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domenica 11 maggio 2014

Laureano Ruiz, il maestro del tiqui-taca

Al tramonto dell'incredibile sconfitta casalinga del Bayern Monaco contro il Real Madrid nella recente semifinale di Champions League, in molti hanno celebrato la fine dell'ormai celebre tiqui-taca. Quello di origine catalana, s'intende, perché l'idea di sfruttare una fitta rete di passaggi per mantenere il controllo pallone tra i propri piedi, piuttosto che andarlo a recuperare in mezzo a quelli degli avversari, è vecchia quanto il football.

E' proprio in quella terra che questo stile di gioco negli ultimi anni è stato utilizzato a livelli intensissimi, quasi esasperanti, con risultati indubbiamente vincenti. Trasportato in Germania da Josep Guardiola ha subito invece un tracollo in termini di popolarità proprio in fondo al torneo continentale più importante, dopo che la conquista del campionato tedesco per il Bayern Monaco si era rivelata una pura formalità.

In quell'occasione la “Gazzetta dello Sport” aveva nuovamente portato alle luci della ribalta Laureano Ruiz, ovvero la persona che anni fa trapiantò questa filosofia calcistica a Barcellona. La storia racconta che alla guida di una squadra di ragazzini sovvenzionata da un marchio di birra nel lontano 1972 aveva umiliato i pari età blaugrana. Apriti cielo: il presidente Agustì Montal andò su tutte le furie, per poi tesserare quell'allenatore che – dopo qualche colloquio – era apparso al suo nuovo ambiente come un visionario.

Contro ogni previsione i successi arrivarono in serie, uno dietro l'altro, per un club che a livello giovanile stentava non poco. Strano a dirsi, guardando la realtà attuale, ma è proprio grazie all'importanza data a quel ramo societario da Ruiz se adesso il Barcellona può vantarsi della bontà di quel settore di fronte al mondo intero.

Nato nel 1937, il credo di Laureano Ruiz era basto sul possesso di palla, su un sistema tattico comune a tutte le squadre (il 3-4-3) e su un regime di allenamento che mescolava l'aspetto fisico al controllo tecnico del pallone. Una volta disse: “Mi ricordo di un allenatore che proibì l'utilizzo della palla in allenamento, perché così il giorno dopo i suoi giocatori avrebbero avuto più voglia ad usarla... un'aberrazione!”. Così come era inconcepibile, per lui, che l'attitudine al football dovesse dipendere dall'altezza dei calciatori: “Dicevano che il calcio era solo per giocatori alti e forti. Grande errore. Nel corso degli anni è stato dimostrato che questo non è sempre vero, ma allora non c'era modo di farlo capire alla gente”.

Ruiz aveva trapiantato il seme che negli anni è poi germogliato grazie al lavoro, tra gli altri, dei vari Michels, Cruijff, Guardiola e del compianto Vilanova. Il 25 novembre 2012, fuori casa contro il Levante, il Barcellona aveva giocato con tutta la formazione prodotta dalla scuola del club, la celebre “Masia”. Era accaduto nel momento stesso in cui Dani Alves si era infortunato, dopo 14 minuti di gioco, per venire sostituito da Martin Montoya. A fine gara Xavi aveva ricordato che 'Van Gaal (ex allenatore del Barca, ndr) disse una volta che il suo sogno era vedere in campo insieme 11 giocatori usciti dall'accademia, e oggi questo è diventato realtà'.

In realtà quello era stato anche il sogno di Ruiz: “Per me è stata una soddisfazione massima. Un'enorme soddisfazione. Questo era il mio desiderio, il mio sogno per il futuro dal primo giorno che ero arrivato al Barça. Vedere sul prato quel giorno contro il Levante undici giocatori fatti in casa mi ha ricordato di tutte quelle persone che 40 anni prima mi aveva detto che ero pazzo”. Lo aveva confessato terminando la frase con un sorriso.

Mentre seguiva alcuni provini di giovani calciatori in qualità di allenatore della scuola catalana Escolapis Sarrià, qualche anno fa, la sua attenzione era stata catturata da un ragazzino che tirava da solo dei calci al pallone contro un muro. Si avvicinò a lui, chiedendo che cosa stesse facendo. Con lo sguardo triste, il ragazzo aveva risposto di stare attendendo il padre, che lo avrebbe riportato a casa. Ruiz andò immediatamente dagli altri tecnici chiedendo il motivo della bocciatura di quel calciatore che a lui – invece – era piaciuto. La risposta lo fece arrabbiare non poco: per gli altri era bravino, sì, ma non avrebbe avuto alcun futuro come professionista.

Alla fine vinse il parere di Ruiz. Quel ragazzino si chiamava Albert Ferrer, protagonista di una carriera straordinaria al servizio del Barcellona di Cruyff, del Chelsea e della nazionale spagnola. Mentre citava il suo nome, concludendo il racconto, sul volto di Ruiz era comparso un altro sorriso.

Articolo pubblicato su Lettera43

martedì 30 luglio 2013

Intervista a Xavier Jacobelli


Xavier Jacobelli, direttore editoriale del sito “Calciomercato.com” e figura di spicco del giornalismo italiano (in passato ha diretto i quotidiani “Tuttosport”, “Corriere dello Sport-Stadio”, “Giorno”, “Qs Quotidiano Sportivo”, “Quotidiano.net”), ha accettato di essere sottoposto a qualche domanda sul mondo del pallone per “Pagina”.

