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sabato 9 ottobre 2010

La Juve da Eugenio Canfari ad Andrea Agnelli


"Chiamatemi Andrea".
Così l’ultimo degli Agnelli, il nuovo Presidente della Juventus, si era presentato ai tifosi bianconeri a Pinzolo, sede del ritiro estivo della squadra. Era il 7 luglio scorso.
Edoardo, Giovanni, Umberto (il padre) e poi lui, Andrea, pronto a raccogliere la pesante eredità in nome di un amore che unisce il cognome della sua famiglia alla storia della Vecchia Signora.

Un legame che dura da 87 anni, da riannodare e rinforzare. Anche se questa volta non si è trattato di "continuare", ma di "ripartire", di costruire da zero una società distrutta nei suoi ultimi quattro anni di vita.
23 presidenti e 2 comitati di gestione: questi sono freddi i numeri che riepilogano il susseguirsi dei cambi nella poltrona più importante dei massimi vertici del club.

Ma guardando "oltre", c’è molto di più: senso di appartenenza, classe, stile.
In occasione della nascita della società Eugenio Canfari, uno dei suoi fondatori e primo Presidente, pronunciò queste (famose) parole: "Chi indossa la nostra divisa, le rimarrà fedele malgrado tutto e la terrà come prezioso ricordo".

Da Eugenio al fratello Enrico, passando per Dick, Olivetti, Dusio, Catella, Boniperti, sino ad arrivare agli ultimi tre: Franzo Grande Stevens, Giovanni Cobolli Gigli, Jean Claude Blanc.
A volte basta elencare pochi nomi per spiegare molte cose.

Ai tifosi che a Pinzolo gli urlavano "tu sei la Juve", Andrea Agnelli rispose "la Juve siete voi".
A loro aveva già scritto una lettera, pubblicata nel sito internet del club il 18 giugno. Il metodo più diretto e moderno per arrivare dritto all’obiettivo. E negli angoli non ancora setacciati dal web, ci pensarono la televisione e - il giorno immediatamente successivo - la carta stampata a diffonderne i contenuti.
Un segnale forte e chiaro. Destinato non soltanto a chi ama i colori bianconeri.

Alla richiesta "fatti restituire i due scudetti che sono nostri", sorrise, continuando a firmare autografi. Questo rappresenta il punto più delicato del nuovo corso bianconero. Qualcosa si è mosso, con lo stesso Presidente che si è esposto - in prima persona - sempre di più col trascorrere del tempo. Adesso si attendono notizie sulla revoca dello scudetto assegnato a tavolino all’Inter, per poi proseguire il cammino. Nel solco tracciato dalle parole presenti in alcuni punti della seconda lettera da lui scritta ai tifosi (1° ottobre).

"Compraci Krasic o Dzeko".
Il serbo, alla fine è arrivato. Per il bosniaco non è ancora detta l’ultima parola.
"Se sto bene sono più forte. Non sono secondo a nessuno, il modulo di Del Neri favorisce gli attaccanti d’area come me". Così parlò Amauri il giorno stesso, caricato dalla visita del massimo esponente della società e dalle notizie di mercato che davano come ancora lontani alcuni tra gli obiettivi che la Juventus si stava prefissando per il reparto offensivo (lo stesso Dzeko, Pazzini, Benzema e Gilardino). C’era ancora più di un mese a disposizione per provare a comprare qualche pezzo da novanta il quel settore: visto l’ostracismo di Dieter Hoeness (il direttore sportivo del Wolfsburg) si decise - alla fine - di puntare su Quagliarella, lasciando andare via Trezeguet e rimandando l’investimento oneroso nelle prossime sessioni di calciomercato.

Dove la squadra potrebbe essere ritoccata in più zone del campo. I segnali positivi visti in questo primo scorcio di stagione devono essere presi come un buon auspicio per il futuro. Ma c’è ancora da lavorare, tanto, per tornare ad essere "quelli di prima". Seguendo la strada tracciata da Andrea Agnelli e dal suo staff.
Proprio come disse (ancora) Eugenio Canfari: "L'anima juventina è un complesso modo di sentire, un impasto di sentimenti, di educazione, di bohemien, di allegria e di affetto, di fede alla nostra volontà di esistere e continuamente migliorare".
Appunto.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 9 settembre 2010

La Juve tra vecchi progetti e nuovi rinnovamenti

"Abbiamo riportato nei tempi previsti la squadra alla massima competitività, nazionale e internazionale. In questi ultimi anni solo un'altra squadra ha fatto meglio di noi, ma con una logica economica diversa".
Era il 14 febbraio 2010, il giorno dedicato agli innamorati, quando Jean Claude Blanc pronunciò queste parole.

A (ri)leggerle ora, a distanza di mesi, verrebbe da pensare ad una Juventus finalmente alla conclusione di quel percorso di rinascita iniziato dalle ceneri del terremoto del 2006.
Invece si stava parlando di una squadra eliminata di fatto dalla Champions League, retrocessa nell’Europa League dove avrebbe ancora dovuto giocare l’andata dei sedicesimi di finale contro l’Ajax e che era riuscita ad ottenere 8 punti nelle ultime quattro giornate in serie A, dopo la recente vittoria in casa del Bologna (tanta roba, visto quello che sarebbe accaduto da quel momento in avanti).

Ciro Ferrara era stato esonerato da pochi giorni, nonostante le dichiarazioni dello stesso Blanc del 1° dicembre 2009 dopo la sconfitta esterna a Cagliari ("Ferrara non rischia nulla, sta lavorando bene e ha tutta la nostra fiducia. L'esito delle due prossime partite non cambierà nulla, andiamo avanti con il nostro progetto. Ciro ha grandi capacità ed è un gran lavoratore, ha con lui uno staff di qualità").

Al termine dello scorso campionato altre cinque squadre, assieme all’Inter, fecero meglio della Juventus.

Ci voleva pazienza, per vedere finalmente compiuta l’idea di calcio (in)sostenibile del francese.
La stessa parola usata più volte da Claudio Ranieri ai tempi della sua permanenza in bianconero. Come, ad esempio, nella dichiarazione che rilasciò in occasione del pareggio (0-0) ottenuto a Genova contro la Sampdoria nell’anticipo della 5° giornata del campionato 2008-09: "Ma se raccontassi che siamo venuti a Genova senza pensare ai tre punti non direi la verità. È andata male, pazienza, sorrideremo un'altra volta". Nella partita diventata famosa per altre affermazioni: "Non ho messo Giovinco perché avevo paura della spinta offensiva di Pieri".

Oppure in quelle pronunciate dallo stesso allenatore dopo la sconfitta interna contro la Lazio in coppa Italia, nel corso di quella stagione. Una disfatta che determinò l’uscita dei bianconeri dalla competizione: "Volevamo andare in finale, non ci siamo riusciti,...Pazienza". A cui seguirono altre frasi diventate (anch’esse) celebri: "I nostri tifosi sono il nostro popolo e il popolo è sovrano".

Non si possono imputare al nuovo Presidente Andrea Agnelli e alla sua dirigenza (tutta meno uno…) gli errori del recente passato bianconero. Su quelli, e "con" quelli, hanno dovuto lavorare in questi primi mesi. Si attendeva il termine del calciomercato estivo per stilare un bilancio dell’operato in quella sede: oltre all’unanime delusione per il mancato arrivo di (almeno) un campione sotto la Mole, la tifoseria si è "divisa" tra pessimisti, ottimisti e realisti. Consci, in larghissima maggioranza, che lo scudetto, per quest’anno, è "roba d’altri".

E’ sparita, o quasi, la parola "progetto", sostituita dal termine "rinnovamento". Che, come dice Giuseppe Marotta, "è un processo più lento rispetto a una rivoluzione". L’unico ritornello, che non cambia, è che "ci vuole pazienza".
Quella che viene chiesta ai tifosi, nuovamente. E che, ad oggi, hanno avuto in dosi massicce.

Al ritorno in serie A (dopo l’inferno della B), si decise di puntare su un centrocampo guidato da Tiago e Almiron (per finire con Cristiano Zanetti e Sissoko). Se sul portoghese non vale la pena dilungarsi, sull’argentino è giusto ricordare le sue prime parole pronunciate a Torino ("Forse non sono ancora pienamente maturo per una squadra come la Juve") per capire la differenza tra "indossare" la maglia della Juventus e "portarla": sono due cose diverse.

Nonostante gli errori della campagna acquisti, alla fine la Vecchia Signora si classificò al terzo posto. Accettato di buon grado, in larga parte, perché i tifosi avevano capito le difficoltà nelle quali si trovava ad operare la (precedente) società. La scorsa estate, invece, nel tentativo di migliorare e rendere competitiva la squadra, si finì col distruggere tutto. La gestione degli eventi in corso d’opera, poi, fecero venire alla luce le debolezze interne della dirigenza. Ma quello è un altro discorso.

Si può sbagliare, e il campo dirà - come al solito, come sempre - la verità, ma l’impressione è quella di essere tornati di nuovo "all’anno zero", più o meno come accadde nei momenti successivi al ritorno in serie A. Con qualche campione in meno e con una Vecchia Signora più simile ad una Signorina ai primi passi in attesa di diventare grande, verso la quale i tifosi devono portare pazienza. E infinito amore. Quello che non è mai mancato: l'ennesima riprova la si può avere guardando come si sta iniziando a riempire lo stadio Olimpico per la prossima gara interna con la Sampdoria di domenica.

Lo si è capito: ci vuole pazienza. Ormai si può anche smettere di dirlo. Adesso spazio alle partite, alle sette gare in poco meno di un mese. E che siano i fatti a parlare, d’ora in poi.

