitano per entrare in campo al posto di quelli scelti da Conte per l’undici di base.
Nell’ultracentenaria storia juventina Vucinic non è certamente il primo calciatore di qualità (e non sarà neanche l’ultimo) giunto a Torino con alcuni aspetti tecnici, tattici o caratteriali da correggere e migliorare: l’augurio è quello che, una volta terminata la sua esperienza sotto la Mole, un domani possa lasciare la Vecchia Signora più forte e completo rispetto al momento del suo arrivo.
L’olandese Edgar Davids, tanto per fare un nome a caso, se ne andò dalla Milano rossonera per raggiungere Madama nell’ormai lontano 1997 bollato come "mela marcia"; adesso il suo nome figura sopra una delle cinquanta stelle presenti nella nuova casa bianconera dedicate ad alcuni tra i più celebri campioni della storia juventina.
All’epoca dei fatti, tra scettici e scontenti nessuno credeva in lui: il successo dell’operazione dipese da una felice combinazione tra l’accoglienza positiva che gli riservarono spogliatoio e società e l’impegno profuso dallo stesso centrocampista nel tirare fuori le enormi qualità delle quali disponeva. A proposito del Milan: a distanza di anni non si può non rivolgergli un sentito ringraziamento per aver nuovamente donato alla Juventus la possibilità di disporre delle prestazioni di un fuoriclasse del calibro di Andrea Pirlo.
La prossima tappa nel cammino della Vecchia Signora sarà Catania, laddove la scorsa stagione Quagliarella (che domenica potrebbe esordire) segnò la sua unica doppietta in campionato con la maglia bianconera prima di infortunarsi gravemente nel giorno dell’Epifania.
Scorrendo la classifica della serie A, dalla cima sino al fondo, si possono vedere al penultimo posto l’Inter (terz’ultimo, in realtà, per differenza reti) e come fanalino di coda il Cesena. Esattamente un anno fa la situazione era radicalmente diversa: curiosamente le stesse squadre appena nominate si trovavano appaiate in testa, cosa che ai romagnoli (unica difesa imbattuta sino a quel momento) non capitava da 35 stagioni.
La Roma, con soli due punti accumulati sino a quel momento, versava in una situazione difficile, tanto che Claudio Ranieri, il suo tecnico, fu costretto ad uscire allo scoperto per proteggere il proprio lavoro: "Non ho la squadra contro". A distanza di un anno e qualche spicciolo di ore, è diventato l’allenatore dell’Inter, subentrando a quel Gasperini che negli istanti successivi la sconfitta patita contro il Novara ha confessato: "Moratti ha dichiarato che non ho in mano lo spogliatoio? Il rapporto con il gruppo è ottimo, anche dal punto di vista personale: i ragazzi sono i primi ad essere dispiaciuti e per me questo è un aspetto importantissimo".
Ranieri prese in mano la Roma dopo la sconfitta casalinga con la Juventus del 30 agosto 2009 (3-1, alla seconda giornata del campionato 2009-10), sostituendo Spalletti e portandola ad un passo dallo scudetto. La stagione precedente si era visto sfilare la panchina a Torino a due sole partite dalla conclusione del torneo: con alcuni giocatori bianconeri il rapporto era incrinato da tempo.
Massimo Moratti ha giustificato l’attuale scelta del tecnico romano usando il concetto del "buon senso", "necessario per rivitalizzare la squadra, sia nei singoli che nell’insieme". Quello che sarebbe auspicabile possedessero tutti, nel calcio: non soltanto gli allenatori.
Ma questa è un’altra storia.
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mercoledì 21 settembre 2011
Primi in classifica, due punti persi e tanto carattere
Lo spartito è quello giusto, la musica – però - la suonano pure alcuni interpreti sbagliati: la qualità o ce l’hai, o non ce l’hai. E se chi ne è meno dotato non mantiene la giusta concentrazione per novantacinque minuti di gioco, i limiti - prima o poi - escono fuori tutti.
La classe immensa di Pirlo viene così compensata a fasi alterne dagli errori marchiani di qualche compagno.
