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venerdì 4 febbraio 2011

Zoff, compleanno con vittoria


Dedico questo mio articolo ad Antonio, e al suo blog Parata di Zoff

Per Dino Zoff quel Cagliari-Juventus in programma allo stadio "Sant'Elia" il 28 febbraio 1982 non poteva rappresentare una gara qualsiasi, visto che si trattava del giorno in cui avrebbe festeggiato il suo quarantesimo compleanno. "Non so cosa organizzeranno in campo per me", disse, "magari prima mi faranno una festa con i fiori, poi la festa con i gol. Otto anni fa giocai a Cagliari dopo tanti brindisi, a Torino mi era nato il figlio, l'antivigilia, perdemmo per due a uno, un tiro di Riva su punizione mi piegò le mani".
Alcuni bianconeri, tra i quali lo stesso portiere, avevano preso parte all'amichevole tra Italia e Francia disputata il mercoledì precedente la trasferta in Sardegna, una gara persa dagli azzurri per 2-0 (le reti furono realizzate da Platini e Bravo). Il conto alla rovescia per il Mondiale di calcio che si sarebbe disputato in Spagna era già iniziato, così come le critiche per una Nazionale troppo poco convincente per poter ambire ad una vittoria finale. Zoff le allontanò con decisione: "Noi non siamo quelli di Parigi, noi quando siamo veri, voglio dire. Adesso la nostra reazione sarà positiva, faremo gruppo, faremo quadrato, faremo famiglia con Bearzot, è accaduto anche nel passato. Prima dell'Argentina, nel 1978, ci furono gli stessi brutti risultati con lo stesso pessimismo e la stessa polemica".

Paolo Carosi, tecnico del Cagliari, per l’occasione dovette fare a meno di Selvaggi e Marchetti, veri e propri punti di forza dell’attacco e del centrocampo degli isolani; di contro la Juventus ovviò all’assenza dello squalificato Gentile schierando al suo posto Osti. Sergio Brio annullò sin dai primi minuti dell’incontro Piras, il terminale offensivo del gioco dei padroni di casa, mentre Furino - sulla linea mediana del campo - sopperì con la propria furia agonistica alla mancanza di freschezza atletica di alcuni compagni di squadra, specialmente quelli reduci dalla gara infrasettimanale con la maglia della Nazionale.
Il Cagliari avvertì subito di trovarsi di fronte ad una Vecchia Signora opaca e svogliata, reduce da tre vittorie consecutive in campionato e forse distratta dall’imminente derby con il Torino previsto per la domenica successiva. La aggredì, sospinto dal pubblico locale e guidato in campo da un ottimo Brugnera, ma nel momento di maggior pressione venne punita dagli ospiti al 27’ della prima frazione di gioco: da una punizione calciata dalla fascia sinistra da Cabrini scaturì un cross diretto verso l’area di rigore dei sardi, Virdis lasciò scorrere la sfera che finì a Tardelli pronto a battere Corti con un potente colpo di testa, con il pallone che passava sotto le gambe del portiere avversario.
I padroni di casa si riversarono nella metà campo bianconera nell’intento di arrivare immediatamente al pareggio. Con il trascorrere dei minuti, però, apparve sempre più evidente l’inconsistenza dei loro attacchi, tanto che Zoff non dovette eseguire un solo intervento in tutto l’arco della partita (“Mi hanno regalato — disse a fine gara — una giornata di riposo, mi sembra il minimo che potessero fare per un vecchietto come me, adesso spero che continuino così”). L’unico giocatore che provò ad impensierirlo seriamente fu Osellame, il centrocampista del Cagliari che al 10’ della ripresa provò ad imitare Tardelli, compiendo però l’errore di colpire con troppa forza la sfera che, una volta toccato il terreno di gioco, si impennò sorvolando la porta bianconera, con lo stesso Zoff che si limitava ad osservarne la traiettoria. E così, mentre dall’altra parte Galderisi e Virdis non riuscivano ad essere incisivi nelle loro sortite offensive e Marocchino continuava ad andare a corrente alternata, sempre Osellame - quando ormai si era arrivati a cinque minuti dalla fine della partita - con un potente rasoterra colpì il palo esterno, senza però preoccupare eccessivamente il numero uno bianconero attento nel seguire la direzione del tiro.