Ha detto bene due giorni fa David Trezeguet, uno che a Torino sarà sempre di casa: "Nel calcio il passato è importante. Nella Juve è quasi tutto".
Il problema è che, ancora, non si trova un collegamento tra tutto quello che c’era nel 2006 e la realtà odierna. Fatta eccezione per qualche giocatore.
Ma è ancora poco. Troppo poco.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Comunicazione (per gli amici): nella giornata di domani, per motivi personali, non sarò reperibile. Tornerò online sabato (sera). A presto

martedì 10 agosto 2010

Diego, la nuova Juve e l'addio al trequartista


Sarà un privilegio giocare con Del Piero: insieme daremo soluzioni, non problemi. Chi batterà le punizioni? Questo è solo un dettaglio, l’importante è che ci siano più possibilità
Si era presentato così, ai tifosi bianconeri, Diego Ribas da Cunha (o più semplicemente “Diego”), nel corso della sua prima giornata ufficiale da giocatore della Vecchia Signora.
Era il 9 luglio del 2009, ed il palco era quello allestito nella piazza di Pinzolo, sede del ritiro estivo della Juventus.

Un’invasione di tifosi stava assistendo alla nascita di quella che sembrava essere una delle principali candidate per lo scudetto dello scorso anno: non una squadra qualunque, mica una formazione da quinto o sesto posto in classifica. Finì peggio: settima.

Si parlava di lui come di un possibile acquisto della Juventus già da diverso tempo. Nel febbraio del 2008, dopo un’amichevole tra Brasile e Irlanda a Dublino, uscì allo scoperto: “La Juventus mi vuole e io sono orgoglioso di questo interessamento”.
Il prezzo di mercato, allora, era altissimo: 35 milioni di euro. Il Werder Brema poteva esibire con orgoglio un gioiello della nazionale verdeoro dalle grandissime potenzialità e dal futuro assicurato.
Né Doni, né Cassano: un trequartista con il gusto del goal (nel corso dei suoi tre anni trascorsi in Germania, ne segnò 57 in 126 partite).

C’era una squadra, nella Torino sponda bianconera, da ricostruire. Si sentiva la voglia di abbandonare il classico 4-4-2 che tanti successi aveva garantito - in passato - con interpreti di valore assoluto.
Si decise di cambiare spartito: 4-3-1-2, dove “l’1” era proprio lui. Con una decina di milioni in meno rispetto alla richiesta di partenza, gli si costruì una squadra intorno, così come venne fatto a suo tempo in onore di giocatori del calibro di Platini e Zidane.

Ma quello schema risultò non essere adatto a diversi suoi compagni. Alcuni di loro, non erano adeguati alla Juventus. Chi doveva dirigere la società, non era semplicemente in grado di farlo.
E lui, il trequartista di Ribeirão Preto, finì per diventare uno degli imputati (uno dei tanti, naturalmente) del fallimento della stagione appena passata, per colpe “dirette” ed “indirette”.

Ora la società è cambiata, da cima a fondo. Dopo l’addio di Marco Fassone (nuovo dg del Napoli), adesso resta soltanto un “pezzo” da sostituire: Jean Claude Blanc. Francese, come Platini e Zidane: il nero e il bianco della Francia juventina, il punto più basso e quelli più alti della storia della Vecchia Signora scritta in lingua francese.

La squadra? Un cantiere. Prima aperto, poi chiuso, ora – di nuovo (e non potrebbe essere altrimenti) – aperto.
Con la scelta di Del Neri come allenatore, l’attenzione generale si spostò subito su Diego: e adesso che fine farà?
Semplice: addio al trequartista in campo, ritorno al 4-4-2, un’unica maglia – quella della seconda punta – in ballottaggio tra Del Piero, Iaquinta e lo stesso brasiliano. Sì, perché ad oggi (11 agosto) i cinque componenti del reparto offensivo in rosa sono gli stessi della stagione passata. Mancano ancora poco più di venti giorni alla chiusura di questa sessione estiva del calciomercato, ma il turnover in attacco non si è visto sia nelle partite ufficiali (Diego e Amauri presenti nella formazione titolare tanto a Dublino quanto a Modena) che in entrata ed in uscita nelle trattative condotte dalla società.

Ma l’essere stato inserito in entrambe le occasioni nell’undici di base della squadra, ora, sembra non essergli più sufficiente a garantirgli la permanenza in bianconero.
Il Wolfsburg lo cerca con insistenza, e la Germania potrebbe essere - comunque - la sua futura destinazione: nel caso in cui la trattativa con l’attuale squadra di Dzeko dovesse fallire, anche lo Shalke 04 e l’Amburgo sarebbero pronte ad accoglierlo a braccia aperte.

Così come fecero, poco più di un anno fa, i tifosi bianconeri in quel di Pinzolo. Quelli erano i momenti delle presentazioni “monstre” ai tifosi dei neoacquisti Kakà e Cristiano Ronaldo al “Santiago Bernabeu” di Madrid, di Ibrahimovic al “Camp Nou” di Barcellona e di una Juventus che immaginava di aver recuperato velocemente il terreno perduto dal 2006 ad allora.

Adesso si sta, nuovamente, cercando di ripartire. Senza l’entusiasmo dello scorso anno. Forse, tra pochi giorni (o poche ore) non ci sarà più neanche Diego Ribas da Cunha di Ribeirão Preto.
Un paio di (veri) campioni ed una squadra degna del nome "Juventus": ecco quale sarebbe il più bel regalo che la società potrebbe fare ai propri sostenitori. Altro che verificare quali settori del nuovo stadio dedicati alle "stelle" del passato (tutte meno una, Boniek) vengono esauriti per primi: il pensiero diventerebbe quello di contenere l’entusiasmo di un popolo che ha fame di tornare a vincere.
E che chiede di smettere di essere preso in giro.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


domenica 1 agosto 2010

1° agosto: il giro di boa del calciomercato



Il consiglio della FIGC ha diramato in modo ufficiale le date del calciomercato estivo. L'inizio è fissato per il giorno 1 luglio, mentre il termine è stato fissato il 31 agosto alle ore 19.00.
Il che vuol dire che oggi, 1° agosto, siamo esattamente al "giro di boa".
Manca ancora un mese alla fine di questa sessione. Poi, si partirà con gli effettivi a disposizione in quel momento. Per altri acquisti e cessioni i battenti si riapriranno in quella invernale (3 gennaio - 31 gennaio 2011).
Ma cosa succedeva all’alba del 1° luglio scorso?

La Juventus attendeva il sì per Marco Motta: dopo averlo ottenuto dallo stesso calciatore si cercava l’intesa (poi trovata) con l’Udinese. Riallacciati i buoni rapporti dopo le tensioni dell’affare (saltato) Gaetano D’Agostino, l’operazione che portò Simone Pepe alla corte della Vecchia Signora (la prima della nuova era Agnelli) aveva contribuito ad un primo riavvicinamento tra le due società.
L’arrivo di Marotta a Torino e gli addii di Gasparin (per i friulani), Alessio Secco ed il parziale allontanamento di Jean Claude Blanc hanno fatto il resto.

Marcello Lippi veniva insultato, al tramonto dell’infelice spedizione sudafricana, nella sua Toscana (prima all’isola del Giglio, poi all’Elba); Brasile e Argentina dovevano ancora essere eliminate da Olanda e Germania; Berlusconi (da Panama) prometteva di rimanere in sella al suo Milan per altri 25 anni (il tempo utile per distanziare chi ha vinto meno di lui…); tra l’Inter e il Real Madrid calava il gelo nella trattativa per la cessione di Maicon alle merengues, mentre Moratti fissava il prezzo per Balotelli ad Arsenal e Manchester City (40 milioni di euro); la Lega A si riuniva in assemblea per la prima volta dopo la scissione con quella che poi è diventata la Lega B; Giovanni Petrucci (presidente del CONI) si dichiarava d’accordo sia con Crimi (Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport) che con Abete (presidente della FIGC) sul metodi di rilancio del calcio italiano (i due, invece, non andavano d’amore e d’accordo), prima ancora di indicare Berlusconi e Moratti come "esempi da seguire"; Cesare Prandelli aveva appena sottoscritto il contratto che lo legherà alla nazionale azzurra (giovane e multietnica) per i prossimi 4 anni.

E per la Juventus, oltre a Motta?
Già concretizzati gli altri acquisti presenti ad oggi, deciso da tempo il trasferimento di Molinaro allo Stoccarda, mentre Cannavaro sbarcava negli Emirati Arabi per essere accolto con tutti gli onori di casa da Mark Bell (d.g. dell’Al Ahli) si parlava delle cessioni di quei giocatori dai contratti "pesanti" e importanti che avrebbero permesso di sbloccare il mercato bianconero.
Tiago aveva chiesto tempo prima di dare una risposta positiva all’Atletico Madrid per la proposta di spalmare il suo contratto biennale (da 2,8 milioni) in triennale, mentre ormai le società - tra di loro - erano sostanzialmente d’accordo; per Fabio Grosso, sempre con gli spagnoli, si parlava di un rinvio ai giorni successivi per una eventuale chiusura dell’accordo.
Zebina e Camoranesi si trovavano nella stessa situazione di oggi: con una valigia in mano.

