Tra le molteplici
reazioni che gli appassionati italiani potevano mostrare nei
confronti dei calciatori azzurri rientrati con largo anticipo dal
mondiale brasiliano, l'indifferenza era l'unica difficilmente
prevedibile. Riflettendoci a mente fredda, poi, si è rivelata anche
la più efficace. A cosa sarebbe servito, in effetti, sprecare soldi
per comprare ortaggi da scagliare contro quei ragazzi nel momento
stesso in cui sarebbero scesi dalle scalette dall'aereo? Una volta,
in casi simili, si usava fare così. Ma i tempi sono cambiati, ora
risparmiare qualche soldo è un'impresa. Perché, quindi, sprecarli
in quel modo? I conti, oltretutto, Prandelli e i suoi uomini li
avevano già regolati tra loro durante la pausa della gara giocata
contro l'Uruguay.
Uno dei principali
obiettivi dell'ormai ex commissario tecnico era quello di
riavvicinare gli appassionati di calcio italiani alla propria
nazionale. A ragion veduta si può dire che ha fallito nel suo
intento. Ovviamente non tutto il lavoro svolto è da buttare via, ma
un atteggiamento troppo tenero degli addetti ai lavori - forse - non
si è rivelato utile neanche a lui. Delle tremende e feroci polemiche
che hanno accompagnato le epopee dei vari Lippi, Bearzot, Sacchi,
Zoff e via discorrendo in questi quattro anni non si è vista neanche
l'ombra. Le qualificazioni agli europei del 2012 e ai mondiali
tutt'ora in corso sono state sin troppo agevoli, ottenute contro
avversari obiettivamente deboli. Lo stesso europeo, viceversa, si era
trasformato in una bella esperienza.
I campanelli d'allarme,
però, erano suonati da tempo. Si è semplicemente fatto finta di non
ascoltarli. C'è una sostanziale differenza tra il cambiare ogni
tanto le proprie idee, sintomo di una mentalità aperta e pronta a
cogliere ogni segnale buono per migliorare, e lo stravolgere la
propria mentalità. Prandelli ha impostato per due anni un certo tipo
di lavoro, poi di fronte alle tensioni provocate dalla prima
importante manifestazione alla quale ha partecipato (l'europeo,
appunto) lo ha poi azzerato quasi totalmente per trovare una
soluzione meno rischiosa (il 3-5-2 che aveva dato garanzie, in serie
A, ai vari Conte e Mazzarri). Terminato il torneo è ripartito dal
progetto iniziale, per ripetere successivamente lo stesso errore in
Brasile.
Marcello Lippi,
massacrato dalla critiche in Sudafrica per non aver portato con sé
Balotelli e Cassano, non aveva sbagliato le scelte operate per
l'attacco. L'unico errore evidente che aveva compiuto, ammesso dallo
stesso allenatore con obiettività, è stato quello di aver lasciato
a casa Giuseppe Rossi. A distanza di quattro anni, siamo sicuri che
anche stavolta non sarebbe servito?
Non arruolare per il
torneo brasiliano neppure un centravanti abile a muoversi in area di
rigore come se si trovasse a casa sua non si è rivelata un'idea
lungimirante. Il fatto di aver piazzato Chiellini là davanti negli
ultimi minuti della partita giocata contro l'Uruguay, peraltro in
inferiorità numerica, ne è stata la prova più evidente.
Nella rosa a disposizione
di Lippi nel mondiale vinto 2006 figuravano questi attaccanti: Toni,
Del Piero, Totti, Gilardino, Inzaghi, Iaquinta. Quattro anni prima
Trapattoni aveva convocato queste punte per la spedizione azzurra in
Giappone e Corea del Sud: Vieri, Del Piero, Totti, Inzaghi, Montella,
Delvecchio. Fermiamoci qui. In buona sostanza: in Italia non ci sono
più gli attaccanti che germogliavano una volta. Detto questo,
sarebbe bello se anche gli addetti ai lavori che hanno creato il
circo mediatico intorno a Balotelli facessero un bagno d'umiltà nel
riconoscere i propri sbagli. Non si chiedono, in definitiva, le
dimissioni di nessuno: a quello hanno già pensato Prandelli e Abete.
Ma un bagno d'umiltà sì. Almeno quello.
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