Terminato l’incontro, mentre i giocatori del Cagliari reclamavano nelle consuete interviste post gara l’assenza di fortuna a loro favore (alla quale addebitavano il mancato pareggio), un Furino ancora 'carico' di adrenalina rispose a tono: “Si vince, si prendono i due punti e si mettono in saccoccia. Non mi sembra che il Cagliari meritasse il pareggio. Quali occasioni da gol ha avuto? Quella di Osellame non conta perché c'era un fallo su Cabrini. Fortunati? La fortuna aiuta i forti, no?
Dopo aver sgomitato con la Roma ad inizio campionato, la Juventus si rese protagonista di un avvincente testa a testa con la Fiorentina: la situazione di equilibrio si ruppe all’ultima giornata, allorquando i viola pareggiarono proprio al 'Sant’Elia' per 0-0 e William 'Liam' Brady, su calcio di rigore, regalò a Catanzaro lo scudetto numero venti alla Vecchia Signora. Quello rappresentò l’ultimo dono di un gentiluomo del pallone prima che fosse costretto a lasciare Torino per far posto a Michel Platini e Zbigniew Boniek.
Nel giorno del suo quarantesimo compleanno a Zoff vennero elargite belle parole da tutto il mondo calcistico. Gilmar, portiere brasiliano, dichiarò: “Zoff tra i più grandi del mondo, se non il più grande, anche per come ha reagito alle critiche dopo il 'Mundial' in Argentina”. Il numero uno bianconero, lusingato per il giudizio, raccolse i complimenti e 'rilanciò': “Questo è niente, vedrete come reagirò alle critiche dopo il 'Mundial' in Spagna”.
Quel campionato che ancora non era iniziato, ma del quale aveva già previsto le roventi polemiche che si sarebbero scatenate.
E, forse, la vittoria finale dell’Italia.

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sabato 8 gennaio 2011

José Altafini e lo scudetto strappato dalle mani del Napoli

Al termine dell’incontro disputato allo stadio “San Paolo” di Napoli il 15 dicembre 1974 tra i padroni di casa e la Juventus, vinto poi dai bianconeri con il risultato tennistico di 6-2, José Altafini rilasciò questa dichiarazione: “Il primo goal l'ho segnato io. Il secondo è stato realizzato da Damiani su rigore, dopo che era stato commesso il fallo ai miei danni. Il terzo a Damiani l'ho offerto io. Il quarto, a Bettega l'ho offerto io. Il quinto a Causio l'ho offerto io ed il sesto è nato in seguito a una punizione per un fallo che era stato commesso ai miei danni. Che cosa potevo pretendere di più?”.
L’attaccante, di origini brasiliane poi naturalizzato italiano, non poteva sapere che qualche mese dopo, in occasione della gara del girone di ritorno giocata dalle due formazioni a Torino il 6 aprile 1975, con una rete realizzata a pochi minuti dal termine della sfida sarebbe riuscito addirittura a spegnere i sogni di scudetto dei rivali, nonché ex compagni di squadra (prima di approdare in bianconero era rimasto all’ombra del Vesuvio per sette stagioni). Proprio a questo proposito, nei giorni immediatamente successivi a quel match comparve su un cancello di accesso del “San Paolo” l’ormai famosa scritta “José core ‘ngrato”.
Altafini, quindi, assoluto protagonista di una partita nella quale gli uomini dell’allora tecnico Carlo Parola sfruttarono alla perfezione l’allegra applicazione del fuorigioco da parte dei campani. Il presidente del Napoli Corrado Ferlaino, un mese prima della gara, in risposta alla domanda di un giornalista sull’operato di Luis Vinicio, aveva detto: “Tutte le squadre da lui allenate in passato cominciavano bene, poi all'improvviso si fermavano. Non vorrei che stavolta si ripetesse col Napoli”.
Roberto Bettega, spostato qualche metro indietro rispetto alla sua abituale posizione di attaccante, lasciò allo stesso Altafini e a “Flipper” Damiani il compito di infierire sulla malcapitata difesa partenopea, prodigandosi in assist e giocate sopraffine per tutta la durata del match. A Fabio Capello, Furino e Causio venne demandato il compito di proteggere le retrovie bianconere, impedendo sul nascere le controffensive del Napoli all'altezza della linea mediana del campo.

Entrambe le formazioni erano reduci da impegni infrasettimanali in coppa UEFA, dato che il mercoledì precedente la partita si erano svolti gli incontri di ritorno degli ottavi di finale della manifestazione europea. I bianconeri erano riusciti a superare il turno ai danni dell'Ajax, mentre i campani erano stati eliminati ad opera dei cechi del Banik Ostrava. Nonostante la gara di andata si fosse conclusa con una sconfitta interna per 2-0, che aveva compromesso in maniera evidente la qualificazione ai quarti, Vinicio aveva deciso comunque di schierare quasi tutti i titolari a sua disposizione, tranne l’attaccante Clerici. L’unico che poi, la domenica, sarebbe riuscito ad opporre una valida resistenza allo strapotere juventino, realizzando le due reti per il Napoli (ad incontro ormai deciso), nel complesso di una prestazione macchiata da un rigore sbagliato, concesso dall’arbitro Agnolin dopo che lo stesso aveva ravvisato un tocco di braccio del bianconero Cuccureddu su un tiro scoccato da Esposito.
Per il resto, si trattò di un predominio juventino. Dichiarò Capello, dopo il match del 'San Paolo': “E' il nostro momento di grazia. Non abbiamo risentito delle fatiche di Amsterdam. Stiamo giocando tutti al nostro posto, tutti nel modo migliore. Si predicava tanto il gioco olandese e mi pare che, in quanto a schemi auspicati per le squadre italiane, noi siamo i primi”.
Assente il laterale sinistro La Palma, il tecnico dei partenopei decise di sostituirlo con Landini senza modificare l’assetto difensivo, imperniato su una costante ricerca della tattica del fuorigioco. L’errata applicazione dei corretti movimenti da parte dello stesso Landini fece sì che le offensive bianconere non venissero quasi mai interrotte dalla bandierina alzata del guardalinee. Per il Napoli si trattò della prima sconfitta stagionale dopo sei pareggi e tre sole vittorie nel corso delle prime nove gare di campionato. Il pubblico del 'San Paolo' nel corso della seconda frazione di gioco (sul risultato di 3-0 a favore di Madama) iniziò un fitto lancio di oggetti in campo: tavole di legno, bottiglie di vetro e altro ancora. Furino, colpito duro da un avversario e costretto a lasciare il posto a Viola, ebbe difficoltà a rientrare negli spogliatoi. Proprio una bottiglietta lanciata dal settore distinti colpì in testa uno dei due guardalinee, Sante Zamperi, quando mancavano ancora due minuti alla fine delle ostilità. Medicato dai sanitari del Napoli provò a riprendere il suo ruolo, con Agnolin che invertì la posizione dei due assistenti di gara nel tentativo di portarla a termine. Ciò non fu possibile, anzi: le intemperanze dei sostenitori aumentarono. Alla fine l’arbitro decise di concludere anticipatamente l’incontro. Fuori dallo stadio la protesta sfociò in ulteriori atti di vandalismo, con la polizia che faticava a placare gli animi bollenti dei tifosi locali. In merito a questi episodi Fabio Capello disse: “Io proprio non li capisco questi atti della folla. Stavamo vincendo largamente, dimostrando di meritare il successo. Che cosa volevano di più?

Boniperti si prodigò in elogi per Bobby-gol, nell’occasione orfano del compagno di reparto Pietro Anastasi: “Bettega è magnifico, si trova alla perfezione in quel ruolo. Però rimane utile anche come punta; anzi, per noi rimane una punta e basti vedere come ha fatto il suo gol. Una staffilata prepotente”.
A seguito di questa vittoria i bianconeri si trovarono a guidare la classifica con tre punti di vantaggio (all’epoca ne venivano assegnati due per ogni vittoria) su una coppia di inseguitrici formata da Torino e Lazio, detentrice dello scudetto. Alla fine del campionato per la Vecchia Signora arrivò il sedicesimo titolo.
Carlo Parola si prese una personale rivincita dopo la sfortunata esperienza alla guida della Juventus nella stagione 1961-62, quella passata alla storia come l’annata dei record negativi di Madama.
Prima che a Torino arrivasse Jean-Claude Blanc, pronto con il suo “progetto” a peggiorarli ad uno ad uno.

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sabato 20 marzo 2010

Noi siamo la Juventus. Voi chi siete?