La prossima potrebbe essere una settimana decisiva per diversi movimenti, sia in entrata che in uscita: è dai primi di luglio che si "dice così". E mentre sul versante acquisti qualche occasione nel frattempo si è presentata (ottima - ingaggio permettendo - quella di Rafael Marquez, svincolato dal Barcellona) e si dibatte ancora su "Krasic o Dzeko" (grazie, Abete…), più passa il tempo e prima arriverà il momento di agire: "cessioni o non cessioni" di quei calciatori che manifestano un grande amore (non ricambiato) verso la Juventus.
Anche se purtroppo non sarà possibile usare una delle migliori armi di convincimento in simili situazioni: quella di dimostrare tutto questo affetto non comodamente seduti in tribuna o sulla panchina, bensì direttamente in campo, seguendo le rigide disposizioni di Del Neri. Quelle che impongono continui "su e giù" per le fasce (stile Marco Motta o Davide Lanzafame) sino allo sfinimento fisico.
Qualche dubbio sull’effettiva convenienza nel restare in bianconero, forse, allora comparirebbe.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 21 maggio 2010

Benvenuti alla Juventus



Finito il campionato, è iniziato il "valzer delle panchine". Mourinho è a Madrid per giocarsi la finale di Champions League contro il Bayern Monaco, e lì dovrebbe rimanere anche dopo la partita; Prandelli aspetta la fine della spedizione sudafricana per prendere (con ogni probabilità) il posto dell’attuale C.T. della nazionale azzurra Marcello Lippi; mentre a Firenze si sta già cercando un suo sostituto, nella Milano rossonera si "balla" tra Allegri e Filippo Galli; a Roma, salvo colpi di testa estivi, verrà (naturalmente) riconfermato Ranieri.
La Juventus? "Piaccia" o "non piaccia", Delneri è il suo nuovo allenatore.

"Delneri" o "Del Neri"? Sulla carta d’identità il cognome è scritto tutto attaccato; lui, però, preferisce tenere "Del" separato da "Neri". A molti sostenitori bianconeri, invece, il fatto che la scelta del nuovo mister sia ricaduta sui suoi baffi, proprio non è piaciuta. Poi… Poi anche "i contrari", pur continuando a domandarsi "il perché", hanno iniziato a farsene una ragione. Le strade, essenzialmente, finiscono col diventare due: non mi piace, ma ormai c’è e ce lo dobbiamo tenere; aspettiamo di vederlo all’opera, e poi giudichiamo. Né Benitez né - tantomeno - Capello: se l’individuazione del tecnico doveva dare una misura delle ambizioni immediate della società, ovvio che si sia rimasti delusi dal palmarès (più che dal nome) del tecnico friulano.
Ridimensionamento? No: programmazione. C’è da rifondare, altro che "ricompattare" (Marotta dixit. Frasi - giustamente - di circostanza). Con tanti saluti al "traghettatore" Zaccheroni, ora arriva il 4-4-2: addio al rombo e/o al trapezio di centrocampo, alla difesa a tre, ai dubbi su quale fosse lo schema migliore applicabile partita per partita. Un’identità precisa alla squadra, per una società deve ritrovare la "propria identità".

Andrea Agnelli è entrato nella casa juventina come un nuovo inquilino che deve fare piazza pulita di quello che c’era in precedenza: via tutto, un’imbiancata sui muri per dare una bella rinfrescata all’ambiente, per poi inserire un nuovo "arredamento". Tabula rasa doveva essere, e così sta accadendo. C’è ancora "un francese" di troppo (Jean Claude Blanc): questione di tempo, poi dovrebbe arrivare anche il suo turno.
Agli occhi di chi ama i colori bianconeri la sua presenza "stona": da tre cariche (le più importanti) a mandarlo via ce ne passa. Bisogna avere pazienza: quella che lui chiese ai tifosi per riavere una Juventus vincente; quella di cui ora i sostenitori si devono armare per aspettare che Marotta e il suo staff ricostruiscano, pezzo per pezzo, la società. Colpita (ma non affondata) da Farsopoli, e successivamente distrutta da una gestione che definire imbarazzante è dire poco.
Una delle peggiori annate della storia della Juventus ha finito per coincidere con quella che potrebbe consacrarsi come una stagione memorabile per l’Inter: vicini alla "tripletta" (Bayern Monaco permettendo) proprio quando i bianconeri sono costretti a ripartire da zero. O quasi. Brucia, terribilmente: perché tutto è nato dal 2006 e perché i mezzi - economici e tecnici - per non ritrovarsi quattro anni dopo in questa situazione c’erano.

Piangere sul latte versato non serve a nulla. Quello che c’era da rompere, è stato distrutto. Ora si riparte, come è già capitato in passato nella storia ultracentenaria della Vecchia Signora. Con il quarto Agnelli alla Presidenza (Andrea dopo Edoardo, Giovanni e il padre Umberto): non è un sinonimo di vittoria, ma di speranza. Si possono anche non conquistare trofei nell’immediato, ma si devono assemblare - anno dopo anno - giocatori e idee nel segno della continuità. Non è possibile dover sempre cambiare tutto ogni volta (a partire dall’allenatore) e pensare/sperare che prima o poi arrivi la stagione giusta. Lo faceva l’Inter, quando esistevano il Milan e la Juventus. Ora il calcio italiano è debole, livellato verso il basso: la finale di Madrid dei nerazzurri è l’eccezione che conferma la regola. Tolti loro, in Italia rimangono i rossoneri orfani degli investimenti di Berlusconi, la Roma dei debiti, la Fiorentina dei giovani, la Sampdoria dei "senza Marotta", il Napoli di De Laurentiis e il Palermo di Zamparini (due garanzie)… Costruendo una squadra con un po’ di logica (e tanta tecnica), ipotizzare i bianconeri almeno terzi al termine del prossimo campionato non significa fare un azzardo (a livello assoluto). Poi, naturalmente, il calciomercato estivo sposterà l’ago della bilancia verso l’una o l’altra squadra. E il campo, come al solito, mostrerà quali erano - realmente - i valori assoluti.

Cambiato il vertice (ed altri nuovi arrivi dovrebbero comunque materializzarsi nei prossimi tempi), ora si potrà iniziare a mettere mano alla squadra. Con il marchio del "made in Italy" già pronto, e con l’obiettivo di tornare alle posizioni che competono ad una società che dovrà dare dimostrazione di potersi chiamare "Juventus" sia dentro che fuori dal campo.
Il lavoro è iniziato, il dado è stato tratto. Andrea Agnelli ha deciso di metterci la faccia, oltre il cuore. A Marotta, ora, spetta un compito veramente arduo.
In bocca al lupo. A tutti.

Del Neri? Stia tranquillo. I tifosi hanno capito che la prossima sarà la stagione della semina. Per poi raccogliere: il "quando", è ancora tutto da vedere. Nessuno pretenderà subito lo scudetto.
Verrà chiesto, semplicemente, di arrivare primi. Davanti a tutti.
"Vincere non è importante, ma l'unica cosa che conta...". Lo disse Giampiero Boniperti. Una vita in bianconero.
Benvenuti alla Juventus.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 16 maggio 2010

Adieu, Blanc. Bettega però rimanga...


"Sei tifoso della Juventus? Facile: Lei vince sempre". Ebbene sì: fino al 2006 questo ritornello ha accompagnato le giornate del sostenitore bianconero standard, dalle semplici chiacchierate tra amici alle discussioni più accese. Dove non arrivavano i meriti della Vecchia Signora c’erano loro, gli arbitri, a dare una mano. Teneri e affettuosi, anche prima della comparsa delle intercettazioni sulle telefonate di Luciano Moggi (solo le sue, naturalmente), prima dello scudetto di cartone consegnato all’Inter dallo "smemorato" Guido Rossi e delle campagne denigratorie verso Madama dei media.

Quel "Lei" era la Juventus: o la si amava, o la si odiava. E’ sempre stato così (e sempre sarà), per i più forti. E il bello era proprio questo: la soddisfazione per una vittoria si univa alla consapevolezza della rabbia "degli altri", del mondo intero avverso a quei colori. Una sconfitta veniva considerata come un’onta da cancellare al più presto. E’ la Juventus, perbacco. O almeno, lo era.

Via (o costretti ad andarsene) Deschamps, Ranieri, Ferrara, Cobolli Gigli, Alessio Secco, Castagnini, chi più ne ha più ne metta: tutti responsabili di errori (grandi o piccoli che siano) che hanno contribuito alla fine di un progetto che di concreto, in realtà, non aveva nulla. Legato al nome di una persona, Jean Claude Blanc, che doveva essere la prima a farsi da parte, e che ora, grazie al suo addio (vicino o lontano) darà la possibilità alla nuova dirigenza di iniziare una (vera) rinascita della società bianconera.

Per mesi, se non per anni, alla ricerca di persone in grado di porre un limite all’irrefrenabile caduta verso il basso della Juventus, i tifosi hanno richiesto a gran voce l’ingresso (anzi, il ritorno) in società di Roberto Bettega (sia con cori di incitamento allo stadio che in internet, con petizioni su diversi forum). In questo momento, nella fase di rifondazione, sembra diventi difficile trovargli una (giusta) collocazione, causa una (ipotizzata) problematica "convivenza operativa" con Giuseppe Marotta, il probabilissimo nuovo Direttore Generale.
A Bettega era stato chiesto di "salvare il salvabile": se nella pratica non è riuscito a risollevare le sorti di questa stagione disgraziata, non è corretto attribuirgli più colpe del dovuto. Il suo raggio d’azione si è rivelato molto limitato, con cotanta invadenza (e competenza…) intorno a sé. Prova ne sia che Andrea Agnelli, adesso che ancora non si è ufficialmente insediato come Presidente, ha già fatto un’opera di pulizia "quasi" totale in seno alla dirigenza, come base per un futuro migliore (e per poter lavorare seriamente…). Senza soldi (e in mancanza di un’adeguata struttura alle spalle) l’ex Bobby-gol è riuscito - se non altro - a portare a Torino Antonio Candreva (in prestito con diritto di riscatto della metà del cartellino). Paolucci? Avrebbe preferito Lanzafame. Ma in quei momenti anche il Parma e il Siena (era stato richiesto pure Ekdal) riuscivano a fare la voce grossa contro i bianconeri. Ferrara poteva essere cacciato prima? Certo. Ma Zaccheroni ha fatto meglio di lui?
Il "traghettatore" sarebbe potuto arrivare a dicembre, per avere la possibilità di sfruttare al meglio la sosta natalizia? E chi lo diceva a monsieur Blanc che la prima mossa da fare sarebbe stata quella di bruciare la sua ennesima scommessa persa in onore al "guardiolismo all’italiana"? Era la società a dover essere cambiata, da cima a fondo. Proprio quello che sta iniziando a fare il nuovo Presidente: è da lì che nascono le grandi squadre. Come in tutte le aziende che funzionano a dovere, un dirigente che accumula risultati disastrosi per anni deve essere accompagnato alla porta e salutato. Bettega, in tutta sincerità, non sembra rispondere a questi criteri; Blanc, invece, sì. Ovviamente…

