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mercoledì 23 novembre 2011

Conte e la ricerca dello spirito Juve

A differenza di altre occasioni, nella ripresa siamo entrati con il piede giusto e abbiamo chiuso la sfida in un quarto d’ora”. Sono bastate poche parole a Claudio Marchisio per descrivere ai cronisti presenti domenica pomeriggio nella pancia dello “Juventus Stadium” lo spirito con il quale la sua squadra si era appena divorato il Palermo.
A proposito di spirito, va ricordato come durante i primi giorni del ritiro precampionato di Bardonecchia Antonio Conte era stato chiarissimo: “Al di là dell'organizzazione tecnico-tattica, vogliamo trovare quanto prima lo spirito Juve: voglia di combattere e attaccamento alla maglia. Essere qui implica il dovere di vincere”.

Ritrovarsi dopo quattro mesi in vetta alla classifica in compagnia della Lazio (che, nel frattempo, ha disputato un incontro in più) potrebbe indurre a pensare che il nuovo allenatore bianconero abbia finalmente trovato – dopo anni di delusioni - il vestito ideale per la Vecchia Signora. Il diretto interessato, ovviamente, sposta il momento delle verità sempre più lontano nel tempo, giusto il necessario per non far perdere la fame di vittorie ai suoi uomini: “Alla fine del girone d’andata tireremo le somme e capiremo dove possiamo arrivare”.

Nelle ore precedenti la partita col Palermo, lo stesso Conte l'aveva definita “una finale di coppa del mondo”. A deciderla a favore dei padroni di casa sono stati tre giocatori protagonisti di storie diverse tra loro: quella di Pepe, che in estate si era trovato sulla lista dei partenti salvo restare a Torino per volontà del tecnico; quella di Marchisio, cui in molti attribuirono ad inizio stagione un ruolo di panchinaro di lusso nonostante il tecnico (ancora lui) continuasse a dimostrargli ripetutamente (e pubblicamente) la propria fiducia; quella di Alessandro Matri, il goleador, la soluzione ai problemi offensivi di Madama, il quale ha saputo ritagliarsi poco alla volta uno spazio importante all'interno del gruppo.

Raggiunte le tre vittorie consecutive (l’ultimo precedente risale allo scorso campionato, in concomitanza del trittico di gare del girone di ritorno con Brescia, Roma e Genoa), la Juventus adesso punta dritta al big match di sabato prossimo contro la Lazio per continuare la sequenza di successi. Dovesse riuscire nell’intento, ripeterebbe quanto fatto due stagione or sono dalla squadra allora guidata da Ciro Ferrara, che si fermò a quota quattro nelle prime partite della stagione 2009/10.

Fedele alla propria tradizione, quella formazione era stata concepita con un'ossatura tutta italiana sulla quale, però, in controtendenza rispetto al passato vennero inseriti tre brasiliani: Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha e Amauri Carvalho de Oliveira. Quest'ultimo, al secondo anno in bianconero, era in attesa di ottenere la cittadinanza del nostro paese.

Per un club come quello torinese che dal 1897 sino a quel momento aveva acquistato soltanto tredici calciatori provenienti da quella nazione, si poteva tranquillamente parlare di una scommessa.
Persa, vista poi la penuria di risultati conseguiti. Di quel trio, ad oggi, è rimasto il solo Amauri, diventato italiano a tutti gli effetti e retrocesso ad allenarsi con la formazione Primavera in attesa di essere ceduto nella prossima sessione invernale di calciomercato.

Lo scorso gennaio finì al Parma, andandosene da Torino con un dubbio: "Ora vedremo se il colpevole sono io". Rientrato alla base, la musica non è cambiata: "Sono arrivato carico e dopo due giorni sono tornato all’incubo di nuovo. Cosa è successo in quei due giorni? Me lo domando anch’io. Comunque se c’è una cosa che mi ha fatto male sono stati i cori dei tifosi", ha confessato in una recente intervista concessa in esclusiva a "Sky Sport 24".
Finito nel gruppo di quei tesserati dei quali la società si sarebbe liberata volentieri mesi fa per motivi sia tecnici che economici, il successivo scontro frontale (e verbale) col club ha prodotto il risultato di creare un danno ad entrambe le parti in causa.

Innamorato della propria creatura prima ancora di averla plasmata sul campo, sempre a Bardonecchia Conte lanciò un messaggio esplicito, nel merito: "Per me, i giocatori che sono qui sono i migliori del mondo". Nella sua lista personale erano presenti Pepe, Marchisio e Matri, non Amauri.
Bastava credergli sulla parola per capirne le reali intenzioni.

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martedì 7 giugno 2011

La nuova Juventus tra promesse e realtà


Krasic, Melo, Aquilani e Marchisio: a differenza di quanto accaduto nel recente passato la Juventus sembrava aver trovato verso la fine del 2010 la soluzione giusta ai suoi problemi sulla linea mediana del campo. Corsa, qualità, geometrie: a partire dal 23 settembre 2010, data della sconfitta interna patita contro il Palermo, sino alla chiusura dell’anno Madama riuscì a non soccombere più, subendo soltanto 14 reti nelle successive 18 gare disputate, Europa League compresa.

Leggendo i suoi numeri si poteva facilmente notare come l’attacco fosse in assoluto il migliore della serie A (sia in casa che in trasferta), così come erano confortanti anche quelli relativi alle sconfitte accumulate nelle prime diciassette giornate di campionato (soltanto due). C’era una malattia da curare, la "pareggite", ma grazie all’ormai prossima riapertura del calciomercato, nella sessione invernale, si pensava di riuscire a trovare la medicina per porvi rimedio. Sistemata la terra di mezzo vi era il reparto offensivo da correggere e potenziare (nonostante la sua prolificità), mentre alla difesa, che adeguatamente protetta dal resto della formazione sembrava in grado di reggere l’impatto con i pericoli provenienti dagli avversari di turno, venne aggiunto Barzagli.

Poi arrivò l’Epifania, il ginocchio di Quagliarella fece crac e Melo affondò il piede destro sul viso del parmense Paci, meritandosi l’espulsione immediata e una squalifica per le tre giornate successive. La squadra riprese a perdere uomini, partite e fiducia, retrocedendo in classifica di posizione in posizione sino a confermare il settimo posto conseguito l’anno precedente.

Conclusa la stagione del calcio giocato e cambiato (nuovamente) allenatore, è iniziata la ristrutturazione del parco calciatori, dato che anche le poche certezze che si pensava di aver tirato fuori dal cantiere di Luigi Del Neri hanno finito con l’essere messe in discussione. Così come accadde la scorsa estate (la prima in bianconero per la nuova dirigenza) si è cominciato a lavorare su centrocampo e difesa, lasciando per ultimo l’attacco, il reparto nel quale dover fare la spesa comporta inevitabilmente esborsi onerosi.

"Cerchiamo dei giocatori importanti per il settore offensivo. Aguero, Tevez e Benzema hanno il profilo giusto", disse a fine maggio Giuseppe Marotta sollecitato dai giornalisti in merito ad obiettivi e speranze bianconere per l’anno che verrà, quello che vedrà Madama lontana dai palcoscenici europei.

Prima ancora di guidare la Juventus sui campi di gioco, con l’uso delle parole Andrea Pirlo ha recentemente tracciato la strada che il suo nuovo club dovrà seguire per migliorare lo stato attuale: "Per arrivare al livello delle squadre più forti, bisogna comprare campioni" .

I campioni, sempre loro: i più nominati, i più attesi, ma anche i più cari. Se non si riesce a costruirli in casa (nonostante ci fosse un "progetto" in tal senso dalle parti di Torino, anni fa...), bisogna necessariamente andarli a prelevare da altre società. Costi quel che costi. Se ti chiami Juventus e vuoi essere tale di nome e di fatto, questo non può e non deve rappresentare un ostacolo insuperabile.

"Prima di me sono passati tanti allenatori negli ultimi anni, ma è un problema che riguarda il passato, io guardo al presente e al futuro". Parole e musica ad opera di Antonio Conte, con un invito da lui firmato rivolto al mondo juventino a dimenticare le recenti delusioni e a concentrarsi sulla nuova stagione, evitando di portarsi dietro il pesante fardello dei ripetuti fallimenti.
La benedizione sulla scelta del tecnico leccese alla guida di Madama, poi, è arrivata direttamente da Andrea Agnelli: "Vogliamo vincere, e vogliamo tornare a farlo con Antonio Conte. È lui il primo tassello di un mosaico per ritornare al successo".

Stilare bilanci sull’operato della società ai primi del mese di giugno, con ancora un’intera estate a disposizione per poter lavorare sulla (ri)costruzione della squadra, è obiettivamente prematuro, oltre che privo di particolari significati. La nuova Juventus per ora figura soltanto sugli schemi abbozzati sotto l’ombrellone: non si può avere adesso la certezza sui nomi che comporranno la rosa ad inizio campionato e sulla lista definitiva di arrivi e partenze.

Resta il fatto che focalizzare l’attenzione su alcune tra le moltissime dichiarazioni rese da membri di spicco del club, le più significative, aiuta a preservare nel tempo le intenzioni e le sensazioni della società così come espresse in questo periodo.

Inevitabilmente arriveranno i momenti nei quali si potranno confrontare le promesse con la realtà, le parole con i fatti, le speranze con le certezze: le due prossime sessioni del calciomercato (estiva e invernale) accompagneranno Madama nel percorso che la condurrà sino alla conclusione della prossima stagione. Dove il verificarsi di un eventuale (ulteriore) fallimento stavolta non potrà ricadere soltanto sulle spalle dell’allenatore e dei tifosi.
Viceversa, una Juventus finalmente riportata ai livelli che le competono rappresenterebbe unicamente un ritorno alla normalità.
Sarebbe l’ora.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 27 marzo 2011

Da una Juventus "brasiliana" ad una di qualità?



Krasic, Melo, Aquilani e Marchisio: ecco il quartetto bianconero di centrocampo che ha spinto la Juventus nei primi mesi della stagione verso le zone nobili della classifica. All’alba del confronto con il Parma (6 gennaio 2011) dopo le diciassette giornate disputate sino a quel momento la distanza che separava la Vecchia Signora da Napoli e Lazio, entrambe seconde a pari merito, era di soli due punti. Il Milan, in testa, aveva cinque lunghezze di vantaggio sui bianconeri.