Analizzando la situazione attuale ritiene che la Juventus possa essersi rinforzata così tanto da mantenere inalterato il divario tecnico che nella scorsa stagione la separava dalle altri rivali nella corsa allo scudetto, Napoli inclusa?
Inalterato no, ma sicuramente la Juventus ripartirà con il ruolo di favorita per due motivi: il primo è rappresentato da quanto di buono ha fatto in questi due anni; il secondo, invece, deriva dalla bontà degli acquisti messi a segno sino ad oggi. Mi riferisco agli arrivi di Llorente, Tévez e Ogbonna. Questo non vuol dire che il prossimo campionato sarà per lei una passeggiata di salute. Fiorentina e Napoli, ad esempio, sono le due rivali che in questo momento si sono maggiormente rinforzate, legittimando le ambizioni che nutrono. Fermo restando che le valutazioni finali si potranno fare soltanto alle 23.00 del prossimo 2 settembre, quando si chiuderà questa sessione estiva di calciomercato. Non bisogna dimenticare che i club appena citati lo scorso anno avevano raggiunto rispettivamente la seconda e la quarta posizione in serie A. Di certo si può affermare che stiamo assistendo ad un'importante inversione di tendenza nel calcio italiano: Tévez, Llorente, Gomez, Higuain, Albiol, Callejón, Anderson... campioni affermati e giovani talenti hanno scelto di venire a giocare in Italia. Rispetto a quanto accaduto negli scorsi anni questo è un segnale indubbiamente positivo.

Tra i grandi calciatori che in questo momento militano nei campionati esteri ce n'è uno in particolare che avrebbe piacere di ammirare nel nostro paese?
Sarei tentato di rispondere Messi o Cristiano Ronaldo, ma immagino che risulterei troppo banale... (ride, ndr). Mi sarebbe piaciuto il ritorno di Ibrahimovic, perché per me è un giocatore che continua a rappresentare un valore aggiunto in tutte le squadre nelle quali milita. Purtroppo, però, Mino Raiola ha dimostrato ancora una volta di essere il numero uno nel suo campo dato che poche ore fa è riuscito a strappare un aumento dell'ingaggio per il suo assistito. Motivo per il quale, ovviamente, lo svedese continuerà ad essere un calciatore del Paris Saint-Germain anche per il prossimo futuro.

Secondo lei quanto tempo bisognerà attendere prima di poter definire nuovamente la serie A come il campionato più bello del mondo?
Intanto sarebbe importante se il Parlamento approvasse il disegno di legge sugli stadi. Senza gli stadi di proprietà il calcio italiano non può andare da nessuna parte. La Juventus rappresenta la prima, positiva eccezione. Dopo il primo anno di gestione del nuovo “Juventus Stadium” il fatturato della società bianconera ha registrato un notevole aumento. Anche l'Udinese, la seconda rarità di questi tempi, spenderà sì la cifra di venticinque milioni di euro nella ristrutturazione dello stadio “Friuli”, ma avrà in comodato d'uso per novantanove anni la superficie sulla quale sorge l'impianto grazie ad un intelligente accordo con il comune di Udine. A partire dalla stagione 2014-15, quindi, potrà beneficiare dei frutti del proprio investimento. Ci sono altri club che hanno dei progetti interessanti, ma ognuno di loro si scontra con enormi difficoltà burocratiche che finiscono con il bloccare la creazione di strutture che vivrebbero ventiquattro ore su ventiquattro, non un giorno ogni quattordici, esattamente come sta già accadendo in Inghilterra, Olanda, Germania, Spagna, Portogallo... Sono queste le operazioni che consentirebbero alle nostre società di non trovarsi in perenne difficoltà economica rispetto ai club esteri, costringendole a compiere dei salti mortali per portare a compimento trattative difficili partendo da una posizione indubbiamente svantaggiosa. Un solo dato di riferimento: il Paris Saint-Germain ha speso quattrocentotrentacinque milioni di euro negli ultimi due anni. Una follia...

Sempre in tema di fuoriclasse, ritiene che a Neymar verrà effettivamente concessa la possibilità di mostrare tutto il proprio talento oppure farà anche lui la stessa fine di quei campioni (Eto'o, Villa, Ibrahimovic, Henry) che a Barcellona, nel corso degli anni, hanno finito per rimanere oscurati dalla presenza ingombrante di Lionel Messi?
No, penso di no. Stiamo parlando di un fenomeno, di un ragazzo di ventuno anni dalle notevolissime potenzialità, come ha avuto modo di dimostrare durante la recente Confederation Cup. E' un giovane dalle idee chiarissime, che ha saputo cogliere al volo l'opportunità offertagli dal Barcellona per provare ad imporsi anche nel calcio europeo in quello che sarà, oltretutto, l'anno in cui si svolgerà l'edizione del campionato del mondo ospitata proprio dal Brasile. Spetterà a Martino, il nuovo tecnico dei blaugrana, trovare la formula giusta per sfruttare tutto il potenziale a sua disposizione e per cercare di aiutare l'ambiente a superare il trauma rappresentato dal dramma che sta ancora vivendo Vilanova, il precedente allenatore. Non va dimenticato che nonostante i problemi del recente passato il Barcellona è riuscito a vincere il campionato accumulando la bellezza di cento punti e distanziando il Real Madrid, l'avversario storico, di ben quindici lunghezze.