Ironia della sorte (se non fosse che non c’è nulla da ridere), nella stagione dei record negativi ben otto giocatori bianconeri sono presenti nella (prima) lista dei trenta convocati per la spedizione sudafricana. Oltre a loro si sarebbero potuti aggiungere Legrottaglie, che non ha confermato quanto di buono ha fatto vedere nelle scorse stagioni, Amauri, che si è perso nei meandri della burocrazia per ottenere il passaporto italiano (senza adeguati rifornimenti in campo, poi), e Del Piero, che avrebbe avuto necessità di giocare una stagione intera per (almeno) provare a convincere Lippi a chiamarlo. Il numero degli azzurri tinti di bianconero potrebbe rimanere inalterato - in ogni caso - anche a fine mondiale. Anche aumentare: a patto che qualcuno arrivi (o torni) a Torino (Criscito, Palombo, Cassani, Marchetti, Maggio, Pazzini tra i più indiziati), che qualcun altro non se ne vada (Buffon in primis) e considerando pure chi andrà via (Cannavaro, Grosso e Camoranesi). Le nazionali vincenti, storicamente, hanno sempre avuto uno zoccolo duro di giocatori della vecchia Signora. In questa occasione può essere un handicap, se rapportato a cosa è capitato nel campionato appena concluso. A Lippi il compito di rigenerarli; ai tifosi juventini quello di non rodersi il fegato quando li vedranno correre come non hanno fatto, salvo rare eccezioni, da qualche mese a questa parte.

"Sei tifoso della Juventus? Facile: Lei vince sempre". No, non è facile. Perché Farsopoli, con tutte le sue conseguenze, è stato un peso enorme da digerire. E perché ora sembra non essere più in grado di farlo. Ad oggi - di Juventus - sono rimasti soltanto il nome e i colori della maglia. Con la sconfitta di ieri sera nell’ultima giornata di campionato, "l’era Blanc" è davvero finita. Adesso basta piangersi addosso. Ovviamente ci vorrà del tempo, dato che si ripartirà - inevitabilmente - da zero. Fare meglio di questa stagione è sin troppo facile.
Ma l’imperativo è, e rimarrà sempre, quello di tornare a vincere.
Nell’immediato: di riprendere, al più presto, ad essere "la" Juventus.
Sembra poco, ma non lo è per niente.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Per stemperare la tensione che - inevitabilmente - un lettore accumula nel sentire Liguori nel video precedente (...), ne inserisco un altro, trovato in rete. Un gentile omaggio, da parte mia, al tenente colonnello Attilio Auricchio, titolare dell'indagine (per conto dei pm di Napoli Narducci e Beatrice) che ha portato al processo su Farsopoli

domenica 25 aprile 2010

La Juve tra Marotta, Benitez e il Bari...


"Marotta rimane alla Sampdoria al mille per cento" (Riccardo Garrone, 7 giugno 2009).
"Ho letto di Marotta in questi giorni sui giornali. Per la mia responsabilità di imprenditore a capo della ERG per quarant'anni, se un manager giovane come Marotta viene avvicinato alla Juventus nessun risentimento. Se riceve una proposta nessuna obiezione" (Riccardo Garrone, 22 aprile 2010).

Era l’uomo giusto; quello che non andava bene, era il "momento". Marotta alla Juventus: a leggere tra le righe delle dichiarazioni del presidente della Sampdoria, rilasciate in due periodi ben distinti, questa volta il matrimonio s’ha da fare.
Se "uno più uno fa due" (per gli interisti spesso "fa tre", ma questa è un’altra storia…) finalmente un uomo di competenza e spessore in materia calcistica è in procinto di tornare a Torino, in casa bianconera.
Un posto dietro la scrivania offerto a chi vive "da dentro" quel mondo da quando aveva otto anni: ha iniziato come garzone, a Varese, nel 1965. Il sogno era quello di diventare magazziniere, nel frattempo gonfiava i palloni con la pompa delle biciclette (all’occorrenza, con il fiato) e puliva le scarpe ai calciatori: con lucido e grasso preparava gli strumenti del mestiere a quella squadra che all’epoca era protagonista di un continuo saliscendi tra la serie A e la serie B.
Dirigente a soli 19 anni. Una scalata continua, la sua: direttore sportivo, direttore generale e poi - addirittura, per un anno e mezzo circa - presidente del Varese Calcio.
Monza, Como, Ravenna, Venezia, Atalanta e - infine - Sampdoria le successive tappe della carriera. La Genova blucerchiata come casa per otto lunghi anni. Sino ad ora.
Ricorda volentieri quando, alle dipendenze del Monza, ancora giovane andò a trattare con Boniperti la cessione di Casiraghi. Anche se l’ex presidentissimo della Juventus capì di avere di fronte un dirigente alle prime armi, lui non si fece intimidire. E riuscì a vendere il giocatore al prezzo prefissato. Quella fu una delle tante "perle" di mercato (ultime quelle di Cassano e Pazzini) della sua lunga carriera.
Spazio a Marotta, quindi. In senso fisico e operativo: a questo punto il "pluridecorato" Blanc dovrà lasciare qualcuna delle sue cariche e dei suoi impegni, liberando al nuovo arrivato i troppi spazi da lui occupati.

Dal "traghettatore" Zaccheroni al neopresidente del Liverpool (traghettatore pure lui) Martin Broughton: il primo scalda la panchina al prossimo allenatore della Juventus; il secondo ha il compito di condurre la società inglese nel delicato momento del passaggio di proprietà tra i vecchi e i nuovi gestori.
Cosa hanno in comune i due? Il nome di Rafael Benitez. A giorni potrebbe sbloccarsi la trattativa che condurrebbe il tecnico spagnolo alla guida della Juventus. Dalla riduzione del numero dei componenti dell’attuale staff che lo seguirebbero a Torino, alle richieste economiche e tecniche che ha presentato alla società bianconera sino ad arrivare alle difficoltà da superare per liberarsi dal Liverpool: una serie di pezzi che dovranno incastrarsi tra di loro. Dopo, e solo dopo, potrebbe avvenire il tanto atteso annuncio.
In caso contrario, si ripartirebbe con il "toto-allenatore". Un giochino che nella Torino bianconera - negli ultimi tempi - hanno imparato bene. Lo scorso anno era stato deciso di seguire la strada innovativa (ed economica) del "guardiolismo all’italiana"; ora, prendendo come riferimento Fabio Capello, quella del tecnico esperto.

La squadra? Andrà fortemente ritoccata, in (quasi) tutta la spina dorsale. Fermo restando le (probabili) conferme di Buffon e Chiellini, per l’undici titolare sono in ballo nomi per un centrale difensivo, per gli esterni, per un regista, una punta ed (almeno) un altro centrocampista. Non poco, per chi avrebbe dovuto vincere lo scudetto in questa stagione ed essere alla conclusione del quarto dei cinque anni utili per tornare ai massimi livelli. Nessun Ronaldihno costruito in casa, nessun giovane lanciato in prima squadra anche quando le condizioni di classifica lo avrebbero permesso. Se futuro ci sarà (e ci sarà), andrà comunque "ben pagato".

Contro un Bari ormai in vacanza, la Juventus cercherà di accaparrarsi altri tre punti utili per una rincorsa sempre più difficile (quasi impossibile) ai preliminari della prossima Champions League: (anche) il Milan, che ormai ha più poco da offrire a questo campionato, è stato sconfitto dal Palermo nell’anticipo di ieri. Visto il precedente interno contro il Cagliari, immaginare una vittoria nella gara odierna dei bianconeri non sembra un’eresia.
In una domenica apparentemente uguale alle altre.
Se non fosse che proprio oggi cade il 15° anniversario dell’addio di Andrea Fortunato. E questo non può che rendere diverso questo giorno.
Ciao Andrea.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

La puntata di ieri di "Studio Sport"

sabato 3 aprile 2010

Lo aveva detto anche Enzo Biagi...



La gara di andata contro l’Udinese era stata illusoria: con una vittoria per 1-0 all’Olimpico di Torino (goal di Grosso), la Juventus si portò (temporaneamente) a meno cinque dall’Inter prima in classifica. Nelle due domeniche successive la distanza dai nerazzurri aumentò e diminuì di tre punti: prima la sconfitta per 0-2 patita a Cagliari dai bianconeri, che sommata alla vittoria dell’Inter sulla Fiorentina portò il distacco a "meno otto"; poi, lo scontro diretto vinto (in casa) per 2-1, con la splendida rete decisiva messa a segno da Marchisio.
In prossimità di una delle ultime partite di questa stagione, a poche ore dal match di ritorno a Udine, la Juventus si trova a rincorrere il quarto posto. Visti gli obiettivi iniziali: un fallimento. In un’annata che definire disgraziata è dire poco. Per quanto è accaduto sul rettangolo di gioco. Perchè per il resto…

"Una sentenza pazzesca, e non perché il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome. Una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perché tutto è uscito fuori in un determinato momento? Proprio quando, tra Laziogate di Storace, la lista nera di Telecom, poi Calciopoli, poi l’ex Re d’Italia ed ora, ultimo ma non ultimo, la compagnia telefonica Vodafone che ha denunciato Telecom per aver messo sotto controllo i suoi clienti. Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?".
Così parlò Enzo Biagi, in un’intervista comparsa su "Il Tirreno" del 16 agosto 2006.
Questa era la visione di Calciopoli di uno tra i più grandi giornalisti della storia del nostro paese.