L’Udinese, che Madama annientò con un secco 4-0 in trasferta alla terza gara di questo campionato (19 settembre 2010), aveva otto punti in meno della formazione allenata da Del Neri. Viene da piangere a pensare che attualmente le parti si sono invertite, con la squadra di Guidolin che si ritrova solitaria in quarta posizione ad undici punti di distacco dai torinesi.

In previsione della partita con i ducali Amauri si ripresentò agli ordini del tecnico di Aquileia per cercare di guadagnarsi nuovamente la sua fiducia e quella della società. Per riuscire nell’intento aveva a propria disposizione un mese intero: gennaio, quello della riapertura del calciomercato. Causa infortunio era rimasto lontano dai campi di gioco dal precedente 13 novembre (Juventus-Roma 1-1), quando subentrò a Marchisio ad un quarto d’ora circa dal termine dell’incontro. Del Neri era dubbioso se schierarlo sin dall’inizio: “Probabilmente farò una staffetta tra loro due (Del Piero, ndr). Io penso che Amauri abbia recuperato, l’ho visto dimagrito e in buone condizioni”. L’incidente al ginocchio occorso a Quagliarella dopo soli sei minuti impose al tecnico di rivedere i suoi piani, inserendo subito la punta al posto dell’attaccante di Castellammare di Stabia. La successiva espulsione di Melo aprì ufficialmente la crisi juventina, aggravata dai quattro goals con i quali gli ospiti uscirono vittoriosi dallo stadio “Olimpico”.

Amauri attualmente gioca proprio nel Parma, mentre il centrocampista brasiliano figura nella lista dei possibili partenti per la prossima stagione. Quella nella quale non saranno ammessi ulteriori fallimenti, dove i tifosi non accetteranno più di sentir parlare di fair play finanziario, etica, bilancio, quotazione in borsa, progetti, introiti provenienti dal nuovo stadio e via dicendo. Si discute molto - come sempre, d’altronde – “intorno” e “dentro” alla Vecchia Signora. Ma si è smesso di vincere. Da anni. Parole (troppe) mai accompagnate dai fatti.

Amauri Carvalho de Oliveira, Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha: la colonia brasiliana della Juventus che iniziò l’avventura nello scorso campionato con Ciro Ferrara in panchina rischia ora di scomparire definitivamente. Prima di ottenere la cittadinanza italiana l’attaccante venne acquistato dalla Juventus nel 2008 per un corrispettivo di circa ventitré milioni di euro (al lordo delle cessioni al Palermo – definitive ed in comproprietà - di Nocerino e Lanzafame). Alessio Secco e Pantaleo Corvino si incontrarono l’estate successiva a Reggio Emilia per impostare la trattativa che portò Melo alla corte della Vecchia Signora: la cifra concordata fu di venticinque milioni di euro, leggermente abbassata dal successivo passaggio di Marco Marchionni ai viola. Non sembrò vero al direttore sportivo della Fiorentina di avere la possibilità di rivendere il centrocampista acquistato l’anno prima dall’Almeria per soli otto milioni. I bianconeri si ritrovarono così ad avere un mediano preso per fare il regista e pagato (poco) più di un trequartista. Altri ventiquattro milioni (più “spiccioli”) vennero versati nelle casse del Werder Brema per il passaggio di Diego dai tedeschi ai bianconeri. Trascorso un campionato il calciatore ha poi fatto ritorno in Germania, questa volta al Wolfsburg.

Più di settanta milioni di euro spesi in due anni per costruire una Juventus all’insegna del calcio spettacolo: una spina dorsale tutta italiana (la famosa “ItalJuve” ancora in voga) rinforzata da una colonia brasiliana come mai era accaduto in passato. Dal 1897 al 2008 soltanto tredici giocatori provenienti da quella nazione avevano indossato con alterne fortune la maglia bianconera: Pedro Sernagiotto, Leonardo Colella, Bruno Siciliano, Armando Miranda, Nenè, Dino Da Costa, Fernando Josè Puglia, Cinesinho, José Altafini, Julio Cesar, Gladstone, Athirson, Emerson. Poi, in due sessioni di calciomercato estivo ne arrivarono tre.

Del centrocampo titolare della Vecchia Signora di quest’anno Aquilani e lo stesso Melo sono quelli a cui il futuro potrebbe riservare un’esperienza lontana da Torino. L’ex giocatore del Liverpool, dopo un buon avvio di stagione, ha peggiorato il livello delle proprie prestazioni di pari passo con il crescere dei problemi del club di appartenenza. Con l’Italia di Cesare Prandelli, un po’ come capitato per alcuni compagni bianconeri convocati in nazionale, è accaduto il contrario. Intervistato sull’argomento ha risposto: “In azzurro c’è più serenità. E poi, quando giochi con gente di grande qualità, è più facile fare bene”.

Quando mancano i risultati è difficile che ci possa essere “serenità”, a maggior ragione in un ambiente che negli ultimi cinque anni ne ha dovuto sopportare di tutti i colori. Per quanto concerne la “qualità” bisogna chiedere informazioni a coloro i quali dovranno riportare al più presto la Juventus nelle posizioni che le competono. Nel loro taccuino figura il nome di Bastos, giocatore attualmente in forza al Lione. Un brasiliano, il possibile “diciassettesimo” pronto a trasferirsi sotto la Mole (oltre al sogno Neymar). Anche se non conta la nazionalità di chi vestirà nel prossimo futuro la maglia bianconera, quanto l’apporto di pura e vera classe che dovrà fornire alla Vecchia Signora. Perché d’ora in poi sarà vietato sbagliare. E parlare. Da parte di tutti, non solo degli allenatori. Conterà solo tornare a vincere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 20 febbraio 2011

Juventus e Lecce tra andata e ritorno

Juventus e Lecce si fronteggiarono allo stadio "Olimpico" nel girone di andata lo scorso 17 ottobre, in una gara che i bianconeri vinsero agevolmente con il risultato di 4-0. Aquilani, Felipe Melo, Quagliarella e Del Piero regolarono i salentini, consentendo alla Vecchia Signora di aggiungere un altro successo convincente dall’inizio del campionato dopo quelli ottenuti contro Udinese (in trasferta) e Cagliari (in casa). Curiosamente anche questi arrivarono con quattro marcature degli uomini di Del Neri, con la sola differenza che - mentre a Udine la porta di Storari rimase inviolata - a Torino i sardi riuscirono a battere il numero uno bianconero per due volte con le reti di Matri, passato alla corte di Madama con la riapertura della sessione invernale del calciomercato.

Su Alberto Aquilani il tecnico di Aquileia aveva già speso parole importanti il giorno precedente l’incontro: "In effetti è un giocatore unico in mezzo al campo, il più tecnico dei quattro che ho a disposizione". Lo stesso calciatore ex Liverpool si divertì poi a prendere amichevolmente in giro Felipe Melo, autore di un goal "particolare" su penalty: "Mai visto un cucchiaio rasoterra…". Il terzo marcatore della giornata, Quagliarella, battè Rosati (estremo difensore degli ospiti) con un colpo di testa "rasoterra" (anche lui), a distanza di pochi metri dal punto in cui si infortunò seriamente lo scorso 6 gennaio nella partita disputata dalla Juventus contro il Parma.
A chiudere definitivamente il conto di una gara il cui esito finale appariva scontato già al termine della prima frazione di gioco ci pensò Alessandro Del Piero, entrato al 33' del secondo tempo proprio in sostituzione dell’attaccante di Castellammare di Stabia, con un bellissimo sinistro grazie al quale raggiunse quota 178 reti segnate in serie A con la maglia bianconera, eguagliando così il precedente record ottenuto da Giampiero Boniperti.

In una Juventus schierata in campo con un 4-4-2 "elastico", che durante l’incontro si trasformò all’occorrenza in 4-3-3 e 4-5-1, Milos Krasic giocò una bellissima partita. Impadronitosi della fascia destra della linea mediana juventina, allargò successivamente il proprio raggio d’azione su tutto il rettangolo di gioco senza che venisse meno la sua pericolosità. Un palo, due assist, un rigore procurato e tre giocatori avversari ammoniti nel tentativo (invano) di fermarlo: questo il bottino del serbo a fine gara.
Del Neri, ovviamente contento della prova dei suoi uomini, non nascose la propria felicità: "Sono felice perché continuiamo a crescere. I ragazzi stanno dando il meglio".

Con la vittoria appena conquistata la Juventus si posizionò al quinto posto in classifica (a pari punti con il Palermo), a cinque lunghezze di distanza dalla Lazio all’epoca prima della classe davanti a tutte le altre squadre.
A distanza di poco più di quattro mesi gli obiettivi sono cambiati: uscita anticipatamente dall'Europa League e dalla coppa Italia adesso vive alla giornata, nella speranza di agganciare il più presto possibile la quarta posizione. Dove attualmente si trova la Lazio. Ancora lei.
I punti che separano le due formazioni sono diventati quattro, la Vecchia Signora è ora sesta nell’attesa del recupero della gara tra Roma e Bologna che potrebbe consentire ai giallorossi di scavalcarla in caso di vittoria. A Lecce Madama dovrà continuare la rincorsa all’unico obiettivo che le è rimasto in questa stagione, evitando di perdere ulteriore terreno nei confronti delle dirette avversarie così come accaduto nel girone di andata. Anche a causa degli incidenti di percorso avvenuti negli incontri con le cosiddette "piccole".
La vittoria vale tre punti pure nelle partite contro di loro.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

mercoledì 9 febbraio 2011

Juve, è arrivato il momento di cambiare marcia

Il bilancio, ora, è in perfetta parità: l’anno scorso, arrivati alla ventiquattresima gara, la Juventus del "traghettatore" Zaccheroni aveva toccato quota 38 punti in classifica, la stessa raggiunta dalla formazione allenata da Luigi Del Neri. Nelle prime cinque giornate dell’attuale campionato, invece, Madama ha totalizzato due vittorie, due sconfitte ed un pareggio, un percorso identico a quello compiuto all’inizio di questo girone di ritorno. Non si tratta di numeri confortanti, proseguendo con un ritmo simile non andrà molto lontano. Urge un cambio di marcia, già a partire dalla prossima partita. Quella con l’Inter.

La Vecchia Signora arrivò al match contro i nerazzurri del 3 ottobre 2010 dopo la vittoria interna contro il Cagliari ed il pareggio in Inghilterra con il Manchester City nell’incontro valevole per l’Europa League. Si può dire, a posteriori, che lì nacque la Juventus di Del Neri, quella dei 18 risultati utili consecutivi che diede a molti l’illusione di poter competere ad altissimi livelli già a partire da questa stagione.

Reduce dalla sconfitta allo stadio "Olimpico" con il Palermo, nella gara contro i sardi esplose il talento di Milos Krasic: tre goals e gli applausi in tribuna di Pavel Nedved, a coronamento di una prestazione sontuosa che aiutò a mascherare le sbavature di un "cantiere" che non poteva ancora considerarsi chiuso. Matri realizzò una doppietta che non cambiò le sorti del risultato finale (terminò 4-2 per i bianconeri), ma fu importante per farsi riconoscere una volta di più da quelli che poi sarebbero diventati i suoi nuovi tifosi. Per il momento del perdono, invece, è bastato attendere sino a sabato scorso, allorquando al "Sant’Elia" la punta ha restituito al Cagliari le due reti a domicilio. L’arbitro Brighi regalò al fratello "bravo" di Felipe Melo un cartellino giallo con tanto di dedica, mentre la Juventus potè finalmente gustarsi un successo a Torino che le mancava addirittura dal 25 aprile, grazie al 3-0 inflitto al Bari nel campionato precedente.

Del Neri si disse soddisfatto della crescita della sua squadra ed ottimista per i margini di ulteriore miglioramento che faceva intravedere. La speranza era quella di "esserci a marzo per lottare con gli altri, è quello che conta".
Poi arrivò l’Epifania, che - come sostiene il popolare proverbio - "tutte le feste porta via": si ruppe Quagliarella e tornò il fratello "cattivo" del centrocampista brasiliano. Una Vecchia Signora spuntata ha dovuto attendere quasi un mese (5 febbraio) per rivedere le reti di un attaccante che potesse consentire al tecnico bianconero di affermare: "Ma alla fine conta fare gol: è dall’inizio di gennaio che ci mancava un finalizzatore. Adesso che ce l’abbiamo, tutto ha di nuovo ha un senso".

Ora ci sono le condizioni per provare a ripartire, anche se non basta riavvolgere il nastro per farlo: i punti di distacco dalla prima della classe sono passati dai tre di fine settembre agli undici attuali; sono diminuite le giornate che mancano alla conclusione del campionato; nel proprio cammino la Vecchia Signora ha già perso l’Europa League e la coppa Italia; il quarto posto verrebbe considerato oggi un buon risultato, mentre prima ci si scandalizzava al solo sentirlo nominare.

I nerazzurri prossimi avversari nel posticipo previsto nella serata di domenica, poi, saranno completamente diversi da quelli incontrati ad inizio ottobre al "Meazza": liberati dal peso di Benitez e accolto con un sorriso Leonardo, dopo aver vivacchiato a distanze siderali dalle zone alte della classifica per qualche tempo ora vedono nuovamente da vicino il Milan primo della classe, con la conseguente concreta possibilità di puntare allo scudetto. Per un Milito che si mangiava quei goals che l’anno precedente segnava ad occhi chiusi c’è adesso Pazzini, pronto a sostituirlo per tutte quelle partite che l’argentino dovrà saltare a causa dell’infortunio patito al bicipite femorale sinistro. Eto’o continua a caricarsi il peso dell’attacco sulle proprie spalle nel contesto di una squadra diventata ora più "italiana" (anche) grazie all’arrivo di Ranocchia ed alla prima convocazione in maglia azzurra di Thiago Motta. Mancherà Chivu, vittima nella gara di andata delle scorribande di Krasic e nel prosieguo della stagione di quel momento di follia che lo ha portato a colpire con un pugno Marco Rossi, prendendosi così una meritata squalifica.

Ma anche la Juventus, dal canto suo, non sarà la stessa, visto che si è già dimostrata capace di abbandonare quel 4-4-2 che sembrava fosse scolpito nel suo animo. Chiellini è tornato sulla fascia nella quale era cresciuto come calciatore, laddove - tra non molto - tornerà a disposizione anche De Ceglie, per una difesa che sembra essersi effettivamente rinforzata con l’arrivo di Barzagli. Il parco attaccanti dell’Inter, oltretutto, sarà la classica prova del nove per verificare eventuali miglioramenti del reparto difensivo. Il centrocampo così come è stato ridisegnato da Del Neri sembra calzare a pennello per Claudio Marchisio, non a caso diventato goleador nelle ultime tre gare (due reti realizzate tra Palermo e Udinese). Ora la speranza è quella di averlo disponibile per la partita di domenica.

Grazie alla vittoria di Cagliari l’ambiente bianconero ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Ma ci sono ancora da scacciare i fantasmi di un ulteriore fallimento, affidandosi (anche) all’istinto di Matri, il nuovo goleador di Madama. Per evitarlo è necessario un cambio di marcia, da subito, già a partire dalla prossima gara. Quella contro l’Inter. Non un’avversaria qualsiasi. E non soltanto per quanto è capitato dopo il 2006, ma anche per quello successo negli anni precedenti.
In occasione del 5 maggio 2002, per esempio. Una data che solo a sentirla pronunciare qualcuno avverte un profondo dispiacere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 23 novembre 2010

Del Neri e la Juve "da corsa"


La Juventus che camminava al ritmo di un pareggio a partita ora ha ripreso a correre, vincendo e convincendo su uno dei campi più difficili di tutta la serie A.
Con la prolungata assenza di Krasic negli ultimi tempi era venuto a mancarle quel giocatore in grado di cambiare il volto ad una gara con un colpo di classe improvviso, un’accelerazione, una percussione devastante nel cuore delle aree avversarie.
Il suo rientro ha permesso ai bianconeri di avere nuovamente quell’arma in più che si era già dimostrata letale per le formazioni rivali in altre occasioni.

La prestazione del talento serbo si è inserita nel contesto di una partita giocata dalla Juventus con il piglio della grande squadra. Ritrovato il centrocampo titolare, plasmato da Del Neri in funzione degli uomini a disposizione senza limitarsi ad un’applicazione rigida del suo fidato 4-4-2, Madama ha aggredito subito il Genoa senza però sbilanciarsi in avanti, evitando di lasciare spazi per eventuali contrattacchi da parte dei liguri. Quella bianconera è una linea mediana che abbina la quantità alla qualità, in grado di "leggere" i diversi momenti che caratterizzano ogni incontro e di interpretarli nella maniera corretta.

Oltretutto, e questo rappresenta l’aspetto più importante, in maniera "attiva" e non "passiva". Lo si può dedurre anche dalle dichiarazioni rilasciate dal tecnico juventino nell’immediato dopo gara: "Nel primo tempo abbiamo avuto un atteggiamento qualitativo, nel secondo più attenzione". Tradotto: gli attacchi del Genoa nella seconda frazione di gara sono stati "controllati", non "subiti".

Se ne continua a discutere un giorno sì e l’altro pure: alla Vecchia Signora, attualmente, manca una punta di peso (fisico e specifico) in grado di realizzare un numero elevato di reti e di scardinare le difese avversarie con il proprio movimento. Nella gara di ieri, cercando di vedere anche il bicchiere mezzo vuoto, è in quel reparto che si sono viste lacune evidenti da colmare. Ciononostante (ed ancora in mancanza di correttivi) la Juventus continua ad avere il miglior attacco della serie A (25 goals segnati), il numero delle reti al passivo si è fermato a 13 (la media è di 1 gara, "macchiata" dalle 3 subite in entrambi gli incontri con Sampdoria e Palermo), per una differenza - in positivo - che rappresenta la migliore tra quelle di tutti i club in questo momento del campionato: +12.

Completato il turno infrasettimanale valido per l'undicesima giornata di serie A (10-11 novembre), la forbice dei punti che separava la prima in classifica dalla sesta era di soli 5 punti. Dopo le partite disputate lo scorso fine settimana - con i tre scontri diretti previsti in calendario - erano diventati 7.
Adesso sono 9, con il Palermo vittorioso a Cesena che ha raggiunto un’Inter che lentamente sta perdendo posizioni. Il distacco - quindi - è aumentato: chi vuole vincere "corre", non resta ad aspettare gli altri.

Smaltita la delusione per la sconfitta patita contro la Juventus, il Milan ha ottenuto quattro successi in altrettante gare. Il protagonista assoluto di questa rinascita, ovviamente, è Zlatan Ibrahimovic. Dietro di lui c’è una squadra più "robusta" rispetto ad inizio stagione: Allegri ha capito in fretta che rinunciando ad un pò di fantasia per privilegiare i polmoni e la corsa di qualche mediano avrebbe ottenuto un maggior equilibrio sul campo da parte della sua squadra. Al resto, poi, pensa lo svedese. Se la formula risulterà vincente a fine anno, questo lo potranno dire soltanto il tempo e gli incontri ancora da disputare.

Nel prossimo turno di campionato rossoneri e bianconeri saranno i protagonisti delle partite in programma sabato 27 novembre: al pomeriggio sarà il Milan, stavolta, ad andare a Genova per giocare contro la Sampdoria; la Juventus - in serata - ospiterà la Fiorentina. Nel giro di poche ore la classifica mostrerà subito il suo nuovo volto nella zona più nobile.

Luigi Del Neri, sempre al termine della gara disputata a Genova: "Inseguiamo la Champions. Prima non sapevamo per cosa avremmo lottato, adesso abbiamo quest’obiettivo, poi vediamo cosa succederà".
L’ultimo passo da compiere, per tornare ad essere la Juventus in tutti i sensi, sarà quello di riprendere a vincere un trofeo.
Correndo così come ha fatto al "Luigi Ferraris", ci si arriva più in fretta.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

lunedì 15 novembre 2010

Juve per sempre sarà…

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Direttamente dal blog di Massimiliano

“Vabbè dai… è andata com’è andata…comunque ci siamo divertiti, no? Sì, ha fatto piacere anche a me, e poi dai nostri posti il campo si vedeva proprio bene”.

Ti dico così mentre siamo appena usciti dall’Olimpico dopo Juventus-Roma e stiamo camminando lungo via Filadelfia. Per i nostri ha segnato Iaquinta, poi nel recupero del pimo tempo l’arbitro ha generosamente concesso un rigore ai giallorossi: 1-1, con le immancabili polemiche.

“Però il rigore non c’era, eh! No, non l’ho visto bene, però… non c’era! Ne sono sicuro!”.

Adesso camminiamo in corso Agnelli e all’incrocio con corso Sebastopoli ci sono dei capannelli di tifosi come noi, ancora con le sciapette bianconere al collo. Anche loro dicono che il rigore non c’era. Decido che possiamo fidarci. E’ gente che se ne intende, molto intelligente… si vede dalla faccia.

“Sì, Traorè è stato bravo e anche Sorensen. L’hai visto quando ha fatto quell’azione… ah, era Felipe Melo? Vabbè è uguale, tanto…”

Le luci dell’Olimpico spariscono alle nostre spalle mentre costeggiamo le file di banchi chiusi del mercato rionale. Il cielo c’è. Ci deve essere. Ma non si vede. E non c’entra la notte di Torino, è colpa piuttosto di questa insistente nebbiolina che si ostina a sfocare ogni cosa. Anche i pensieri più recenti.

“Un arbitraggio pessimo, comunque! Sì, davvero una vergogna… La prossima volta che sento qualcuno dire che la Juve ruba…”.

Ma vuoi sapere cosa sto pensando? Beh, sto pensando che quando tra quindici o vent’anni riparlerò della partita di stasera, quasi sicuramente non mi ricorderò del gol di Iaquinta, del braccio di Pepe o del rigore di Totti. Mi verrà in mente invece l’immagine di noi due che cantiamo a squarciagola l’inno della Juve, tesi ed emozionati come due ragazzini, con gli occhi rivolti alla Scirea.

“…JUVE, STORIA DI QUEL CHE SARO’…”.

Migliaia di persone, tutte lì per due colori e una maglia. E’ difficile spiegare a chi non è un tifoso quanto tutto questo non sia poi tanto stupido. Difficile spiegare perché, ogni domenica, questo popolo disomogeneo canta, spera e si dispera, gioisce, incita, critica ed esalta. In fondo, caro Thomas, credo che l’essenza del calcio sia tutta qui: “…JUVE PER SEMPRE SARA’… JUVE PER SEMPRE SARA’…”.

martedì 9 novembre 2010

A Brescia per vincere. Ancora con Del Piero...


"In passato certe partite le avremmo perse". Queste parole, pronunciate da Claudio Marchisio domenica scorsa nell'immediato dopo gara tra la Juventus e il Cesena, evidenziano il salto di qualità compiuto dalla Vecchia Signora nel corso delle ultime giornate di campionato.

Con la sconfitta interna subita contro il Palermo nel posticipo del turno infrasettimanale giocato il 23 settembre scorso, la seconda dopo quella patita nella gara d’esordio a Bari, la (nuova) stagione bianconera sembrava essere la naturale prosecuzione di quella appena conclusa: in quattro incontri Madama era riuscita ad accumulare soltanto quattro punti, frutto di una vittoria (sull’Udinese) ed un pareggio (con la Sampdoria).
Da quel momento in poi il cammino della squadra allenata da Del Neri si è trasformato in una marcia vera e propria, che le ha consentito di conquistare quattordici punti nelle successive sei gare.

Al netto delle titubanze mostrate in Europa League, la Juventus ha trovato adesso una sua quadratura sul campo, dimostrandosi capace di sopperire alle contemporanee assenze di più giocatori, alcuni dei quali particolarmente importanti all’interno dello scacchiere del tecnico di Aquileia. Uno su tutti: Milos Krasic.

A tal proposito, ecco le dichiarazioni dell’allenatore bianconero (ancora) dopo l’ultima partita interna disputata all’Olimpico: "Due vittorie in due gare senza Krasic? Mi fa piacere, non dobbiamo dipendere da nessuno: siamo la Juve e come tale intendiamo scendere in campo".

In realtà la mancanza del talento del serbo si sente, così come è altrettanto vero che Aquilani si è impossessato del centrocampo bianconero e che la sua crescente intesa con Marchisio e Melo sta contribuendo a nascondere i problemi creati dai continui infortuni occorsi ai giocatori juventini.

Proprio in virtù delle difficoltà incontrate in questo periodo assumono maggior rilievo tutti i punti conquistati dalla Juventus, sia quelli portati a casa dalle trasferte di Milano e Bologna che le vittorie (all’apparenza semplici) ottenute contro Cagliari, Lecce e Cesena.

Il campionato di serie A non ha ancora trovato una sua padrona, e se la Juventus dovesse continuare la sua marcia evitando i pericolosi "alti e bassi" di inizio anno, potrebbe seriamente diventare - per le avversarie - una pericolosa mina vagante di questo torneo, soprattutto nel momento in cui il numero delle partite da giocare inizierà a ridursi e sarà il peso specifico dei punti a disposizione ad aumentare.

Va considerato, oltretutto, che la finestra invernale del calciomercato potrebbe offrirle l’opportunità di rinforzare la rosa e che le stagioni successive ai campionati del mondo spesso regalano delle sorprese. Ad oggi, comunque, è meglio vivere alla "giornata". Per il resto, se mai ci sarà "un resto", se ne parlerà a tempo debito. Ora ogni discorso in tal senso appare prematuro.

Gli scudetti si vincono - innanzitutto - non dilapidando punti contro le piccole squadre. Per informazioni in merito bisognerebbe chiedere notizie ad Arrigo Sacchi: il suo Milan stellare, quello degli olandesi (Gullit e Van Basten prima, a cui venne aggiunto Rijkaard a partire dalla seconda stagione) che dominò l’Europa e il mondo segnando un’epoca calcistica, in quattro stagioni ne vinse uno soltanto. I tricolori in serie, per i colori rossoneri, giunsero con l’avvicendamento su quella panchina tra lo stesso allenatore di Fusignano e Fabio Capello.

In questo turno infrasettimanale, valido come undicesima giornata del campionato, non sono previsti scontri diretti tra le squadre presenti nelle prime posizioni in classifica. Tra sabato e domenica, invece, avranno inizio le danze: Juventus-Roma, Lazio-Napoli e Inter-Milan. Concludere un periodo denso di partite come questo con due successi garantirebbe un’iniezione di fiducia enorme per la truppa guidata da Del Neri, anche perché sarebbero ottenuti in condizioni obiettivamente difficili. Una pausa di otto giorni dalla gara contro i giallorossi la separerà - poi - dalla prossima trasferta di Genova.

Le parole del tecnico bianconero circa l’importanza per la Juventus di riuscire a sopperire all’assenza di Krasic ricordano vagamente quelle pronunciate in un passato ormai lontano da Marcello Lippi nel corso della prima esperienza sulla panchina bianconera, allorquando chiedeva alla sua squadra di diventare indipendente dal talento di Roberto Baggio. Altri tempi, altri giocatori, un altro calcio. A Torino c’era un giovanotto sulla rampa di lancio pronto a decollare per una carriera luminosa che si dimostrò in grado di prendere per mano quella Juventus, allontanando - di fatto - il Divin Codino da Torino.

Adesso quel ragazzino è diventato un uomo, ha appena raggiunto il traguardo dei suoi primi 36 "autunni" dopo aver trascorso una carriera a vincere su tutti i campi del mondo. Ora è diventato il collante tra la nuova Juventus e la Vecchia Signora del passato.
A 16 anni di distanza da quei momenti, continua ad essere decisivo. Quanto e più di prima.
Tanti auguri, Capitano.

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domenica 7 novembre 2010

La corsa della Juventus riparte dal Cesena

"Questa Juventus ha dimostrato di avere sette vite. Abbiamo fiducia, voglia di lavorare, ci saranno momenti non semplici ma l'atteggiamento, lo spirito è quello della Juve ed è quello che interessa a me".
Luigi Del Neri pronunciò queste parole sabato 30 ottobre, nell’immediato dopo partita tra i bianconeri e il Milan. Più che un doveroso riconoscimento a quanto mostrato in campo dai suoi giocatori, sembrava un presagio di quello che avrebbe atteso la Vecchia Signora da quel momento in poi.

E’ trascorsa poco più di una settimana dalla vittoriosa trasferta di San Siro, ma sembra sia passato molto più tempo. Quello che è certo, è che si sono accumulate altre indisposizioni nella rosa a disposizione del tecnico di Aquileia.
Martinez e De Ceglie contro il Milan, Manninger il giorno precedente quella gara, Krasic e Legrottaglie nel successivo impegno in Europa League con il Salisburgo: ad ogni incontro che si presenta lungo il cammino della Juventus, la squadra perde pezzi importanti.

Dei quindici punti accumulati in questa stagione, la Vecchia Signora ne ha raccolti poco meno della metà nelle gare disputate allo stadio "Olimpico" (sette). In una partita casalinga apparentemente semplice, contro una formazione come quella romagnola che negli ultimi sei incontri ne ha persi cinque e pareggiato uno (al "Dino Manuzzi" contro il Parma, 1-1 il 17 ottobre), la Juventus deve cercare assolutamente di conquistare altri tre punti, indispensabili per continuare la rincorsa alle primissime posizioni, avvicinarsi ulteriormente all’Inter (bloccata ieri sera sull’1-1 in casa dal Brescia di Iachini) e non perdere contatto con il Milan e la capolista Lazio di Reja, che nella giornata odierna disputerà il derby contro la Roma.

In un momento particolarmente delicato come questo, nel quale una sosta permetterebbe a chi gioca con maggiore continuità di rifiatare, il numero delle partite da disputare non consente pause e distrazioni: mercoledì la Vecchia Signora sarà nuovamente in campo nel turno infrasettimanale di campionato contro il Brescia, mentre sabato prossimo ospiterà proprio i giallorossi di Claudio Ranieri a Torino. Poi, finalmente, complice la momentanea interruzione dell’Europa League (si riprenderà il 1° dicembre, la Juventus giocherà in Polonia contro il Lech Poznan), i prossimi incontri verranno disputati a distanza di una settimana uno dall’altro.

Fuori Colucci e Caserta, anche il Cesena ha qualche problema di formazione a centrocampo, laddove la Juventus ha perso la sua stella più luminosa, Krasic, proprio nella giornata in cui alcune glorie del passato bianconero calcheranno per pochi istanti il prato verde dell’Olimpico per un prepartita all’insegna dei festeggiamenti che i tifosi riserveranno ad alcuni dei 50 campioni scelti nella campagna "Accendi una stella". Tra gli assenti, spicca il nome di Zbigniew Boniek. E non è un caso.

Così come non doveva essere un caso l’assenza di Gianluigi Buffon al rituale della foto ufficiale della squadra, ma ha finito col diventarlo. Se la successiva giustificazione addotta (si trovava in Svizzera a ritirare un premio) è sembrata plausibile, dalle parole di Del Neri (da una parte) e di Silvano Martina (agente del giocatore, dall’altra) si può intuire come il rapporto tra il club e il portiere, in questo particolare momento, è più nero che bianco.

Fuori (anche) Amauri febbricitante, farà il suo ritorno sul campo Fabio Grosso (giocò l’ultima partita con la Juventus a metà luglio, nell’amichevole estiva contro l’Amburgo).
Seguendo il tracciato della linea verde voluta della società e per far fronte alla impressionante lista di indisponibili, oggi ci sarà il debutto di Frederik Sorensen, difensore danese prelevato dal Lyngby e attualmente in forza nella Primavera allenata da Giovanni Bucaro, dopo le apparizioni dello scorso giovedì di Liviero, Buchel e Giannetti e l’esordio dal primo minuto di Giandonato (che aveva già giocato con Zaccheroni il 6 febbraio scorso a Livorno, entrando in prossimità della fine dell’incontro).

Dalle formazioni giovanili al salto in prima squadra: negli ultimi anni l’unico giocatore in grado di reggerne l’urto, confermandosi nel tempo come un elemento di forza della Juventus, è stato il solo Claudio Marchisio. Dirottato Giovinco a Parma e con De Ceglie che stava iniziando proprio in questo periodo a ritagliarsi uno spazio importante (prima di infortunarsi), la Vecchia Signora - dovendo fare di necessità virtù - cercherà di trovare valide alternative agli acquisti di giocatori prelevati da altri club proprio con l’impiego dei suoi ragazzi più giovani, nella speranza di poter allacciare un contatto tra la squadra maggiore e quella minore che - negli ultimi anni - non ha portato gli effetti sperati.

In un centrocampo orfano di Krasic (e Martinez) e dove il "jolly" Pepe si stabilirà sulla fascia destra, riprenderanno le loro posizioni Aquilani e Felipe Melo: il primo era assente giovedì in Europa League in quanto (temporaneamente) inutilizzabile in quella manifestazione, il secondo perché vittima di un affaticamento muscolare.

"La mia Juventus si esalta nelle difficoltà, questo posso garantirlo sempre".
Così parlò Del Neri prima dell’incontro col Salisburgo. Dove la squadra non andò oltre un pareggio senza reti. Né fatte, ma neanche subite. Nonostante la contemporanea presenza di tre ragazzi provenienti dalla Primavera in campo. Ad oggi, questo è il bicchiere "mezzo pieno" dell’allenatore bianconero.
Che ora va riempito con tre punti.

Probabili formazioni:
Juventus (4-4-2): Storari; Motta, Bonucci, Sorensen, Grosso; Pepe, Melo, Aquilani, Marchisio; Quagliarella, Del Piero.
A disposizione: Costantino, Camilleri, Salihamidzic, Sissoko, Iaquinta, Lanzafame, Giannetti.

Cesena (4-3-2-1): Antonioli; Ceccarelli, Von Bergen, Benalouane, Lauro; Schelotto, Appiah, Parolo; Jimenez, Giaccherini; Bogdani.
A disposizione: Cavalieri, Pellegrino, Fatic, Nagatomo, Gorobsov, Piangerelli, Rodriguez.

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domenica 24 ottobre 2010

A pochi minuti dalla gara col Bologna...


Fuori la Juventus formato Europa League, dentro quella di campionato, la squadra capace di vincere e convincere contro il Lecce domenica scorsa e che adesso ha il dovere di continuare il percorso intrapreso nelle ultime gare disputate in serie A.

Krasic, Felipe Melo, Aquilani e Marchisio: sono loro il tesoro della Vecchia Signora, i quattro giocatori che - posizionati nella linea mediana della squadra di Del Neri - garantiscono quantità, qualità, protezione alla difesa e aiuto al reparto offensivo.

Togli uno o più elementi in quel settore del campo, ed ecco che si spegne la luce e tornano i fantasmi del recente passato. Quelli che ti mostrano una Juventus sì muscolare ma con poca classe, che corre (a volte ancora a vuoto) e non inventa, che non riesce a coprire tutti gli spazi e ad "aggredire" con lo spirito giusto gli avversari.

Sono poche le squadre che possono beneficiare di un centrocampo simile, in grado - anche - di mascherare e nascondere nel rettangolo di gioco quelle lacune che si erano già (intra)viste al termine della scorsa sessione di calciomercato estivo.

Salvo ripensamenti dell’ultimo minuto giocheranno nuovamente tutti e quattro, a Bologna, nonostante il pensiero della diffida (con il conseguente rischio squalifica, nel caso di un’ammonizione comminata nella gara odierna) che agita i pensieri di Marchisio e dell’ambiente bianconero.

Ma Del Neri, su questo punto, è stato chiaro: "la diffida non incide affatto perché per me, ora, la partita più importante è quella contro il Bologna. Al resto penserò a tempo debito".
Il riferimento, ovvio, è al prossimo impegno esterno della Vecchia Signora, quello che la vedrà impegnata sabato 30 ottobre a San Siro contro il Milan nell’anticipo serale della nona giornata di campionato.

Senza l’infortunio occorso a Grygera durante la partita col Salisburgo (sarà Motta a sostituirlo), la squadra che scenderà in campo oggi allo stadio "Renato Dall'Ara" di Bologna sarebbe potuta essere esattamente la stessa che conquistò i tre punti domenica scorsa contro il Lecce. Quella che poi vide l’ingresso di Del Piero soltanto a partita in corso, in una gara dove poi non mancò di lasciare il suo segno (realizzò la rete numero 178 in serie A con la maglia della Juventus).

La Vecchia Signora dovrà affrontare ancora 13 gare (comprese quelle di Europa League) da oggi sino alla sosta prevista per il periodo natalizio, in questo ultimo tour de force del 2010.
Con un occhio (naturalmente) di riguardo verso il campionato, si è deciso di limitare comunque il turnover, per non perdere di vista la strada più sicura, quella che regala qualche garanzia e sulla quale continuare a lavorare in vista della ripresa del calciomercato invernale.

Dove, con l’acquisto mirato di qualche nuovo elemento, si cercherà di consentire a Del Neri di puntare ad un qualcosa di più di una semplice continuità: "Ora serve continuità. Basta alti e bassi, basta incertezze".
Così si è espresso ieri l’allenatore bianconero nella consueta conferenza stampa della vigilia.

Su sedici reti segnate dalla Juventus in questo campionato, sette sono arrivate proprio dai quattro centrocampisti titolari: Marchisio (2), Krasic (3), Felipe Melo (1) e Aquilani (1).
E’ in quel settore che si vincono (e si perdono) le partite. Ed è da lì che è partita la (ri)costruzione della Vecchia Signora. Nel corso della passata, terribile stagione, le gare dei bianconeri erano spesso precedute da dubbi e incertezze sul modulo più adatto da utilizzare visti i giocatori in rosa, con la presenza di quel Diego che sembrava "imporre" l’utilizzo del centrocampo a "rombo" (4-3-1-2) piuttosto di quello a "trapezio" (4-2-3-1).

Se è vero come è vero che la scorsa stagione più che ricordata deve essere semplicemente dimenticata, già da questi primi mesi si può notare una mano sicura dietro la predisposizione in campo e l’atteggiamento mostrato a gara in corso dalla Juventus.
Tanto è vero che più che parlare del classico 4-4-2 di Del Neri, ora si discorre sulla qualità (mista alla quantità) di quattro giocatori dei quali l’allenatore ha capito la possibile convivenza. E produttività.

Da qui, da dove ora iniziano a crescere le prime certezze, riparte la Juventus verso il suo unico e vero obiettivo stagionale: tornare ad essere se stessa.

PROBABILI FORMAZIONI:
Bologna (4-1-4-1): Viviano; Garics, Portanova, Britos,Cherubin; Radovanovic; Buscé, Ekdal, Mudingayi, Paponi; Di Vaio.
A disposizione: Lupatelli, Moras, Rubin, Casarini, Mutarelli, Ramirez, Gimenez.

Juventus (4-4-2): Storari; Motta, Bonucci, Chiellini, De Ceglie; Krasic, Melo, Aquilani, Marchisio; Quagliarella, Amauri.
A disposizione: Manninger, Legrottaglie, Sissoko, Pepe, Martinez, Del Piero, Iaquinta.

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venerdì 27 agosto 2010

In Europa League con il "vecchio" Del Piero e il "nuovo" Melo


Il leitmotiv che ha anticipato le prime partite ufficiali della Juventus di questo inizio stagione era diventato sempre lo stesso: giocherà Diego oppure Del Piero?
Era stato così anche a Graz, nella gara di andata dello spareggio per accedere all’Europa League contro la squadra di casa. Alla fine in campo scese il brasiliano, esattamente come accadde in occasione degli altri due incontri con lo Shamrock Rovers, quelli del terzo turno dei preliminari della stessa manifestazione.
Ora il dubbio è sparito: ceduto Diego al Wolfsburg, è rimasto il solo Del Piero.
E’ lui l’unico a ricevere cori di incoraggiamento da parte dei tifosi bianconeri prima dell’inizio dell’incontro. E’ lui, ancora una volta, l’anello di congiunzione tra una Juventus che non c’è più, e una che deve ancora rinascere.
In Austria Del Neri scoprì i fantasmi che aleggiavano intorno alla sua squadra: dopo il pareggio di Schildenfeld in risposta alla rete del vantaggio iniziale di Bonucci, soltanto un colpo di testa di Amauri permise di preparare con più tranquillità la gara di ritorno all’Olimpico di Torino.
Se una settimana fa la Juventus tornò da Graz con la notizia dell’accordo raggiunto con il Cska Mosca per l’acquisto di Krasic, la partita di stasera è stata preceduta da quello, in via di definizione, relativo a Quagliarella. L’idea Di Natale, per il reparto offensivo, è durata poco più della tradizionale passerella di Villar Perosa.
La qualità del centrocampo bianconero, per motivi diversi, è rimasta tutta in tribuna: da quella postazione Aquilani, lo stesso Krasic e Marchisio (squalificato) hanno assistito alla prestazione di un Felipe Melo “non solo quantità”. Al netto dei colpi di tacco che Del Neri gli eliminerà al più presto, si è esibito in progressioni e ripetuti lanci (in direzione di Pepe, in particolar modo) sconosciuti lo scorso anno.
Di Kienast di testa (due volte) e Szabics (palo) gli unici veri pericoli dello Sturm Graz. Manca Florian Kainz, nell’undici iniziale. Quello che all’andata aveva causato i maggiori pericoli con le sue iniziative sulla fascia destra degli austriaci, che hanno finito – stavolta - per sbilanciarsi a sinistra con Bukva. Sino al ritorno in campo del giovane centrocampista.
Lanzafame all’inizio si accomoda in panchina, sostituito da Martinez. Un po’ da un lato, un po’ dall’altro: neanche il tempo di trovare la giusta posizione che l’uruguaiano si deve spostare in attacco per sostituire l’infortunato (altri fantasmi del recente passato) Amauri. In assenza di un regista le azioni partono spesso dai piedi di Bonucci.
Dopo un palo colpito nel primo tempo, Del Piero diventa estremamente concreto con un colpo di classe nella ripresa: goal alla “Pinturicchio”, vantaggio e pratica qualificazione (semi)chiusa. Nonostante i clamorosi errori di Pepe e Lanzafame, la Juventus cresce alla distanza e controlla gli avversari.
Sino a pochi giorni fa si cercava di “recuperare” Diego: ora, con una squadra diventata meno brasiliana, forse è iniziato lo stesso percorso per Felipe Melo. Ad oggi potrebbe diventare il miglior acquisto, in relazione al doppio fallimento (bianconero e nel Mondiale sudafricano) dal quale proviene.
L’inizio di stagione di Del Piero era già stato disegnato, proprio come le sue traiettorie: a lui sarebbero spettati i venti minuti finali delle partite. Lì, avrebbe dovuto dare il meglio di sé.
Adesso ha giocato un incontro per tutti i novanta minuti, risultando decisivo. In sua assenza, manca (ancora) il giocatore in grado di imprimere il “cambio di marcia” alla squadra.
Non soltanto per una gara: quando gli acquisti sono di valore, durano anni.
Con alti e bassi, lui va avanti così da diciotto. Merito suo, ma anche demerito di una (precedente) gestione che non è riuscita, in quattro anni, a trovare (almeno) un giocatore di valore assoluto in grado di raccoglierne il testimone.
Con l’ingresso in Europa League in tasca si riparte da Bari, in campionato, domenica prossima. Laddove, il 14 maggio 2006, in campo neutro si giocò contro la Reggina l’ultimo incontro della Juventus “targata” Triade campione d’Italia per la ventinovesima volta. Il secondo goal, nel recupero, lo segnò Alessandro Del Piero. Era entrato a venti minuti dalla fine della gara.

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Benvenuto, Fabio

sabato 3 luglio 2010

Un altro "black out" di Felipe Melo. E adesso?


Non ci voleva. Quel fallaccio di Felipe Melo su Robben proprio non ci voleva. Una prestazione, quella del brasiliano ieri, dai due volti: bene il primo tempo, condito con un bellissimo lancio in verticale per il goal di Robinho; malissimo nella ripresa, con l’incomprensione con Julio Cesar in occasione dell’autogoal e - soprattutto - l’espulsione per il calcio al giocatore olandese a terra.

Se in occasione dell’autorete dell’1-1 (parziale) il portiere interista rivendica l’aver chiamato la palla e condivide la paternità dell’errore con il compagno, per ciò che concerne l’attimo di follìa successivo, quello ha un solo nome e cognome: Felipe Melo.

Si conclude, così, una stagione negativa per il centrocampista verdeoro, legata a doppio filo con quella della Juventus, il suo club di appartenenza. Proprio nel momento in cui la squadra bianconera si è appena ritrovata per iniziare la preparazione in vista dei preliminari dell’Europa League.
E dire che tutto era iniziato sotto ben altri auspici: nella sessione di calciomercato della scorsa estate, impegnata a cercare un regista, la Vecchia Signora (tale di nome, non di fatto) corteggiava D’Agostino, allora all’Udinese. Non riuscendo ad arrivarci, ecco il colpo di scena che non t’aspetti: 25 milioni di euro (meno Marchionni), clausola rescissoria voluta da Corvino pagata e rispettata, un altro campione che si apprestava a raggiungere Torino, sponda bianconera. Un mediano costato più di un trequartista.

Amauri non era ancora italiano, Diego era stato già acquistato e si attendeva proprio Melo per presentare ai nastri di partenza una Juventus "brasiliana" come mai in passato.
Settantacinque milioni (circa) di investimento in due anni per i tre calciatori, per una squadra che avrebbe dovuto giocare a ritmo di samba. Il "gap" con l’Inter, in Italia, sicuramente ridotto. Col tempo, chissà, il campo avrebbe potuto anche dire "annullato".
Dalla successiva cessione di Cristiano Zanetti alla Fiorentina, ecco i primi equivoci tattici manifestarsi in campo, per poi esplodere fuori dal rettangolo di gioco al presentarsi delle prime critiche.
Partito l’unico regista rimasto in rosa (quando non era alle prese con problemi muscolari), con il posizionamento di Diego come vertice alto del rombo di centrocampo, a Felipe Melo non rimaneva che rispettare gli ordini di scuderia, e piazzarsi davanti alla difesa.

La gara contro la Roma all’Olimpico (30 agosto 2009, vinse la Juve 3-1) aveva fatto sognare i tifosi bianconeri: se Diego si era espresso su livelli eccezionali (mai più rivisti), Felipe Melo gli era andato dietro, producendosi - ad incontro ormai concluso - in una cavalcata potente e devastante che gli permise di realizzare la terza marcatura, quella che chiuse definitivamente la partita.
Ma l’Olimpico di Roma fu, appunto, l’eccezione, non la regola.
Eppure Cesare Prandelli, neo CT della nazionale azzurra ed ex allenatore del brasiliano ai tempi della Fiorentina, lo aveva detto, nel corso di una intervista: "No, consigli non ne voglio dare. Vi dico però che noi l'anno scorso avevamo creato un gioco che per Melo era possibile: non è un regista, ha visione ma non abbastanza. E così avevamo creato meccanismi di gioco facendolo giocare come mezzo destro del 4-2-3-1, con movimenti delle ali che facilitavano il suo gioco".

Il "4-2-3-1", lo schema spesso adottato dal Brasile e qualche volta - nel corso della stagione appena conclusa - dalla Juventus. Il vestito che più si addice alle caratteristiche di Felipe Melo. Proprio nella sua nazionale si è sempre sentito a casa, protetto e coccolato da un allenatore - Carlos Dunga - che adesso, al pari di Marcello Lippi, si assume tutte le responsabilità di un fallimento che ha iniziato a materializzarsi al 28° del secondo tempo dell’incontro con l’Olanda, cinque minuti dopo la rete dell’1-2 segnata da Sneijder, proprio grazie all’attimo di follìa del centrocampista brasiliano. Esattamente nel momento in cui la sua nazionale avrebbe avuto necessità di raccogliere tutte le proprie forze nel disperato tentativo di un recupero in extremis per evitare l’eliminazione dai mondiali.

Lui se ne frega delle critiche. Va in vacanza, felice - poi - di tornare alla Juventus.
"Del passato non mi interessa molto, nello spogliatoio so cosa porterò. Le regole vanno rispettate in campo e fuori. Dialogo senza imposizioni, ma decido io. La base di tutto è il rispetto".
Queste sono alcune delle parole pronunciate ieri da Luigi Del Neri, durante la presentazione delle nuove divise da gioco della società bianconera. Questo è il nuovo ambiente che Felipe Melo troverà, a Torino, se prima non verrà ceduto (a quale prezzo?) a qualche altra squadra.
Potrebbe durare, sì. Ma quanto?

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sabato 5 giugno 2010

Ciro Ferrara, gli "asini" e lo spirito Juve


A leggere l’intervista rilasciata da Ciro Ferrara al taccuino di Paolo Condò ("La Gazzetta dello sport") e comparsa sulle pagine del quotidiano sportivo mercoledì 2 giugno, la Juventus dello scorso anno ha fallito (anche) per colpa di alcuni "asini".
Così ha definito chi - all’interno della rosa - dopo il suo addio si è lamentato di lui, della sua inesperienza, del modo di allenare la squadra e della mancanza di una vera disciplina tattica.

Non che le cose, con l’arrivo del traghettatore Zaccheroni, siano poi cambiate in meglio: partenza stentata, qualche risultato (in Italia e in Europa) confortante, poi la barca è affondata. Così come stava accadendo al momento della sostituzione tra i due tecnici. Né il (temporaneo) ritorno di Bettega, nè - tantomeno - il tentativo dell’allora gruppo dirigenziale di mettere la squadra di fronte alle proprie responsabilità, servirono a migliorare le cose.

Di quella Juventus, oggi, almeno nei piani alti della società è rimasto ben poco. Segno che le colpe non erano - e non potevano essere - solo ed esclusivamente di Ferrara. La stessa musica ascoltata mesi prima quando, al posto dell’ex giocatore bianconero, si trovava Claudio Ranieri.
Come Trapattoni iniziò la sua (trionfale) carriera da allenatore con un Boniperti alle spalle, e Lippi la sua cavalcata bianconera con la Triade a supporto, Gigi Del Neri proverà a ridare un’anima a quella squadra che ha spaventato i tifosi non tanto per i disastrosi risultati ottenuti in questa stagione, quanto per la mancanza assoluta di carattere, di grinta, di combattività: alcuni dei segni distintivi di un DNA ormai incollato a quelle maglie. Si poteva cedere il passo agli avversari, in passato, ma non senza che soffrissero le pene dell’inferno contro chi gettava sempre il cuore oltre l’ostacolo.
Quello che manca alla Juventus di oggi, e che dovrà rappresentare il primo vero e proprio acquisto della nuova gestione, è lo spirito battagliero che ne ha contraddistinto la sua storia: si gioca per vincere, per essere competitivi sino in fondo. Il resto, non conta.

Simone Pepe passerà alla storia come il primo uomo scelto per vestire la casacca bianconera della nuova era-Agnelli. Il suo arrivo non entusiasma i tifosi: sarebbe stato bello (e romantico) iniziare subito con un "botto" di mercato. Dzeko? Ribery? O il meno quotato (ma pur sempre bravissimo) Krasic? Non importa, sai che effetto…
E se un "top player" arrivasse, tra qualche giorno, come terzo o quarto acquisto, cosa cambierebbe?
Il nome di Pepe non stuzzica un popolo deluso, a cui - in passato - è stata chiesta pazienza da chi non ha saputo gestire il tempo (e i soldi) a disposizione per ricostruire una società devastata da (falsi) scandali e dalla retrocessione in serie B. I danni da loro stessi creati, poi, sono risultati ancora maggiori.
Chi è arrivato ora deve partire da "un Pepe" per ricostruire quanto distrutto da altri. Senza giocatori di classe, non si va da nessuna parte; viceversa, senza i Di Livio, i Torricelli e i Pessotto, quella Champions League del 1996 (e altre vittorie precedenti e successive) sarebbero in bella mostra in altre bacheche.

Ogni giocatore ha un suo ruolo preciso, all’interno di un gruppo. Senza quello, regna la confusione. Se la regia, dall’alto, è buona, i risultati - sul campo - si vedranno. Né ottimismo, né pessimismo: realismo. Il problema è che il campionato di serie A (con le rose ultimate) riprenderà tra troppo tempo: c’è il mondiale di mezzo, con i preliminari di Europa League. Tanto, per un popolo che non ha più voglia di aspettare.
Bruciato dalle ultime esperienze dopo essere rimasto scottato a ripetizione, vittima di una caduta rovinosa dall’alto dell’entusiasmo della scorsa estate sino al tracollo dei risultati dell’anno calcistico appena concluso, ora lo sterminato popolo bianconero ha sete di fame, vittorie e rivincite.
Non pazienza: quella, ormai, l’ha persa. E’ inutile chiederla.
Ma "deve" averla.

Il Ferrara che ha perso la prima grande occasione della sua nuova vita calcistica si è preso le responsabilità del fallimento dei suoi mesi da allenatore. Ha rivendicato, inoltre, la paternità dell’acquisto di Fabio Grosso, la difficoltà nell’allenare chi era stato suo compagno di squadra e nel tenere fuori Del Piero, ha difeso Diego, evidenziato la supponenza con la quale si allenava Melo e dichiarato al mondo intero quello che tutti sapevano: la mancanza, nello staff dirigenziale, di un uomo di campo che potesse tenere testa a quei giocatori incapaci di reagire di fronte alla difficoltà.

Altro? Sì. Ha smesso di diventare esigente con suoi uomini dopo i primi risultati positivi. Ha finito col "mollare la presa", senza essere più riuscito a recuperarla. Questo è stato il suo più grande errore.
Di allenatori come Capello e Trapattoni (giusto per rimanere in casa Juventus) tra vittorie, sconfitte, imprese e delusioni spalmate in tanti anni di calcio, ancora si devono avere notizie di un loro calo di tensione. Meno che mai dopo solo quattro vittorie, in poco più di un mese.
Così fanno i vincenti.
Come il Ferrara calciatore, quando indossava la maglia bianconera.
Quello era lo "spirito Juve".

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Dedico questo articolo alla memoria di Valerio Fregoni, Direttore e fondatore del sito Juvenews.net (del quale sono stato redattore), mancato prematuramente lo scorso 21 novembre 2009.
Devo moltissimo, a lui. Non lo dimenticherò mai.

A proposito di "spirito Juve", e di gente che in campo dava l'anima: Romeo Benetti...



mercoledì 31 marzo 2010

La lezione dimenticata di Scirea


La Juventus di Blanc vince sull’Atalanta. Di questi tempi è una notizia. Una frustata di Del Piero ed una zuccata di Felipe Melo consegnano al progetto del francese un’altra pietra su cui fondare le speranze di una rinascita bianconera al momento presente solo nelle sue convinzioni. Una partita cha ha seguito da solo, in piedi, non distante da Buffon nei 45 minuti iniziali (prima che il portiere si travestisse da secondo allenatore e primo tifoso all’ingresso del tunnel che porta agli spogliatoi) e a quell’uscita dello stadio che se intrapresa - una volta per tutte - segnerebbe il primo passo verso la risoluzione dei problemi juventini.

Una squadra stanca, senza forza né benzina nelle gambe, con una formazione disegnata dal medico sportivo più che dall’allenatore-traghettatore. Le scuse di Felipe Melo ai tifosi (dopo il goal segnato) e la risposta (verbale) di Zebina alla contestazione (fisica) le uniche note positive di un’altra domenica più nera che bianca. Un’altra giornata di proteste. Non è stata la prima, e non sarà l’ultima.
Dove il bersaglio non era quello giusto. Anche stavolta.

Troppe forze sprecate nel prendersela con i vari Cannavaro, Zebina e Felipe Melo (appunto); facile ed ovvio tirare in ballo gli allenatori di turno (Ranieri, Ferrara,…); inutile puntare il dito sempre e solo sulla dirigenza (seppur dotata di super-poteri): tutto dipende dalla proprietà.
E’ da lì che devono partire le mosse per la vera rinascita juventina. Che si chieda un maggior impegno economico e affettivo oppure un disimpegno a favore dell’entrata (definitiva) del cugino Andrea: ognuno scelga la propria strada. Chi scrive, crede nel "made in Juventus" (Agnelli). Ma chi può cambiare le cose (in un modo o nell’altro) è solo John Elkann. E’ a lui - e soltanto a lui - che bisogna rivolgersi se si vuole veramente sperare di ottenere risultati concreti.

Al di là delle ovvie recriminazioni e rimostranze verso chi si ritiene non meriti di indossare la maglia bianconera, verso chi disperde milioni di euro in acquisti onerosi e infruttuosi, verso un allenatore che insiste su moduli sbagliati o non ha la giusta grinta per (ri)svegliare una squadra in cerca di autostima, l’importante è non perdere di vista l’obiettivo principale.
Nel mettere in atto un gesto forte come una contestazione, volendo, si può usare anche la classe. Come quella dimostrata dai tifosi bianconeri che domenica, dagli spalti dello stadio Olimpico, hanno manifestato il loro disappunto verso l’attuale gestione con una maglietta bianca nella quale era presente la scritta: "Ho un sogno: Blanc all’Inter!".
Perché indossare la maglia bianconera è una responsabilità non facile da reggere per qualsiasi calciatore, ma prendere posto in una curva che porta il nome e cognome di Scirea rappresenta un impegno non meno gravoso.

"Se dovessi chiederti quale giocatore per te rappresenta la Juventus, uno soltanto, chi sceglieresti?"
Capita, tra ragazzini, quando si parla di calcio giocato e non urlato, di sfottò e non di polemiche, di partita vinta su rigore e non di moviola per vedere se il penalty fosse regolare o meno, di porsi domande simili.
La risposta del sottoscritto è sempre stata questa: "Stile, classe, potenza: in sintesi, Gaetano Scirea".

Di solito un bambino sceglie il proprio idolo tra eroi che stuzzicano la fantasia, gladiatori che accendono l’ardore, attaccanti che fanno schizzare di gioia stadi interi e urlare "goal" a squarciagola. Ma lui era unico. Difficile scegliere se fosse più forte dal punto di vista tecnico o da quello umano: era un numero uno in entrambi i casi.
Quando la voce roca di Sandro Ciotti ne annunciò la tragica fine nel corso di una trasmissione sportiva (il 3 settembre 1989), una fitta al cuore bloccò ogni parola, impedì qualsiasi pensiero e segnò nel tracciato della vita di un piccolo tifoso il primo passo verso la strada per diventare adulto.
Ci sono campioni la cui scomparsa decreta il loro ingresso nel libro della leggenda sportiva: a lui, questo, non era necessario. Era già leggenda. Nel modo più impensabile: con la timidezza, la bontà d’animo, l’eleganza di chi entrava ed usciva dal campo a testa alta. Fiero di aver interpretato lo sport nella sua versione più romantica e pura. Con una classe che - nel ruolo - ha trovato nel tempo pochi simili.

Si era presentato in punta di piedi nel mondo bianconero nel 1974. Proveniva (guarda caso) dall’Atalanta. Se n’è andato in silenzio, senza che nessuno lo potesse salutare. Trionfi e sconfitte accettati sempre con lo stesso stile: quello di chi vedeva nel risultato sportivo, qualunque fosse, il giusto epilogo di una contesa. Gli insuccessi come parte integrante della vita, anche se spiacevoli. Ci sono addii che scuotono le anime di chi rimane, lasciando insegnamenti scolpiti nelle pietre delle esperienze di ognuno di noi.
Scirea se n’è andato troppo presto: in molti non hanno capito la sua lezione. Se così non è stato, l’hanno comunque dimenticata.

La Juve è qualcosa di più di una squadra, non so dire cosa, ma sono orgoglioso di farne parte (Gaetano Scirea)

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Di seguito, il mio video su Gaetano Scirea

giovedì 25 marzo 2010

La Juve a Napoli per vincere due partite


Altro giro, altro regalo: stavolta a Genova, sponda blucerchiata. Dieci sconfitte in totale: cinque a Torino, altrettante in trasferta. Meglio non far torti a nessuno, qualcuno si potrebbe offendere. Il Palermo come avversario preferito: un doppio 2-0 (andata e ritorno, alla settima giornata), sei punti incassati (da loro) e tanti saluti.
Adesso tocca al Napoli, che all’andata (Torino, 31 ottobre 2009) sconfisse la Juventus recuperando due goals di svantaggio e chiudendo l’impresa con la marcatura di Hamsik: esclusa la caduta rovinosa coi rosanero, quello fu il primo vero e proprio segnale di una squadra senza personalità. Un marchio di fabbrica che l’ha accompagnata nei mesi successivi.