Cosa pensa possa aggiungere Guardiola al fortissimo Bayern Monaco ereditato da pochi giorni dalle mani di Heynckes? La recente sconfitta dei bavaresi contro il Borussia Dortmund, ovviamente, non può ancora fare testo...
Sono d'accordo con lei. Ho già sentito troppi epitaffi in merito alla finale di Supercoppa di Germania vinta con pieno merito dal Borussia Dortmund, una signora squadra. Al tecnico spagnolo va lasciato il tempo necessario per creare il giusto mix tra la potenza e l'esplosività di una formazione che nella passata stagione ha vinto tutto, e la fantasia e la mentalità spregiudicatamente offensivista che caratterizzano il suo modo di vedere il calcio. Lo spettatore paga il biglietto per divertirsi, la strada è quella giusta. Nella Bundesliga, poi, ci sono stadi fantastici, ambienti straordinariamente belli, ideali per chi vuole seguire la propria squadra. La media spettatori è diventata la più alta in Europa: l'anno scorso fu di quarantatremilaquattrocentoventuno spettatori. Guardiola, in buona sostanza, è stato bravo a scegliere il Bayern Monaco e la Bundesliga come tappe per continuare la propria carriera di tecnico di successo.

Alla luce della sua fortunata esperienza giornalistica quale consiglio si sentirebbe di fornire ad un giovane alle prime armi nel mondo odierno dell'informazione?
Deve avere una grande passione. Si deve lasciare guidare da quella, dalla passione, in qualunque ambito decida di cimentarsi: cartaceo, informatico, radiofonico, televisivo. Il secondo consiglio è quello di non demordere, dato che attualmente le condizioni nel campo editoriale sono obiettivamente difficili. Ma sono convinto che chi ama realmente questo mestiere e lo vuole fare a tutti i costi alla fine ce la possa fare.

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mercoledì 16 gennaio 2013

La Juventus rallenta


La Juventus che torna da Parma dopo aver mancato la vittoria di un soffio conferma la tesi del suo allenatore: non è una squadra di marziani. Viceversa, chi aveva pensato che i bianconeri avessero già vinto il campionato a fine dicembre probabilmente si era fatto condizionare dall'enorme distacco accumulato in quel periodo sulle dirette rivali nella corsa allo scudetto (otto punti). Se proprio si vuol discutere di formazioni che giocano a calcio come solo gli extraterrestri saprebbero fare allora bisogna guardare al campionato spagnolo, dove il Barcellona continua ad incantare e schiantare gli avversari uno dopo l'altro. I suoi successi ormai non fanno più notizia, così come i Palloni d'Oro conquistati da Lionel Messi e le reti che l'argentino segna a ripetizione.

Tornando in Italia, ha suscitato clamore il rallentamento della Juventus in vetta alla serie A. Lo scorso anno, di questi tempi, Madama aveva un punto in meno in classifica, guardava le partite della Champions League in televisione e non doveva riempire i suoi serbatoi di benzina sino al limite della loro capienza per far fronte agli impegni infrasettimanali. Per misurare la differenza con l'attuale situazione basti pensare che mercoledì 9 gennaio la Vecchia Signora ha cominciato un ciclo di incontri che la porterà a giocare ben otto volte in soli trenta giorni.

Un ciclo iniziato con una gara lunghissima, quella disputata in Coppa Italia contro il Milan e durata la bellezza di centoventi minuti. Non dev'essere un caso se domenica a Genova, contro la Sampdoria, il rossonero El Shaarawy si è reso protagonista di una delle rarissime prove incolori di questa prima metà di campionato. Le scorie di partite così tirate difficilmente si riescono ad eliminare in un breve arco di tempo. 

Giuseppe Marotta ha recentemente paragonato la serie A ad una corsa a tappe ("E' come il Giro d’Italia, non come la Milano-Sanremo"), centrando il punto della situazione: in questo genere di competizioni gli allunghi si "pagano", in termini di fatiche accumulate, esattamente come le rincorse. Partita a razzo in campionato, Madama ha incontrato delle difficoltà nelle prime gare disputate in Champions League; una volta messo il piede sull'acceleratore in Europa, invece, ha poi frenato in Italia salvo riprendersi in concomitanza con il ritorno di Conte sulla sua panchina.

La forbice tra gli alti e i bassi, fisiologici, che caratterizzano un'intera stagione sarebbero meno evidenti se Madama disponesse di qualcuno in grado di spezzare gli equilibri degli incontri nei quali non riesce a prevalere con il proprio gioco corale. Visto e considerato che, come sostiene lo stesso Conte, "trovare adesso dei giocatori che possano far fare il salto di qualità non è facilissimo, perché chi ce li ha se li tiene", non è da escludere che intorno alla Vecchia Signora si siano create, nel corso del tempo, delle aspettative molto elevate. Forse troppo.

Rosa bianconera alla mano, era evidente sin dalla scorsa estate che il gigante Bendtner ed il piccolo Giovinco non avrebbero risolto i suoi cronici problemi offensivi. Il ruolo di favorita le impone di vincere il campionato, non di ucciderlo. Le due squadre che la tallonano da vicino, Lazio e Napoli, nelle ultime quattro gare hanno accumulato la bellezza - rispettivamente - di dodici e nove punti, in concomitanza con il periodo di flessione bianconera. Tornando sul tema degli allunghi e delle rincorse, non è da escludere che a breve anche le dirette concorrenti possano rallentare il passo, magari nel momento stesso in cui riprenderà a segnare la cosiddetta "cooperativa del gol" juventina.

L'esito del campionato, comunque sia, non è così scontato come a molti era apparso lo scorso dicembre. L'incidenza degli infortuni, delle coppe europee e italiana (il Napoli ne è fuori, ma a breve Juventus e Lazio si troveranno una di fronte all'altra) si faranno sentire moltissimo nel prosieguo del torneo. A meno che qualche eventuale acquisto concretizzato in questo mese di gennaio riesca a modificare gli equilibri della serie A. E' difficile immaginare un'ipotesi simile, anche perché l'attuale sessione di calciomercato resta sempre la versione più moderna del vecchio mercato di "riparazione". Nel caso della Juventus, però, là davanti c'è da "costruire", non da mettere a posto qualcosa.

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sabato 15 gennaio 2011

La Juve col Bari per ripartire. Di nuovo...


Si riparte col Bari, dopo aver iniziato col Bari. Comincia il girone di ritorno della serie A, altre diciannove partite di campionato e i tifosi bianconeri, visto l’attuale stato d’animo generale, sapranno di che morte dovranno morire.
La Juventus si era presentata ai nastri di partenza di questa stagione con uno svantaggio psicologico di ventisette punti dall’Inter (tanti quanti sono stati quelli di ritardo accumulati nei confronti dei nerazzurri al termine dell’ultima serie A disputata) e con un settimo posto in classifica appena conquistato da nascondere con il viso rosso dalla vergogna.
Quasi giunti al fatidico giro di boa, quando qualcuno iniziava a volare con i sogni oltre il cielo parlando di scudetto ecco arrivare due sberle sonanti ad opera di Parma e Napoli, con la Vecchia Signora costretta a tornarsene mesta nelle retrovie.
Dove? Nella settima posizione. Quella di partenza.
Inutile girarci intorno, quel sesto posto temporaneo è solo un’etichetta che presto verrà tolta dall’Inter: è difficile credere che con due partite a disposizione da recuperare - contro il Cesena in casa e la Fiorentina in trasferta - la squadra di Leonardo non riesca ad accumulare almeno tre punti, ora che sono soltanto due le lunghezze che la separano da Madama.

A Bari, lo scorso 29 agosto, un gran tiro di Donati stese la Juventus quando ormai mancavano due minuti al termine della prima frazione di gioco, regalando la vittoria ai pugliesi. In quei giorni si parlava di un possibile acquisto da parte dei bianconeri di una punta a scelta tra Borriello, Benzema e Forlan, l’attaccante accostato anche in questi giorni di riapertura del calciomercato al club torinese. A fine gara Del Piero disse: "L’anno scorso iniziammo con una vittoria e poi le cose andarono male. Ora speriamo che accada il contrario e che questa sia la prima e unica sconfitta".

Per il gioco mostrato al cospetto della neonata Juventus di Del Neri la formazione di Ventura - in alcuni tratti di quell’incontro - sembrava si fosse travestita da Barcellona. Adesso quella stessa squadra si trova in fondo alla classifica, ultima, con sole tre vittorie in diciannove partite giocate in tutto il girone di andata. Buffon, infortunato, non indossava i guantoni per difendere la porta bianconera. Si trovava a Carrara, a seguire la squadra locale (della quale è comproprietario) nel match disputato contro la Villacidrese. Ora quella porta tornerà ad essere "casa" sua, nel suo stadio, in mezzo ai suoi tifosi.

Con una partenza ad handicap ed un calciomercato che gli aveva lasciato una rosa incompleta tra le mani, Del Neri ha affrontato i mesi successivi con il piglio del comandante sicuro dell’apporto che gli avrebbero fornito i suoi uomini, costruendo un’intelaiatura sulla quale in questi giorni di gennaio la società avrebbe dovuto (e dovrà comunque farlo, a maggior ragione, ora) intervenire per aggiungere quei giocatori in grado di farle compiere un salto di qualità.
Durante la sosta del campionato per gli impegni della nazionale italiana contro Estonia e Far Oer, immediatamente successiva alla prima gara di campionato, il tecnico di Aquileia rilasciò un’interessante intervista al taccuino di Alberto Cerruti, giornalista della "Gazzetta dello sport", comparsa sulle pagine del quotidiano rosa il 3 settembre 2010. Molti tra gli argomenti trattati a suo tempo, rileggendoli adesso, si può dire che siano ancora di moda.

Alla domanda "Perché ha voluto Martinez per farlo giocare esterno nel 4-4-2?", rispose: "Perché è un giocatore con grandi qualità che diventerà importante. E poi nella sua nazionale giocava già esterno a quattro".
Sulla cessione di Diego, argomento scomodo più allora di quanto non lo possa essere oggi, disse: "Con Quagliarella abbiamo più presenza in area di rigore. E poi il nostro Diego si chiama Del Piero".
Ad Aquilani pronosticò un ritorno in azzurro, fece intuire che non intendeva rinunciare alle sue prestazioni ipotizzando una coesistenza in mezzo al campo con Marchisio, disse di puntare molto su Felipe Melo, rimpianse il mancato arrivo di Kolarov (trasferitosi poi al Manchester City), mentre sugli obiettivi reali del club bianconero, a calciomercato chiuso, dichiarò: "Dobbiamo raggiungere un posto per la Champions in qualsiasi maniera, perché lo esige la storia della Juventus".