"Tanto tuonò che piovve". Si sapeva. O meglio, lo sapevano: i tifosi juventini, quelli che non hanno mai abbassato lo sguardo di fronte agli avversari, perso l’orgoglio, rinnegato ciò che era stato meritatamente vinto sul campo sino a quel famoso maggio del 2006. "Calciopoli" prima, nel tentativo di farla passare come "Moggiopoli" poi. Ma era, ed è sempre stata, "Farsopoli". Tutto ciò che era stato creato ad arte per originare un’ondata mediatica che si infrangesse sugli scogli di un’armata apparentemente imbattibile, sta per essere prosciugato dalle udienze del processo di Napoli. Non erano bastate le incertezze di Martino Manfredi, le ammissioni del guardalinee Coppola, i "non lo so, non so dare spiegazioni" del tenente colonnello Attilio Auricchio, … Ci volevano le intercettazioni. "Chi di intercettazioni ferisce, di intercettazioni potrebbe perire". L’ultimo "goal" bianconero di Christian Vieri (la richiesta di revoca dello scudetto assegnato ai nerazzurri) e le ultime interviste di Del Piero e Zaccheroni come apripista nel muro del silenzio della maggior parte dei media italiani. Di seguito, gli avvocati di Moggi (Prioreschi e Trofino), che hanno potuto avvalersi del fondamentale lavoro dei consulenti informatici Roberto Porta e Nicola Penta, colori i quali hanno - materialmente - portato alla luce ciò che era rimasto sommerso nella confusione di quattro anni fa. Adesso tocca a loro.

"Agli azionisti ho detto che l'obiettivo primario è quello di conquistare la terza stella. Voi sapete che su tutti i nostri documenti ufficiali ci sono 29 scudetti, con due asterischi per quelli che ci hanno tolto. Ma per noi e per i nostri tifosi la terza stella arriverà con il prossimo scudetto. E comunque ora pensiamo a vincerlo, il prossimo scudetto" (Jean Claude Blanc, 27 ottobre 2009)
"Noi sappiamo quanti ne abbiamo vinti…" (John Elkann, luglio 2009, in riferimento al numero di scudetti vinti dalla Juventus).
Né ventisette, né ventisettepiùdueasterischi: ventinove. Punto.
Le promesse generano (o hanno generato) illusioni; le azioni concrete danno alla luce solo fatti. O di qua, o di là: non si scappa. Alla luce delle nuove intercettazioni (o vecchie, è che prima non erano uscite fuori…) ora la proprietà bianconera ha la possibilità di muoversi per chiedere la riapertura del processo sportivo per ottenere la restituzione dei due scudetti tolti. Quando avranno inizio le danze?

"L’Inter è considerata nel mondo la squadra più prestigiosa di Milano, non solo per quello che ha vinto, ma anche perché non ha mai avuto problemi con la giustizia. Le persone che hanno lavorato con me non hanno mai tentato di fare i furbi o di conquistare gli arbitri e la vergogna di doversi difendere da situazioni deprecabili è una cosa antipatica per la storia di una società. Mi auguro che all’Inter non succederà mai, come mai è successo finora. D’altronde a noi non è mai capitato di andare in serie B". (Massimo Moratti, 7 marzo 2008)
La pazienza è la virtù dei forti. Per difendersi dalle accuse Antonio Giraudo ha scelto una strada (quello del processo con rito abbreviato); Luciano Moggi, un’altra (iter ordinario). Da tempo si sosteneva come la decisione presa dall’ex-Direttore Generale bianconero fosse stata quella migliore: smontare pezzo per pezzo, con calma certosina, tutte quello che gli era stato imputato. Per far venire a galla la verità.

La storia della Juventus è ancora ferma al 2006. Da lì potrebbe ripartire. Attraverso un salto di quattro anni, diverse sconfitte, molte recriminazioni e poche gioie. Al patron nerazzurro (e a tutti i lettori) i migliori auguri di una Pasqua serena. Passata quella, si dovrebbe scatenare "la tempesta". Le bugie, si sa, hanno le gambe corte. A volte, indossano anche la maglia nerazzurra. Basta soltanto evitare di far finta di non vederle…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Dedico questo articolo a Maurizio Mosca, scomparso in nottata.





domenica 28 marzo 2010

Juve-Atalanta. E la storia si ripete...



"Vogliamo dare una scossa alla squadra e mettere i giocatori davanti alle loro responsabilità. Contro l'Atalanta per noi era un "match ball" in chiave secondo posto".
Con queste parole Jean Claude Blanc spiegò alla stampa e ai tifosi bianconeri la scelta di Ciro Ferrara quale traghettatore della Juventus per le ultime partite dello scorso campionato. Servivano sei punti, vale a dire due vittorie, per arrivare secondi. Ferrara promise di chiederne sette ai giocatori. Era il 18 maggio 2009. Il giorno prima, all’Olimpico di Torino, si giocò Juventus-Atalanta, in uno stadio vuoto a causa della squalifica per i cori contro Balotelli.
Il risultato finale fu 2-2 (Iaquinta e Cristiano Zanetti per i bianconeri, Cigarini e Pellegrino per i bergamaschi).
Da Luis Carniglia a Claudio Ranieri: dal 1969 al 2009, quarant’anni di attesa per trovare un altro esonero in corso d’annata in casa Juventus, con l’aggravante di averlo fatto a due sole giornate dalla conclusione del torneo. Una società che aveva perso il controllo della situazione, lasciando l’allenatore solo di fronte alle critiche pesantissime e ad uno spogliatoio dove - da tempo - diversi giocatori importanti avevano perso il feeling con lui.
Un anno (calcistico) o dieci mesi (effettivi): si prenda l’unità di misura preferita, ma la sostanza è che la storia si è ripetuta. Un altro Juventus-Atalanta come cornice di un (nuovo) fallimento.
La storia è fatta di corsi e ricorsi: vale per i vincitori, ma anche per i vinti.
Vale per i vincenti, ma anche per i perdenti.

"Abbiamo deciso di affidare la guida della Juventus a Ciro Ferrara dopo gli ultimi risultati, in particolare dopo il pareggio contro l'Atalanta. Una scelta ponderata, condivisa da società, cda e proprietà. In queste ultime due giornate ci giochiamo questa e un pezzo della prossima stagione, siamo consapevoli che non sarà facile per Ciro, ma la sua missione è conquistare la qualificazione diretta in Champions".
Solo in campionato, compreso l’incontro giocato con l’Atalanta, la Juventus veniva da 6 pareggi e una sconfitta nelle ultime sette gare giocate. C’era il pericolo di essere scavalcati da Fiorentina e/o Genoa (quello di Milito e Thiago Motta), e di dover arrivare in Champions League passando per i preliminari. Quelli che oggi, se raggiunti, rappresenterebbero un sogno diventato realtà.

Blanc: "Sappiamo che mandare via un allenatore non rientra nello stile Juve, l'ultimo esonero a stagione in corso risale al 1969. Ma da 3 anni siamo in una situazione diversa dal passato. Non è nemmeno stile Juve giocare i preliminari di Champions e finire le stagioni in questo modo".
Quest’anno, invece, si è riusciti a fare decisamente peggio…
L’accesso diretto alla massima competizione europea veniva considerato come la garanzia di poter disporre del denaro liquido necessario a rinforzare ulteriormente la squadra. Quel denaro, poi, investito - soprattutto - negli acquisti di Diego e Felipe Melo.

Giovedì 25 marzo 2010. Blanc: "Siamo ancora in ballo (per i preliminari di Champions League), ma una società gestita in modo professionale e oculato potrebbe, in teoria, gestire anche una eventuale esclusione".
John Elkann, il giorno dopo: "Manca grinta a tutti i livelli, bisogna reagire (allusione al quarto posto) per costruire una Juventus più forte".
Delle due, l’una: o i soldi si investono comunque (a prescindere dalla posizione al termine dell’attuale campionato), oppure la Juventus è vicina ad un vero e proprio (temporaneo) ridimensionamento.

A parlare, questa volta in questo articolo, non è chi scrive, ma chi promette. E illude. O pensa di farlo. Perché chi si sente tradito nell’amore, non dimentica.
Le frasi pronunciate da parte di chi occupa posizioni importanti in seno alla Juventus non sono mai parole buttate al vento: rimangono scolpite nella memoria dei tifosi. Dura come la pietra. Solo in campionato: 11 sconfitte in 30 partite. Questi sono i fatti. E’ difficile parlare di tattica, quando da mesi hai un mediano pagato a peso d’oro che viene messo a fare il regista e quando anche i muri hanno capito che il rombo a centrocampo, con i giocatori a disposizione, non funziona. E’ impensabile parlare di condizione fisica, quando i calciatori delle altre squadre dimostrano di correre (almeno) il doppio di quelli bianconeri. E’ fastidioso discutere di infortuni, quando ormai quelli non fanno neanche più notizia. Non te la puoi neanche prendere con l’allenatore, perché hai un "traghettatore".

L’invito a proprietà e dirigenza è quello di scendere in campo, domenica, qualche minuto prima dell’inizio della gara, ed osservare gli spalti intorno a loro. Anche questa volta, così come accadde lo scorso 17 maggio 2009, alcuni settori dello stadio saranno vuoti. Per scelta, non per costrizione.
Il progetto nato a Marrakech, il lontano 31 dicembre 2004, è finalmente giunto a compimento. A chi li seguirà, poi, verso l’uscita dello stadio, si rivolge l’invito a voler chiudere la porta dietro di loro. A chiave. A doppia mandata.
Per non avere, il prossimo anno, un altro Juventus-Atalanta come contorno di un (nuovo) fallimento.
La Juventus tornerà ad essere grande. E’ solo questione di tempo. Lo vuole la storia, lo impone il blasone, lo reclama l’immenso bacino d’utenza dei tifosi. "Quando" accadrà, dipenderà solo da "quando" cambieranno le persone al suo timone. "Prima" accadrà, meglio sarà. Per tutti.


Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 20 marzo 2010

Noi siamo la Juventus. Voi chi siete?

Un foglio bianco, vuoto, da riempire. Le idee che partono dalla testa, ma vengono stravolte quando passano attraverso il cuore. Che piange lacrime di rabbia e disegna uno dei soliti articoli, pieni di livore, voglia di contestazione, richieste di aiuto verso chi non vuole (o non può ancora) ascoltare.
I biglietti per la prossima partita della Vecchia Signora, a Genova, accanto al computer. La voglia di strapparli, gettarli dalla finestra e farla finita. Basta calcio. Basta Juventus. Quella non c’è più. E’ durata 109 anni. Dal 2006 è diventata la "nuova Inter". Nella sua versione da "perdente di successo".

La corsa per rientrare dal lavoro, tra treni, ritardi, traffico ed altri impegni per assistere all’ennesima figuraccia. Unica differenza col passato: stavolta si giocava alle 19.00. Questa mancava. Per le altre ore, compreso quelle al sabato durate la permanenza in serie B, avevamo già dato. Adesso i ceffoni vengono presi anche dall’allenatore che "preferiva Pistone a Roberto Carlos" (Mr. Roy Hodgson) e dal suo Fulham. Da società di calcio a organo di beneficienza calcistica: chiunque può passare, prendere i tre punti (o buttarci fuori da una coppa) e andarsene. Anche senza dire nulla. L’importante, però, è salutarli sempre con il sorriso sulle labbra.

Una società senza cuore, una dirigenza senz’anima, una squadra composta da un gruppo di ragazzini che cercano l’autostima prima della vittoria. Non si possono contestare: anche dagli spalti bisogna tenere un atteggiamento consono al nuovo stile. Se qualcuno prova a fischiarli, si viene mandati a quel paese. Se si accenna a qualche critica, ti viene fatto il dito medio.

Dalla grinta di Furino alle corse rabbiose di Davids, dai baffi di Benetti agli "schizzi" di Tardelli, dai tackle di Deschamps alla zazzera bionda di Nedved, da "Combi-Rosetta-Caligaris" a "Zoff-Gentile-Cabrini", da Boniperti a Scirea, da Sivori a Platini e Zidane, da Trapattoni a Lippi e Capello.
Un foglio bianco che si sta riempiendo. Il cuore che smette di scaricare rabbia e inizia a comporre odi di epiche imprese, di eroi calcistici passati alla storia per vittorie leggendarie. La lista è lunga, una chiavetta USB non basterebbe a conservarle tutte. Le consonanti e le vocali diventano note, la tastiera un pianoforte, per riproporre una musica diventata tradizione. Ma rimasta tale.

Negli sguardi dei giocatori juventini lo sconforto, il non riuscire a fare qualcosa di positivo. La paura di un vero contrasto, la voglia di prendere il pallone (e di non lasciarlo più) rimasta solo nelle intenzioni.
Fa male, se contrapposto allo spirito di chi indossava una maglietta che una volta era un’armatura, quando si aspettava che l’ultimo degli avversari entrasse in campo per chiudere la porta a chiave. E buttarla via. Solo allora la corrida poteva avere inizio. Già dai loro occhi si capiva che sarebbe stata dura: erano la vittima predestinata. Una sola frase: "noi siamo la Juventus. Voi chi siete?". Il pallone tra i piedi come unico obiettivo. Pur di averlo, si prendeva tutto quello che gravitava in zona: gambe, caviglie, stinchi. Le tibie degli avversari, una volta finito di "sbranarli", usate come filo interdentale.

Il silenzio prima delle partite come strumento per conservare la rabbia da sfogare in campo. Leoni, quelli di una volta, contrapposti ai gattini che oggi fanno le fusa ai tifosi. Proclami che nascondono insicurezze, figlie di una proprietà che immagina bastino 50 milioni di euro ogni estate da spendere per zittire quei tifosi nostalgici di una Juventus vincente e antipatica. Una dirigenza senza capo né coda, scelte di mercato insensate figlie di progetti immaginari e condite da consulenze inappropriate. Allenatori su cui scaricare le colpe di fallimenti continui.

Tifosi, milioni di tifosi, che devono tenere duro. Perché finirà: si tratta solo di certificarne la data.
La Vecchia Signora come amante, fidanzata, moglie, confidente, sorella, migliore amica, ragione di vita. Emozioni continue. Sofferenze, anche quando si vince. Momenti della vita di ognuno scanditi da partite, giocatori che vengono visti nascere e poi passare. A volte: a guardare gli incontri dall’ultimo anello, su in cielo. Accanto all’Avvocato. Che non ne dimenticava uno.

Un esercito di sostenitori confuso, guidato da comandanti che non hanno la più pallida idea di dove si trovi la porta per uscire dalla caserma. E non sanno da che parte leggere le mappe. Troppo brutto per essere vero. Infatti: non è vero. Continuerà così sino a quando le persone che lo guidano non cambieranno. E non saranno un Ribery o un Fabregas di turno a modificare lo stato delle cose. Messaggio per gli illusi: chi vuol capire, capisca.

Il foglio bianco è pieno di ricordi, messaggi, siluri, amare constatazioni.
E anche amore. Di un semplice soldato di frontiera, orgoglioso di essere juventino.
Il computer si spegne, l’articolo è stato ormai inserito. I biglietti finiscono nel portafoglio.
Vìa, verso lo stadio Luigi Ferraris. Avanti, incontro alla prossima umiliazione. A testa alta.
Urlando "noi siamo la Juventus. Voi chi siete?".
Rivolto, naturalmente, a chi - attualmente - dirige la truppa bianconera. Prima di mettere gli avversari nel mirino, si guardino i veri nemici. A quelli che sono in casa. Dopo, si penserà ad altro.
Come a far ripartire una storia ferma dal 2006.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Questa volta, a differenza delle altre, anche su “Tutto Juve.com” ho inserito un video creato da me, lo scorso 21 giugno 2009. Ringrazio la redazione del sito per avermi concesso la possibilità di farlo. Il titolo, manco a dirlo, è “Noi siamo la Juventus”. Spero che stavolta venga visto anche dalle persone che devono fare i bagagli e andarsene. Buona visione

sabato 6 febbraio 2010

Le 444 presenze di Del Piero e il "peso" della maglia bianconera...


Una vittoria a Livorno. Nulla di più. Una sola vittoria per trascorrere finalmente una domenica serena. Simile a tante trascorse in passato, anche se diverse nei contorni. I limiti e gli errori dell’attuale proprietà, della dirigenza e della squadra ormai sono stati vivisezionati in ogni singolo punto: adesso spazio al campo. Una vittoria per infilare nello zainetto tre punti e guardare con animo interessato allo scontro di domani sera tra Fiorentina e Roma. Una vittoria per poter permettere a Zaccheroni e Bettega di iniziare un percorso da traghettatori tra questa Juventus e quella che prenderà corpo il prossimo maggio, allorquando qualcosa dovrà cambiare.
Difesa a tre o a quattro, centrocampo a quattro o a tre, attacco scontato (non ci sono alternative): la speranza che i numeri servano a creare un gioco, oltre i risultati. Indispensabili i secondi, necessari i primi. Perché senza gioco non si va da nessuna parte. A meno che non si decida di affidarsi ai colpi dei singoli: ma questa squadra, al momento, non se lo può permettere. Non solo per le numerose assenze.

La maglia della Juventus pesa chili, non grammi. Il senso di responsabilità che assale un giocatore quando la indossa, deriva dalla leggenda che ha accompagnato quel nome negli anni. Si può dire, a ragione, anche nei secoli (uno, ma sempre secolo è). Milioni di tifosi che riconoscono in quei colori la nobiltà del calcio, e che chiedono alla società di essere competitiva sino in fondo in tutte le competizioni: la vittoria come normalità; il pareggio come un senso di disagio; la sconfitta come un’onta da cancellare al più presto.
Se da questo peso si finisce con l’essere schiacciati, si rischia l’assuefazione a tutto: anche alle brutte figure. Perché diventa difficile uscire dalle situazioni critiche quando sai sempre di essere all’ultima spiaggia, quando il tuo unico compito rimane quello di prevalere sull’avversario e non puoi avere alternative.
Se la società - poi - inizia a sbandare, a nascondersi dalle responsabilità e fa (intra)vedere segni di debolezza anche dall’interno, rischi di trovarti solo contro il mondo intero: perfino nei confronti di chi dovrebbe stare dalla tua parte.

Ben venga la figura di Zaccheroni, che non potrà fare miracoli ma è dotato di buonsenso, che possiede la praticità di chi ha fatto anni di gavetta, ha maturato esperienze importanti in ambienti difficili e vinto. "Sollevato" dall’incarico Ferrara, Felipe Melo si è sentito "sollevato" da un problema: l’alibi principale delle sue prestazioni negative non è più seduto sulla panchina. Ora non ha più scuse. In realtà, un’altra l’avrebbe: una società che cercava un regista e ha comprato lui. Ad un prezzo altissimo.
Al nuovo traghettatore il compito di disegnargli una zona di campo dove permettergli di esprimere al massimo le sue potenzialità; al giocatore l’invito di smetterla di parlare fuori dal rettangolo verde e di iniziare a giocare a pallone come è in grado di fare con la maglia della sua nazionale.
Questo vale per lui così come per tutti gli altri attori in campo: basta parlare, ora spazio ai fatti.