Un foglio bianco, vuoto, da riempire. Le idee che partono dalla testa, ma vengono stravolte quando passano attraverso il cuore. Che piange lacrime di rabbia e disegna uno dei soliti articoli, pieni di livore, voglia di contestazione, richieste di aiuto verso chi non vuole (o non può ancora) ascoltare.
I biglietti per la prossima partita della Vecchia Signora, a Genova, accanto al computer. La voglia di strapparli, gettarli dalla finestra e farla finita. Basta calcio. Basta Juventus. Quella non c’è più. E’ durata 109 anni. Dal 2006 è diventata la "nuova Inter". Nella sua versione da "perdente di successo".

La corsa per rientrare dal lavoro, tra treni, ritardi, traffico ed altri impegni per assistere all’ennesima figuraccia. Unica differenza col passato: stavolta si giocava alle 19.00. Questa mancava. Per le altre ore, compreso quelle al sabato durate la permanenza in serie B, avevamo già dato. Adesso i ceffoni vengono presi anche dall’allenatore che "preferiva Pistone a Roberto Carlos" (Mr. Roy Hodgson) e dal suo Fulham. Da società di calcio a organo di beneficienza calcistica: chiunque può passare, prendere i tre punti (o buttarci fuori da una coppa) e andarsene. Anche senza dire nulla. L’importante, però, è salutarli sempre con il sorriso sulle labbra.

Una società senza cuore, una dirigenza senz’anima, una squadra composta da un gruppo di ragazzini che cercano l’autostima prima della vittoria. Non si possono contestare: anche dagli spalti bisogna tenere un atteggiamento consono al nuovo stile. Se qualcuno prova a fischiarli, si viene mandati a quel paese. Se si accenna a qualche critica, ti viene fatto il dito medio.

Dalla grinta di Furino alle corse rabbiose di Davids, dai baffi di Benetti agli "schizzi" di Tardelli, dai tackle di Deschamps alla zazzera bionda di Nedved, da "Combi-Rosetta-Caligaris" a "Zoff-Gentile-Cabrini", da Boniperti a Scirea, da Sivori a Platini e Zidane, da Trapattoni a Lippi e Capello.
Un foglio bianco che si sta riempiendo. Il cuore che smette di scaricare rabbia e inizia a comporre odi di epiche imprese, di eroi calcistici passati alla storia per vittorie leggendarie. La lista è lunga, una chiavetta USB non basterebbe a conservarle tutte. Le consonanti e le vocali diventano note, la tastiera un pianoforte, per riproporre una musica diventata tradizione. Ma rimasta tale.

Negli sguardi dei giocatori juventini lo sconforto, il non riuscire a fare qualcosa di positivo. La paura di un vero contrasto, la voglia di prendere il pallone (e di non lasciarlo più) rimasta solo nelle intenzioni.
Fa male, se contrapposto allo spirito di chi indossava una maglietta che una volta era un’armatura, quando si aspettava che l’ultimo degli avversari entrasse in campo per chiudere la porta a chiave. E buttarla via. Solo allora la corrida poteva avere inizio. Già dai loro occhi si capiva che sarebbe stata dura: erano la vittima predestinata. Una sola frase: "noi siamo la Juventus. Voi chi siete?". Il pallone tra i piedi come unico obiettivo. Pur di averlo, si prendeva tutto quello che gravitava in zona: gambe, caviglie, stinchi. Le tibie degli avversari, una volta finito di "sbranarli", usate come filo interdentale.

Il silenzio prima delle partite come strumento per conservare la rabbia da sfogare in campo. Leoni, quelli di una volta, contrapposti ai gattini che oggi fanno le fusa ai tifosi. Proclami che nascondono insicurezze, figlie di una proprietà che immagina bastino 50 milioni di euro ogni estate da spendere per zittire quei tifosi nostalgici di una Juventus vincente e antipatica. Una dirigenza senza capo né coda, scelte di mercato insensate figlie di progetti immaginari e condite da consulenze inappropriate. Allenatori su cui scaricare le colpe di fallimenti continui.

Tifosi, milioni di tifosi, che devono tenere duro. Perché finirà: si tratta solo di certificarne la data.
La Vecchia Signora come amante, fidanzata, moglie, confidente, sorella, migliore amica, ragione di vita. Emozioni continue. Sofferenze, anche quando si vince. Momenti della vita di ognuno scanditi da partite, giocatori che vengono visti nascere e poi passare. A volte: a guardare gli incontri dall’ultimo anello, su in cielo. Accanto all’Avvocato. Che non ne dimenticava uno.

Un esercito di sostenitori confuso, guidato da comandanti che non hanno la più pallida idea di dove si trovi la porta per uscire dalla caserma. E non sanno da che parte leggere le mappe. Troppo brutto per essere vero. Infatti: non è vero. Continuerà così sino a quando le persone che lo guidano non cambieranno. E non saranno un Ribery o un Fabregas di turno a modificare lo stato delle cose. Messaggio per gli illusi: chi vuol capire, capisca.

Il foglio bianco è pieno di ricordi, messaggi, siluri, amare constatazioni.
E anche amore. Di un semplice soldato di frontiera, orgoglioso di essere juventino.
Il computer si spegne, l’articolo è stato ormai inserito. I biglietti finiscono nel portafoglio.
Vìa, verso lo stadio Luigi Ferraris. Avanti, incontro alla prossima umiliazione. A testa alta.
Urlando "noi siamo la Juventus. Voi chi siete?".
Rivolto, naturalmente, a chi - attualmente - dirige la truppa bianconera. Prima di mettere gli avversari nel mirino, si guardino i veri nemici. A quelli che sono in casa. Dopo, si penserà ad altro.
Come a far ripartire una storia ferma dal 2006.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Questa volta, a differenza delle altre, anche su “Tutto Juve.com” ho inserito un video creato da me, lo scorso 21 giugno 2009. Ringrazio la redazione del sito per avermi concesso la possibilità di farlo. Il titolo, manco a dirlo, è “Noi siamo la Juventus”. Spero che stavolta venga visto anche dalle persone che devono fare i bagagli e andarsene. Buona visione

giovedì 4 marzo 2010

Brady, Baggio, Del Piero e la rivalità con i viola

"Contro il Palermo sarà dura... La società mi ha chiesto di portare la squadra nei primi quattro posti". Queste sono soltanto alcune delle dichiarazioni che Alberto Zaccheroni ha rilasciato nella giornata di sabato scorso. Prima, cioè, dell’incontro con il Palermo.
L’input della società, facilmente intuibile leggendo tra le righe, è quello di "arrivare almeno quarti". Non è più tempo di parlare di progetti, di 5 anni indispensabili (o necessari) per tornare ai livelli dell’ultima "vera" Juventus… Almeno il quarto posto in classifica a fine anno: con quello, Zaccheroni avrà salvato il salvabile. Non sarà una eventuale Europa League alzata ad Amburgo a cambiare le carte in tavola. Quella nata dalle ceneri di Calciopoli non è (ancora) la Juventus: si è passati da una società che si autofinanziava e vinceva, ad una che finanzia (molto) ma non vince; dalla competenza all’inesperienza; dalle trovate geniali agli errori più banali; dagli acquisti a sorpresa e tenuti nascosti sino all’ultimo, agli interessamenti e alle trattative sbandierate ai quattro venti. Ma queste cose sono evidenti da tempo: qualsiasi risultato fosse scaturito dall’incontro con i rosanero, non avrebbe comunque modificato lo stato delle cose.
Si è persa l’occasione per staccare il Palermo in classifica, approfittare dei passi falsi di Genoa, Sampdoria e Cagliari e del pareggio in extremis del Napoli. Per i più ottimisti: anche di recuperare due punti sulla Roma, portandosi a meno 7. Ora, invece, arriva il difficile: nella situazione complicata di dover sbagliare il meno possibile, i bianconeri devono affrontare la delicata trasferta di Firenze.

Fiorentina e Juventus: due squadre divise da una rivalità storica, una delle tante che accompagnano la leggenda bianconera. Naturale, per chi è forte, potente e vincente: altro che simpatia.
Negli ultimi trent’anni sono state diverse le occasioni, cariche di tensioni, nelle quali le strade delle due società si sono incrociate. Le polemiche, di conseguenza, non sono mai mancate. Soltanto in una di queste, però, sono arrivate a contendersi uno scudetto sino alla fine. Capitò nella stagione 1981-82.

In quell’annata la Juventus vinse al fotofinish un torneo avvincente, allora a 16 squadre. Quarantasei punti a quarantacinque, quando la vittoria ne assegnava due (e non tre) come adesso. In panchina Trapattoni, mago della corsa a tappe: in casa si costruiva gli scudetti, per difenderli poi in trasferta. Era il torneo delle sei vittorie bianconere consecutive a inizio campionato, che sembravano il prologo di una passerella trionfale. Invece preannunciarono un campionato più difficile del previsto. Si infortunò Bettega (addio mondiali in Spagna). Era la Juventus dei Zoff-Gentile-Cabrini, della classe umana e calcistica di Scirea, del cuore di Furino (e Bonini), degli "schizzi"di Tardelli, dei goals di Virdis e Galderisi. Una macchina capace di segnare 48 goals in 30 partite, subendone solo 14. Era la stagione in cui - per la prima volta - comparvero sulle maglie i nomi degli sponsor, della seconda retrocessione del Milan in serie B (stavolta per demeriti sportivi), del grave infortunio di Giancarlo Antognoni (a causa del durissimo scontro con il portiere genoano Martina) e del rientro di Paolo Rossi dopo la squalifica dello scandalo del calcio scommesse.
Il 16 maggio del 1982 le due contendenti si presentarono a pari punti nell’ultima giornata di campionato: 44 a testa. Il menù del giorno diceva: Cagliari-Fiorentina, Catanzaro-Juventus. Il delitto perfetto avvenne nella seconda frazione di gioco, dove ai viola venne annullato un goal di Graziani, mentre - a Catanzaro - l’arbitro Pieri ne assegnò una per la Juventus. Goal, gioco, set, match: scudetto cucito sulle maglie bianconere, seconda stella. Polemiche a volontà a Firenze: in testa ai contestatori, manco a dirlo, Franco Zeffirelli (querelato da Boniperti per la famosa frase: "Ho visto Boniperti mangiare noccioline in tribuna, sembrava un mafioso americano" ). Dietro a quella Juve, c’era anche l’avvocato Agnelli: "Zeffirelli? È un grande regista. Ma quando parla di calcio non lo sto nemmeno a sentire".

L’ultimo marcatore bianconero di quel campionato fu William "Liam" Brady. Giocò a Torino per due stagioni (1980-81 e 1981-82, scudetti in entrambi i casi). Nonostante sapesse di dover abbandonare la Juventus per far posto a Michel Platini (che con Boniek andò a formare la coppia dei due stranieri "acquistabili" all’epoca per squadra), si fece carico dell’onere (prima ancora che onore) di calciare il rigore decisivo a Catanzaro. Cabrini o Paolo Rossi: avrebbe potuto tirare uno dei due. Invece andò lui. Con il rischio di sbagliare e non poter più rimediare all’errore. Un signore: dentro e fuori dal campo.

La (doppia) finale della coppa UEFA del 1990 vinta dai bianconeri (il ritorno si giocò nel campo neutro di Avellino); il (contestatissimo) passaggio di Roberto Baggio dalla Fiorentina alla Juventus nell’estate immediatamente successiva; il ritorno del Divin Codino in Toscana e il famoso rifiuto a calciare il rigore contro la sua ex-squadra il 6 aprile del 1991; la vittoria dei viola a Firenze con goal di Batistuta che di testa approfittò di una incomprensione tra Peruzzi e Tudor nel dicembre del 1998; la vittoria dei bianconeri in trasferta nel primo anno di Lippi per 4-1 (lì, Baggio, il rigore lo tirò), nel giorno dell’addio dal campo ad Andrea Fortunato; la vittoria della Juventus a Firenze del 4 dicembre del 2005, con Camoranesi che esultò dalla bandierina del calcio d’angolo, prendendola e utilizzandola come fosse una chitarra, dopo aver realizzato la rete decisiva…
Nel bel mezzo, a Torino (nell’ormai ex-stadio Delle Alpi), il favoloso goal vincente di Del Piero il 4 dicembre del 1994. In un incontro dove Vialli si caricò sulle spalle la squadra, trasmettendo la sua grinta da leader ai compagni per una incredibile rimonta. Del Piero aggiunse il tocco di classe finale.
Sono trascorsi (quasi) 16 anni, e Alessandro è ancora lì.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com