La Juventus di Blanc vince sull’Atalanta. Di questi tempi è una notizia. Una frustata di Del Piero ed una zuccata di Felipe Melo consegnano al progetto del francese un’altra pietra su cui fondare le speranze di una rinascita bianconera al momento presente solo nelle sue convinzioni. Una partita cha ha seguito da solo, in piedi, non distante da Buffon nei 45 minuti iniziali (prima che il portiere si travestisse da secondo allenatore e primo tifoso all’ingresso del tunnel che porta agli spogliatoi) e a quell’uscita dello stadio che se intrapresa - una volta per tutte - segnerebbe il primo passo verso la risoluzione dei problemi juventini.
Una squadra stanca, senza forza né benzina nelle gambe, con una formazione disegnata dal medico sportivo più che dall’allenatore-traghettatore. Le scuse di Felipe Melo ai tifosi (dopo il goal segnato) e la risposta (verbale) di Zebina alla contestazione (fisica) le uniche note positive di un’altra domenica più nera che bianca. Un’altra giornata di proteste. Non è stata la prima, e non sarà l’ultima.
Dove il bersaglio non era quello giusto. Anche stavolta.
Troppe forze sprecate nel prendersela con i vari Cannavaro, Zebina e Felipe Melo (appunto); facile ed ovvio tirare in ballo gli allenatori di turno (Ranieri, Ferrara,…); inutile puntare il dito sempre e solo sulla dirigenza (seppur dotata di super-poteri): tutto dipende dalla proprietà.
E’ da lì che devono partire le mosse per la vera rinascita juventina. Che si chieda un maggior impegno economico e affettivo oppure un disimpegno a favore dell’entrata (definitiva) del cugino Andrea: ognuno scelga la propria strada. Chi scrive, crede nel "made in Juventus" (Agnelli). Ma chi può cambiare le cose (in un modo o nell’altro) è solo John Elkann. E’ a lui - e soltanto a lui - che bisogna rivolgersi se si vuole veramente sperare di ottenere risultati concreti.
Al di là delle ovvie recriminazioni e rimostranze verso chi si ritiene non meriti di indossare la maglia bianconera, verso chi disperde milioni di euro in acquisti onerosi e infruttuosi, verso un allenatore che insiste su moduli sbagliati o non ha la giusta grinta per (ri)svegliare una squadra in cerca di autostima, l’importante è non perdere di vista l’obiettivo principale.
Nel mettere in atto un gesto forte come una contestazione, volendo, si può usare anche la classe. Come quella dimostrata dai tifosi bianconeri che domenica, dagli spalti dello stadio Olimpico, hanno manifestato il loro disappunto verso l’attuale gestione con una maglietta bianca nella quale era presente la scritta: "Ho un sogno: Blanc all’Inter!".
Perché indossare la maglia bianconera è una responsabilità non facile da reggere per qualsiasi calciatore, ma prendere posto in una curva che porta il nome e cognome di Scirea rappresenta un impegno non meno gravoso.
"Se dovessi chiederti quale giocatore per te rappresenta la Juventus, uno soltanto, chi sceglieresti?"
Capita, tra ragazzini, quando si parla di calcio giocato e non urlato, di sfottò e non di polemiche, di partita vinta su rigore e non di moviola per vedere se il penalty fosse regolare o meno, di porsi domande simili.
La risposta del sottoscritto è sempre stata questa: "Stile, classe, potenza: in sintesi, Gaetano Scirea".
Di solito un bambino sceglie il proprio idolo tra eroi che stuzzicano la fantasia, gladiatori che accendono l’ardore, attaccanti che fanno schizzare di gioia stadi interi e urlare "goal" a squarciagola. Ma lui era unico. Difficile scegliere se fosse più forte dal punto di vista tecnico o da quello umano: era un numero uno in entrambi i casi.
Quando la voce roca di Sandro Ciotti ne annunciò la tragica fine nel corso di una trasmissione sportiva (il 3 settembre 1989), una fitta al cuore bloccò ogni parola, impedì qualsiasi pensiero e segnò nel tracciato della vita di un piccolo tifoso il primo passo verso la strada per diventare adulto.
Ci sono campioni la cui scomparsa decreta il loro ingresso nel libro della leggenda sportiva: a lui, questo, non era necessario. Era già leggenda. Nel modo più impensabile: con la timidezza, la bontà d’animo, l’eleganza di chi entrava ed usciva dal campo a testa alta. Fiero di aver interpretato lo sport nella sua versione più romantica e pura. Con una classe che - nel ruolo - ha trovato nel tempo pochi simili.
Si era presentato in punta di piedi nel mondo bianconero nel 1974. Proveniva (guarda caso) dall’Atalanta. Se n’è andato in silenzio, senza che nessuno lo potesse salutare. Trionfi e sconfitte accettati sempre con lo stesso stile: quello di chi vedeva nel risultato sportivo, qualunque fosse, il giusto epilogo di una contesa. Gli insuccessi come parte integrante della vita, anche se spiacevoli. Ci sono addii che scuotono le anime di chi rimane, lasciando insegnamenti scolpiti nelle pietre delle esperienze di ognuno di noi.
Scirea se n’è andato troppo presto: in molti non hanno capito la sua lezione. Se così non è stato, l’hanno comunque dimenticata.
La Juve è qualcosa di più di una squadra, non so dire cosa, ma sono orgoglioso di farne parte (Gaetano Scirea)
Una squadra stanca, senza forza né benzina nelle gambe, con una formazione disegnata dal medico sportivo più che dall’allenatore-traghettatore. Le scuse di Felipe Melo ai tifosi (dopo il goal segnato) e la risposta (verbale) di Zebina alla contestazione (fisica) le uniche note positive di un’altra domenica più nera che bianca. Un’altra giornata di proteste. Non è stata la prima, e non sarà l’ultima.
Dove il bersaglio non era quello giusto. Anche stavolta.
Troppe forze sprecate nel prendersela con i vari Cannavaro, Zebina e Felipe Melo (appunto); facile ed ovvio tirare in ballo gli allenatori di turno (Ranieri, Ferrara,…); inutile puntare il dito sempre e solo sulla dirigenza (seppur dotata di super-poteri): tutto dipende dalla proprietà.
E’ da lì che devono partire le mosse per la vera rinascita juventina. Che si chieda un maggior impegno economico e affettivo oppure un disimpegno a favore dell’entrata (definitiva) del cugino Andrea: ognuno scelga la propria strada. Chi scrive, crede nel "made in Juventus" (Agnelli). Ma chi può cambiare le cose (in un modo o nell’altro) è solo John Elkann. E’ a lui - e soltanto a lui - che bisogna rivolgersi se si vuole veramente sperare di ottenere risultati concreti.
Al di là delle ovvie recriminazioni e rimostranze verso chi si ritiene non meriti di indossare la maglia bianconera, verso chi disperde milioni di euro in acquisti onerosi e infruttuosi, verso un allenatore che insiste su moduli sbagliati o non ha la giusta grinta per (ri)svegliare una squadra in cerca di autostima, l’importante è non perdere di vista l’obiettivo principale.
Nel mettere in atto un gesto forte come una contestazione, volendo, si può usare anche la classe. Come quella dimostrata dai tifosi bianconeri che domenica, dagli spalti dello stadio Olimpico, hanno manifestato il loro disappunto verso l’attuale gestione con una maglietta bianca nella quale era presente la scritta: "Ho un sogno: Blanc all’Inter!".
Perché indossare la maglia bianconera è una responsabilità non facile da reggere per qualsiasi calciatore, ma prendere posto in una curva che porta il nome e cognome di Scirea rappresenta un impegno non meno gravoso.
"Se dovessi chiederti quale giocatore per te rappresenta la Juventus, uno soltanto, chi sceglieresti?"
Capita, tra ragazzini, quando si parla di calcio giocato e non urlato, di sfottò e non di polemiche, di partita vinta su rigore e non di moviola per vedere se il penalty fosse regolare o meno, di porsi domande simili.
La risposta del sottoscritto è sempre stata questa: "Stile, classe, potenza: in sintesi, Gaetano Scirea".
Di solito un bambino sceglie il proprio idolo tra eroi che stuzzicano la fantasia, gladiatori che accendono l’ardore, attaccanti che fanno schizzare di gioia stadi interi e urlare "goal" a squarciagola. Ma lui era unico. Difficile scegliere se fosse più forte dal punto di vista tecnico o da quello umano: era un numero uno in entrambi i casi.
Quando la voce roca di Sandro Ciotti ne annunciò la tragica fine nel corso di una trasmissione sportiva (il 3 settembre 1989), una fitta al cuore bloccò ogni parola, impedì qualsiasi pensiero e segnò nel tracciato della vita di un piccolo tifoso il primo passo verso la strada per diventare adulto.
Ci sono campioni la cui scomparsa decreta il loro ingresso nel libro della leggenda sportiva: a lui, questo, non era necessario. Era già leggenda. Nel modo più impensabile: con la timidezza, la bontà d’animo, l’eleganza di chi entrava ed usciva dal campo a testa alta. Fiero di aver interpretato lo sport nella sua versione più romantica e pura. Con una classe che - nel ruolo - ha trovato nel tempo pochi simili.
Si era presentato in punta di piedi nel mondo bianconero nel 1974. Proveniva (guarda caso) dall’Atalanta. Se n’è andato in silenzio, senza che nessuno lo potesse salutare. Trionfi e sconfitte accettati sempre con lo stesso stile: quello di chi vedeva nel risultato sportivo, qualunque fosse, il giusto epilogo di una contesa. Gli insuccessi come parte integrante della vita, anche se spiacevoli. Ci sono addii che scuotono le anime di chi rimane, lasciando insegnamenti scolpiti nelle pietre delle esperienze di ognuno di noi.
Scirea se n’è andato troppo presto: in molti non hanno capito la sua lezione. Se così non è stato, l’hanno comunque dimenticata.
La Juve è qualcosa di più di una squadra, non so dire cosa, ma sono orgoglioso di farne parte (Gaetano Scirea)
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Di seguito, il mio video su Gaetano Scirea