Barzagli? Complimenti a Marotta per il suo acquisto: tra lui e l’ex rossonero la Vecchia Signora (in pratica) non ha neanche dovuto aprire il portafoglio. Non esistono solo i Martinez di turno.
Vucinic croce e delizia: senza quella sciocchezza commessa alla fine della prima frazione di gioco (costata l’espulsione) con ogni probabilità la Juventus adesso si sarebbe trovata sola soletta prima in classifica.
A chi storce il naso per la prestazione degli uomini di Conte, stavolta dico di andare a vedere in casa degli altri (Inter, Napoli, Milan): se Atene piange, Sparta non ride.
Si cerca il risultato attraverso il gioco: nonostante i due punti buttati via, i lati positivi non mancano.
In inferiorità numerica per un tempo, la Juventus ha dominato, mettendoci cuore e carattere.
Ora si va a Catania, poi ci sarà il Milan a Torino.
Anzi: ora andiamo a vincere a Catania. Punto.
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martedì 20 settembre 2011
Si festeggia? No, si pensa alla prossima partita
"Da giocatore mi facevo scivolare le vittorie addosso, per ritrovare le motivazioni. Adesso, invece, la Juve deve dimenticare le sconfitte, guardare al presente e progettare il domani".
Antonio Conte già in estate, nel periodo del ritiro precampionato della sua squadra a Bardonecchia, aveva le idee chiare: l’unico modo per ritrovare il famoso "spirito Juve" era quello di cominciare, da subito, a riprendere confidenza con i precetti tipici della scuola di Madama.
Dopo l’abbuffata di goals dell’esordio stagionale contro il Parma, la trasferta di Siena rappresentava il classico ostacolo sul quale in passato la Vecchia Signora inciampava spesso e malvolentieri. Lo aveva confermato anche Del Piero qualche giorno prima dell’incontro: "L’anno scorso proprio le cosiddette piccole ci hanno fatto un mazzo così…".
Con l’ingresso in campo del numero dieci bianconero, avvenuto al trentunesimo minuto della ripresa al posto di Matri (il match winner della giornata), è salito a cinque il numero degli attuali calciatori juventini presenti sul rettangolo di gioco che fecero parte della trionfale spedizione della nazionale azzurra in Germania in occasione dei mondiali di calcio del 2006: oltre a lui c’erano pure Buffon, Barzagli, Pirlo e Grosso. Da loro, alcuni tra gli uomini con maggiore esperienza nella rosa, il nuovo tecnico si aspetta un aiuto importante nella gestione del gruppo, in previsione dei momenti nei quali arriveranno le prime difficoltà.
Recentemente intervistato da Nicola Calzaretta (nel numero del mese di agosto 2011 di "GS", evoluzione dello storico settimanale "Guerin Sportivo") Francesco Morini, colonna difensiva di Madama negli anni '70, ha raccontato i principali passaggi storici che portarono alla nascita del ciclo vincente della Juventus di Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni.
Il tecnico di Cusano Milanino rappresentava la giovane scommessa fatta da un uomo di esperienza e dalle grandi intuizioni quale fu lo stesso Boniperti: "Trapattoni è stato bravissimo a sapersi inserire con noi. Quelli più scafati come me, Zoff e Furino gli hanno dato una grande mano. Per un allenatore è fondamentale trovare buoni giocatori".
All’epoca dei fatti (1976) la Juventus aveva vinto sedici scudetti, conquistato la prima stella e portato a casa cinque coppe Italia. Era già, in sintesi, la fidanzata d’Italia, e non aveva la necessità di alzarsi al mattino e domandarsi tutti i giorni se avrebbe lottato per il tricolore o in quale posizione si trovava nella griglia delle favorite per il successo finale.
Aveva ripreso a collezionare trofei nel 1972 dopo un decennio costellato da fallimenti (solo due titoli - un tricolore ed una coppa - all’attivo), nonostante tutto era comunque alla ricerca di quella continuità che le potesse consentire di rimanere ai vertici il più a lungo possibile. "Una cosa fatta bene può essere fatta meglio", amava ripetere l’Avvocato Agnelli.
Spinta dalla carica dell’allenatore la nuova Juventus sembra non perdere di vista la sua attuale realtà: "I complimenti sono sicuramente graditi, ma complessivamente immeritati… La nostra strada è ancora lunga. Qui siamo alle fondamenta, nessuno dei miei ragazzi deve toglierselo dalla testa". Con queste parole il tecnico juventino ha ammonito la squadra prima della gara della scorsa domenica, invitandola a non abbassare la guardia.
Dopo, accertato che anche Sannino (il tecnico dei toscani) era riuscito nell’obiettivo di evitare che i suoi uomini facessero le "comparse" al cospetto della festa organizzata per il ritorno di Conte a Siena, ha potuto esprimere la propria soddisfazione per la risposta ottenuta: "Abbiamo giocato da grande squadra con l’atteggiamento della provinciale. In campi come questo se arrivi senza la mentalità giusta ti mangiano".
All’orizzonte della Vecchia Signora adesso ci saranno, in successione, gli impegni con il Bologna (in casa, nel suo nuovo stadio), Catania (in trasferta) e poi - finalmente - l’incontro a Torino con il Milan, tappa utile per capire la reale consistenza della truppa bianconera. Per pensare ai rossoneri, però, ci sarà tempo: un passo alla volta, così come scritto nei precetti della scuola di Madama.
A conferma di ciò, nel ricordare i momenti successivi al primo storico successo della Juventus in Europa (la coppa UEFA conquistata contro l’Athelic Bilbao nel 1977), ancora Morini confessò: "Festeggiato? Facemmo in tempo a bere un pò di spumante, poi Boniperti ci richiamò all'ordine perché la domenica dopo c’era l’ultima di campionato con la Sampdoria, il Toro era ad un punto".
La vittoria più importante è sempre quella che deve ancora arrivare: "Ero in Canada, tiravo gli ultimi calci con il Toronto Blizzard. Un giorno mi chiama l’Avvocato: 'Morini, la smetta di fare il coglione in giro per l’America. Torni da noi a fare il Direttore sportivo'. Mi avevano offerto di dirigere una scuola calcio, mi davano 150mila dollari all’anno. Sono tornato a Torino per 3 milioni lordi al mese. Ma alla Juve potevo dire di no?".
No, non poteva farlo: la sua storia in bianconero non era ancora terminata.
Infatti non lo fece.
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domenica 18 settembre 2011
E la Juventus di Conte va...
Due gare, due vittorie. Sei punti in classifica, cinque in più rispetto all’anno scorso in questo momento: con una situazione simile è più facile costruire una squadra.
Perché ci sono (ovviamente) ancora molte cose che non funzionano, ma è anche vero che nel recente passato queste partite la Juventus non era in grado di vincerle.
Il pericolo più grande verso la porta di Buffon se lo è costruito lui stesso: tolta quell’emozione, pure stavolta la difesa (aiutata dagli altri reparti) ha retto.
Ora sotto con il Bologna...
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mercoledì 14 settembre 2011
La nuova Juve e l'apporto di Pirlo e Conte
Dedico questo articolo alla memoria del giovane Daniele
"Un acquisto incomprensibilmente sottovalutato". Con queste parole Andrea Agnelli, in occasione della presentazione delle nuove maglie della Juventus per l’attuale stagione, lo scorso 6 luglio mostrò il proprio stupore per il modesto rilievo suscitato dal passaggio di Andrea Pirlo ai bianconeri.
A proposito di maglie: l’ex calciatore del Milan scelse la numero 21. Perché? "E’ dai tempi di Brescia che me lo porto dietro. E’ un numero speciale: è il giorno in cui mi sono sposato, il 21 è nato mio padre e il 21 è anche il numero civico di casa mia…". Nulla da obiettare, piuttosto qualcosa da aggiungere: tempo addietro a Torino, su quello stesso terreno di gioco, un certo Zinedine Zidane divertiva e si divertiva con la medesima casacca.
Tanto era decisivo l’apporto del francese per le sorti della Juventus quanto potrebbe diventarlo nei prossimi mesi quello di Pirlo: "Domenica, quando l’ho visto giocare ho pensato: 'Dio c’è'. E’ veramente imbarazzante la sua bravura calcistica". Così si è espresso Buffon sul suo nuovo compagno di squadra nel club di appartenenza, dopo averlo conosciuto e apprezzato per anni soltanto nella nazionale azzurra.