Smontato un progetto mai nato, alle ricorrenti notizie sui calciatori e allenatori accostati alla Juventus si sono aggiunte quelle sulle figure dirigenziali: lì si costruirà la nuova società. Da quelle scelte si capirà - ad occhio - se la nuova creatura potrà essere vincente o meno. Perchè anche al di fuori del campo di gioco non contano gli schemi: sono i nomi che fanno la differenza. Così come la qualità: quella delle persone giuste da posizionare dietro la scrivania. A loro, poi, il compito di scegliere i futuri protagonisti da mandare in campo.
Con addosso quella maglia bianconera che pesa chili, non grammi. E che Alessandro Del Piero, al fischio d’inizio dell’incontro con il Livorno, avrà indossato per un totale di 444 volte nei campionati italiani (inferno della serie B compreso).
Auguri, Capitano. E grazie per le tante domeniche "normali" che ci hai permesso di trascorrere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com



mercoledì 3 febbraio 2010

Il pareggio con la Lazio e la solita società "silente"…



Un pareggio, così come non se ne vedeva dal 17 ottobre 2009 (anticipo con la Fiorentina): da quel momento in avanti, solo sconfitte (molte) e vittorie (poche). Un punto, abbastanza per smuovere la classifica ma inutile per tenere il passo della Roma vittoriosa col tacco di Okaka. Nonostante tutto, e con 6 sconfitte negli ultimi 9 incontri di campionato, la Juventus è ancora in zona Europa League (ad oggi sarebbe qualificata, al Cagliari manca però una gara) e guarda ancora - seppur non da vicino - alla possibilità di raggiungere quella della Champions League. Basti pensare che il posticipo di domenica prossima potrebbe regalare un successo della Fiorentina sulla Roma. Certo che se i bianconeri continuano a non vincere… Ad essere pessimisti, si può semplicemente raccontare la realtà attuale; a cercare di intravedere la luce in fondo al tunnel, si può leggere la classifica e sperare che il cambio alla guida della panchina della Juventus possa portare con sé effetti benefici dai punti di vista psicologico, atletico e tattico. Per vedere un futuro roseo, bisognerà attendere che venga fatta tabula rasa in società: sino a quel momento ogni obiettivo prestigioso resterà una semplice chimera. Roma non è stata costruita in un giorno, e per distruggere una leggenda ci sono voluti quattro anni: Calciopoli è stata la prima spallata, forte ma non definitiva. Una scelta sbagliata degli uomini cui affidare la ricostruzione, il vero colpo di grazia.

Un’invenzione di Saccani, per una volta favorevole ai colori bianconeri (recidivo in negativo, in passato), mette un rigore a disposizione di Del Piero ed apre le porte ad un successo. Mauri, e la solita disattenzione difensiva, la richiudono prontamente. Difficile trovare una squadra che giochi peggio della Juventus attuale: la Lazio è una di quelle. Una linea Maginot davanti al portiere: l’unico modo di sorprenderla era quello di aggirarla. Ma i bianconeri hanno perso l’abitudine ad utilizzare le fasce (a dire la verità, a giocare la palla…): a destra fuori causa quasi tutti per infortuni, a sinistra - partito Molinaro - Grosso (comunque squalificato) non corre, non affonda e crossa dalla mediana, De Ceglie affonda ma crossa (per ora) poco. Più dinamismo all’inizio, poi la lancetta della benzina è finita sul rosso: ce n’è poca già di per sé, la vicina gara giocata contro l’Inter (giovedì scorso) ha finito col pesare più del lecito. La mancanza di turnover (troppi giocatori assenti) non aiuta. Una contestazione continua dagli spalti verso i soliti bersagli, la stessa musica triste che accompagna la Juventus da qualche mese a questa parte.

Commenti post-partite che iniziano ad assomigliarsi tutti: c’è da poco da scrivere di diverso se le prestazioni della squadra non aiutano in tal senso. A monte, non è (stato) un problema di investimenti economici: quelli non sono mancati, e si spera non mancheranno in futuro. E’ (soltanto, purtroppo) una questione di mancanza di competenza. Il dubbio principale è cosa si deciderà di fare di questa società: impensabile continuare in questa maniera. Oltretutto, con questo silenzio. Proprietà silente, il presidente (e non solo) Blanc che parla solo per difendere le sue poltrone, Bettega che fa da frangiflutti per gli errori altrui… Ma sino a quando si dovrà andare avanti così? Dall’ex-Cobolli Gigli che andava alla ricerca dei cronisti che lo intervistassero ai giocatori sempre in prima linea a fare proclami: nel mezzo, il vuoto. La situazione è questa: ma domani? Più su, in cima alla società, sino a quando verrà lasciato così tanto potere decisionale in mano ad una persona che non riesce a distinguere un Nocerino da un Palladino? Ma se basta una semplice punzecchiatura di Maurizio Pistocchi (31 ottobre 2009) sul numero di scudetti vinti dalla precedente gestione - e riconosciuti a fasi alterne da quella attuale - per mettere in crisi Blanc, incapace di rispondergli con prontezza davanti alle telecamere, dove si vuole andare?

Quando si arriva ad ottenere un ruolo delicato in una società importante, esistono due poltrone: quella dei problemi, e quella "di chi risolve i problemi". Un vero uomo d’azienda deve essere in grado di sedersi su entrambe. Nella Juventus attuale, la prima è occupata. La seconda, è desolatamente vuota.
L’organizzazione, in ogni ambiente, è "tutto". Anche nel calcio i risultati, sia positivi che negativi, rappresentano lo specchio di una società.
Dal 2006 in avanti, il club è stato (volutamente) lasciato in balìa del mondo intero, senza che nessuno lo difendesse: dal processo sportivo (?) ai continui attacchi mediatici (carta stampata, internet e televisione), a quelli provenienti dai dirigenti delle squadre avversarie sino ad arrivare alle stilettate degli ultimi tra gli addetti ai lavori. Silenzio, silenzio totale. Neanche per difendersi in prima persona. Sino a quando si andrà avanti così? Al di là del fatto che al termine di questa stagione potrebbe anche verificarsi una (sognata, da milioni di tifosi) rivoluzione in ambito societario, sino a quando gli attuali fautori di questa situazione continueranno a tenere questo comportamento? L’input (o la concessione) della proprietà a chi la dirige in prima persona è quello di gonfiare il petto solo quando si vince una partita ed andare davanti alle telecamere a parlare di progetti, oppure quello di gestire un club di calcio tra i più gloriosi al mondo rispettando i vincoli dei bilanci di una società quotata in borsa e di coniugarli con i risultati sportivi? Perché questo era tutto quanto faceva la precedente gestione. Quella vincente, che per plusvalenza intendeva la cessione di Zidane, pagato poco e rivenduto a peso d’oro, per sostituirlo con gli acquisti di Buffon, Nedved e Thuram. Quella che dava fastidio perché era la migliore, perché era competente, perché aveva creato un futuro solido al club. E perché era legata ad Andrea Agnelli.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 30 gennaio 2010

Ferrara, Zaccheroni e il dolce sapore della vittoria

(Vignetta di BarSportComics )


Uno sguardo di Capello, l’ultimo grande allenatore seduto sulla panchina della Juventus. Il via libera per riscaldarsi, ed entrare in campo. Un boato del pubblico. La cinquecentesima partita giocata in serie A iniziata al 42’ minuto del secondo tempo, al posto di Pavel Nedved. Era il 15 maggio 2005, l’incontro giocato al Delle Alpi contro il Parma si trasformò ben presto in una passerella, quella che avrebbe portato la Juventus - dopo pochi giorni - alla conquista del suo 28° tricolore. Ciro Ferrara ebbe modo di salutare il pubblico bianconero in questo modo, ricevendo la giusta standig ovation dai tifosi presenti allo stadio. 8 scudetti vinti da giocatore, di cui 6 in bianconero. Una galleria di trofei da far impallidire il più polemico dei Mourinho. Tibia e perone rotti a Lecce, quando – ancora provato dal dolore – negli spogliatoi urlò la sua gioia alla notizia del goal di Iuliano, suo naturale sostituto nella gara e nel prosieguo della stagione.
Quella era una Vecchia bellissima Signora, che ti ammaliava con lo sguardo, e che quando ti sceglieva non ti abbandonava mai: ti proteggeva, ti metteva in condizione di giocarti le sfide più difficili contro il mondo intero, sapendo di averla sempre lì, al tuo fianco. Ferrara lo avrebbe dovuto capire: questa, quella di oggi, è diversa. Ha perso molto, (quasi) tutto. Va ricostruita, (quasi) da zero. Ma non solo in campo: partendo dall’alto, e - a cascata - verso il basso.
Ora ti seduce, ma ti lascia solo in un batter d’occhio. E’ pronta ad abbandonarti nelle difficoltà, per la paura che tu la possa tirare in ballo nel gioco delle colpe da dividersi. Chiede a te di andartene, di prenderti delle responsabilità, ma è la prima a non farlo. Una volta era fatta di uomini dall’animo d’acciaio: ora, d’acciaio, è rimasto soltanto il colore della maglia di riserva. Alla seconda partita negativa, scoppiava il finimondo. Adesso si finisce per affidarsi (anche) ai miracoli, sapendo che nel calcio – come nella vita – capitano di rado.
Ferrara non era pronto per allenare la Juventus. Il tempo dirà se sarà in grado di essere un buon allenatore. Nel rispetto dello stile-Blanc è stato esonerato a campionato in corso, poichè non faceva più parte del progetto bianconero. Strano, considerando che l’obiettivo sembra essere quello del ridimensionamento della società e che, purtroppo, i risultati – in tal senso – davano ragione all’ormai ex-allenatore.
Dagli applausi dei suoi tifosi al Delle Alpi cinque anni fa, agli striscioni ironici dei tifosi interisti dopo l’ennesima sconfitta, stavolta in Coppa Italia: la strada è stata tutta in discesa, così come quella percorsa dalla Juventus.
Alberto Zaccheroni da Cesenatico torna a Torino, nella sponda più prestigiosa, dopo aver conosciuto Cairo, l’uomo che ancora non è stato in grado di capire perché il goal di Trezeguet giocato nel derby del 30 settembre 2007 era regolare e non in fuorigioco. Arriva con l’etichetta dell’uomo del “5 maggio 2002”, quando - battendo l’Inter alla guida della Lazio - regalò indirettamente alla sua nuova squadra un match point che a Udine non si lasciò sfuggire.
Arriva col vantaggio di non far parte di alcun progetto, di trovarsi nella situazione di dover “salvare il salvabile”. Da traghettatore a salvatore: il passo è breve, compierlo sarà difficile. Dovrà lavorare sulle teste dei giocatori, stimolarli prima ancora che impartire loro lezioni di tattica. Avrà dalla sua parte un popolo di sostenitori che non aspetta altro che un misero successo in campionato, per poter riassaporare quel piacere di sconfiggere l’avversario che una volta, sotto la Mole, era di casa.
Quando la Vecchia Signora ti corteggiava, ti strizzava l’occhio, e ti sceglieva. Per non abbandonarti più. Per gustare insieme il dolce sapore della vittoria.


Articolo pubblicato su Tutto Juve.com



giovedì 28 gennaio 2010

mercoledì 27 gennaio 2010

Dalla panchina di corso Re Umberto ai ristoranti di Blanc


E’ nata da un’idea concepita su una panchina di corso Re Umberto, a Torino, da parte di alcuni studenti del liceo Massimo D’Azeglio. La stanno distruggendo dai tavoli dei ristoranti, più di cent’anni dopo. Una storia gloriosa, leggendaria, quella della Vecchia Signora del calcio. Del "calcio", s’intende, non solo quello italiano. Vittorie epiche, sconfitte storiche, giocatori consegnati agli album delle imprese di questo sport. Un nome "diverso" dagli altri: Juventus. A qualcuno bastava soltanto leggere la lettera "J" in qualche titolo di giornale per emozionarsi.
Dalla cenetta romantica di John Elkann con Blanc nel dicembre del 2004 a Marrakech a quella goliardica dello stesso francese con Lippi a Recco: due innamoramenti fulminei, che stanno rovinando una poesia durata più di un secolo. La passeggiata nell’inferno (altro che purgatorio) della serie B doveva essere "l’inizio della fine" delle sofferenze: ne è stata solo l’antipasto. Questa è un’agonia: pura, vera, senza mezzi termini. Milioni di euro buttati al vento, giocatori deprezzati, "marchio" svalutato.
Lo scorso luglio sembrava fosse finalmente risorta dalle ceneri di Calciopoli; da novembre in poi si è capito come si fosse trattato soltanto di una pia illusione. Non c’è grande squadra senza una grande società alle spalle: è una regola non scritta, (quasi) naturale (Inter esclusa). A nulla serve acquistare buoni (o ottimi) giocatori: nel caos più totale, sfigurano tutti. Se poi ci si aggiungono dei bidoni… Di leader veri ne sono rimasti pochi. Uno, Nedved, non ne vuole sapere di tornare ora, anche se in altre vesti. Non è un caso.
Passano tutti, sui resti bianconeri: in casa come fuori, dalle grandi alle piccole squadre. Oltre il Parma, solo l’Inter - nelle ultime partite - non c’è riuscita: c’è sempre tempo, spazio alla Coppa Italia. In campionato, l’eccezionale rivalità tra le due squadre è stata la spinta indispensabile per vincere la gara. Così tanto forte da lasciare "scarichi" i giocatori nel successivo incontro con il Bayern Monaco. L’importante era battere i nerazzurri: bene, risultato ottenuto. Poi, se si perde anche le altre gare, fa lo stesso. Pazienza. Spirito da provinciali: questa non è mentalità da Juventus. Ma questa "non è" la Juventus.
Si rimpiange Ranieri: non Lippi (allenatore), Capello o Trapattoni. Anche questo è un segno dei tempi che cambiano. Un conto è il comportamento tenuto dalla società (Blanc, nulla più) nei suoi confronti, un altro sono gli errori che il tecnico romano ha commesso nel suo percorso in bianconero ed i limiti che ha fatto (intra)vedere. Sino agli ultimi due mesi della sua permanenza a Torino: fino a quando, in campo, (alcun)i giocatori hanno iniziato a mollare la presa, mentre gli avversari imperversavano - senza pietà - da ogni dove. Perché anche i calciatori hanno le loro colpe. Quando un management è debole, o più semplicemente assente, vige l’anarchia più totale. I risultati, di conseguenza, sono quelli sotto gli occhi di tutti.
Inter-Juventus, quarti di finale di Coppa Italia: da una parte un allenatore (Mourinho) gasato dalla recente vittoria nel derby e desideroso di farsi un regalo di compleanno battendo un’acerrima rivale (dei suoi tifosi); dall’altra, il giovane Ferrara, vittima della sua stessa voglia di non arrendersi di fronte all’evidenza dei risultati negativi conseguiti e di una dirigenza che si è fatta trovare impreparata all'impossibilità di concretizzare un “progetto” senza capo né coda.
Un’assurdità: Ferrara in panchina quando non è (ormai) più allenatore della sua squadra. Non perché la stagione sta per volgere alla sua naturale conclusione, ma per semplice mancanza di immediate alternative. Un’altra, che si va a sommare a quella dello scorso anno: se già era anomalia - per i bianconeri - esonerare un allenatore in corso d’anno, farlo a due giornate dalla fine del campionato, cos’era?
Si cambiano gli allenatori, ma i veri responsabili di questo scempio continuano a rimanere saldamente ancorati nelle loro posizioni.
Nel 1897 nacque una leggenda, di nome Juventus. La sua storia è rimasta ferma al 2006. E non sarà soltanto un nuovo allenatore a scriverla. Ci vuole, soprattutto, una società.
Charles D'Hericault: "Signore, difendimi dagli amici: ai nemici posso pensarci io". A buon intenditor…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 26 gennaio 2010

Traghettatori


Ormai stiamo per salutarlo.
Giovedì sera, forse domenica sera, e Ciro non siederà più sulla panchina della Juve.
Se ne andrà a causa anche dei molti errori commessi per la sua inesperienza.
Se ne andrà a causa di un progetto che una società come la Juve non avrebbe mai dovuto varare.
Se ne andrà a causa di un dirigente/dittatore che dopo alcuni mesi in serie b, spavaldamente, disse che dirigere una squadra di calcio era assai più facile di quanto pensasse.(!)
Se ne andrà a causa di un dirigente, che dopo aver ratificato che “Il primo fondamentale scopo della Juventus è dare ai propri sostenitori le più ampie soddisfazioni sportive, vivendo il calcio da protagonista e proseguendo una tradizione vincente che si è confermata nel corso degli oltre cento anni di gloriosa storia.”, nulla ha fatto per raggiungere concretamente quel primo obiettivo che si era prefissato.
Ferrara se ne andrà a causa di un dirigente che ha deciso di puntare su un pezzo della storia della Juve, ma che dalla Juve se n’era andato già da un pezzo.
Se ne andrà a causa di un dirigente che ha pensato bene che potessero tranquillamente passare tre anni prima che il projectò avesse veramente inizio.
Il pezzo di storia citata, già nell’estate del 2007, disse “Ora non è tempo!”, ed il dirigente ha scelto un primo traghettatore.
Poi il pezzo di storia, davanti ad una focaccia genovese, disse “Dopo l’estate del 2010 io avrò fatto ciò che per me conta, e allora sarò disponibile.”
Il dirigente, allora, tutto contento cacciò il primo traghettatore e ne prese un secondo.
Ma Ciro non aveva ancora l’esperienza e le spalle sufficientemente larghe per quel compito, portando al pettine tutti i nodi.
E quello che era chiaro già a molti da tempo, ora è sotto gli occhi di tutti, questo è stato il projectò : “Attendere Lippi”. ”Attendere tre anni e POI iniziare a lavorare!”.
E’ vergognoso che la Juventus, abbia potuto accettare una proposta simile.
Un dirigente della Juventus, mai avrebbe dovuto anche solo pensare di “aspettare” qualcuno che stava anteponendo qualcos’altro alla possibilità di tornare in società!
Noi siamo la Juventus, suvvia!
Al primo no di Lippi, la risposta sarebbe dovuta essere una e una sola : “Addio, è stato bello. Amici come prima”
E se io fossi il proprietario di un’azienda (ed a quell’azienda tenessi!), ed il mio dirigente più importante mi dicesse che il suo piano è aspettare per tre anni l’arrivo di un altro collaboratore, licenzierei immediatamente quel dirigente e lo sostituirei con un altro capace e deciso.
Io non so, mentre scrivo, cosa la società abbia deciso di fare per quella panchina che Ciro lascerà vuota. Da venerdi ci sarà un nuovo allenatore, od un terzo traghettatore?
E se sarà ancora un traghettare sarà li ad aspettare Lippi, oppure per attendere Benitez, Hiddink o MisterX ?
Con tutti i ringraziamenti per ciò che ha fatto ieri, e nonostante la consapevolezza di quello che potrebbe fare domani, per il solo fatto di aver messo la Juve in secondo piano, personalmente spero proprio che non sia Lippi l’uomo del futuro.
Perché in fondo ciò che spero realmente è che il prossimo allenatore della Juve sia colui che traghetterà definitivamente il Signor Blanc fuori dalla sede della Juve.


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero