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venerdì 2 maggio 2014

Alla Juve serve una nuova mentalità

La Juventus che si appresta a conquistare il terzo scudetto consecutivo si conferma una squadra che al di fuori dei confini del nostro paese non riesce né ad emergere né a mostrare tutto il proprio valore. Le cause non sono certo da ricercare nella neve caduta a Istanbul lo scorso dicembre, oppure in qualche episodio sfavorevole accaduto nel doppio confronto con il Benfica. Il problema, più ampio, riguarda il suo processo di crescita, iniziato nel momento del ritorno in serie A e ancora da completare, reso più complicato - nel corso del tempo - anche per colpa di alcune scelte sbagliate operate dal club. Inteso nel suo insieme, senza considerare il cambio societario che ha poi portato Andrea Agnelli al timone di Madama.
Nessuno è perfetto, per carità, gli errori fanno parte del mestiere e le sconfitte bruciano. Però, a mente fredda, non bisogna dimenticare che la chiesa è stata rimessa al centro del villaggio (tanto per citare un proverbio caro a Rudi Garcia) soltanto da tre anni a questa parte. La Juventus che ha ripreso a dettare legge in Italia ha dimostrato di essere ancora una Giovane Signora in Europa, priva dell'esperienza e del cinismo necessari per ottenere risultati prestigiosi anche fuori dalla serie A.
Pirlo, Buffon, Tevez, Vidal... tra le sue fila Madama annovera elementi dalla caratura internazionale, che però non le sono stati sufficienti per maturare alla svelta la consapevolezza che nelle manifestazioni europeee si gioca un calcio di tipo diverso: più veloce, con meno interruzioni, più fisico e con una particolare cura dei dettagli. Al minimo errore, infatti, si rischia di dover pagare il dazio, senza avere il tempo necessario per rimediare.
Dal momento in cui la Juventus è stata eliminata dalla Champions League, poi, in casa bianconera si è fatto un gran parlare della possibilità che la formazione allenata da Conte potesse giocare un'eventuale finale di Europa League a Torino, nel suo stadio. Proprio in questo frangente è venuto a galla il provincialismo della Vecchia Signora. Cancellata la Coppa delle Coppe, in Europa ogni anno fior di club sgomitano tra loro per potersi aggiudicare soltanto due competizioni. Visto e considerato che quella più importante è attualmente fuori dalla portata della truppa juventina, era davvero così umiliante per lei partecipare all'Europa League, tanto da dover usare come ulteriore stimolo nell'affrontarla il pensiero che la gara decisiva si sarebbe disputata a Torino?
Nel corso della prossima estate la Signora potrebbe cambiare abito, così come il sarto che ne curerà le rifiniture. Ma per tornare a vincere in Europa quello che le servirebbe sarebbe soprattutto una mentalità nuova, che dai vertici societari possa propagarsi verso il basso, in cui l'unico denominatore comune alle diverse competizioni da affrontare dovrebbe essere l'intenzione di provare a vincere tutto quanto le sarà possibile. Non soltanto a parole o con slogan ad effetto.

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venerdì 25 aprile 2014

Juve, passa da Torino il futuro europeo


Il futuro europeo di Madama ora passerà inevitabilmente da quanto accadrà sul prato verde dello “Juventus Stadium”. Era già stato deciso che il prossimo 14 maggio vi si sarebbe disputata la finalissima dell'Europa League, di conseguenza tra poco meno di una settimana proprio su quel terreno la Vecchia Signora dovrà sudarsi l'accesso alla gara decisiva della manifestazione.

Il giorno stesso in cui la Juventus aveva conquistato il primo scudetto dell'era-Conte, il giornalista e scrittore Maurizio Crosetti descrisse con queste parole l'impianto torinese: “Il dodicesimo giocatore non scende in campo perché "è" il campo. E' una tana di cemento e cristallo, è il primo stadio di proprietà in Italia e l'ha costruito la Juve. Assai probabile che il dodicesimo giocatore abbia portato punti in classifica. Impossibile quantificarli, ma ci sono di sicuro. Ed è certo che la Juve sia imbattuta anche per via della sua tana, la sua casa riconquistata insieme all'identità di sé. Una visione tra passato e futuro, perché un campo e uno stadio sono appartenenza, e insieme sono sviluppo. Sono soldi”.

Può darsi che l'aria di casa, l'affetto e la vicinanza dei suoi tifosi restituiscano alla Juventus quelle sicurezze che in Europa spesso smarrisce. Salvo ritrovarle quando i giochi sono ormai fatti. L'elenco delle occasioni perse o comunque non colte al volo inizia ad allungarsi pericolosamente e tra queste – sia chiaro – non vanno certo annoverate le sconfitte patite per mano del Bayern Monaco nella scorsa stagione. Ma gli approcci titubanti al cospetto dei vari Nordsjælland, Copenaghen e Galatasaray si ripropongono con una frequenza sempre maggiore nel momento stesso in cui la Vecchia Signora abbandona il Belpaese per iniziare qualche campagna d'Europa.

Le reti subite dai bianconeri all'Estádio da Luz erano evitabili, così come il bellissimo goal di Tevez poteva non restare un caso isolato a se stesso, se soltanto qualche suo compagno avesse avuto una mira migliore. Per carità, nulla è compromesso, la finale è ancora a portata di mano. Ma l'Europa non è l'Italia, se sbagli spesso manca il tempo per rimediare. La sconfitta con il Benfica ricorda una volta in più quanto sarebbe importante per la Juventus vincere l'Europa League, in modo da ritrovare la sicurezza e l'autostima indispensabili per poter riprendere a pensare in grande. Non è soltanto una questione di uomini, ma anche di “testa”. L'Atletico Madrid attuale semifinalista della Champions League (che ultimamente è riuscito ad aggiudicarsi qualche trofeo... ) è la prova lampante di questo concetto. 

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martedì 22 aprile 2014

Juve, cessioni per ritornare grande



Vendere per ricostruire, vincere per continuare a vincere. Attorno a Madama ormai non si parla d'altro. L'ipotesi di qualche cessione eccellente a fine stagione in casa bianconera (quella di Pogba su tutte) viene considerata dagli organi di stampa tanto un possibile toccasana per le casse del club quanto uno strumento indispensabile per poter realizzare nuovi acquisti di spessore. L'idea di sollevare sotto il cielo di Torino l'Europa League, poi, solletica non poco la Vecchia Signora impegnata alla ricerca di quella visibilità continentale che le manca ormai da troppo tempo.

In più, come se non bastasse, c'è ancora un piccolo alone di mistero che aleggia intorno al futuro di Antonio Conte. Sembra strano, ma si sta parlando dei fatti di cronaca di una società che si appresta a conquistare il terzo scudetto consecutivo ed a disputare la semifinale di andata di una competizione europea.

Di strano, però, non c'è nulla, soprattutto se si pensa a dove vuol tornare la Juventus: in cima all'Europa e al mondo. Durante un suo intervento nel corso di un seminario sugli sport di squadra organizzato dal Coni, tenutosi nel mese di aprile del 2010, Marcello Lippi – tecnico pluridecorato di Madama ed ex c.t. della nazionale azzurra - aveva "separato" i grandi calciatori in campioni e fuoriclasse: “I primi sono dei solisti, dei galli nel pollaio, che hanno grandi doti ma che non fanno nulla per migliorare e mettono in mostra le proprie qualità solo in poche occasioni. Sono primedonne che non si mettono a disposizione del gruppo, non aiutano la squadra. I secondi, invece, hanno il talento, non solo tra i piedi, e lo mettono al servizio del collettivo. Hanno grandi qualità in campo e fuori, incarnano i valori della leadership. Di questi giocatori più se ne hanno e meglio è”.

Non è un caso se la Juventus ha raggiunto certi risultati quando tra le sue fila militavano giocatori di uno spessore umano, oltre che tecnico, fuori dal comune. Due di questi, Zinedine Zidane ed Edgar Davids, sono i protagonisti di un aneddoto che il fuoriclasse francese aveva confessato al mensile calcistico 'So Foot' la scorsa estate: "Non è una leggenda la storia che vuole che io mettessi un cappellaccio da pescatore per andare a giocare con gli immigrati, anche se l'ho fatto soltanto un paio di volte. A spingermi era il mio compagno di squadra Edgar Davids. Lui ci andava matto, lo faceva molto spesso: prendeva la macchina e quando vedeva qualcuno giocare in un parcheggio si fermava per aggregarsi. Mi diceva sempre: 'E' per loro che dobbiamo giocare, sono queste le partite importanti'. E io gli dicevo: 'Ok, ma abbiamo gli allenamenti, apparteniamo a un club di alto livello, non possiamo rischiare di infortunarci'. Allo stesso tempo, però, lo ammiravo, perché era in grado di fare delle cose del genere".

Ha ragione Giuseppe Marotta nel sostenere che “la nostra società è una di quelle che compra e non vende”, ma di fronte ad un'offerta irrinunciabile per qualche suo gioiello, però, non è detto alcune certezze della dirigenza non possano vacillare. Soprattutto guardando la carta d'identità di alcuni fuoriclasse bianconeri e la necessità di sostituirli con altri dello stesso livello. “Di questi giocatori più se ne hanno e meglio è”, sosteneva, come visto, Lippi. E se la liquidità manca (o, comunque, non è disponibile), all'orizzonte non si intravedono molte altre soluzioni. 

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sabato 12 aprile 2014

La Juventus a Udine per vincere e chiudere il discorso scudetto


La grande bellezza del calcio europeo, in questa settimana che sta volgendo al termine, si è potuta ammirare sia in Champions League che nella sorella minore, l'Europa League. Poi, ovviamente, i fuochi d'artificio più spettacolari sono stati riservati alle serate di martedì e mercoledì, quando i primi otto club del continente hanno dato vita a scontri di rara intensità e densi di emozioni.

Caduto il Barcellona, per un soffio il Real Madrid non ha lasciato le penne a Dortmund, laddove i ragazzi terribili di Klopp hanno sfiorato l'impresa di eliminare gli spagnoli. “Questa partita va messa su un dvd da regalare a tutte le squadre che perdono all'andata e che sembrano senza speranza, per dimostrare che c'è sempre, in ogni occasione, qualcosa da rivedere”. Così il tecnico dei gialloneri è riuscito a fotografare l'istantanea di una gara che rimarrà a lungo impressa nella memoria dei tedeschi.

Ed in Europa League sembra proprio che ci si stato chi ha preso alla lettera le sue parole. A questo proposito basta guardare, infatti, alle rimonte di Siviglia e Valencia: i primi, sconfitti per 1-0 dal Porto nella gara d'andata, hanno ribaltato il risultato vincendo per 4-1 il match di ritorno; i secondi, invece, sono passati da uno 0-3 contro gli svizzeri del Basilea ad un rotondo 5-0 casalingo. Adesso si ritroveranno entrambi in semifinale, mentre nell'altra parte del tabellone Juventus e Benfica si contenderanno l'ultimo pass per la finalissima in programma a Torino il prossimo 14 maggio.

Nonostante la battuta rilasciata da Pirlo ad un giornalista nei momenti successivi il sorteggio (“Il Benfica? Mi dispiace per loro...”), Madama farebbe bene a non sottovalutare i portoghesi: nella finale della stessa competizione disputata lo scorso anno ad Amsterdam, contro il Chelsea di Benitez, c'erano proprio loro.

Il centrocampista della nazionale ha aperto la strada alla recente vittoria dei bianconeri contro il Lione con un'altra perla su punizione. Se trovare altri complimenti per il fuoriclasse di Brescia diventa sempre più difficile, per spiegare meglio la ripetitività delle sue prodezze possono venire in soccorso le parole rimaste impresse sul libro “Giochiamo ancora”, scritto da Alessandro del Piero con l'aiuto del giornalista Maurizio Crosetti: “Il talento cresce, migliora, va protetto e non invecchia. Maradona lo avrà per sempre: se tirasse una punizione, anche a ottant'anni metterà la palla all'incrocio. Siamo noi a invecchiare, il nostro corpo, non la classe”.

A Udine, prossima tappa del cammino in serie A della Vecchia Signora, in caso di vittoria esterna della Juventus i giochi per lo scudetto potrebbero dichiararsi chiusi. Sarebbe meglio per lei, quindi, tirare fuori tutte le energie necessarie per espugnare quel campo. Anche perché per tenere il passo del Benfica durante (almeno) centottanta minuti ne serviranno parecchie...

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sabato 22 marzo 2014

Pirlo, l'artista delle punizioni


Nel suo libro “Juventus. Quei derby che una signora non dimentica”, pubblicato nel 2007, Roberto Beccantini - noto giornalista sportivo e tifoso bianconero - aveva riportato un curioso aneddoto legato ad una confessione rilasciata tempo prima da Dino Zoff: “Quando prendevo un gol da Platini in Nazionale o in allenamento non mi lamentavo né mi incavolavo mai. Sono gol che un portiere deve accettare. Perché? Non sono imparabili, sono perfetti”.

Passano gli anni, Madama saluta o dà il benvenuto a nuovi fuoriclasse, ma la storia si ripete. Buffon, all'alba del primo campionato disputato dalla Vecchia Signora dentro la sua nuova casa (2011/12), per celebrare la grandezza di un altro maestro nelle punizioni, Andrea Pirlo, diventò addirittura mistico: “Quando Andrea mi ha detto che sarebbe venuto alla Juve, la prima cosa che ho detto è stata "Meno male". Credo che un giocatore del suo livello e del suo valore, per lo più gratis, sia stato l'affare del secolo. E ieri quando l'ho visto giocare ho pensato "Dio c'è", perché è veramente imbarazzante la sua bravura calcistica".

Davanti a quella classe anche Michel Platini lo scorso 18 giugno 2013 si era tolto pubblicamente il cappello: “Stiamo parlando di un grande giocatore, perché dà un valore aggiunto alle sue squadre sia per tecnica che per organizzazione. La sua sfortuna è che nella storia rimangono più nella mente dei tifosi i grandi goleador perché le tv fanno vedere soprattutto i gol. Nella Juve infatti ci si ricorda di più di Del Piero che di altri. È lo stesso problema di portieri, difensori e centrocampista di fatica. È un giocatore eccezionale, con grandi qualità e devo dire che lo ammiro moltissimo. Mi tolgo il cappello di fronte a lui”.

Ultimo tra gli ultimi, ma solo in ordine cronologico, anche Luigi Garlando, prima firma della “Gazzetta dello Sport”, nel celebrare l'opera d'arte con la quale Pirlo ha regalato la qualificazione ai quarti di Europa League alla Juventus, sulla rosea ha scritto: “L'habitat naturale di Andrea Pirlo è il Pallone d'Oro. Non l'ha mai vinto? Colpa di chi vota, mica sua”. Amen.

Finite le celebrazioni, per i bianconeri adesso è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e portare a compimento due missioni all'interno di una stagione, quella che porterà molti di loro a partecipare ai mondiali brasiliani, sempre più densa di impegni.

Aumenta il numero dei minuti accumulati nelle gambe dalla truppa di Conte, iniziano ad affiorare con frequenza sempre maggiore gli infortuni, ogni tanto fioccano alcune squalifiche, ed ecco che Madama inizia a tirare la cinghia, facendo ricorso a qualche ragazzo della sua Primavera (Romagna e Matiello a Firenze, giusto per fare un esempio).

Il prossimo appuntamento in campionato è a Catania, laddove in campionato la Juventus non perde dal lontano 27 settembre 1964. All'epoca dei fatti vinsero i padroni di casa per 3-1, la Vecchia Signora era guidata in panchina da Heriberto Herrera. Quella stagione si concluse con un quarto posto in serie A, un successo in coppa Italia (il quinto per i bianconeri), ed una finale di Coppa delle Fiere, la mamma della vecchia Coppa Uefa (e la nonna dell'attuale Europa League), persa contro gli ungheresi del Ferencvaros nella gara secca disputata allo stadio “Comunale” di Torino.

A questo punto, vista e considerata qualche ipotetica analogia col passato, per Madama è meglio cercare di portare a casa un'altra vittoria in campionato... 

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martedì 18 marzo 2014

A Firenze la Juve migliore


Con il terzo scudetto ormai a portata di mano, la Juventus può adesso concentrarsi sulla gara di ritorno degli ottavi di finale di Europa League. A Firenze contro un pronostico, un avversario ed un clima a lei ostili, Madama avrà puntati gli occhi di tutti gli appassionati sportivi. Riuscirà a togliere il sorriso dalle labbra di chi ha già festeggiato la sua eliminazione dal torneo per mano dei viola? Quando parlava di questo argomento a Genova, negli istanti successivi la vittoria esterna ottenuta contro il Grifone, Antonio Conte stava mettendo in mostra soltanto un po' di ironia oppure puntava a caricare al massimo il morale della truppa?

Per il tecnico bianconero la vita andrà avanti comunque, eliminazione o meno. Ma come può un allenatore che vive a pane e vittorie (e con una figlia che, giusto per rimanere in tema, si chiama pure Vittoria), affrontare una partita così delicata senza giocarsi tutte le fiches a sua disposizione?

Le polemiche nate (e proseguite) con Fabio Capello hanno dato origine a roventi discussioni anche in seno ai tifosi bianconeri: con questi uomini Conte avrebbe potuto fare di più in Europa? Rispondendo a due lettere su questo tema, diverse tra loro, l'editorialista della “Gazzetta dello Sport” Alberto Cerruti ha chiuso il proprio intervento con queste parole: “Perché una grande squadra e un grande allenatore non devono accontentarsi mai. Nemmeno di un importantissimo terzo scudetto consecutivo, con più o meno di 100 punti”.

Anche l'Avvocato Agnelli, tempo fa, aveva ripetuto un concetto simile durante uno scambio di battute con un gornalista: “Boniperti dice che la sua Juve ha vinto tanto? Sì, è vero, ma perché non va a Madrid a vedere i trofei del Real? La verità è che la Juve non deve mai guardarsi indietro, ma pensare sempre al successo che verrà”.

La Fiorentina, intanto, aspetta di vedere quale tipo di squadra si troverà di fronte giovedì sera, se la formazione che sta triturando record in campionato oppure la sua versione europea, quella scialba e timorosa che smette di aggredire gli avversari dopo aver concluso la prima frazione di gioco.

Massimo Ambrosini, veterano di molte battaglie sui campi di calcio, ha mostrato un profondo rispetto nei confronti dei bianconeri: “È una squadra, un collettivo, che fa paura perché ha uno spirito di un certo tipo, dei giocatori abituati a giocare queste partite, dal punto di vista mentale e tecnico. Noi favoriti? No. Saremmo dei pazzi a pensarlo”.

Almeno a parole, il match sembra riprendere da una situazione di incertezza sull'esito conclusivo.
Spetta alla Juventus, se lo vorrà, cercare di dimostrare che i timori di Ambrosini, in realtà, erano fondati. 

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giovedì 20 febbraio 2014

Juve, prima vittoria in Europa League


Dispiaciuto per aver assistito ai recenti botta e risposta tra Conte e Capello, nelle ore che hanno preceduto l'esordio stagionale in Europa League della Juventus Arrigo Sacchi aveva elogiato apertamente l'attuale tecnico bianconero: “Credo che la Juve di Conte sia la più bella che io mi ricordi. Anche più di quella di Lippi: è molto più armoniosa, è una squadra che conosce tutto. La vedi e sembra che il calcio sia la cosa più semplice al mondo”.

Sfortunatamente le belle parole spese dall'ex allenatore di Fusignano sono capitate proprio a ridosso di una gara, quella tra la Vecchia Signora ed il Trabzonspor, che ha certificato nuovamente le difficoltà che Madama incontra nelle competizione europee alle quali partecipa regolarmente in questi ultimi anni. Nonostante la vittoria per 2-0. Bella in Italia e bruttina in Europa, verrebbe da dire.

Riepilogando: dal 19 settembre 2012, giorno del ritorno della Juventus in Champions League (in casa del Chelsea, allo Stamford Bridge) ed escludendo la partita appena giocata contro i turchi, i bianconeri hanno disputato sedici gare, vincendo e pareggiando per sei volte, per perdere le restanti quattro. Non si tratta di un cammino da grande squadra, quanto – piuttosto – di un percorso incerto, compiuto a fatica da parte di un club che cerca di tornare nell'élite del calcio che conta.

Per provare a vincere lo scudetto e l'Europa League da giorni Conte sostiene di aver necessità di poter pescare a piene mani dall'intera rosa a sua disposizione. A questo proposito ha poi stoppato immediatamente qualsiasi tipo di commento ironico nel merito: “Qualcuno storcerà il naso vedendo certe formazioni, ma che se lo raddrizzi subito...”. Con tutto il dovuto rispetto, quando sulle fasce laterali vengono a mancare i titolari la differenza con gli assenti si vede ad occhio nudo.

E' una questione di uomini, sì, e forse pure di tattica. Sicuramente di mentalità vincente. Quella che Ferguson, ad esempio, inculcò al suo Manchester United chiedendo ai giocatori di guardare e imparare dalla Juventus di Marcello Lippi. Quella squadra che, tra le varie imprese che portò a termine, fu anche in grado di vincere per 6-1 a casa del Milan nel lontano 6 aprile del 1997. Sacchi dovrebbe ricordare bene quella gara, visto che era seduto sulla panchina dei rossoneri...

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sabato 14 dicembre 2013

Juventus, l'Europa League come nuovo trampolino di lancio


La vittoria ottenuta in Champions League lo scorso mese di novembre contro il Copenaghen aveva mostrato chiaramente il doppio volto della Signora: cannibale in Italia, timida in Europa. La successiva sconfitta patita ad Istanbul per mano del Galatasaray ha fatto retrocedere Madama in Europa League, la manifestazione che una volta si chiamava coppa UEFA e che aveva un suo prestigio internazionale ed era considerato un vanto riuscire a conquistarla. Adesso, invece, viene semplicemente vista come la sorella minore, più povera, della massima competizione continentale.

Eppure è proprio dalla coppa UEFA che nel 1977 era partita la campagna d'Europa della Juventus, in grado di far suoi in pochi anni tutti i trofei allora esistenti. Coppa delle Coppe inclusa. Giova ricordarlo a chi parla di una sorta di "maledizione" che accompagna i bianconeri allorquando varcano i confini del Belpaese. Non si tratta di sfortuna, anche se è indubbio che avere la buona sorte dalla propria parte aiuta, quanto - piuttosto – la necessità di possedere o meno una caratura internazionale.

Il Real Madrid, giusto per fare un esempio, fattura in bilancio ogni stagione vagonate di milioni di euro, ne spende altrettanti in ingaggi, può schierare un giocatore del calibro di Cristiano Ronaldo (capace di segnare almeno un goal a partita) oltre ad un'infinità di stelle di svariata grandezza, eppure non conquista una Champions League dal 2002. Prima dell'arrivo di Mourinho, che comunque in Spagna non ha goduto della stima dell'intero ambiente, faticava persino a superare gli ottavi di finale.

Si può e si deve criticare la Juventus per aver buttato al vento una qualificazione alla fase successiva che sembrava alla sua portata già dai primi istanti successivi alla composizione del proprio gruppo, però non va dimenticato che questa squadra ha necessità di ulteriore esperienza per crescere e tornare a quei livelli che l'hanno resa famosa nel mondo.

Nell'edizione successiva a quella conquistata dal Real Madrid citata in precedenza furono Juventus e Milan ad andarsi a giocare a Manchester, nella finalissima, il trofeo. In semifinale si erano fermati gli stessi blancos assieme ad un'altra formazione italiana, l'Inter. Quella stagione segnò il picco, in positivo, del calcio nostrano. Del lotto dei club nostrani iscritti al torneo adesso è rimasta illesa la formazione considerata più debole, vale a dire il Milan. Con ogni probabilità farà poca strada.

Juventus, Napoli, Lazio e Fiorentina, invece, proveranno a far loro l'altro trofeo continentale, l'Europa League. Inevitabilmente l'attenzione generale dei media nostrani si sposterà su quanto saranno in grado di fare queste squadre nei prossimi mesi. Rispetto al passato è poca roba, ma è sempre meglio di niente.
Nella speranza che possa di nuovo trattarsi di un punto di partenza per un futuro migliore del calcio italiano.

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lunedì 18 aprile 2011

Tranquilli: siamo ancora in corsa per l'Europa. League...

Ecco due foto che testimoniano il fine settimana appena trascorso a Torino (ospite di Massimiliano), scattate dal mio telefono. Nella prima i soggetti sono alcune magliette storiche della Vecchia Signora riprese dallo "Juventus store" di via Garibaldi (una di queste sarà mia a breve...)

Il giorno successivo siamo andati a fare una visita al nuovo stadio... (io sono quello a destra, l'altro è Giovanni).
Ps: visto da fuori è bellissimo

domenica 30 gennaio 2011

Ci vorrebbe una serata da vera Juve

Quella iniziata domenica scorsa con la trasferta a Genova contro la Sampdoria doveva essere la settimana della "verità" per la Juventus, sia in campionato che in coppa Italia.
Le risposte arrivate dal campo non sono state in linea con le speranze dei tifosi bianconeri e della stessa società: con il pareggio ottenuto al termine dei novanta minuti al "Luigi Ferraris" è passata dal sesto posto in classifica al quinto, in coabitazione con l’Inter che ha comunque a propria disposizione una gara da recuperare (quella di Firenze contro i viola).
L’estromissione dalla coppa nazionale per mano della Roma ha tolto alla Vecchia Signora il secondo degli obiettivi prefissati ad inizio anno. Salutata l’Europa League il 16 dicembre 2010 nell’incontro casalingo con il Manchester City (anche se in realtà l’addio alla manifestazione era diventato matematico già a partire dal 1° dicembre, al termina della gara di Poznan), arrivati al 27 gennaio 2011 Madama sa già che non giocherà più, per la restante parte della stagione, incontri al di fuori di quelli previsti in serie A.

Rimangono quindi 17 partite da disputare, a cominciare da quella odierna contro l’Udinese. Nella speranza che il cammino della Vecchia Signora non diventi un martirio, così come è capitato lo scorso anno. Allora, alla terza giornata di ritorno, esordì sulla panchina bianconera Alberto Zaccheroni, "traghettatore" di una squadra senza nervi né nerbo che si afflosciò poco alla volta, cominciando con due pareggi (Lazio e Livorno), per continuare con due vittorie (Genoa e Bologna) ed iniziare la caduta libera con la sconfitta per opera del Palermo (soltanto in campionato, sono ben cinque le gare perse con i rosanero dal ritorno in serie A nel 2007).

I siciliani saranno gli avversari della Juventus nel prossimo turno infrasettimanale del 2 febbraio. Prima, però, spazio all’Udinese di Francesco Guidolin, battuta nell’incontro del girone di andata con un rotondo 4-0. Al termine di quella partita la squadra friulana si ritrovò in classifica con 0 punti, così come capitò nella giornata successiva (a causa di un’altra sconfitta patita a Bologna). Soltanto a partire dalla quinta gara iniziò la sua scalata che l’ha portata oggi a trovarsi a due sole lunghezze in classifica dalla Juventus grazie ad un pareggio (0-0) ottenuto proprio a Genova contro la Sampdoria lo scorso 26 settembre.

Penultima con un punto su due match disputati sino a quel momento, la squadra di Del Neri aveva l’imperativo di tornare da Udine con la vittoria in tasca. "Sì, ma se vinciamo? Voi vedete il bicchiere mezzo vuoto, io mezzo pieno. Non sono preoccupato". Così rispose il tecnico di Aquileia ad una domanda dei giornalisti nella consueta conferenza stampa del giorno precedente l’incontro. Nell’immediato dopo partita, d’altro canto, potè esprimere la propria soddisfazione per una prestazione positiva sotto tutti gli aspetti: "La Juve continua ad essere una squadra senza limiti, però non ci esaltiamo. Siamo appena nati, dobbiamo fare esperienza sulle cose negative e trovare la continuità delle prestazioni. Se si gioca come oggi, i risultati arrivano sicuramente; se giochiamo contro il Bari un po’ meno".

Pazzini, Borriello, Di Natale: dalla gara con la Sampdoria a quella prevista per stasera Madama ha trovato (e troverà) sulla propria strada tre attaccanti che avrebbero potuto far parte della rosa a disposizione del tecnico friulano. Il primo è appena approdato all’Inter ("La Juve mi voleva? Non lo so, invece so che l’Inter ha fatto i fatti, ha dimostrato di volermi a tutti i costi e davanti a richieste così devi per forza accettare"); il secondo si trasferì alla Roma alla chiusura della sessione estiva del calciomercato (forse, col senno di poi, non sarebbe stato un acquisto così inutile come si sosteneva da più parti); del terzo Del Neri disse: "Con Antonio (Di Natale, ndr) siamo in ottimi rapporti. Ha fatto la sua scelta di vita e bisogna rispettarla, mi pare che gli faccia anche onore. Non ha rifiutato la Juve, ha solo deciso di rimanere a Udine, perché lì è amato e ha messo le radici" (18 settembre 2010).

Proprio Di Natale, alla ricerca del goal numero 100 in serie A con la maglia dell’Udinese, questa sera sarà il pericolo numero uno per la difesa della Juventus. Non l’unico, però, nel contesto di una formazione che - ritrovata l’autostima e un’ottima condizione fisica - si è dimostrata capace di rialzarsi dopo un inizio campionato disastroso. Dopo i quattro ceffoni presi dalla Vecchia Signora nella gara di andata il patron Pozzo dichiarò: "La sconfitta è esclusivamente colpa dei giocatori, la squadra è stata inguardabile, i giocatori devono pensare a lavorare e reagire. Guidolin? Il tecnico ha il 110% della mia stima, lasciamo stare i discorsi sulla solidità della sua panchina".

Dopo la sconfitta patita in campionato contro la Lazio (2-3, 19 dicembre 2010), i friulani hanno accumulato tre vittorie ed un pareggio, segnando tredici reti e subendone sette (quattro, però, nella sola gara pareggiata a "San Siro" contro il Milan).
Numeri da grande squadra. Numeri da "Juventus". Quella vera. Quella che servirebbe per vincere contro la formazione allenata da Guidolin.
Quella che ci vorrebbe sempre, non soltanto stasera.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 15 gennaio 2011

La Juve col Bari per ripartire. Di nuovo...


Si riparte col Bari, dopo aver iniziato col Bari. Comincia il girone di ritorno della serie A, altre diciannove partite di campionato e i tifosi bianconeri, visto l’attuale stato d’animo generale, sapranno di che morte dovranno morire.
La Juventus si era presentata ai nastri di partenza di questa stagione con uno svantaggio psicologico di ventisette punti dall’Inter (tanti quanti sono stati quelli di ritardo accumulati nei confronti dei nerazzurri al termine dell’ultima serie A disputata) e con un settimo posto in classifica appena conquistato da nascondere con il viso rosso dalla vergogna.
Quasi giunti al fatidico giro di boa, quando qualcuno iniziava a volare con i sogni oltre il cielo parlando di scudetto ecco arrivare due sberle sonanti ad opera di Parma e Napoli, con la Vecchia Signora costretta a tornarsene mesta nelle retrovie.
Dove? Nella settima posizione. Quella di partenza.
Inutile girarci intorno, quel sesto posto temporaneo è solo un’etichetta che presto verrà tolta dall’Inter: è difficile credere che con due partite a disposizione da recuperare - contro il Cesena in casa e la Fiorentina in trasferta - la squadra di Leonardo non riesca ad accumulare almeno tre punti, ora che sono soltanto due le lunghezze che la separano da Madama.

A Bari, lo scorso 29 agosto, un gran tiro di Donati stese la Juventus quando ormai mancavano due minuti al termine della prima frazione di gioco, regalando la vittoria ai pugliesi. In quei giorni si parlava di un possibile acquisto da parte dei bianconeri di una punta a scelta tra Borriello, Benzema e Forlan, l’attaccante accostato anche in questi giorni di riapertura del calciomercato al club torinese. A fine gara Del Piero disse: "L’anno scorso iniziammo con una vittoria e poi le cose andarono male. Ora speriamo che accada il contrario e che questa sia la prima e unica sconfitta".

Per il gioco mostrato al cospetto della neonata Juventus di Del Neri la formazione di Ventura - in alcuni tratti di quell’incontro - sembrava si fosse travestita da Barcellona. Adesso quella stessa squadra si trova in fondo alla classifica, ultima, con sole tre vittorie in diciannove partite giocate in tutto il girone di andata. Buffon, infortunato, non indossava i guantoni per difendere la porta bianconera. Si trovava a Carrara, a seguire la squadra locale (della quale è comproprietario) nel match disputato contro la Villacidrese. Ora quella porta tornerà ad essere "casa" sua, nel suo stadio, in mezzo ai suoi tifosi.

Con una partenza ad handicap ed un calciomercato che gli aveva lasciato una rosa incompleta tra le mani, Del Neri ha affrontato i mesi successivi con il piglio del comandante sicuro dell’apporto che gli avrebbero fornito i suoi uomini, costruendo un’intelaiatura sulla quale in questi giorni di gennaio la società avrebbe dovuto (e dovrà comunque farlo, a maggior ragione, ora) intervenire per aggiungere quei giocatori in grado di farle compiere un salto di qualità.
Durante la sosta del campionato per gli impegni della nazionale italiana contro Estonia e Far Oer, immediatamente successiva alla prima gara di campionato, il tecnico di Aquileia rilasciò un’interessante intervista al taccuino di Alberto Cerruti, giornalista della "Gazzetta dello sport", comparsa sulle pagine del quotidiano rosa il 3 settembre 2010. Molti tra gli argomenti trattati a suo tempo, rileggendoli adesso, si può dire che siano ancora di moda.

Alla domanda "Perché ha voluto Martinez per farlo giocare esterno nel 4-4-2?", rispose: "Perché è un giocatore con grandi qualità che diventerà importante. E poi nella sua nazionale giocava già esterno a quattro".
Sulla cessione di Diego, argomento scomodo più allora di quanto non lo possa essere oggi, disse: "Con Quagliarella abbiamo più presenza in area di rigore. E poi il nostro Diego si chiama Del Piero".
Ad Aquilani pronosticò un ritorno in azzurro, fece intuire che non intendeva rinunciare alle sue prestazioni ipotizzando una coesistenza in mezzo al campo con Marchisio, disse di puntare molto su Felipe Melo, rimpianse il mancato arrivo di Kolarov (trasferitosi poi al Manchester City), mentre sugli obiettivi reali del club bianconero, a calciomercato chiuso, dichiarò: "Dobbiamo raggiungere un posto per la Champions in qualsiasi maniera, perché lo esige la storia della Juventus".

Eliminata dall’Europa League ed arrivata agevolmente ai quarti di finale della coppa Italia, spetta ora a Madama riprendere ad accumulare punti in campionato a partire dall’incontro di domani con il Bari. Da dove aveva iniziato in questo campionato perdendo, così come aveva fatto per ben quindici volte nella scorsa disastrosa stagione. Dove le due formazioni si affrontarono a Torino quando mancavano quattro giornate alla fine del torneo. Si trattò dell’ultima vittoria bianconera, un 3-0 che portava le firme di Iaquinta (doppietta) e Del Piero (su rigore).
Ancora lui, sempre lui: Del Piero.
Lì in attacco, adesso, orfani di Quagliarella si rende ulteriormente necessario l’acquisto di una punta di valore assoluto per puntare con decisione alle primissime posizioni in classifica.
Allo scudetto credevano in pochi, sino a qualche giorno fa. All’obiettivo dichiarato dalla società, invece, no…

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mercoledì 8 dicembre 2010

La Juve e quel lontano 26 agosto 2010...

Nella gara disputata allo stadio "Olimpico" contro lo Sturm Graz il 26 agosto scorso, Del Piero chiuse i conti con gli ospiti segnando un goal bellissimo (destro sotto l’incrocio dei pali dopo aver dribblato un avversario ed eluso l’intervento di un secondo), grazie al quale spinse la Juventus nei gironcini dell’Europa League. Gli austriaci, sconfitti nella gara di andata dello spareggio per 2-1, si erano resi protagonisti di alcune azioni pericolose, colpendo un palo con Szabica e dimostrando di non sentirsi ancora definitivamente esclusi dalla manifestazione.

La palla arrivò al capitano bianconero da un lancio di Felipe Melo, che proprio in quella partita dimostrò di essere il fratello buono del giocatore che si era presentato a Torino l’anno precedente. Durante l’incontro, dopo aver contribuito in maniera decisiva a sventare un pericolo nell’area di rigore juventina, esultò come se avesse realizzato il goal della vita. La scena fu simile a quella vista nella vittoriosa trasferta a "San Siro" contro il Milan del 30 ottobre scorso.

Il pubblico bianconero era frastornato: orfano di Diego, con Trezeguet non convocato per la gara e con la valigia in mano, si aggrappò all’ancora trentacinquenne leader della Vecchia Signora per scacciare le paure di un nuovo fallimento dopo quello della gestione targata Jean Claude Blanc. Passavano gli anni, così come gli avversari e i compagni di squadra, ma Del Piero c’era. Sempre. Ciliegina sulla torta: Amauri, verso la fine del primo tempo, avvertì un fastidio alla coscia sinistra. Per precauzione Del Neri lo fece uscire, nella speranza di poterlo recuperare per la sfida contro il Bari della domenica successiva, prima tappa del campionato. In giornata si era sparsa la voce di un forte quanto improvviso interessamento della Juventus per Fabio Quagliarella. Accantonata l’ipotesi Di Natale, sembrava essere lui il prescelto per arricchire il parco attaccanti che - complice l’infortunio di Iaquinta - si candidava ad essere il reparto più debole dei bianconeri.

Sempre in quel 26 agosto si svolsero i sorteggi dei gironcini della Champions League. Il presidente dell’Inter Moratti, conscio della forza della propria squadra, si era mostrato preoccupato soltanto dalla imminente finale della Supercoppa Europea che i nerazzurri avrebbero dovuto disputare il giorno successivo contro l’Atletico Madrid: "Io e Rafa ci teniamo molto a battere l’Atletico".
Persero 2-0.

Qualche ora prima di quella gara, verso le 18.30, la Juventus ufficializzò l’acquisto di Quagliarella. Arrivò anche la notizia dello stop per Amauri di 25 giorni: lesione di primo grado al retto femorale della coscia sinistra. A Bari i bianconeri si presentarono con due soli attaccanti di ruolo: la punta originaria di Castellamare di Stabia e Alessandro Del Piero. Marotta, intanto, a Vinovo presentava il nuovo centrocampista Aquilani, mentre su "Sky", nel corso di una bellissima intervista rilasciata da Andrea Agnelli, il Presidente juventino dichiarò: "quando è arrivato Marotta abbiamo fatto una riflessione: Del Neri è il miglior allenatore che potremmo avere in questo momento, quindi la scelta è ricaduta su di lui".

L’attenzione generale, però, venne catalizzata dalla notizia dell’acquisto da parte del Milan di Zlatan Ibrahimovic, l’uomo degli scudetti vinti sul campo: nell’arco di pochi giorni si materializzò il suo ritorno in Italia. Nella griglia delle ipotetiche favorite per il tricolore i rossoneri spiccarono il volo verso le primissime posizioni. L’arrivo a Torino di Quagliarella passò quasi inosservato: alla Juventus oltretutto serviva ancora un attaccante di peso, robusto fisicamente, visto i continui problemi muscolari a cui erano soggetti i compagni di reparto.

Oggi Amauri è infortunato, Iaquinta sta ritrovando la migliore condizione (ottima la sua partita contro il Catania), l’apporto di Del Piero - quando chiamato in causa - continua a non mancare. Mai. E Quagliarella? Per lui parlano i goals, i numeri, le sue prestazioni. Ibrahimovic ha messo le mani sul campionato, anche se la presa - dopo appena quindici giornate - non può essere ancora sicura.

La Juventus è la squadra che ha segnato più reti in serie A, è ormai uscita dall’Europa League e la società è comunque consapevole di poter rinforzare il reparto offensivo con l'acquisto di una nuova punta. Inutile ripetere le caratteristiche, ormai lo sanno anche i muri. Dopo la doppietta realizzata a Catania lo stesso Quagliarella si lasciò andare a questa considerazione: "Perché dove gioco io cercano sempre punte? A gennaio ci rinforzerà Amauri".

Sembra siano trascorsi anni, da quel 26 agosto. In realtà sono passati poco più di tre mesi. Con il lavoro quotidiano, dentro e fuori dal campo, la Vecchia Signora è uscita fuori dalla difficile situazione nella quale si era trovata in estate. La sua crescita non è stata accompagnata da proclami, ma soltanto da una continua ricerca da parte dei giornalisti di strappare a Del Neri un qualcosa che andasse oltre i suoi bicchieri "mezzi pieni". Usciti da quel seminato, ecco pronti articoli a ripetizione sui quali aprire discussioni per qualche giorno. La Juventus, però, non si deve fermare a queste ritrovate certezze: la strada è giusta, ma c’è ancora tanto, tantissimo da lavorare affinchè possa tornare ai precedenti livelli di eccellenza sportiva. La speranza è che a gennaio non si presenti alla sessione invernale del calciomercato soltanto per guardare le vetrine, ma che entri dentro ai box delle trattative per comprare.

Massimo Moratti, due giorni fa: "Contro il Werder Brema niente figure del cavolo". Rafael Benitez: "Mai fatte".
Hanno perso 3-0. Non tutto è cambiato in questi tre mesi.

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domenica 5 dicembre 2010

Catania e Juve tra campionato e coppa Italia

Tranne l’ultima gara che verrà disputata il 16 dicembre prossimo contro il Manchester City allo stadio "Olimpico", la Juventus non avrà più - nel corso di questa stagione - l’impegno dell’Europa League a distrarla dal campionato.
Oltre a quello le rimarrà soltanto la coppa Italia, dove i bianconeri affronteranno a Torino negli ottavi di finale (la formula prevede la partita "secca" sino alle semifinali) il Catania.

Proprio i siciliani saranno gli avversari dell’incontro odierno della Vecchia Signora, nel posticipo serale della quindicesima giornata di serie A, penultima gara prima di Napoli-Palermo (domani sera al "San Paolo") con la quale si chiuderà un fine settimana all’insegna del calcio "spezzatino", iniziato venerdì scorso con la vittoria della Lazio sull’Inter.

Lazio che sarà la prossima avversaria della Juventus nell’incontro previsto per domenica 12 dicembre, sciopero dei calciatori permettendo. I biancazzurri affrontarono il Catania sette giorni fa, a Roma, in una partita che terminò con il risultato finale di 1-1. Quello che, statistiche alla mano, è uno dei più frequenti nelle partite di Madama: è capitato in tre occasioni nelle ultime quattro gare di serie A, e in altre tre match sui cinque disputati in Europa League.

La squadra di Reja ebbe difficoltà a superare il muro difensivo della formazione allenata da Giampaolo anche perché non dispone di un attaccante di peso da affiancare a Zarate, unica punta nel 4-2-3-1 dei biancocelesti. Identico problema, per l’occasione, si presentò anche al Catania, a causa della momentanea assenza di Maxi Lopez (squalificato), oggetto dei desideri della Juventus e che stasera - invece - farà parte dell’undici titolare.

Facile accostare le due situazioni a quella che - da inizio stagione - persiste nella Torino bianconera. Ed ecco, quindi, scattare (nuovamente) l’allarme. Anche perché la difesa dei siciliani è stata la seconda meno perforata in campionato con dodici reti al passivo (a pari merito con Milan e Sampdoria) nelle prime quattordici giornate, delle quali soltanto tre sono state subite in casa.

Sette giorni fa, passata in svantaggio per opera di Silvestre, la Lazio pareggiò grazie ad un goal di Hernandes. Il brasiliano è stato l’autore della rete che ha chiuso definitivamente la gara vinta venerdì contro l’Inter (3-1), quella che - almeno quest’anno - è stata disputata con serietà e impegno da entrambe le formazioni dal primo all’ultimo minuto di gioco. A seguito della sconfitta dei nerazzurri e dell’harakiri della Roma (pareggio per 2-2 contro il Chievo dopo il duplice vantaggio iniziale) per la squadra allenata da Del Neri vincere a Catania diventa - se possibile - ancora più importante. Anche perchè il Milan, in questo "spezzatino", aveva un boccone facile (il Brescia), e se lo è sbranato (3-0).
D’altronde, con Ibrahimovic…

Dal ghiaccio e la neve di Poznan alla temperatura mite di Catania, dal possibile sciopero dei calciatori che rinvierebbe lo svolgimento della gara contro la Lazio alla sabbia di Verona, quella che la Juventus troverà al "Bentegodi" al posto del prato verde quando affronterà il Chievo (19 dicembre): ecco una veloce sintesi del mese di dicembre in tinte bianconere, prima che arrivi la sosta natalizia. Dove verranno ricaricate le pile nei muscoli degli uomini di Del Neri e si cercherà, nella sessione invernale del calciomercato, di aggiustare la rosa a disposizione del tecnico di Aquileia. L’Europa League ormai è andata, la coppa Italia è alle porte e il campionato resta aperto. Con Napoli e Palermo che domani sera si guarderanno dritte negli occhi, tranne Ibrahimovic e la Lazio è un dato di fatto che le altre squadre stanno "camminando".
La Juve, invece, deve riprendere a correre. Al più presto.
Da stasera, se possibile.

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venerdì 3 dicembre 2010

Su la testa, Juve

Da mercoledì la Juventus è fuori dall’Europa League, quando manca ancora una gara alla conclusione del gironcino.
Intendiamoci: non si tratta di una novità degli ultimi giorni, ormai in molti si erano abituati a questa idea, a partire dai milioni di sostenitori bianconeri sparsi per il mondo sino ad arrivare agli stessi giocatori. Quando accumuli cinque pareggi in altrettante gare non puoi pensare che le altre squadre stiano lì ad aspettarti, anche se si chiamano Salisburgo o Lech Poznan. A proposito: complimenti ai furbetti del quartiere polacco. E meno male che all'estero continuano a pensare che solo gli italiani sarebbero in grado di inventarsi "giochetti" come quelli ammirati due sere fa per rendere impraticabile il campo, messo già a dura prova dalle difficilissime condizioni climatiche.

Escludendo la trasferta di Manchester i bianconeri hanno gettato al vento più di un’occasione per creare le basi per un eventuale passaggio ai sedicesimi di finale. I motivi di questi errori vanno ricercati nei troppi infortuni, negli approcci sbagliati agli incontri, nei ripetuti cali di concentrazione in alcuni momenti delicati, nella indisponibilità - per questa manifestazione - di giocatori del calibro di Aquilani e Quagliarella, in una squadra nuova da assemblare nata dalle ceneri della precedente gestione di Jean Claude Blanc.
Quella che in cinque anni avrebbe dovuto riportare la Vecchia Signora ai fasti di un tempo.

Del Neri, nell’immediato dopo gara col Lech Poznan, ha rilasciato questa dichiarazione: "E’ stata figlia delle prime partite (l’eliminazione, ndr), perché stavolta abbiamo costruito sette palle gol, sette calci di rigore. E’ una delusione pesante. Ma peserà zero sul futuro: chi ha visto la partita non può dire nulla: la squadra ha ormai un suo clichè, hanno giocato ragazzi di diciotto anni".

A volte una semplice battuta, magari pronunciata ad inizio anno calcistico, può servire da spunto per costruirci intorno tutte le considerazioni di un’intera stagione: seguendo questo schema viene usato (e abusato) il "bicchiere" (mezzo pieno o mezzo vuoto) del tecnico di Aquileia per dare una valutazione di ogni partita della sua Juventus. Adesso, più che guardare i lati positivi e quelli negativi dell'eliminazione dalla manifestazione europea, non resta che concentrarsi sulle competizioni che sono rimaste: il campionato e la Coppa Italia. Anche perchè non ci sono alternative.

La Vecchia Signora è uscita dall'Europa dalla porta di servizio, con l’obiettivo di rientrarci da quella principale il prossimo anno. La formazione solida a cui manca spesso il colpo del k.o. vista in campionato è meno diversa da quella che ha partecipato all'Europa League rispetto a quanto si legge (e si sente) da più parti.

Il 3-3 ottenuto contro il Lech Poznan è capitato a distanza di quattro giorni dalla gara contro la Sampdoria in campionato terminata con un risultato identico. Nella partita contro il Manchester City la squadra di Del Neri mostrò dei miglioramenti che vennero confermati settantadue ore dopo al "Meazza" contro l'Inter. Dopo la vittoria per 4-0 ottenuta contro il Lecce allo stadio "Olimpico" la Juventus ebbe una flessione che si manifestò sia nella successiva gara giocata a Salisburgo che in quella disputata a Bologna, finita anch’essa con un pareggio. L'incontro di Torino con gli austriaci vide la presenza di quattro giocatori provenienti dalla formazione Primavera: uno dall'inizio della gara (Giandonato), gli altri tre a partita in corso (Giannetti, Liviero e Buchel). Questo perchè la precedente vittoria a San Siro contro il Milan (giocata di sabato sera) le era "costata" moltissimo, anche in termini di infortuni. La gara di mercoledì scorso, decisiva per le sorti di Madama in quella manifestazione, è stata preceduta da tre pareggi e due sole vittorie in campionato.

Fermo restando il valore diverso degli avversari (al netto del Manchester City) e gli evidenti errori che la Juventus ha compiuto nel suo breve percorso in questa Europa League, il cammino fuori dall’Italia è stato sempre legato a doppio filo a quello che accadeva in serie A nei momenti immediatamente precedenti o successivi a quegli incontri. Non c’è stato "snobismo" (allo stato puro) da parte dei bianconeri nei confronti di questa manifestazione, quanto - piuttosto - un cammino altalenante tipico di una squadra nuova, figlia di una società (quasi) completamente rivoluzionata la scorsa estate alla quale vengono concesse giustificazioni il tempo utile per arrivare alla prima sconfitta. Poi, piaccia o non piaccia, piovono critiche con la stessa intensità della nevicata caduta a Poznan mercoledì.

Perchè? Perchè si chiama "Juventus", ed è un nome che ha solo un cognome: vittoria.
La squadra si isoli presto dalle critiche e continui il suo processo di crescita, mostrando i progressi registrati da agosto ad oggi. A chi sostiene di conoscere già l’esito finale di questa stagione basta ricordare l'esordio in campionato a Bari: da allora qualcosa è cambiato. Se poi sarà un fallimento, vorrà dire che verranno raccolti i cocci e si ripartirà di nuovo. Questa volta, però, non "da zero".
Su la testa e avanti, ora. Col caldo di Catania, l’esatto opposto di quanto Madama ha trovato in Polonia.

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giovedì 2 dicembre 2010

Rudnevs apre e chiude l'Europa League della Juventus


Con il pareggio ottenuto a Poznan questa sera la Juventus è definitivamente fuori dall’Europa League, quando ancora manca una partita alla conclusione del gironcino. La contemporanea vittoria del Manchester City contro il Salisburgo (3-0, doppietta di Balotelli) finisce col togliere il lavoro anche agli amanti delle statistiche, a quelli che si divertono a calcolare i possibili incroci di risultati che – in casi simili – avrebbero potuto consentire di tenere viva la fiammella della speranza di riuscire a raggiungere i sedicesimi di finale.
Artjoms Rudnevs, ancora lui. L’attaccante lettone, assoluto protagonista della gara disputata tra la Juventus e il Lech Poznan a Torino lo scorso 16 settembre, si traveste nuovamente da giustiziere della Vecchia Signora. Si trattava, allora, del primo incontro pareggiato dai bianconeri in questa manifestazione. Negli altri quattro, però, la musica non è mai cambiata.

L’incontro si è svolto in condizioni climatiche (quasi) impossibili, che hanno finito per creare un’ambientazione collocabile su quella sottile linea invisibile che separa l’epico dall’assurdo. A nulla sono valse le richieste dei dirigenti bianconeri di sospendere la gara: si è giocato comunque, nel primo tempo col pallone bianco e le linee del campo (discretamente) visibili, nel secondo usando quello arancione in una distesa di neve (e ghiaccio) che ha finito per coprire ogni spazio verde.
Dopo soli tre minuti Rudnevs scalda le mani a Manninger (si fa per dire…) con un violento tiro da fuori area. E’ il preludio al suo goal, di testa, raccogliendo un pallone proveniente da un calcio d’angolo battuto da Stilic. Nella gara di Torino i due erano stati rispettivamente l’esecutore materiale e la mente del Lech Poznan, da loro arrivarono tutti i maggiori pericoli per la difesa juventina.

Davanti all’esordiente Camilleri (bravo, nella gara più difficile che gli potesse capitare), schierato da Del Neri nel ruolo di esterno destro difensivo, agiva l’ottimo Krivets, messo in campo dal tecnico Bakero al posto dell’annunciato Wilk. E mentre Krasic ad inizio gara veniva poco sollecitato dai suoi compagni, il Lech Poznan tendeva a costruire il gioco soprattutto da quella fascia.
Questione di minuti, pochi, dopo i quali il serbo si è caricato il peso di tutte le azioni offensive della Vecchia Signora sulle spalle ed ha iniziato a produrre dribbling, sgroppate e cross a ripetizione. Da Chiellini (tiro a lato dopo una palla persa dal portiere avversario) a Krasic (di testa), passando per il salvataggio di Arboleda su un contropiede pericoloso dei bianconeri sino ad arrivare ai due tiri di Bonucci (un pallonetto deviato in calcio d’angolo da Kotorowski e una palla goal sbagliata dopo una respinta dello stesso portiere su conclusione di Del Piero da tiro da fermo), c’è stata tanta Juventus nel primo tempo. In compenso sono mancate le reti.

Nella ripresa si riparte ancora da lui, Rudnevs: dodici secondi di gioco, e subito si rende pericoloso con un tiro a lato della porta difesa da Manninger. Uscito Krivets, al suo posto entra Kikut, cui Chiellini regala il pallone del possibile 2-0. Riparte Krasic, la Juve corre e continua a pressare in un rettangolo di gioco ormai completamente imbiancato dalla neve e dal ghiaccio. Il Lech toglie dal campo anche Rudnevs e Stilic, col chiaro intento di difendere il vantaggio. Dopo un’occasione fallita da Del Piero di testa, il serbo riesce a trovare lo spiraglio giusto per lanciare Iaquinta, che fissa il risultato finale sull’1-1 con un bel diagonale.
Il giovane Libertazzi, entrato al posto di Traoré (infortunato) fallisce di testa una grandissima occasione al 90' minuto. Nel recupero, nel corso degli ultimissimi secondi della gara, una punizione da posizione favorevolissima tirata da Del Piero diventa facile preda di Kotorowski. Nell’area di rigore polacca, nell’attesa di un cross, si era riversata tutta la Juventus, compreso Manninger.

Rudnevs apre e chiude l’Europa League della Juventus, costellata da pareggi, esordi di alcuni suoi giovani provenienti dalla Primavera, rimpianti, occasioni mancate. C’è poco da salvare.
Cercando in un bicchiere ormai vuoto qualche “resto”, si potrebbe tirare in ballo la gara disputata a Manchester contro il City il 30 settembre scorso.
Quella che si giocherà a Torino il 16 dicembre, ormai, non conterà più nulla.

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giovedì 4 novembre 2010

Troppi infortuni e poca Juventus in Europa League

La Juventus ha iniziato la gara di questa sera contro il Salisburgo con in campo un giocatore proveniente dalla Primavera, Giandonato, per finirla con tre: Liviero, Buchel e Giannetti.
In compenso ha perso per problemi muscolari altri due elementi della rosa: Legrottaglie e Krasic.
Il serbo, appiedato dalla giustizia sportiva per due giornate da scontare in campionato, non aveva preso parte al vittorioso incontro dei bianconeri giocato sabato scorso a Milano. Questa sera, però, ben controllato dal terzino sinistro Hinteregger (che sembra essere nelle mire di Marotta) e bloccato con le cattive maniere quando ha provato ad accentrarsi in cerca di miglior fortuna, non è riuscito a lasciare il segno in una gara che definire noiosa è un eufemismo.

Le convocazioni per la partita di stasera non potevano prescindere da un bollettino del medico sociale a dir poco terrificante, che ha lasciato a Del Neri una lista di giocatori abili e arruolabili con i quali era indubbiamente difficile plasmare una squadra competitiva.
E se dai giovani scesi in campo era lecito aspettarsi un po’ di timidezza nell’impatto con il calcio che conta, dagli altri elementi della prima squadra ci si attendeva un atteggiamento sicuramente diverso da quello mostrato durante tutto l'arco dell'incontro.
Mentre il pubblico dello stadio Olimpico dedicava il primo coro dopo il fischio d’avvio dell’arbitro Stalhammar a Milos Krasic, invocando subito dopo lo spirito leonino mostrato dai giocatori bianconeri in campionato, Simone Pepe iniziava la sua personale girandola di ruoli all’interno del prato verde: dopo aver cominciato come terzino sinistro è stato successivamente spostato a centrocampo - sempre su quella stessa fascia - dopo l’ingresso di Liviero (al posto di Giandonato, chiamato in causa poche volte dai compagni), per terminare l’incontro sul lato opposto del campo.

Nel Salisburgo era assente Svento, l’autore del goal del momentaneo vantaggio degli austriaci nella gara d’andata e principale pericolo per la Juventus lungo tutto l’arco dell’incontro. Ma l’attenzione generale ha finito con l’essere catalizzata dai ripetuti problemi della squadra di Del Neri, priva di mordente e di idee e con un gioco che non ha mostrato alternative ai lanci lunghi della difesa o alle azioni impostate da Sissoko.
Due tiri in porta per la Vecchia Signora in tutto l’arco della partita: uno su punizione di Del Piero nel primo tempo e l’altro ad opera del maliano nella ripresa. Nel mezzo un ottimo assist di Krasic al capitano bianconero con la palla che termina lontano dalla porta avversaria.

Sotto gli occhi di Michel Platini, seduto in tribuna ad assistere all’incontro, i principali episodi della gara si riducono ad essere i continui spostamenti dei giocatori di Del Neri all’interno dello scacchiere bianconero: il giovane Buchel entra e si sistema sulla sinistra davanti a Liviero, Giannetti sostituisce Pepe e affianca Amauri (evanescente anche stasera) in un 4-3-1-2 che vede Del Piero arretrare di qualche metro rispetto ai due attaccanti.
Per il resto, non c’è altro da raccontare.
Anche perché le notizie più importanti provengono dalla Polonia, dove il Lech Poznan sconfigge il Manchester City di Roberto Mancini per 3-1 e affianca la formazione inglese in testa alla classifica, a sette punti.
La Juventus rimane ferma a quota quattro, come i pareggi ottenuti in tutti gli incontri giocati in questo gironcino di Europa League.

Il 1° dicembre (eccezionalmente si giocherà di mercoledì) toccherà ai bianconeri andare in Polonia, in una gara che diventerà decisiva per il prosieguo del cammino della Vecchia Signora in questa competizione.
Senza dimenticare che nell’ultimo incontro, che si disputerà a Torino, dovrà poi ricevere i Citizens.
Con una rosa bianconera ridotta all’osso, che perde ad ogni incontro più giocatori di quelli che nel frattempo riesce a recuperare dall’infermeria, si rende necessario decidere immediatamente verso quale competizione dedicare le maggiori risorse e attenzioni.
Anche se la risposta, sin da ora, appare scontata…

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lunedì 1 novembre 2010

Buon compleanno Juve. Sei sempre la più bella

Sabato 31 ottobre 2009: nell’anticipo pomeridiano delle 18.00, aperitivo dell’undicesima giornata dello scorso campionato, la Juventus di Ciro Ferrara incontrò il Napoli di Walter Mazzarri allo stadio "Olimpico" di Torino. Trezeguet e Giovinco portarono in vantaggio i bianconeri; Hamsik diede il via e chiuse una rimonta che stese la Vecchia Signora. L’ingresso dell’argentino Datolo, avvenuto al 13° minuto della seconda frazione di gioco, fu la mossa che permise a partenopei di cambiare il volto alla gara: imperversò sulla fascia sinistra realizzando anche il secondo goal, quello del momentaneo pareggio.

Il giorno immediatamente successivo, il 1° novembre, la Juventus festeggiò il suo compleanno numero 112.

Nei giorni precedenti Milan-Juventus, giocata sabato scorso, Pato, l’attaccante brasiliano prossimo a vestire la maglia rossonera per la centesima volta, pronunciò queste parole: "Sarà una partita speciale. Voglio vincere. Ma ho la certezza che con questa squadra ce la farò".

Le sue aspettative erano comprensibili, considerando anche i risultati del doppio confronto tra il Diavolo e la Vecchia Signora nel campionato precedente: due vittorie per la squadra allenata - all’epoca - da Leonardo, identico risultato sia nel girone di andata che in quello di ritorno (3-0), Ronaldinho mattatore di entrambe le gare con quattro goals equamente distribuiti (due a Torino, altrettanti a Milano).

Il 30 ottobre 2010, a San Siro, Ronaldinho non è sceso in campo. Questa volta, però, ha fatto la sua comparsa la Juventus. E si sono visti i risultati.

Il solo Ibrahimovic è riuscito a mettere il nome nel tabellino dei marcatori per i rossoneri: per Pato - invece - si è trattato di una serata anonima. E se doveva essere "speciale"… Beh, in un certo senso lo è stata: da qui è partita ufficialmente la rincorsa della Vecchia Signora per ritornare ad essere se stessa.

Già in occasione del posticipo serale contro l’Inter (3 ottobre), giocato proprio a Milano, la squadra di Del Neri aveva destato un’ottima impressione. Era ancora presto, però, per festeggiare: a Torino lo si fa solo per le vittorie. Ma c’erano stati segnali confortanti e importanti di un progresso in corso, di un cantiere che sembrava stesse per chiudere i battenti.

E chi, meglio di Del Piero, poteva lasciare un’impronta su un momento così particolare della storia juventina? C’era da superare Boniperti nel computo dei goals segnati con la maglia bianconera in serie A? Meglio aspettare l’occasione giusta, quella da raccontare negli anni a venire ai nipotini che dovranno studiare - prima o poi - la leggenda di una squadra nata in un’officina torinese, e partita da lì per dominare il mondo calcistico.

Da Enrico Canfari ad Andrea Agnelli: 113 anni uniti da un unico filo, riannodato da pochi mesi e mostrato a San Siro con orgoglio. Gobbo.
Perché tanta gioia per una vittoria di campionato, seppur prestigiosa? Per lo spirito che i giocatori che hanno mostrato, per la ritrovata certezza che quella maglia e quel nome riescono ancora a trasmettere una voglia di lottare unica, quella che ha contraddistinto la Juventus dalle altre società in tutti questi anni.

Neanche il tempo di festeggiare, di godere appieno per questo successo, che è già arrivato il momento di pensare al prossimo incontro casalingo con il Salisburgo valido per l’Europa League. Tra ernie, fratture, distorsioni, infiammazioni e risentimenti muscolari, sarà difficile lasciarsi distrarre dall’euforia per la vittoria di Milano: c’è una situazione di emergenza da affrontare, con la stessa voglia di vincere mostrata a San Siro.

Oggi, 1° novembre 2010, la Juventus spegne le sue 113 candeline.

La sensazione? Che si tratti di un compleanno diverso dagli altri. Un po’ come aver perso da quattro anni chi ti dava sensazioni uniche, e averla incontrata per caso per strada. La chiami per nome, come fai da tempo. Stavolta, però, si gira. Vista di profilo, sembra proprio essere Lei.

Tanti auguri, Vecchia Signora. Più passano gli anni, e più sei bella.

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