L’anno scorso, al completamento della decima giornata di ritorno, la Juventus di Ranieri aveva accumulato 62 punti: 2 in più di quanti ne ha avuto, nello stesso momento in quest’annata, l’Inter capolista del torneo. 17 in più della Juventus attuale, guidata dal "traghettatore" Zaccheroni.
Che tale rimarrà: a fine anno, salvo improvvisi ripensamenti, lascerà il posto ad un nuovo tecnico.
E’ un campionato livellato verso il basso: nonostante dieci sconfitte in 29 giornate, nonostante il cambio di allenatore, nonostante gli infortuni, nonostante…tutto, la Juventus può ancora (la matematica lo permetterebbe) arrivare quarta. Benedetto il rigore di Kharja (Genoa) realizzato al 52° del secondo tempo contro il Palermo: a tre punti di distanza, i rosanero sono ancora raggiungibili. Con i "se" ed i "ma" i perdenti creano una loro storia: quella che poteva essere e non è stata. Analizzando le partite giocate e tutti i punti buttati via in maniera scellerata, ci vuole poco a capire che non era necessaria una Juventus straordinaria per ballare in classifica, ad oggi, tra la terza e la quarta posizione.

Roberto Bettega dice di avere, nella sua testa, l’idea dei nomi che faranno parte della rosa per la prossima stagione. Da vicedirettore generale con responsabilità su tutta l’area sportiva, ad unico referente del mondo bianconero nell’attuale disastrosa situazione: di Alessio Secco si sono perse le tracce; Blanc ha dato segni di vita convocando l’ennesimo CDA (se ne sentiva la mancanza). Non c’erano vittorie che potessero dare fiato a nuovi proclami: meglio stare in silenzio.
Tra il quarto posto a fine campionato (con la possibilità di giocare i preliminari di Champions League), la qualificazione alla prossima Europa League e l’esclusione dalle coppe, ballano milioni di euro. Con quelli (o senza), si farà il mercato. "Chi" lo farà, è il primo (grande) dubbio da risolvere.
Cambiano le carte, ma non il mazziere: Jean Claude Blanc. Dal 2006 questa è la "sua" Juventus, così come nel passato ci sono state (tanto per citarne qualcuna) quelle di Boniperti o della Triade.
Giusto per evidenziare, ancora una volta, uno dei padri di questo progetto mai nato. E per non perdere di vista dove intervenire in primis nella prossima stagione.

Poulsen in campo a Genova al posto di Felipe Melo: l’acquisto più contestato della scorsa stagione non fa rimpiangere quello maggiormente acclamato la scorsa estate. Anzi. L’unico rammarico sono i 25 milioni di euro dispersi in riva all’Arno.
Chimenti in campo causa l’assenza contemporanea di Buffon e Manninger, mentre Pinsoglio rimaneva seduto in panchina: non è una Juventus per giovani. Anche se continuano a vincere a raffica da anni con i pari età. E non importa se il portiere della Primavera bianconera viene reputato un elemento (molto) interessante: meglio andare sull’usato sicuro (…).
Due tra i tanti elementi di discussione della trasferta genovese presi ad esempio per spiegare il complicato (e variegato) mondo bianconero di questi mesi.

Le ripetute sconfitte generano pessimismo, che finisce poi col confondersi con il realismo: una nuova battuta d’arresto (a Napoli) sembra essere alle porte. Se il ritiro anticipato (chiesto dai giocatori) avrà portato beneficio, lo si saprà soltanto dopo l’incontro di stasera.
La stagione è scivolata via da ogni pronostico, un piano inclinato che né l’avvento di Bettega, né l’arrivo di Zaccheroni sono riusciti a raddrizzare. Da squadra "malata" (con Ciro Ferrara) a "convalescente" (con lo stesso tecnico romagnolo), per tornare ad essere nuovamente "malata".
Il fisico non regge: troppi infortuni per la Vecchia Signora. Dentro la testa il problema più grave: quello di una squadra che ha assorbito le debolezze della società, per farle proprie.
Il tifoso non ha fiducia: crede nei risultati, quelli che non ci sono; crede ai fatti, ed è stufo dei proclami.
E spera: che la stagione finisca al più presto; che la dirigenza cambi "in toto"; che la proprietà faccia un passo indietro (o uno in avanti, andandosene); che la Juventus torni a lottare per vincere.
A partire da Napoli, dove si giocano due partite: una, quella che vedrà in campo i bianconeri contro i partenopei; l’altra, quella che si sta svolgendo tra le aule del tribunale.
Dove il tenente colonnello Auricchio non sa dare spiegazioni sulle mancate intercettazioni delle telefonate tra Bergamo e Moratti…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 18 marzo 2010

Grygera, Melo e la voglia di una Juve vincente


Dieci minuti di ottimo calcio. Poi: rilassatezza e black out mentale, prima ancora che fisico (il giovedì precedente c’era stato l’incontro di andata con il Fulham). Così con il Siena sono stati buttati via altri due punti, e con essi la possibilità (mancata) di superare il Palermo in classifica e avvicinare la Roma. Quella col fiatone vista in queste ultime giornate di campionato. Ma l’assurdità di quanto si è vissuto domenica con i toscani è rappresentata dalla portata dell’evento: tre goals recuperati in casa dall’ultima in classifica.

"Mi ha sorpreso Grygera. E' davvero forte". Felipe Melo pronunciò queste parole il 12 agosto 2009, davanti a Luca Calamai (giornalista della "Gazzetta dello Sport"), nel corso di un’intervista rilasciata a Tallinn, sede dell’amichevole giocata tra la nazionale estone e quella brasiliana.
Parole che fanno ridere amaro (per non dire piangere) ripensando a quanto accaduto all’Olimpico nel corso dell’ultima giornata di campionato. Il difensore ceco è stato il principale colpevole (ed "esecutore materiale", in occasione del primo goal subito) della rimonta patita dalla Juventus; il centrocampista brasiliano, nel contempo, ha risposto da par suo ai fischi dei tifosi.

Di Grygera non stupiscono gli errori o i limiti tecnici: per i primi, originati anche da improvvise amnesie, ci si era già abituati da tempo (basti pensare al passaggio al palermitano Budan in occasione del secondo goal all’Olimpico il 28 febbraio scorso, giusto per fare un esempio); per i secondi, era bastato un anno di convivenza (il primo trascorso a Torino) per non avere più dubbi in merito. Capita di sbagliare degli acquisti, anche alle migliori dirigenze. Poi, però, bisogna anche porvi rimedio. Senza farsi prendere dalle malinconie (perché si è ceduto Balzaretti? Perché si è bocciato Criscito senza appello?), e con la consapevolezza che quello dei laterali difensivi è (e rimane) un problema irrisolto da quattro anni a questa parte. Dal 2006, naturalmente.

Accolto dai tifosi con un entusiasmo (quasi) superiore a quello del connazionale Diego, l’acquisto di Felipe Melo si è rivelato dopo poco tempo un azzardo della dirigenza juventina: prezzo altissimo, un ruolo che avrebbe dovuto coprire in campo diverso da quello a lui consono (regista invece di mediano). Due ostacoli non facili da superare, anche per un neo titolare della nazionale verdeoro. Critiche su critiche, partita dopo partita: poi, dopo tanto, l’esplosione di rabbia. Le sue prestazioni hanno finito col rivalutare l’acquisto dell’anno precedente di Poulsen: un altro mediano preso per fare il regista. Un altro errore della dirigenza, caduto - in primis - sulle spalle degli stessi calciatori. Che poi, non solo per colpe loro, non riescono a rispondere sul campo. Di questo passo, se qualcosa non cambierà nei vertici societari, la prossima estate un nuovo giocatore (sbagliato) verrà preso dopo averne inseguito un altro con le caratteristiche che sarebbero servite a questa squadra. E finirà, a sua volta, per far rivalutare (per quanto possibile) l’acquisto di Felipe Melo. A meno che, nel frattempo, non abbia già lasciato la Juventus.

E ai tifosi juventini, da quelli che frequentano lo stadio Olimpico a quelli seduti in poltrona davanti alla televisione, da quelli attaccati alla cara vecchia radiolina sino ad arrivare a quelli incollati al monitor di un computer, non rimarrà che ingoiare l’ennesimo boccone amaro, frutto di decisioni sbagliate in partenza cui è difficile poi rimediare in corso d’opera. Litigando anche tra di loro, come già sta accadendo, dimenticandosi di essere tutti fratelli, figli di un unico grande amore. Da chi se la prende con chi contesta allo stadio, non accorgendosi - forse - che all’interno delle quattro mura si dicono anche cose peggiori, a chi lamenta che è facile far danzare le dita sulle tastiere dei computer, senza sopportare gli sforzi di chi è sempre in prima linea per seguire le sorti della squadra.
Molti, tra coloro i quali frequentano gli spalti dell’Olimpico, provengono da località diverse da Torino. C’è chi si carica sulle spalle centinaia di chilometri pur di veder giocare la Juventus, compiendo rinunce anzitutto a livello economico (per non dire di quelle personali) pur di passare una domenica accanto alla squadra del cuore. E se è vero come è vero che anche il pubblico italiano dovrebbe assumere un po’ di quella mentalità sportiva che manca alla nostra cultura, e che certi cori non possono essere giustificati (ma neanche stravolti dai media, in alcuni casi), è pur vero che da chi era abituato a vedere le pennellate di Platini, le veroniche di Zidane o le geometrie di Paulo Sousa o Emerson, ha tutti i motivi per lamentarsi di una squadra che da quattro anni non riesce a fare cinque o sei passaggi di fila nel corso di una partita. Se non in verticale, tra difensori, nell’ambito di una fase di palleggio della partita. Si finisce col discutere, come accade (anche) nelle migliori le famiglie, quando le cose non vanno bene. Nella speranza di poter tornare presto a gioire tutti insieme.

La Juventus di Ciro Ferrara era malata. Questa di Zaccheroni è in convalescenza. Lo era prima della gara con il Siena, lo sarà anche dopo. E’ stata costruita male in estate, e pur avendo a disposizione un undici di base di ottimo livello, i continui infortuni ne hanno minato le certezze prima, e i risultati poi. E non sarà certo un’Europa League (magari) vinta quest’anno a cambiare le valutazioni finali.
Mentre si parla di un allenatore da scegliere (o confermare) per un nuovo - ennesimo - corso, i tifosi chiedono di fare alla svelta. Perché mentre si ascoltano promesse, gli altri comprano, incassano e vincono. Perché le squadre si iniziano a costruire da ora. Così come le dirigenze che devono plasmarle. E chi ha già ampiamente dimostrato di non essere in grado di reggere certe responsabilità, è pregato di prendere la porta e andarsene. Per loro è sempre aperta. Sarebbe il primo vero passo per il ritorno di una Juventus vincente.
Articolo pubblicato su Tutto Juve.com