Eliminata dall’Europa League ed arrivata agevolmente ai quarti di finale della coppa Italia, spetta ora a Madama riprendere ad accumulare punti in campionato a partire dall’incontro di domani con il Bari. Da dove aveva iniziato in questo campionato perdendo, così come aveva fatto per ben quindici volte nella scorsa disastrosa stagione. Dove le due formazioni si affrontarono a Torino quando mancavano quattro giornate alla fine del torneo. Si trattò dell’ultima vittoria bianconera, un 3-0 che portava le firme di Iaquinta (doppietta) e Del Piero (su rigore).
Ancora lui, sempre lui: Del Piero.
Lì in attacco, adesso, orfani di Quagliarella si rende ulteriormente necessario l’acquisto di una punta di valore assoluto per puntare con decisione alle primissime posizioni in classifica.
Allo scudetto credevano in pochi, sino a qualche giorno fa. All’obiettivo dichiarato dalla società, invece, no…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

mercoledì 1 settembre 2010

La "Gazzetta Sportiva" e quella frase di Ibrahimovic


E’ tornato in Italia da poco, così come per poco tempo ne era rimasto lontano: Zlatan Ibrahimovic è diventato un giocatore del Milan, e lo sarà – al netto di nuovi mal di pancia – per i prossimi quattro anni.
Riappare a Milano, dove è stato di casa per tre stagioni nella parte nerazzurra della città, ospite di quella squadra della quale era stato “tifoso sin da piccolo”.
Ritorna in serie A dopo averla lasciata da padrone incontrastato: cinque scudetti in cinque anni, due con la Juventus e tre con l’Inter.
Da Torino a Milano, un cambio di maglia che ha finito col rappresentare il passaggio di consegne tra chi dominava e chi ha “preso in mano” le redini del calcio italiano: bianconerazzurro, un colpo al cuore per chi ha visto distruggere la propria squadra e ha dovuto subire l’onta del suo trasferimento agli storici avversari.
Pronti a divorare una tavola piena di scudetti, senza che nessuno (o quasi) potesse opporre resistenza.
Nell’attesa che le principali rivali si riprendessero dal terremoto iniziato nel maggio del 2006.
Fisico da gigante, piedi da ballerino del pallone: con le sue scarpe numero 47 ha alternato i dribbling a movenze da taekwondo. Cresciuto in un sobborgo di Malmö, è rimasto - negli anni - fedele soltanto a se stesso. Non esistono maglie che gli si attacchino così tanto al corpo da entrargli nel cuore: è stato così anche a Barcellona, dove pure aveva esordito – alla sua presentazione - con un bacio sulla casacca blaugrana.
Luciano Moggi lo portò a Torino, consegnandolo nelle mani di un Fabio Capello che sapeva già di poter disporre di un cavallo di razza.
All’Inter, in suo onore, si creò lo schema “palla a Ibra e pedalare”. Quando si capì che fuori dall’Italia non avrebbe portato vittorie, stufi dei suoi continui mal di pancia si decisero a scambiarlo con Eto’o, con l’aggiunta di un conguaglio (a loro favore) così cospicuo da poter permettere il rinforzo della squadra in ogni reparto.
Il resto, è storia recente.
“Bentornato al ragazzo che - leggenda vuole - si presentò negli spogliatoi della Juve squadrando i senatori bianconeri con occhi torvi: “Io sono Zlatan. Voi chi cazzo siete?”
Queste sono alcune tra le righe scritte da Andrea Monti, direttore della “Gazzetta dello Sport”, nell’editoriale pubblicato nella prima pagina del numero domenicale (la ”Sportiva”) del 29 agosto, dal titolo “Il Mago e il Cavaliere”.
Un personale “bentornato” in Italia al giocatore.
Svedese che - come vuole la leggenda - pronunciò veramente quelle frasi. Ma all’interno di un altro spogliatoio: quello dell’Ajax. Lo scrisse anche Sebastiano Vernazza, proprio sulle pagine della rosea, il 18 luglio del 2009.
Correva l’anno 2001 quando venne acquistato dalla squadra olandese per una cifra intorno ai 9 milioni di euro (in assoluto l’investimento più oneroso per un club che i campioni se li è spesso costruiti in casa), ed il giocatore si presentò nel luogo sacro di ogni squadra di calcio pronunciando quelle parole.
Buffon, Trezeguet, Del Piero, Thuram… Difficile che lo svedese potesse soltanto pensare di fare una cosa simile a Torino nel 2004 (anno del suo acquisto). Se i campioni presenti tra le fila bianconere gli avessero snocciolato le vittorie e i riconoscimenti ottenuti nelle rispettive carriere sino a quel momento…
Continua l’editoriale di Andrea Monti: “Sette anni dopo non è cambiato di una virgola anche se ora non ha più alcuna necessità di presentarsi: campione universale, di tutti e di nessuno”.
Sette anni fa, nel 2003, Ibrahimovic si apprestava ad iniziare la sua ultima stagione in Olanda.
L’attaccante sarebbe già dovuto già passare al Milan nel 2006, ha solo rimandato l’appuntamento. Con il suo arrivo, molto probabilmente, i rossoneri avranno qualche possibilità di contendere lo scudetto all’Inter sino in fondo al campionato. Vada come deve andare: tanto da Milano, a quanto sembra (ad oggi), il tricolore non si sposterà.
Comprensibile la gioia e l’emozione di chi dirige un quotidiano proprio di quella città. Sentimenti che, a volte, portano anche a commettere qualche piccolo sbaglio.
Naturalmente i lettori non hanno mancato di segnalare l’errore al direttore. La sua risposta? Vedi la foto...
Per la verità, anch’io avevo in mente la stessa circostanza. Poi sono andato a controllare nel posto sbagliato, ho corretto il testo e, con ogni probabilità, ho finito per darvi un’informazione non corretta. La maggioranza dei siti e delle fonti, infatti, propende per l’Ajax. Tuttavia, gli amanti della mitologia zlataniana sanno che esiste un’altra possibilità. In un’intervista a Max di tre anni fa, gli fu chiesto: “E’ vero che quando entri per la prima volta nello spogliatoio di una nuova squadra sei solito dire ai compagni quella frase?”. Lui rispose con una risata satanica. Dunque, potrebbe trattarsi di una leggenda metropolitana. Oppure di una battuta utilizzata anche negli spogliatoi bianconeri, interisti e blaugrana. Chissà… Nel caso l’episodio si ripetesse, pregherei i giocatori milanisti di farmelo sapere. Privatamente e, visto il carattere di Ibra, con garanzia di anonimato”.
Rimane ancora un mistero il “perché” sia stata scelta proprio la Juventus come squadra per questa citazione. Visto il numero di fonti (compreso un articolo pubblicato in precedenza dallo stesso quotidiano) che propendevano per l’Ajax. E come mai non siano stati indicati altri club tra quelli nei quali lo svedese ha militato.
Come l’Inter, per esempio.

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lunedì 22 marzo 2010

Pioveva. Sul bagnato...

Pioveva, governo (calcistico) ladro.
Abbiamo perso (di nuovo), ma poteva andare peggio: solo nelle ultime partite, il Siena ce ne aveva fatti tre, il Fulham quattro.
All’inizio sembravamo una squadra di calcio. Dopo, siamo tornati la Juventus di Blanc.
C’era Pinsoglio che si sottoponeva ai tiri dei giocatori bianconeri in fase di riscaldamento nell’immediato pre-partita: bel portierino davvero. Naturalmente dovremo aspettare compia la maggiore età calcistica (31 anni) prima di vederlo in campo da titolare.
Mentre Cassano scoccava il tiro del goal, mi stava per partire uno sbadiglio: ma cosa voleva fare da quella distanza e con un “lancio” così?
Quando ho visto cosa ha combinato Chimenti (autore anche di belle prodezze), mi sono dovuto trattenere: stava per partire qualcos’altro...
Cannavaro sembrava un difensore; Poulsen il migliore in campo dei nostri; Zebina insultato dai sostenitori bianconeri per tutta la durata della partita; Marchisio un talento; Iaquinta un lottatore (stanco e fuori condizione); Diego un trottolino amoroso del pallone (che voglia di entrare in campo per toglierlo dai suoi piedi…).
Trovo ancora la forza di scherzare: è il segno della disperazione sportiva che ormai si è impossessata di me.
D’altronde: non dovevamo diventare simpatici e far sorridere?

Gustiamoci due video: quello con le dichiarazioni di Beha riportate dagli amici di GiùLeManiDallaJuve e gli spezzoni (oggi li chiamano “highlights”…) di Saragozza-Barcellona, incontro terminato 4-2 per i blaugrana.
Beh… Godetevi il secondo dei tre goals segnati da Lionel Messi…



giovedì 25 febbraio 2010

Per un futuro degno del passato


"Quella contro il Racing Santander è stata la peggior partita del Barcellona sotto la gestione Guardiola". Parole e musica di Johan Cruyff. Il direttore d’orchestra che incassa i fischi è il giovane "Pep", suo giocatore ai tempi in cui era l’olandese a guidare i blaugrana dalla panchina. L’incontro, per la cronaca, è finito 4-0 per il Barça. Ciononostante il mister accetta, senza nessuna sceneggiata, la dura critica. Coppa del Re, campionato spagnolo, Champions League, Supercoppa di Spagna, Supercoppa UEFA, Mondiale per club: da maggio a dicembre del 2009, sei trofei vinti in sette mesi. Chapeau: per la classe dimostrata nelle vittorie e nell’accettare le osservazioni. Non è tutto oro quello che luccica (negli altri paesi): ma c’è da imparare. E sino a quando ci saranno esempi sbagliati, nel nostro campionato si continuerà ad indietreggiare come i gamberi. Guardiola, inoltre, come i Trapattoni, i Lippi e i Capello bianconeri: non ci si deve mai accontentare.

Si chiama Europa League, non è la Champions League: meno introiti, meno fascino, musica diversa. Porta prestigio, per chi la vince: non come la coppa "vera", però. Quella dalle "grandi orecchie". Quella che ti pone in cima al Vecchio Continente, che ti fa guardare gli altri dall’alto verso il basso e che ti permette di realizzare un "filotto": finale per la Supercoppa UEFA e partecipazione al Mondiale per Club. Supercoppa UEFA, peraltro, che si gioca con la vincente dell’Europa League. A furia di piangere su quello che poteva essere e non è stato, forse, ci si è dimenticati di questo particolare.

Non ci si deve accontentare del 2-1 sull’Ajax a domicilio (il loro): è troppo pericoloso. Bisogna giocare per vincere, anche se una sconfitta di misura (1-0) garantirebbe ugualmente il passaggio al turno successivo. Questa squadra, al momento, non è in grado di gestire una singola partita: figuriamoci due (andata e ritorno). Comunque si sta lentamente ritrovando. Nel frattempo, Buffon si blocca (adduttori coscia destra) mentre Camoranesi si sblocca, e torna ad essere nuovamente disponibile. Nella partita contro il Bologna, a Torino, durante il girone di andata (27 settembre 2009, risultato finale 1-1) iniziarono ad avvertirsi i primi problemi alla macchina messa a disposizione di Ciro Ferrara: da quel momento in poi, da fuoriserie è diventata un’utilitaria di lusso nell’arco di due mesi e mezzo circa. Nell’incontro successivo, contro il Palermo, ci fu il primo tonfo. Fragoroso. Al ritorno, i bolognesi sono stati "sistemati" con un uno-due firmato Diego e Candreva: il "nuovo" che avanza. Anche guidato dal "vecchio": senza un Del Piero così, la vittoria sarebbe stata una chimera. Sfumata la Champions League, la speranza è di prendersi ora delle rivincite in Europa League. Nell’attesa di confermare il quarto posto in campionato e puntare Milan o Roma. Nel caso una delle due abbandonasse anticipatamente la rincorsa all’Inter.

Inter, Inter e Juventus, Juventus e Inter: lontanissime in Italia (14 punti), divise in Europa da due competizioni diverse. Ma quello che succede ad una finisce sempre con interessare l’altra. Storia di una rivalità sempre esistita, accesissima a più riprese, esplosa definitivamente durante e dopo Calciopoli. L’Inter (di oggi) che gioca a fare la Juventus (di ieri), con risultati diversi: l’interismo che si confonde con l’isterismo. Storie di mani incrociate per mimare le manette, di fazzoletti bianchi, di frasi ingiuriose agli arbitri, di pressioni agli ispettori federali ai bordi del rettangolo di gioco, di risse nel tunnel che conduce agli spogliatoi, di espulsioni giuste, assurdamente prese ma duramente contestate. Storie, queste, come esempio, che si sono consumate tutte in una sera. In un tranquillo sabato di follìa. Con il dessert della telefonata domenicale (Moratti-Abete). Se questa è la punta dell’iceberg del campionato italiano, non ci si chieda perché all’estero non siamo più seguiti.

E la Juventus? (Ora) Sorride, si compiace di una sorta di (mini-)crescita, si coccola e si lascia coccolare dalla calma e dalla compostezza di Zaccheroni: dopo gli ultimi mesi di terrore, tutto quello di positivo che arriva è il benvenuto. La strada da percorrere è ancora lunga, lunghissima. L’arrivo (il ritorno) di Bettega è stato il primo passo. Che qualche frutto inizia a portare. Ma non si possono, attualmente, fare paragoni con altre realtà vincenti: bisogna ancora vivere alla giornata.
Adesso si pensi a sculacciare i giovani lancieri, e si continui a costruire un futuro degno del passato. Gli interismi (e gli isterismi) si lascino a chi di dovere: c’è differenza tra il guardarsi i piedi e guardare l’orizzonte. Va bene la rivalità: ma non deve essere un limite. Di avversari, non ne esiste uno (o una) soltanto: quella, è una mentalità da provinciale. Non da Juventus. L’unico obiettivo da raggiungere è tornare ad essere se stessi. Cioè i migliori.
Perché chi sa vincere non si deve accontentare mai.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com



martedì 12 gennaio 2010

Due righe a John Elkann...


Egregio Signor John Elkann,
immagino che Lei sia troppo impegnato per leggere i blog che parlano di Juventus, ma io queste righe le voglio scrivere ugualmente.
Mi rivolgo a Lei in quanto proprietario della squadra, e faccio finta di non sentire tutte le voci che la descrivono non solo poco interessato ai colori bianconeri, ma addirittura capace di tradire la storia ed il blasone di questa gloriosa formazione per interessi esterni al gioco del calcio.
E le scrivo - considerando che Lei stia cercando di fare il bene della Juve - per chiederle del perché di alcune scelte e soprattutto del perché persistere su quelle stesse scelte dopo i pessimi risultati raggiunti?
Prima di tutto, perché volere una squadra “simpatica”?
Che vuol dire nel calcio una squadra simpatica? Da quando in qua, ad un romanista deve stare simpatica la Fiorentina ed ad un sampdoriano l’Atalanta?
Una squadra di calcio deve rendere felici i propri sostenitori e tristi i tifosi avversari. E una squadra che vince non potrà mai essere simpatica ad un avversario. Tra l’altro noi (anche se c’è chi va in giro a dire il contrario!) simpatici non lo siamo stati neppure in serie B.
Ora mi permetto di chiederle di suo nonno, proprio perché è stato Lei ad accostarlo con orgoglio alla Juve poco più di un mese fa. E’ sicuro che suo nonno sarebbe stato orgoglioso di una Juve simpatica (e quindi perdente)?
E poi capisco, è l’inglese la sua lingua madre, allora Le consiglio di aprire un dizionario di italiano e leggere la differenza tra “simpatica” e “ridicola”.
Altra cosa, io non ho idea, in quella famosa cena di 5 o 6 anni fa in cui vi siete conosciuti, cosa possa averle detto il signor Blanc per farle credere che le idee che le stava proponendo fossero vincenti. Ma possibile che non l’abbia mai neppure sfiorata il pensiero che creare un’intera dirigenza di una squadra di calcio senza nessun esperto del settore, fosse di per se un’idea poco sensata? Smantellando, inoltre, un intero organigramma, costruito negli anni, e che aveva dimostrato di poter competere a livello mondiale
E’ sicuro che fosse questa una Juve di cui suo nonno sarebbe stato orgoglioso?
Non le è mai passato per la testa che, a parte la costruzione di uno stadio (peraltro già pianificata da altri) cambiare 3 allenatori (che mentre scrivo potrebbero già essere diventati 4) in 4 anni non può definirsi “progetto”?
Non ha mai pensato che dei dirigenti non in grado di difendere un allenatore - per ancora solo due partite! - dai titoli di un quotidiano e dai capricci dei propri giocatori, fossero dei dirigenti incapaci?
E’ sicuro che fosse questa la Juve di cui suo nonno sarebbe stato orgoglioso?
Non hai mai pensato che dei dirigenti non in grado di difendere le proprie scelte tecniche e di non acquistare un calciatore di una diretta rivale solo perché antipatico ai tifosi, fossero dei dirigenti incapaci?
Non ha mai pensato che dei dirigenti che svendono i pezzi pregiati a prezzi stracciati (e non mi riferisco a Ibrahimovic, che non voleva rimanere in b, ma a Mutu per esempio) fossero dei dirigenti incapaci?
Non ha mai pensato che dei dirigenti che non sanno che una squadra di calcio non è composta da 11 figurine (ma piuttosto è un puzzle formato da 11 tessere che devono incastrarsi perfettamente) e che acquistano giocatori senza una logica, che tra l’altro dovrebbe essere condivisa con il tecnico, fossero dei dirigenti incapaci?
Non ha mai pensato che dei dirigenti che non sanno governare una squadra che perde con tutti e si danna l’anima solo contro la squadra che indossa lo scudetto, come da un secolo fanno gli avversarsi contro di noi, e che non sanno controllare faide e lotte intestine allo spogliatoio fossero dei dirigenti incapaci?
Non ha mai pensato che dei dirigenti che decidono di puntare su un tecnico giovane, alla sua prima esperienza e dandogli una squadra non scelta da lui, e che alle prime difficoltà non sono in grado di difenderlo né dagli attacchi esterni né da quelli interni, fossero dei dirigenti incapaci?
E’ sicuro che fosse questa la Juve di cui suo nonno sarebbe stato orgoglioso?
Non ha mai pensato che vedere partita dopo partita giocatori, anche bravi, comportarsi come ragazzini, come dilettanti di fronte al Barcellona campione del mondo, quasi tutti senza carattere, senza mordente, senza grinta, senza un minimo di combattività, senza voglia, senza passione, preda di chissà quale problema psicologico, avesse necessità di un intervento a tempo debito?
E’ sicuro che fosse questa la Juve di cui suo nonno sarebbe stato orgoglioso?
Di sicuro ne Lei, ne nessuno della società, leggerà queste mie righe, ma di sicuro in migliaia hanno letto dalle pagine di Repubblica l’articolo di Maurizio Corsetti che così terminava “Perché la Juve, prima, poteva essere qualcosa da combattere e al limite da odiare, oppure da tifare e amare, ma era sempre qualcosa. Adesso è diventata niente.”
E’ proprio sicuro che fosse questa la Juve di cui suo nonno sarebbe stato orgoglioso?
E allora non pensa che questi dirigenti, pagati profumatamente per prendersi anche tutte le responsabilità, abbiano fatto sufficienti errori da essere finalmente licenziati?
Certo se Lei ha veramente interesse ad una Juve mediocre, per motivi esterni al calcio, il rischio è quello di ritrovarsi in un nuovo bellissimo stadio completamente deserto e con migliaia di abbonamenti televisivi disdetti. (Nel frattempo ci consoleremo con l’Eredivisie e con il campionato brasiliano che sono gratuiti!)
Ma se, invece, vuole veramente occuparsi della Juve, ne deleghi l’amministrazione finalmente a qualcuno competente.
Oppure se proprio non se ne vuole occupare passi la mano, e non si preoccupi che troverà qualcuno che vorrà farlo (magari nella sua stessa famiglia!) e vedrà che presto la Juve sarà di nuovo la Juve. Una squadra di cui suo nonno sarebbe veramente orgoglioso!

La saluto cordialmente
Roberta

p.s. : ah tanto per farglielo sapere …. Amministrare male la Juventus farà si che gli juventini acquisteranno Renault e Volkswagen per ripicca, e che gli antijuventini acquisteranno Renault e Volkswagen perché vi riterranno dei cattivi imprenditori.



Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero