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martedì 17 gennaio 2012

Juventus, quanta strada in un anno

L'ultimo Juventus-Cagliari sembrava potesse rappresentare per Alessandro Matri l'occasione ideale per aggiornare il numero delle reti messe a segno nel corso di questa stagione: apparteneva a lui, d’altronde, l'unico goal realizzato da Madama sino a quel momento nel 2012 (a Lecce), così come da lui ci si aspettava un'altra marcatura da annoverare nella storia degli incontri tra bianconeri e sardi.

Nei suoi trascorsi in rossoblù, infatti, la punta aveva violato la porta della Vecchia Signora in più occasioni: il 31 gennaio 2009 fu l'autore del 3-2 con il quale concluse definitivamente la vittoriosa trasferta del Cagliari allo stadio "Olimpico"; il 29 novembre dello stesso anno sigillò il successo della squadra di Cellino al "Sant'Elia" (2-0, il primo goal fu opera di Nenê); il 26 settembre del 2010 realizzò una doppietta nella sconfitta per 4-2 subita a Torino dagli isolani.

In quella stessa serata il mattatore della gara fu Milos Krasic: la sua tripletta venne accolta dall'opinione pubblica come la conferma della bontà dell'acquisto di Madama. "L'unico campione approdato alla Juventus dopo il 2006", si sentiva ripetere da più parti. Curiosamente proprio un altro Juventus-Cagliari, giocato a distanza di un campionato, potrebbe diventare l'ultima apparizione del serbo in maglia bianconera.

L'assist per la clamorosa occasione fallita dal centrocampista nel finale di partita gli è stato confezionato da Borriello, il nuovo attaccante juventino entrato in competizione con Matri per il ruolo di punta centrale nello scacchiere di Conte. Nel reparto offensivo, laddove si pensava che Madama non avrebbe aggiunto altri uomini quanto piuttosto che si sarebbe liberata al più presto di alcuni esuberi, è iniziato il restyling invernale della Vecchia Signora.

La Juventus rallenta la propria corsa in campionato, smarrisce il cinismo mostrato a Lecce e pareggia una gara da vincere ad ogni costo: in caso di successo avrebbe avuto a propria disposizione due risultati utili su tre per mantenere la vetta solitaria della classifica in previsione della prossima trasferta di Bergamo. Superato il Milan di una lunghezza nella corsa verso il primato, dallo specchietto retrovisore è spuntata l'Inter di Ranieri: i sei punti che la separano dai nerazzurri rappresentano per ora un buon margine di distanza, considerando l'imbattibilità del gruppo guidato da Conte e l'affanno che le rincorse, prima o poi, comportano.

Parafrasando il titolo di un romanzo di Andrea Camilleri e adattandolo al calcio, il derby di Milano ha celebrato "la scomparsa di Patò": ormai in procinto di trasferirsi in Francia al Paris Saint-Germain, Pato è rimasto in rossonero per volontà di Silvio Berlusconi in persona proprio nel momento stesso in cui il Diavolo era pronto ad accogliere l'argentino Tévez come suo sostituto. Dirottato sul campo di gioco in mezzo all'undici titolare, la giovane punta ha poi offerto una prestazione decisamente sotto tono. Il tira e molla sul rinnovo del contratto di Allegri, il rapporto complicato tra il tecnico e la giovane punta brasiliana, la serata di scarsa vena di Ibrahimovic: di fronte ad un’Inter affamata di vittorie e senza particolari turbamenti il Milan si sarebbe dovuto presentare con uno spirito diverso da quello mostrato domenica.

L'Udinese attualmente priva di alcuni suoi elementi che partecipano alla Coppa d'Africa e la Lazio di Klose e Hernanes completano il gruppo delle squadre posizionate nei piani alti della classifica. Il posticipo serale previsto per domenica prossima al “Meazza” tra nerazzurri e biancocelesti rappresenta il piatto più prelibato del menù dell'ultima giornata del girone di andata.

Circa un anno fa, per esattezza lo scorso 29 gennaio 2011, con una Juventus entrata in crisi a tutti gli effetti Andrea Agnelli convocò una conferenza stampa per difendere l'operato del nuovo corso bianconero. Nella fase conclusiva del suo intervento dichiarò: "Se noi l'anno prossimo, in questo periodo, abbiamo i problemi di oggi, abbiamo un problema. Quest'anno i problemi che abbiamo e che stiamo gestendo erano prevedibili, e non modificano assolutamente quella che è l'impostazione che abbiamo dato".

In quel momento la Vecchia Signora si trovava al quinto posto in classifica, distante dodici punti dal Milan futuro campione d'Italia. La gara di ritorno tra Cagliari e Juventus si doveva ancora disputare: accadde il 5 febbraio 2011, allo stadio "Sant'Elia". In quell'occasione Matri segnò nuovamente una doppietta nel 3-1 con il quale Madama vinse la partita, indossando la sua nuova maglia bianconera.
Da allora qualcosa è cambiato, qualcos'altro no: di strada, però, ne è stata fatta parecchia.
Ogni tanto è giusto ricordarlo.

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mercoledì 1 settembre 2010

La "Gazzetta Sportiva" e quella frase di Ibrahimovic


E’ tornato in Italia da poco, così come per poco tempo ne era rimasto lontano: Zlatan Ibrahimovic è diventato un giocatore del Milan, e lo sarà – al netto di nuovi mal di pancia – per i prossimi quattro anni.
Riappare a Milano, dove è stato di casa per tre stagioni nella parte nerazzurra della città, ospite di quella squadra della quale era stato “tifoso sin da piccolo”.
Ritorna in serie A dopo averla lasciata da padrone incontrastato: cinque scudetti in cinque anni, due con la Juventus e tre con l’Inter.
Da Torino a Milano, un cambio di maglia che ha finito col rappresentare il passaggio di consegne tra chi dominava e chi ha “preso in mano” le redini del calcio italiano: bianconerazzurro, un colpo al cuore per chi ha visto distruggere la propria squadra e ha dovuto subire l’onta del suo trasferimento agli storici avversari.
Pronti a divorare una tavola piena di scudetti, senza che nessuno (o quasi) potesse opporre resistenza.
Nell’attesa che le principali rivali si riprendessero dal terremoto iniziato nel maggio del 2006.
Fisico da gigante, piedi da ballerino del pallone: con le sue scarpe numero 47 ha alternato i dribbling a movenze da taekwondo. Cresciuto in un sobborgo di Malmö, è rimasto - negli anni - fedele soltanto a se stesso. Non esistono maglie che gli si attacchino così tanto al corpo da entrargli nel cuore: è stato così anche a Barcellona, dove pure aveva esordito – alla sua presentazione - con un bacio sulla casacca blaugrana.
Luciano Moggi lo portò a Torino, consegnandolo nelle mani di un Fabio Capello che sapeva già di poter disporre di un cavallo di razza.
All’Inter, in suo onore, si creò lo schema “palla a Ibra e pedalare”. Quando si capì che fuori dall’Italia non avrebbe portato vittorie, stufi dei suoi continui mal di pancia si decisero a scambiarlo con Eto’o, con l’aggiunta di un conguaglio (a loro favore) così cospicuo da poter permettere il rinforzo della squadra in ogni reparto.
Il resto, è storia recente.
“Bentornato al ragazzo che - leggenda vuole - si presentò negli spogliatoi della Juve squadrando i senatori bianconeri con occhi torvi: “Io sono Zlatan. Voi chi cazzo siete?”
Queste sono alcune tra le righe scritte da Andrea Monti, direttore della “Gazzetta dello Sport”, nell’editoriale pubblicato nella prima pagina del numero domenicale (la ”Sportiva”) del 29 agosto, dal titolo “Il Mago e il Cavaliere”.
Un personale “bentornato” in Italia al giocatore.
Svedese che - come vuole la leggenda - pronunciò veramente quelle frasi. Ma all’interno di un altro spogliatoio: quello dell’Ajax. Lo scrisse anche Sebastiano Vernazza, proprio sulle pagine della rosea, il 18 luglio del 2009.
Correva l’anno 2001 quando venne acquistato dalla squadra olandese per una cifra intorno ai 9 milioni di euro (in assoluto l’investimento più oneroso per un club che i campioni se li è spesso costruiti in casa), ed il giocatore si presentò nel luogo sacro di ogni squadra di calcio pronunciando quelle parole.
Buffon, Trezeguet, Del Piero, Thuram… Difficile che lo svedese potesse soltanto pensare di fare una cosa simile a Torino nel 2004 (anno del suo acquisto). Se i campioni presenti tra le fila bianconere gli avessero snocciolato le vittorie e i riconoscimenti ottenuti nelle rispettive carriere sino a quel momento…
Continua l’editoriale di Andrea Monti: “Sette anni dopo non è cambiato di una virgola anche se ora non ha più alcuna necessità di presentarsi: campione universale, di tutti e di nessuno”.
Sette anni fa, nel 2003, Ibrahimovic si apprestava ad iniziare la sua ultima stagione in Olanda.
L’attaccante sarebbe già dovuto già passare al Milan nel 2006, ha solo rimandato l’appuntamento. Con il suo arrivo, molto probabilmente, i rossoneri avranno qualche possibilità di contendere lo scudetto all’Inter sino in fondo al campionato. Vada come deve andare: tanto da Milano, a quanto sembra (ad oggi), il tricolore non si sposterà.
Comprensibile la gioia e l’emozione di chi dirige un quotidiano proprio di quella città. Sentimenti che, a volte, portano anche a commettere qualche piccolo sbaglio.
Naturalmente i lettori non hanno mancato di segnalare l’errore al direttore. La sua risposta? Vedi la foto...
Per la verità, anch’io avevo in mente la stessa circostanza. Poi sono andato a controllare nel posto sbagliato, ho corretto il testo e, con ogni probabilità, ho finito per darvi un’informazione non corretta. La maggioranza dei siti e delle fonti, infatti, propende per l’Ajax. Tuttavia, gli amanti della mitologia zlataniana sanno che esiste un’altra possibilità. In un’intervista a Max di tre anni fa, gli fu chiesto: “E’ vero che quando entri per la prima volta nello spogliatoio di una nuova squadra sei solito dire ai compagni quella frase?”. Lui rispose con una risata satanica. Dunque, potrebbe trattarsi di una leggenda metropolitana. Oppure di una battuta utilizzata anche negli spogliatoi bianconeri, interisti e blaugrana. Chissà… Nel caso l’episodio si ripetesse, pregherei i giocatori milanisti di farmelo sapere. Privatamente e, visto il carattere di Ibra, con garanzia di anonimato”.
Rimane ancora un mistero il “perché” sia stata scelta proprio la Juventus come squadra per questa citazione. Visto il numero di fonti (compreso un articolo pubblicato in precedenza dallo stesso quotidiano) che propendevano per l’Ajax. E come mai non siano stati indicati altri club tra quelli nei quali lo svedese ha militato.
Come l’Inter, per esempio.

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lunedì 25 gennaio 2010

Sì, è un complottinho!


Parole e musica di Roberto Beccantini

Riassunto dei lamenti precedenti. Non danno un rigore al Palermo? Zamparini straparla di campionato falsato e minaccia un dossier. Quando in testa era il Napoli (29 ottobre 2008), De Laurentiis plaudiva alla morte di Calciopoli; dopo Parma (29 novembre 2009), un penalty negato da Trefoloni gli ispira il ritorno di Calciopoli. Ci mancava il derby, il derby stravinto dall’Inter al di là delle espulsioni e dei rigori sbagliati o millantati. Sono furibondi, gli interisti. Mourinho, Moratti, Paolillo nell’ordine: «Vogliono riaprire il campionato in modo non leale». Proprio così: in modo non leale. Bersagli sottintesi, il picciotto con la lupara (l’arbitro Rocchi-Rocky) e, come mandante, il Milan di Berlusconi & Galliani, sette rigori a uno (l’Inter, cinque a cinque; la Juventus, uno a tre). Vergogna!

Ci mancava, soprattutto, la vergine Inter insidiata dai bruti, con Collina che, di nascosto, ne arma i pugnali. Sotto sotto, e sopra sopra, il riferimento sommo rimane sempre Calciopoli, scandalo dal quale Moratti riscosse la miseria di uno scudetto a tavolino, complice quel taccagno di Guido Rossi. Al di là delle responsabilità della Triade, e delle sanzioni che (per la Juventus, almeno) proprio morbide non furono, la storia del vento contrario fa sbellicare dalle risate. Vorrete mica negare a Moratti la gioia di un complotto dopo averla concessa a Berlusconi, a Moggi e alla più bisognosa di coccole, la Roma, vittima privilegiata e seriale di Juventus, Milan, Inter?

Nessun dubbio che a Bari Bonucci andasse espulso (così come, a Verona col Chievo, il pugno di Quaresma fosse da rigore); scritto ciò - e ribadito come Rocchi abbia azzeccato una sola decisione: il rosso a Sneijder - non si può non elogiare la genialità di José Mourinho, che dell’Inter è l’allenatore, il manager, l’addetto stampa, l’addetto agli arbitri, il presidente vicario. Quattordici milioni a stagione sono persino pochi. José, gli arbitri, non li cucina negli spogliatoi, ma in diretta tv, alla luce del sole. Non piange al telefono, piange al microfono, mentre dai Palazzi scrosciano fazzoletti e richieste di bis, puntualmente concessi.