In concomitanza con la prima occasione nella quale Madama ha disputato una gara ufficiale sul prato verde dell’ormai storico "Delle Alpi", magicamente sono ricomparse alcune piacevoli sensazioni rimaste chiuse nell’album dei ricordi troppo a lungo: tra queste, quella di riuscire a vincere e convincere allo stesso tempo.
Per ritrovare quattro goals della Juventus al debutto in campionato bisogna tornare indietro di una decina d’anni: stagione 2001-02, nella partita contro il Venezia la formazione allenata da Marcello Lippi surclassò l’undici guidato da Cesare Prandelli (l’attuale c.t. dell’Italia) con una doppietta a testa ad opera di Del Piero e Trezeguet.
Zidane era appena partito in direzione Madrid; la Vecchia Signora acquistò Buffon utilizzando una parte del ricavato della cessione del fantasista transalpino. In quella domenica 26 agosto Antonio Conte non scese in campo sulla linea mediana bianconera, dato che il suo esordio stagionale avvenne soltanto alla quattordicesima giornata (9 dicembre, Milan-Juventus 1-1).
Madama trionfò all’epilogo della serie A, in quel famoso 5 maggio 2002 in cui l’Inter si ritrovò a passare, nell’arco di soli novanta minuti di gioco, da possibile vincitrice del tricolore ad arrivare in terza posizione in classifica. Il suo allenatore, Hector Cuper, ogni qualvolta i giocatori nerazzurri entravano in campo per la disputa delle partite era solito ripetere le parole "Yo estoy contigo", battendo loro la mano sul petto.
Questo non bastò a garantirgli il successo finale: nell’ultima giornata fu la Juventus a godere. Lo confessò apertamente lo stesso Conte, intervistato mentre si recava negli spogliatoi per festeggiare la conquista del ventiseiesimo scudetto della società torinese: "C’è poco da parlare, stiamo godendo. Questa è l’amarezza di due anni fa, a Perugia. E c’è qualcuno che ci guarda che c’era a Perugia. Adesso stiamo godendo…".
Non riuscì a continuare il suo sfogo: venne portato, a forza, dentro la stanza da alcuni compagni in un clima di euforia generale. Tra questi c’era Lilian Thuram, lo stesso calciatore che nel giugno del 2006, all’indomani dello scoppio del terremoto che distrusse la Vecchia Signora, dal ritiro dove la nazionale francese si stava preparando in vista dei mondiali di Germania ad una domanda sulla difficilissima situazione in cui versava il suo club dichiarò: "La Juve chi? Che cos’è la Juventus?".
Lo sa bene Conte "chi è", "cos’era" e "cosa dovrà tornare ad essere": adesso che ne è diventato l’allenatore cercherà di trasmettere ai suoi uomini dalla panchina quello che ha imparato sul campo sotto la guida di alcuni tra i migliori tecnici in circolazione negli ultimi trent’anni. Recentemente, durante il ritiro estivo di Madama a Bardonecchia ha confidato: "Ho lavorato con i più vincenti, tranne Capello. Tra Juve e Nazionale ho avuto Trapattoni, Lippi, Ancelotti e Sacchi". Su di lui Pirlo ha speso, proprio in quel periodo, parole di elogio: "Mi ricorda un po’ Lippi, per la determinazione che ci mette, l’entusiasmo, la voglia di vincere che ha".
Il mister viareggino vinse matematicamente il suo primo scudetto bianconero battendo (proprio) il Parma al "Delle Alpi" il 21 maggio del 1995, realizzando (ancora) quattro reti senza subirne alcuna. Della rosa di quella Juventus facevano parte anche Didier Deschamps (fu suo il secondo goal contro i ducali) e Ciro Ferrara, due tra gli allenatori che hanno preceduto Conte alla guida di Madama dopo il 2006.
All’insegna dei ricordi sarà anche la prossima gara di campionato, quella che vedrà il ritorno del tecnico a Siena dove ha maturato una positiva esperienza nella scorsa stagione conclusasi con la promozione dei toscani in serie A.
Al netto degli avvenimenti del passato ora la concentrazione dell’ambiente torinese si sposterà verso l’impegno di domenica, ripetendo il ritornello del "zitti, pedalare, lavorare" e inseguendo un unico obiettivo: vincere.
L’esclusiva, piacevole ossessione di chi è juventino vero.
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"Un acquisto incomprensibilmente sottovalutato". Con queste parole Andrea Agnelli, in occasione della presentazione delle nuove maglie della Juventus per l’attuale stagione, lo scorso 6 luglio mostrò il proprio stupore per il modesto rilievo suscitato dal passaggio di Andrea Pirlo ai bianconeri.
A proposito di maglie: l’ex calciatore del Milan scelse la numero 21. Perché? "E’ dai tempi di Brescia che me lo porto dietro. E’ un numero speciale: è il giorno in cui mi sono sposato, il 21 è nato mio padre e il 21 è anche il numero civico di casa mia…". Nulla da obiettare, piuttosto qualcosa da aggiungere: tempo addietro a Torino, su quello stesso terreno di gioco, un certo Zinedine Zidane divertiva e si divertiva con la medesima casacca.
Tanto era decisivo l’apporto del francese per le sorti della Juventus quanto potrebbe diventarlo nei prossimi mesi quello di Pirlo: "Domenica, quando l’ho visto giocare ho pensato: 'Dio c’è'. E’ veramente imbarazzante la sua bravura calcistica". Così si è espresso Buffon sul suo nuovo compagno di squadra nel club di appartenenza, dopo averlo conosciuto e apprezzato per anni soltanto nella nazionale azzurra.
In concomitanza con la prima occasione nella quale Madama ha disputato una gara ufficiale sul prato verde dell’ormai storico "Delle Alpi", magicamente sono ricomparse alcune piacevoli sensazioni rimaste chiuse nell’album dei ricordi troppo a lungo: tra queste, quella di riuscire a vincere e convincere allo stesso tempo.
Per ritrovare quattro goals della Juventus al debutto in campionato bisogna tornare indietro di una decina d’anni: stagione 2001-02, nella partita contro il Venezia la formazione allenata da Marcello Lippi surclassò l’undici guidato da Cesare Prandelli (l’attuale c.t. dell’Italia) con una doppietta a testa ad opera di Del Piero e Trezeguet.
Zidane era appena partito in direzione Madrid; la Vecchia Signora acquistò Buffon utilizzando una parte del ricavato della cessione del fantasista transalpino. In quella domenica 26 agosto Antonio Conte non scese in campo sulla linea mediana bianconera, dato che il suo esordio stagionale avvenne soltanto alla quattordicesima giornata (9 dicembre, Milan-Juventus 1-1).
Madama trionfò all’epilogo della serie A, in quel famoso 5 maggio 2002 in cui l’Inter si ritrovò a passare, nell’arco di soli novanta minuti di gioco, da possibile vincitrice del tricolore ad arrivare in terza posizione in classifica. Il suo allenatore, Hector Cuper, ogni qualvolta i giocatori nerazzurri entravano in campo per la disputa delle partite era solito ripetere le parole "Yo estoy contigo", battendo loro la mano sul petto.
Questo non bastò a garantirgli il successo finale: nell’ultima giornata fu la Juventus a godere. Lo confessò apertamente lo stesso Conte, intervistato mentre si recava negli spogliatoi per festeggiare la conquista del ventiseiesimo scudetto della società torinese: "C’è poco da parlare, stiamo godendo. Questa è l’amarezza di due anni fa, a Perugia. E c’è qualcuno che ci guarda che c’era a Perugia. Adesso stiamo godendo…".
Non riuscì a continuare il suo sfogo: venne portato, a forza, dentro la stanza da alcuni compagni in un clima di euforia generale. Tra questi c’era Lilian Thuram, lo stesso calciatore che nel giugno del 2006, all’indomani dello scoppio del terremoto che distrusse la Vecchia Signora, dal ritiro dove la nazionale francese si stava preparando in vista dei mondiali di Germania ad una domanda sulla difficilissima situazione in cui versava il suo club dichiarò: "La Juve chi? Che cos’è la Juventus?".
Lo sa bene Conte "chi è", "cos’era" e "cosa dovrà tornare ad essere": adesso che ne è diventato l’allenatore cercherà di trasmettere ai suoi uomini dalla panchina quello che ha imparato sul campo sotto la guida di alcuni tra i migliori tecnici in circolazione negli ultimi trent’anni. Recentemente, durante il ritiro estivo di Madama a Bardonecchia ha confidato: "Ho lavorato con i più vincenti, tranne Capello. Tra Juve e Nazionale ho avuto Trapattoni, Lippi, Ancelotti e Sacchi". Su di lui Pirlo ha speso, proprio in quel periodo, parole di elogio: "Mi ricorda un po’ Lippi, per la determinazione che ci mette, l’entusiasmo, la voglia di vincere che ha".
Il mister viareggino vinse matematicamente il suo primo scudetto bianconero battendo (proprio) il Parma al "Delle Alpi" il 21 maggio del 1995, realizzando (ancora) quattro reti senza subirne alcuna. Della rosa di quella Juventus facevano parte anche Didier Deschamps (fu suo il secondo goal contro i ducali) e Ciro Ferrara, due tra gli allenatori che hanno preceduto Conte alla guida di Madama dopo il 2006.
All’insegna dei ricordi sarà anche la prossima gara di campionato, quella che vedrà il ritorno del tecnico a Siena dove ha maturato una positiva esperienza nella scorsa stagione conclusasi con la promozione dei toscani in serie A.
Al netto degli avvenimenti del passato ora la concentrazione dell’ambiente torinese si sposterà verso l’impegno di domenica, ripetendo il ritornello del "zitti, pedalare, lavorare" e inseguendo un unico obiettivo: vincere.
L’esclusiva, piacevole ossessione di chi è juventino vero.
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domenica 11 settembre 2011
Welcome home
Tutto ha avuto inizio qui, al “Ticket office” della Juventus a Torino, in Galleria San Federico
I biglietti erano esauriti da giorni, con Massimiliano abbiamo comunque provato ad andare a cercarli al sabato pomeriggio, forti di una “soffiata” che ci aveva lasciato qualche (minima) speranza che la società ne avesse tenuti da parte alcuni da mettere in vendita all’ultimo momentoNe erano rimasti due, e sono finiti nelle nostre mani…
Questo è lo stadio fotografato con il cellulare stamane alle 11.00…
Non appena entrato, ho iniziato a immortalare tutto quello che mi capitava sotto tiro...
L'ingresso nella nostra nuova casa
Una foto scattata dalla postazione dove mi trovavo comodamente seduto.
I tiranti? A noi non hanno dato assolutamente fastidio.
La Juventus? Bella come il suo stadio, almeno per oggi.
Adesso bisogna continuare così: a testa bassa, senza proclami, con la bava alla bocca e la voglia di migliorarsi.
I prossimi giorni inserirò qualche altra foto su Facebook.
Ps: ciao Giovinco
E queste sono alcune delle foto scattate (sempre dalla postazione precedente) da Massimiliano ....
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giovedì 8 settembre 2011
domenica 4 settembre 2011
Dodicesimo uomo
La maglia bianconera n.12 non sarà in campo. La maglia n.12 è quella che indosserà la curva. Da sempre l’incitamento e l’appoggio dei tifosi è fondamentale per una squadra di calcio. E da sempre la presenza dei sostenitori non è importante solo nei 90 minuti della partita, ma durante tutto l’arco della settimana.
E’ indubbio però che, da quando internet mette tutti in comunicazione con tutti, questa presenza si sia amplificata. Non ci limitiamo più a leggere il quotidiano nella metro ed a parlare di calcio durante la pausa caffè con il solito collega, od al bar prendendo l’aperitivo, ormai ci informiamo, ci confrontiamo e ci suggestioniamo l’un l’altro da Belluno a Caltanisetta nel giro di pochi minuti. E silenziosamente alziamo la voce.
Ormai esistono siti che vengono seguiti quotidianamente anche dai dirigenti della Società nonché dai calciatori, i quali addirittura comunicano (anche troppo!) con i tifosi tramite i social network. Ci si carica, ci si influenza tutti i giorni e poi, la domenica, alcune migliaia di tifosi riportano gli umori di una piazza immensa che, negli ultimi tempi, ha avuto ben poche soddisfazioni.
Negli ultimi anni le critiche sono state continue (quasi sempre a ragione!), e credo che il clima di sfiducia non aiuti (e non ha aiutato!) chi deve scendere in campo. In questi giorni le disapprovazioni alla campagna acquisti non sono mancate. Abbiamo critiche per i dirigenti, siamo delusi da chi è rimasto e insoddisfatti di chi è arrivato, qualcuno è scettico sul tecnico (è troppo giovane; ha fatto solo la serie B; è troppo rigido; ha un gioco troppo spregiudicato e con la difesa colabrodo che ci ritroviamo ed il centrocampo sguarnito prenderemo un sacco di goal; etc. etc). Ma da quest’anno giocheremo nel nostro stadio, e mi piacerebbe se fossimo veramente in 12 a scendere in campo.
E mi piacerebbe che questo dodicesimo uomo non fosse quel tipo di giocatore che, per andare a fare goal, tenti di dribblare difensori e portiere avversario senza passare il pallone al proprio compagno solo d’avanti alla porta sguarnita, evitando così di far vincere la propria squadra; oppure che non triangoli più con un collega di reparto perché questo ha appena sbagliato uno stop.
Così come vorrei che, una volta terminato l’incontro, non si limiti sempre ad attaccare con male parole un compagno che ha giocato una brutta partita, ma che sia anche capace, invece, di dargli una pacca sulla spalla per rincuorarlo, o di sedersi accanto a lui per sentirne le ragioni. Vorrei che questo giocatore con la maglia numero 12 si sentisse - e fosse! - parte integrante della squadra e che cercasse in tutti i modi di “fare spogliatoio” così da renderlo coeso, compatto, solidale, forte, affinché la squadra non sia composta da Tizio, Caio e Sempronio ma da “noi”, tutti insieme.
Noi tifosi abbiamo tanti punti di vista differenti, la squadra non è certo la favorita, ma il campionato sta per iniziare, (e pur rimanendo sempre vigili e costruttivamente critici) vogliamo provare a giocarlo uniti?
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Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero
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sabato 3 settembre 2011
Boniperti, Moggi, Nedved e la Juventus
Accadde lo scorso 5 marzo 2011, allo stadio "Olimpico" di Torino. Mentre la Vecchia Signora e il Milan si trovavano ancora sullo 0-0, nel corso dell’anticipo serale valevole per la ventottesima giornata del campionato di serie A, nel cuore della curva Nord comparve un lenzuolo enorme. Sullo stesso, a caratteri cubitali c’era scritta questa frase: "Alla Juventus vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Giampiero Boniperti".
Quanto capitò negli attimi immediatamente successivi fu emozionante: dagli spalti partì un unico, scrosciante, commovente applauso, una delle poche perle da ricordare della scorsa disastrosa stagione in casa bianconera.
Perché nacque l’idea di un atto simile? Il tifoso juventino prova una sensazione simile a quella di chi si trova chiuso in una stanza, al buio più totale, da anni, isolato dal calcio che conta e speranzoso che qualcuno arrivi ad aprire una porta per uscire da un maledetto incubo. Quella frase, in quel particolare momento, altro non fu se non un gesto di disperazione misto a rabbia di chi non ne può più di vivere nell’anonimato del pallone.
Nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata a Mario Gherarducci (per il "Corriere della Sera") risalente ad una decina d’anni fa, Giampiero Boniperti raccontò brevemente la sua vita in bianconero. Iniziò dal fatidico momento dell’abbandono dai campi di gioco, avvenuto a Torino il 10 giugno 1961, quando - dopo aver sconfitto l’Inter nell’ormai memorabile 9-1 - si rivolse al magazziniere della Juventus dicendogli: "Crova, ecco le mie scarpette. Tienile tu, a me non servono più. Oggi con il calcio ho chiuso".
Quelle scarpette, poi, se le fece riconsegnare, per lucidarle e metterle in una vetrina del suo ufficio. Passato dal prato verde alla scrivania continuò a scrivere pagine vincenti della storia di Madama.
Ammise con rammarico di non essere riuscito a portare sotto la Mole Pelé e Maradona e scelse le Juventus più forti tra quelle che costruì dalla cabina di comando: "Ogni squadra è come un figlio, attribuire preferenze è difficile. Tra tutte, ne scelgo comunque un paio. Quella di Boninsegna e Benetti, due guerrieri che ero riuscito a strappare alla concorrenza e quella di Michel Platini, capace di confezionare spettacolo e risultati".
Chiuse con un cenno alla sua proverbiale ritrosia a parlare di se stesso: "Io ho sempre cercato di schivare le interviste poiché sono del parere che chi parla poco è esperto e chi non parla mai è espertissimo".
In quel Juventus-Milan dello scorso 5 marzo, deciso da una "ciofeca" di Gattuso al 23' della ripresa, era grande l’attesa dei tifosi di casa per il possibile ritorno allo stadio di Luciano Moggi, in veste - ovviamente - di spettatore.
Alla fine non si presentò, lasciando le luci della ribalta all’attuale dirigenza. Che, a fine gara, tramite Giuseppe Marotta cercò di calmare le acque agitate di una contestazione ormai irrefrenabile: "Il Milan è superiore, ma in campo non si è vista una gran differenza". Non la pensarono così quei giornalisti che il giorno successivo attribuirono un "senza voto" in pagella ad Abbiati, il portiere dei rossoneri.
Moggi, cresciuto come responsabile del settore giovanile della Juventus alla scuola di Italo Allodi e dello stesso Boniperti, fa parte della storia recente della Vecchia Signora. Nel numero del mese di settembre 2011 di "GS", evoluzione dello storico settimanale "Guerin Sportivo", l’ex direttore generale di Madama ha raccontato al taccuino di Nicola Calzaretta alcuni aneddoti dei suoi trascorsi da indiscusso re del calciomercato, anche quelli vissuti lontani da Torino.
Uno dei più curiosi riguarda l’acquisto di Pavel Nedved avvenuto nel corso dell’estate del 2001, quando il giocatore ceco era in forza alla Lazio ed era solito trasformarsi in infallibile cecchino ogni qualvolta l’avversario di turno si chiamava Juventus. Trovato l’accordo col Real Madrid per la cessione di Zinedine Zidane, a fari spenti ("se la Lazio avesse saputo…mi avrebbe triplicato il prezzo") riuscì ad ottenere anche quello con Cragnotti, l’ex patron dei biancocelesti.
A quel punto per chiudere il cerchio mancava la volontà del calciatore, che non aveva intenzione di lasciare il club capitolino, i suoi tifosi e la sua casa all’Olgiata. Dopo un serrato corteggiamento riuscì a convincerlo a salire su un aereo privato che lo avrebbe portato a Torino, dove sarebbe rimasto il tempo necessario per visionare l’abitazione che la società bianconera gli avrebbe messo a disposizione, farsi un’idea dell’offerta (in generale) per poi prendere una decisione definitiva.
Le parole magiche che fecero breccia tra i suoi dubbi furono due: "in segreto". Aiutato dal prezioso lavoro di Mino Raiola, il procuratore del centrocampista, spettò allo stesso Moggi tirare fuori un colpo da maestro: "Chiamai stampa e tv e comunicai a tutti l’ora e dove sarebbe atterrato l’aereo che portava Nedved a Torino. Non appena scese dalla scaletta, Pavel fu circondato dai giornalisti. Successe un casino, ma ormai non poteva più tornare indietro".
Boniperti, Moggi e Nedved hanno in comune un trascorso pluriennale sotto la stessa bandiera, con l’unico obiettivo dichiarato quando ti chiami Juventus: vincere. In più, li unisce un altro aspetto: erano dei fuoriclasse, dentro e/o fuori dal campo di gioco. E’ a persone di questa caratura che spetta l’onore di scrivere pagine memorabili della storia di un club così importante.
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