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sabato 5 aprile 2014
Juventus, esigenza di rinnovo
mercoledì 19 gennaio 2011
Aquilani, Del Piero e la Juve del futuro prossimo

Il successo casalingo allo stadio "Olimpico", però, ha provocato reazioni diverse in alcuni dei protagonisti in maglia bianconera. Basta leggere le dichiarazioni dei goleador di giornata per rendersene conto.
Da una parte c’è Aquilani: "Non illudiamoci: scudetto è una parola che bisognerebbe dimenticare. Il nostro obiettivo è il quarto posto. Milan, Inter e Roma hanno qualcosa in più. E’ inutile negarlo, qui non ci sono più Zidane e Nedved". Dall’altra Del Piero: "Come non abbiamo mai parlato di scudetto, non indichiamo il quarto posto come traguardo massimo. Tutto è ancora apertissimo: tre vittorie consecutive possono cambiare le prospettive di qualsiasi squadra. La Juve ha le qualità e le capacità necessarie per fare un bel campionato".
In mezzo alle opinioni discordanti dei due compagni di squadra c’è la Juventus "no limits" di Luigi Del Neri, quella del bicchiere "mezzo pieno" per le diciotto partite successive alla sconfitta interna rimediata in campionato contro il Palermo (23 settembre 2010), salvo poi toccare con mano che la parte "vuota" non era in realtà poca cosa.
Aquilani è arrivato da qualche mese alla corte della Vecchia Signora. Romano e romanista, l’ha conosciuta come avversaria con la maglia giallorossa, "annusandola" in più di un’occasione dopo essersi ritrovato in momenti diversi al centro di una possibile trattativa di mercato tra le due società. Una di queste risale all’estate del 2008 prima del suo trasloco in Inghilterra, quando la precedente dirigenza bianconera si era messa alla ricerca di un giocatore in grado di colmare la casella vuota del regista in mezzo al campo. La rosa dei candidati era ristretta a quattro calciatori: lo stesso Aquilani, il nerazzurro Dejan Stankovic, lo spagnolo Xabi Alonso e il mediano Christian Poulsen. Come andò a finire lo sanno tutti: si decise di puntare sul biondo danese (allora in forza al Siviglia), che due anni dopo lasciò il posto proprio all’attuale centrocampista bianconero, con il quale finì per scambiare anche maglia (quella del Liverpool).
Recentemente intervistato da Fabrizio Salvio (per "Sportweek", il settimanale della "Gazzetta dello Sport"), alla domanda "La Juve vista da dentro è diversa da quella che giudicava stando alla Roma?", ha risposto: "Sono cambiati gli uomini, a partire dai dirigenti. Ho trovato solo persone a posto, pulite. E, quanto a peso politico, non godiamo di protezione arbitrale".
Del Piero è cresciuto, come molti tifosi juventini suoi coetanei, con il poster di Michel Platini in cameretta. Ha sognato da bambino di ripeterne le gesta, sino a quando ne ha preso la maglietta numero "10" e ha iniziato a scrivere lui stesso una fetta importante di storia bianconera (più di 17 anni non sono uno scherzo…). E’ arrivato in una Juventus che stava uscendo dal letargo degli anni successivi all’addio al calcio del fuoriclasse francese per trovarsi catapultato in serie B dopo aver fatto parte di una squadra stratosferica. Adesso si ritrova in una formazione decisamente più debole, che lui stesso ha aiutato in tante occasioni ad uscire fuori da situazioni difficili. Legge gli andamenti degli ultimi campionati di serie A e si rende perfettamente conto che tre successi consecutivi non ti garantiscono uno scudetto, ma ti cambiano decisamente le prospettive. Basta vedere come si è delineata la classifica dopo aver battuto il Bari arrivando da due disfatte (contro il Parma e il Napoli). Certo, il problema è vincerle, tre di fila. Cosa che quest’anno, anche nel momento in cui Madama era in ottime condizioni, non è mai capitato. La prossima (delicata) sfida contro la Sampdoria potrà dare un’immediata risposta alle speranze di Del Piero e ai dubbi di Aquilani.
Domenica si ripartirà da Genova, laddove Del Neri il quarto posto riuscì a centrarlo la scorsa stagione alla guida dei blucerchiati. La sua Juventus, ora, ha conquistato un punto in più di quanti ne aveva totalizzato quella allenata da Ciro Ferrara. Certo, si tratta soltanto di una magra consolazione: gli obiettivi (e gli obblighi) sono altri.
Mentre la società si è messa alla ricerca di una punta a prezzo di saldo (necessità diventata impellente dopo l’infortunio occorso a Quagliarella), nel frattempo la sua formazione si riprende il (platonico) titolo di attacco più prolifico della serie A, in coabitazione con il Milan.
Su questo punto, invece, è nato un caso curioso: da tre giorni a questa parte (a partire da lunedì 17 gennaio) la versione cartacea della "Gazzetta dello Sport" indica come 34 le reti realizzate dai rossoneri in questo campionato, a differenza delle 35 presenti nel sito dello stesso quotidiano (tante quante quelle della Juventus).
Semplice distrazione o permangono ancora dei dubbi sulla convalida del goal in fuorigioco del milanista Strasser nella gara di Cagliari nel giorno dell’Epifania?
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mercoledì 22 dicembre 2010
Marotta, i numeri dell'estate e l'evoluzione Juve

Bastava poco perché si ritrovasse a soli tre punti di distanza dai rossoneri, ma sul più bello sono comparsi nuovamente i sintomi di quella malattia che la Vecchia Signora dovrà curare in questa pausa natalizia: la "pareggite". Sei incontri su sei terminati senza vittorie né sconfitte nella manifestazione europea, quella che Madama ha salutato con largo anticipo rispetto alle previsioni iniziali; sette, invece, sono stati i pareggi nella competizione nazionale (poco più del 40% delle partite disputate). Eppure, senza il goal di Pellissier realizzato nei minuti di recupero dell’ultima gara giocata a Verona, questi numeri avrebbero assunto un’altra rilevanza.
Soprattutto alla luce del punto di partenza della nuova Juventus targata Andrea Agnelli: come riportava "Tuttosport" lo scorso 2 settembre, la società bianconera si era resa protagonista di una sessione estiva di calciomercato condotta su ritmi pazzeschi, con un totale di 90 operazioni ufficiali compiute (tra entrate, uscite e risoluzioni contrattuali) che hanno coinvolto i suoi tesserati a partire dalle formazioni giovanili sino ad arrivare alla prima squadra, con una media di oltre una trattativa al giorno. Giuseppe Marotta, il 20 maggio, dichiarò: "Alla Juventus serve un processo evolutivo, non una rivoluzione". Numeri alla mano, si trattò di un qualcosa di più di una semplice "evoluzione".
Era stato deciso di gettare le fondamenta di un progetto sportivo ad ampio raggio, che difficilmente avrebbe portato nell’immediato risultati importanti, ma che puntava a non ripetere lo stesso errore compiuto dalla precedente gestione: quello di dover ripartire da zero, senza certezze e dopo aver spremuto le residue energie dai calciatori rimasti nonostante il terremoto del 2006. A chi storceva il naso sull’operato della nuova dirigenza, con il ritornello "quantità ma non qualità", la risposta veniva racchiusa in un’unica parola: "pazienza".
Quella che non esiste, quando ti chiami "Juventus". A maggior ragione se anche il suo stesso Presidente, recentemente, alla voce "Calciopoli" ha poi riconosciuto che "In questi anni abbiamo abusato della pazienza dei nostri tifosi".
Marotta, intervistato dalla "Gazzetta dello Sport" due giorni addietro, ha tenuto a precisare come "E' necessario arrivare (ai livelli di eccellenza sportiva, ndr.) senza saltare nessuna tappa a livello economico e organizzativo. Nei grandi progetti, quelli che durano, quelli vincenti, non si improvvisa niente, non si può improvvisare niente".
Sempre il 2 settembre scorso, la foto di Mourinho ricopriva la quasi totalità dello spazio disponibile nella prima pagina della rosea: aveva rilasciato un’intervista esclusiva al taccuino di Fabio Licari, nella quale ammetteva di sentire Moratti ogni settimana, anche se - da professionista - riteneva di aver chiuso un capitolo della sua vita ("Quando chiudo, chiudo"). Accanto all’immagine, con il rimando ad un articolo scritto da Matteo Dalla Vite, si poteva leggere: "Benitez deluso dal mercato. Però a gennaio qualcuno arriverà". E qualcuno se ne andrà…
La Juventus? E chi se la filava… C’era spazio solo per uno sfogo di Diego, il brasiliano ceduto ai tedeschi del Wolfsburg: "Del Neri mi aveva detto che ero indispensabile, ma Marotta vuole solo italiani e non campioni".
Per il resto, si scommetteva sulle tre sfidanti per lo scudetto: Milan, Inter e Roma.
Nell’edizione odierna della "Gazzetta dello Sport", accanto al saluto ad Enzo Bearzot (ciao, Vecio), ecco le foto di due allenatori che potrebbero rappresentare il futuro dell’Inter: Leonardo e… Mourinho.
Il tecnico portoghese, in rotta di collisione con Jorge Valdano, dopo le cinque reti subite dal Barcellona e preso atto dello strapotere degli avversari diretti in Spagna (anche se la distanza in classifica è di soli due punti), lancia un messaggio a Moratti: "All’Inter tornerei, ma spero non abbia bisogno di me…". L’intervista, anche questa volta, è stata curata da Fabio Licari. Viene proposta a "puntate", quasi a voler accompagnare un suo rientro in Italia la prossima estate.
In questa sessione invernale di calciomercato i nerazzurri (quasi certamente) si rinforzeranno, Cassano è ormai del Milan che cerca di liberarsi di Ronaldinho, la Roma prova ad acquistare difensori mentre il Napoli migliorerà la rosa a disposizione di Mazzarri pregustando un finale di stagione nelle primissime posizioni in classifica.
La Juventus? Continua nella sua opera di "evoluzione", alla ricerca di un goleador in grado di aiutare la squadra a trasformare i pareggi in vittorie. Perché puoi avere anche il miglior attacco della serie A e non perdere da una vita, ma soltanto accumulando tre punti a domenica ti metti nelle condizioni di puntare a vincere qualcosa di importante.
Nell’attesa, c’è anche la possibilità di "distrarsi" con i colloqui di Stefano Palazzi: dopo "Farsopoli" è iniziata "Calciopoli".
Vedremo.
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mercoledì 1 settembre 2010
La "Gazzetta Sportiva" e quella frase di Ibrahimovic

Riappare a Milano, dove è stato di casa per tre stagioni nella parte nerazzurra della città, ospite di quella squadra della quale era stato “tifoso sin da piccolo”.
Ritorna in serie A dopo averla lasciata da padrone incontrastato: cinque scudetti in cinque anni, due con la Juventus e tre con l’Inter.
Da Torino a Milano, un cambio di maglia che ha finito col rappresentare il passaggio di consegne tra chi dominava e chi ha “preso in mano” le redini del calcio italiano: bianconerazzurro, un colpo al cuore per chi ha visto distruggere la propria squadra e ha dovuto subire l’onta del suo trasferimento agli storici avversari.
Pronti a divorare una tavola piena di scudetti, senza che nessuno (o quasi) potesse opporre resistenza.
Nell’attesa che le principali rivali si riprendessero dal terremoto iniziato nel maggio del 2006.
Fisico da gigante, piedi da ballerino del pallone: con le sue scarpe numero 47 ha alternato i dribbling a movenze da taekwondo. Cresciuto in un sobborgo di Malmö, è rimasto - negli anni - fedele soltanto a se stesso. Non esistono maglie che gli si attacchino così tanto al corpo da entrargli nel cuore: è stato così anche a Barcellona, dove pure aveva esordito – alla sua presentazione - con un bacio sulla casacca blaugrana.
Luciano Moggi lo portò a Torino, consegnandolo nelle mani di un Fabio Capello che sapeva già di poter disporre di un cavallo di razza.
All’Inter, in suo onore, si creò lo schema “palla a Ibra e pedalare”. Quando si capì che fuori dall’Italia non avrebbe portato vittorie, stufi dei suoi continui mal di pancia si decisero a scambiarlo con Eto’o, con l’aggiunta di un conguaglio (a loro favore) così cospicuo da poter permettere il rinforzo della squadra in ogni reparto.
Il resto, è storia recente.
“Bentornato al ragazzo che - leggenda vuole - si presentò negli spogliatoi della Juve squadrando i senatori bianconeri con occhi torvi: “Io sono Zlatan. Voi chi cazzo siete?”
Queste sono alcune tra le righe scritte da Andrea Monti, direttore della “Gazzetta dello Sport”, nell’editoriale pubblicato nella prima pagina del numero domenicale (la ”Sportiva”) del 29 agosto, dal titolo “Il Mago e il Cavaliere”.
Un personale “bentornato” in Italia al giocatore.
Svedese che - come vuole la leggenda - pronunciò veramente quelle frasi. Ma all’interno di un altro spogliatoio: quello dell’Ajax. Lo scrisse anche Sebastiano Vernazza, proprio sulle pagine della rosea, il 18 luglio del 2009.
Correva l’anno 2001 quando venne acquistato dalla squadra olandese per una cifra intorno ai 9 milioni di euro (in assoluto l’investimento più oneroso per un club che i campioni se li è spesso costruiti in casa), ed il giocatore si presentò nel luogo sacro di ogni squadra di calcio pronunciando quelle parole.
Buffon, Trezeguet, Del Piero, Thuram… Difficile che lo svedese potesse soltanto pensare di fare una cosa simile a Torino nel 2004 (anno del suo acquisto). Se i campioni presenti tra le fila bianconere gli avessero snocciolato le vittorie e i riconoscimenti ottenuti nelle rispettive carriere sino a quel momento…
Continua l’editoriale di Andrea Monti: “Sette anni dopo non è cambiato di una virgola anche se ora non ha più alcuna necessità di presentarsi: campione universale, di tutti e di nessuno”.
Sette anni fa, nel 2003, Ibrahimovic si apprestava ad iniziare la sua ultima stagione in Olanda.
L’attaccante sarebbe già dovuto già passare al Milan nel 2006, ha solo rimandato l’appuntamento. Con il suo arrivo, molto probabilmente, i rossoneri avranno qualche possibilità di contendere lo scudetto all’Inter sino in fondo al campionato. Vada come deve andare: tanto da Milano, a quanto sembra (ad oggi), il tricolore non si sposterà.
Comprensibile la gioia e l’emozione di chi dirige un quotidiano proprio di quella città. Sentimenti che, a volte, portano anche a commettere qualche piccolo sbaglio.
Naturalmente i lettori non hanno mancato di segnalare l’errore al direttore. La sua risposta? Vedi la foto...
“Per la verità, anch’io avevo in mente la stessa circostanza. Poi sono andato a controllare nel posto sbagliato, ho corretto il testo e, con ogni probabilità, ho finito per darvi un’informazione non corretta. La maggioranza dei siti e delle fonti, infatti, propende per l’Ajax. Tuttavia, gli amanti della mitologia zlataniana sanno che esiste un’altra possibilità. In un’intervista a Max di tre anni fa, gli fu chiesto: “E’ vero che quando entri per la prima volta nello spogliatoio di una nuova squadra sei solito dire ai compagni quella frase?”. Lui rispose con una risata satanica. Dunque, potrebbe trattarsi di una leggenda metropolitana. Oppure di una battuta utilizzata anche negli spogliatoi bianconeri, interisti e blaugrana. Chissà… Nel caso l’episodio si ripetesse, pregherei i giocatori milanisti di farmelo sapere. Privatamente e, visto il carattere di Ibra, con garanzia di anonimato”.
Rimane ancora un mistero il “perché” sia stata scelta proprio la Juventus come squadra per questa citazione. Visto il numero di fonti (compreso un articolo pubblicato in precedenza dallo stesso quotidiano) che propendevano per l’Ajax. E come mai non siano stati indicati altri club tra quelli nei quali lo svedese ha militato.
Come l’Inter, per esempio.
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domenica 22 agosto 2010
Milan-Juventus e quell'8 maggio di "gloria"...

Ed è arrivato anche il momento del trofeo "Luigi Berlusconi", il torneo dedicato alla memoria del padre del proprietario del Milan.
Come tradizione i rossoneri sfideranno la nuova Juventus di Andrea Agnelli, Marotta, Paratici e Del Neri: un’abitudine consolidata, ormai, quella delle due squadre di affrontarsi in questa amichevole estiva (si giocò a gennaio del 2007, nel giorno dell’Epifania, solo nell’edizione - posticipata - del 2006).
Che di "amichevole", poi, porta solo il nome.
Il motivo? Fascino, importanza delle società, e non solo: dopo il primo incontro del 1991 (vinsero i bianconeri con una doppietta di Casiraghi), il Milan provò - per i tre anni successivi - a giocarselo con Inter, Real Madrid e Bayern Monaco, per poi decidere di farla diventare una cosa ristretta a due.
Con quale criterio? Quello della partecipazione del pubblico, unita - poi - a rapporti societari sempre più fluidi tra le rispettive dirigenze. Il derby estivo del 1992 portò a San Siro poco più di 40.000 spettatori; con gli spagnoli e i tedeschi lo stadio risultò semivuoto. E con la Vecchia Signora? Si è sempre oscillati tra le cinquanta e le settantamila unità. Con qualche calo nelle edizioni dal 2003 al 2005 ed in quella del 2007, per poi mantenere picchi di affluenza in tutte le altre.
Erano anni di gloria, quelli, per entrambe le società. Dal 18 agosto 1995 e nelle manifestazioni immediatamente successive si diceva che vincerlo portasse "sfortuna": conquistato quello, si poteva dire addio allo scudetto del campionato di serie A ancora da disputare.
Non era propriamente corretto definirla così, analizzando bene i fatti.
Per entrambe, a volte, voleva dire vincere una Champions League: per i rossoneri nel 2002 e nel 2006 (successi - poi - a Manchester e Atene), per bianconeri nel 1995 (vittoria a Roma contro l’Ajax).
Se questa è sfortuna…
E oggi?
Il Milan ha deciso di affidare la panchina ad Allegri, chiedendogli di cambiare le carte in tavola e di ridare competitività e vivacità ad un gruppo che - ad oggi - è rimasto pressoché identico al passato. Non solo recente. Con un anno di più sulle gambe e nelle carte d’identità. Solo un eventuale arrivo di Ibrahimovic potrebbe veramente far compiere un salto di qualità notevole a questa squadra.
Quello che servirebbe ora alla Vecchia Signora per continuare il processo di crescita nella costruzione della squadra: dopo i sei acquisti della nuova gestione già belli pronti per i primi giorni del mese di luglio, una sosta di più di un mese iniziava a far temere per il peggio. Dall’apparente "immobilismo" ad un "attivismo" (reso possibile dalle nuove cessioni) datato 19 e 20 agosto: ecco la "doppietta" Krasic e Aquilani.
Inseriti nell’intelaiatura preparata precedentemente da Marotta, i due giocatori finiscono col completare il reparto di centrocampo (a meno di sorprese legate ai nomi di Sissoko e Felipe Melo). Ancora dei tasselli da sistemare in difesa (un centrale ed un terzino sinistro) e poi una serie di punti interrogativi nel reparto offensivo, che portano i nomi di Iaquinta, Trezeguet e Diego. Per diversi motivi e per situazioni non comparabili tra loro.
Diego, con Amauri al momento titolare "di fatto" lì davanti, ancora non riesce ad incidere come dovrebbe (e potrebbe): movimenti nuovi da acquisire, errori del recente passato da evitare, un po’ di fiducia da ritrovare.
Rimane il fatto che quando Del Piero entra in campo negli ultimi venti minuti degli incontri, la differenza c’è. E si vede. O, per meglio dire, si "sente".
Al brasiliano resta il compito di accelerare questo processo di evoluzione personale da trequartista a seconda punta, anche perché la concorrenza, in quella zona del campo, potrebbe presto aumentare con l’arrivo di un altro "colpo" di mercato.
Ammesso che questo, poi, non venga finanziato proprio con la sua cessione.
"Come l’8 maggio 2005, a San Siro, sfida scudetto con il Milan, rovesciata di Ale, testa di David: 1-0 e tricolore alla Juve. Stasera è solo un’amichevole, ma non fa male chiudere gli occhi e ripensare a quel giorno di gloria"
Ha ragione da vendere, Giovanni Battista Olivero, giornalista della "Gazzetta dello Sport", che - nell’edizione odierna (la "Sportiva") - nel presentare il trofeo che verrà disputato stasera parla di quell’8 maggio come una giornata di gloria.
Una domenica che consegnò - di fatto - il "niente" più totale alla Juventus. Oppure un asterisco: ognuno scelga la versione che preferisce.
Sì, perché "quello" era il 28° tricolore, cancellato dagli archivi ma rimasto sui campi di gioco e nelle aule dei tribunali, dove è in attesa di conoscere il suo destino. Ammesso che ne abbia uno diverso dall’attuale.
Fa piacere sapere - adesso - che il giornale rosa lo ricorda come un momento di "gloria".
Visto che poi, dopo, ne arrivò un altro: il 29°.
Perché il numero è quello, sempre. Non soltanto nella giornata in cui si gioca il trofeo "Luigi Berlusconi".
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martedì 22 giugno 2010
"Piaccia o non piaccia"... Ruggiero Palombo!!! Finalmente...

La panacea di tutti i mali arbitrali? Collina. Quel Collina che quell'anno, il 2004-05, non visse certo uno dei suoi campionati migliori, come abbiamo sentito proprio in una telefonata tra l'arbitro di Viareggio e la Fazi, o in qualche telefonata con Bergamo. Però tutti volevano Collina. Lo voleva Facchetti che abbiamo sentito prima dire a Mazzei: "Ma lì non devono fare sorteggi", per poi suggerire un escamotage basato sui "preclusi" in modo da ottenere Collina per Inter-Juve. Dalle parole di Facchetti si ricava l'impressione che sulla sponda nerazzurra fossero convinti che erano possibili dei magheggi con i sorteggi, e Mazzei fatica a convincere Facchetti che quello che chiede non è fattibile.
Cose più o meno simili doveva pensare Ruggiero Palombo, vicedirettore della Gazzetta dello Sport e grande accusatore del sistema Moggi e dei suoi presunti sorteggi truccati. Grazie alle intercettazioni "sfuggite" ora scopriamo che anche lui, come Facchetti, voleva Collina e, in una telefonata del 7 marzo 2005, rimprovera a Bergamo di non averlo inserito nella griglia di Roma-Juventus. Le spiegazioni logiche di Bergamo sono accolte con scetticismo da Palombo che dice: "Ma perché, non hai mai avuto tre arbitri con l'incompatibilità su una cosa che quello può arbitrare solo il sabato? Dai su...", portando Bergamo a rispondere: "No, no, no, noi non abbiamo mai fatto tre partite... scusami, ma perché ci volete far fare degli imbrogli? Io non posso fare una griglia con Collina che va ad arbitrare il sabato automaticamente perché ho due partite sole".
Mentre Pesciaroli, del Corriere dello Sport, aveva capito bene il sistema di composizione delle griglie, avendolo studiato e avendone compreso la base statistica, a Milano il metodo con cui venivano composte le griglie non era ben chiaro a tutti, oppure vi era un radicato pregiudizio verso i designatori e gli arbitri che non si chiamassero Collina.
Ci occupiamo di questa telefonata non perché abbia rilevanza nel processo di Napoli, ma perché la Gazzetta, per ammissione di Auricchio, è stata ampiamente utilizzata come riscontro e formazione delle prove ed è interessante, quindi, valutarne l'equidistanza, la competenza e conoscenza delle regole, come in questo caso sulle griglie, che nel processo prima avevano un ruolo solo per la famosa griglia Bergamo-Moggi ed ora si sono arricchite di altre grigliate fatte da tutti, da Facchetti in giù. La Gazzetta è quasi un testimone dell'accusa nel processo di Napoli, un testimone anomalo, ma presente sin dai riferimenti contenuti nelle informative degli investigatori.
La telefonata tra Bergamo e Ruggiero Palombo è interessante ascoltarla dopo aver letto cosa è riportato nell'informativa dell'aprile 2005, da pagina 310 in poi. Nella telefonata/lite, con parole di fuoco, avvenuta il 6 marzo tra Carraro e Bergamo, la Gazzetta è citata da Bergamo quando rimprovera Carraro di averli delegittimati e preparato già la sostituzione con Collina "perché l’ha scritto la Gazzetta, perché Lei ha incontrato Collina". Inoltre Bergamo dice a Carraro che lui con Racalbuto ci aveva parlato, dopo una prima telefonata con Carraro, ma Racalbuto "è arrivato in campo in condizioni proibitive... perché l’hanno delegittimato già dal giorno avanti!". Il 5 marzo, per esempio, Galdi sulla Gazzetta aveva scritto l'articolo "Fischia il portafortuna della Juve", nel quale si analizzava lo score dell'arbitro con la Juve e con la Roma (più o meno simili), ma si ricordava anche il precedente di Racalbuto fermato un turno dopo Cagliari-Juventus 1-1 nel quale l'arbitro era stato accusato dai cagliaritani «Ai giocatori della Juve consentiva di dire qualunque cosa, mentre noi venivamo respinti a male parole». Nell'articolo di Galdi è anche gettato lì, senza spiegazioni, un "sorteggio che si è avvalso delle «palline» della serie C perché le altre erano da tempo già state inviate a Firenze".
Nella telefonata in questione Palombo non dà del Lei a Bergamo, come farà un anno dopo nella puntata di Matrix su Calciopoli, mentre ritroviamo il solito Bergamo ascoltato in tutte le telefonate pubblicate. Pur davanti ad un interlocutore polemico e saccente, Bergamo è paziente e diplomatico, non perde la calma, fornisce tutte le spiegazioni, non viene creduto, e allora rispiega perché Collina in quella griglia non lo poteva inserire. Bergamo fa presente al suo interlocutore, che gli rimprovera di non aver fatto in modo che ci fosse Collina e non Racalbuto, che, se hanno voluto quelle regole per la composizione delle griglie e per il sorteggio (che non hanno voluto i designatori), loro devono rispettarle sempre "Non posso io a tre metterne due perché è un imbroglio. Se no le regole cosa facciamo, le aggiriamo proprio noi che siamo designatori? E come facciamo?".
E' una telefonata importante. Sancisce la fine della rubrica che Bergamo e Pairetto avevano deciso di tenere sulla Gazzetta per commentare gli episodi della giornata. Palombo esordisce comunicando a Bergamo che hanno deciso di non far loro scrivere più nulla, per evitar loro la gogna. Poi nel corso della telefonata continua a pontificare che il sorteggio non si deve fare, che il doppio designatore è morto, chiarisce di aver parlato con Carraro, che la linea sino a fine stagione è di dare fiducia ai designatori, ma che poi a fine stagione si cambia registro. Un Palombo a tutto campo, che sembra non conoscere benissimo i criteri di composizione delle griglie, ma che vuole ugualmente insegnare il mestiere a Bergamo. Un Palombo che stride un po' rispetto a quello del "Palazzo di vetro", o dell'editoriale "Pallina al centro" dopo la deposizione di Manfredi Martino.
Anche Galdi, sulla Gazzetta, insiste sui concetti espressi da Palombo a Bergamo, scrivendo, il 7 marzo: "Certo è facile trincerarsi dietro il fatto che il fischietto di Viareggio era «impegnato», in realtà l'Uefa «consiglia» di non utilizzare un direttore di gara impegnato in Champions, ma non lo vieta, tanto che il tedesco Herbert Fandel - chiamato a dirigere domani sera a San Siro Milan-Manchester United - sabato ha diretto Hamburger SV-Bayer 04 Leverkusen di Bundesliga e lo stesso Pisacreta - che era a Roma - sarà assistente di Collina".
Poi ribadisce l'8 marzo: "Resta, però, sempre il quesito: perché non c'era Collina nell'urna? Domenica Pairetto ha affidato alle agenzie il suo pensiero. Bergamo è sulla stessa lunghezza d'onda: per la «raccomandazione» dell'Uefa a non impegnare arbitri designati in Champions nelle due giornate precedenti alla partita europea. Un consiglio che i designatori prendono per legge, ma che spesso è disattesa: lo stesso Collina lo scorso anno - domenica 4 aprile 2004 - ha diretto Inter-Juventus per la 28a giornata di campionato e il martedì successivo (6 aprile) ha diretto Monaco-Real Madrid di Champions League. C'è poi Pisacreta chiamato a far da assistente proprio a Collina dopo Roma-Juventus di sabato. [...] Quello dell'Uefa è un consiglio che la Federazione tedesca, quella che ospiterà i prossimi Mondiali, disattende con una certa puntualità. Ultimi, in ordine di tempo, Merk e Fandel, che sabato hanno diretto Bayern Monaco-Werder Brema e Amburgo-Bayer Leverkusen e ora arbitreranno rispettivamente Juve-Real e Milan-Manchester United".
Vengono citati casi di arbitri stranieri che hanno diretto il sabato, mentre Collina avrebbe potuto essere estratto per la partita della domenica, se inserito nella griglia. Viene citato Pisacreta, ma gli assistenti non venivano estratti bensì designati e, quindi, era possibile designarli per il sabato. Viene ricordato il precedente di Collina del 2004, ma è la dimostrazione che, se inserito nella griglia, poteva accadere, come l'anno prima, che non venisse estratto per una partita del sabato ma per quella della domenica, contravvenendo alla "raccomandazione" dell'Uefa.
In quel Roma-Juventus si verificarono diversi episodi ma, come al solito vennero evidenziati solo quelli a favore della Juve. Riviviamoli: il primo gol della Juve è irregolare, Cannavaro segna di testa ma è in fuorigioco (lo rileva solo la moviola, la dinamica dell'azione non lo evidenzia e nessuno della Roma protesta); "L'errore è soprattutto del guardalinee Pisacreta", scrive Olivero Giovanni Battista sulla Gazzetta. "Al 25' Racalbuto non vede due falli da rigore nella stessa azione: nell'area giallorossa Dellas abbraccia Ibrahimovic e De Rossi cintura Cannavaro. Al 30' Dacourt duro su Blasi: rischia il rosso e se la cava col giallo", lo scrive la Gazzetta, che aggiunge "Al 41' episodio-chiave: Ibrahimovic riceve palla in fuorigioco (Pisacreta non se ne accorge), passa a Zalayeta che subisce il netto fallo di Dellas. Racalbuto fischia il rigore tra le proteste della Roma. In discussione non è il fallo, ma la posizione di Zalayeta: l'impressione è che il contatto avvenga qualche centimetro fuori area. [...] Nella ripresa al 20' sbaglia l'altro guardalinee Ivaldi: assist di Camoranesi e facile gol di Ibrahimovic che è in linea con il pallone e quindi in posizione regolare". Errore sul primo gol della Juve, "impressione" sul rigore, ma anche errori a favore della Roma, come un rigore non fischiato contro e le mancate espulsioni di Cufrè, per un pugno sul viso di Del Piero a gioco fermo, e di Dacourt. Errori attribuiti agli assistenti, i migliori, ma sulla graticola ci finiscono soprattutto Racalbuto, che paga con otto turni di stop, e i designatori.
Queste considerazioni, pure scritte dalla Gazzetta, sull'informativa non ci sono. C'è, invece: "Il favoritismo degli arbitri nei confronti della Juventus è notorio nell’ambiente e soprattutto, fatto questo ancora più grave, è risaputo anche dal presidente federale Carraro", ed ancora Carraro che dice: "Le dico mi raccomando..se c’è un dubbio per carità che che che che il dubbio non sia a co... a favore della Juventus dopo di che succede... gli dà quel rigore lì!?". Ancora una volta Carraro che chiede, nel dubbio, di pendere dalla parte dell'avversaria della Juve. Carraro che vede solo quel rigore e non gli errori a favore della Roma.
Il giorno dopo la telefonata tra Palombo e Bergamo, Maurizio Galdi scrive sulla Gazzetta che i designatori sono stati convocati dalla FIGC: "Collina è la persona invocata da tutti come deus ex machina per risolvere i problemi di una categoria... [...] I designatori, che fin qui lo hanno impiegato 19 volte, riservandogli un solo big match del campionato (Juventus-Roma dell'andata), non avrebbero potuto puntare su di lui per disinnescare Roma-Juventus, la partita che da luglio 2004 si sapeva per i noti motivi essere la più a rischio del campionato: Collina aveva diretto Juventus-Siena la settimana precedente e dunque non poteva arbitrare la Juve (questa bislacca regola effettivamente esiste) due volte di seguito. «In quella griglia doveva starci e fu sorteggiato perché era la stessa griglia del derby Inter-Milan» confessa candidamente Pairetto. Senza aggiungere, ma lo facciamo noi al suo posto, che si trattò, quella sì, di una vera sciocchezza".
E noi chiediamo: perché mai, visto che tutti volevano Collina, fu una sciocchezza inserirlo in una griglia nella quale c'era il derby di Milano?
A proposito della rubrica che Bergamo e Pairetto tenevano sulla Gazzetta dello Sport, per chi non lo sapesse veniva concordata con l'allora capo ufficio stampa della FIGC, Antonello Valentini, il quale sentiva Bergamo, con cui decideva gli argomenti, e infine preparava i pezzi. E anche lui amava discutere di griglie e designazioni. Qui di seguito lo potete ascoltare mentre catechizza Bergamo sulla necessità di designare Collina per Juve-Milan. Insomma come per la Nazionale siamo tutti commissari tecnici, così dietro le quinte del calcio erano tutti designatori e pretendevano di suggerire la loro ricetta.
13 dicembre 2004 - Telefonata tra Valentini e Bergamo: ascolta direttamente dal sito "ju29ro.com"
Questa che vi proponiamo in audio è la famosa telefonata tra Carraro e Bergamo del 6 marzo 2005, non inedita e inclusa nell'informativa dell'aprile 2005: ascolta direttamente dal sito "ju29ro.com"
Dunque, per la seconda volta quell'anno, almeno per quel che siamo riusciti a sapere dalle intercettazioni, troviamo il Presidente Federale intento a discutere col designatore dell'arbitro di una partita della Juve. La prima volta era capitato il 26 novembre 2004, ricordate? Prima di Inter - Juve, il 26 novembre 2004, quando Carraro si raccomandò affinché nel dubbio Rodomonti non fischiasse per la Juve, proprio mentre nelle stesse ore Facchetti faceva pressione su Mazzei e Bergamo perché voleva Collina. E quella partita, ricordiamo, finì 2-2, con l'Inter che riuscì a raggiungere il pareggio in extremis, e con Pairetto e Rosetti che in seguito giudicarono quell'arbitraggio filo-Inter.
Questa telefonata è simile a quella pre Inter-Juve, l'unica differenza è nel fatto che stavolta, invece che prima, arriva dopo la partita. Ma il succo è lo stesso: Carraro ricorda a Bergamo che quando la Juve incontra la Roma, così come era capitato per l'Inter, e Collina non viene designato, il designatore deve istruire l'arbitro a fischiare nel dubbio contro la Juve.
Alla faccia della cupola moggiana.
sabato 5 giugno 2010
Ciro Ferrara, gli "asini" e lo spirito Juve

A leggere l’intervista rilasciata da Ciro Ferrara al taccuino di Paolo Condò ("La Gazzetta dello sport") e comparsa sulle pagine del quotidiano sportivo mercoledì 2 giugno, la Juventus dello scorso anno ha fallito (anche) per colpa di alcuni "asini".
Così ha definito chi - all’interno della rosa - dopo il suo addio si è lamentato di lui, della sua inesperienza, del modo di allenare la squadra e della mancanza di una vera disciplina tattica.
Non che le cose, con l’arrivo del traghettatore Zaccheroni, siano poi cambiate in meglio: partenza stentata, qualche risultato (in Italia e in Europa) confortante, poi la barca è affondata. Così come stava accadendo al momento della sostituzione tra i due tecnici. Né il (temporaneo) ritorno di Bettega, nè - tantomeno - il tentativo dell’allora gruppo dirigenziale di mettere la squadra di fronte alle proprie responsabilità, servirono a migliorare le cose.
Di quella Juventus, oggi, almeno nei piani alti della società è rimasto ben poco. Segno che le colpe non erano - e non potevano essere - solo ed esclusivamente di Ferrara. La stessa musica ascoltata mesi prima quando, al posto dell’ex giocatore bianconero, si trovava Claudio Ranieri.
Come Trapattoni iniziò la sua (trionfale) carriera da allenatore con un Boniperti alle spalle, e Lippi la sua cavalcata bianconera con la Triade a supporto, Gigi Del Neri proverà a ridare un’anima a quella squadra che ha spaventato i tifosi non tanto per i disastrosi risultati ottenuti in questa stagione, quanto per la mancanza assoluta di carattere, di grinta, di combattività: alcuni dei segni distintivi di un DNA ormai incollato a quelle maglie. Si poteva cedere il passo agli avversari, in passato, ma non senza che soffrissero le pene dell’inferno contro chi gettava sempre il cuore oltre l’ostacolo.
Quello che manca alla Juventus di oggi, e che dovrà rappresentare il primo vero e proprio acquisto della nuova gestione, è lo spirito battagliero che ne ha contraddistinto la sua storia: si gioca per vincere, per essere competitivi sino in fondo. Il resto, non conta.
Simone Pepe passerà alla storia come il primo uomo scelto per vestire la casacca bianconera della nuova era-Agnelli. Il suo arrivo non entusiasma i tifosi: sarebbe stato bello (e romantico) iniziare subito con un "botto" di mercato. Dzeko? Ribery? O il meno quotato (ma pur sempre bravissimo) Krasic? Non importa, sai che effetto…
E se un "top player" arrivasse, tra qualche giorno, come terzo o quarto acquisto, cosa cambierebbe?
Il nome di Pepe non stuzzica un popolo deluso, a cui - in passato - è stata chiesta pazienza da chi non ha saputo gestire il tempo (e i soldi) a disposizione per ricostruire una società devastata da (falsi) scandali e dalla retrocessione in serie B. I danni da loro stessi creati, poi, sono risultati ancora maggiori.
Chi è arrivato ora deve partire da "un Pepe" per ricostruire quanto distrutto da altri. Senza giocatori di classe, non si va da nessuna parte; viceversa, senza i Di Livio, i Torricelli e i Pessotto, quella Champions League del 1996 (e altre vittorie precedenti e successive) sarebbero in bella mostra in altre bacheche.
Ogni giocatore ha un suo ruolo preciso, all’interno di un gruppo. Senza quello, regna la confusione. Se la regia, dall’alto, è buona, i risultati - sul campo - si vedranno. Né ottimismo, né pessimismo: realismo. Il problema è che il campionato di serie A (con le rose ultimate) riprenderà tra troppo tempo: c’è il mondiale di mezzo, con i preliminari di Europa League. Tanto, per un popolo che non ha più voglia di aspettare.
Bruciato dalle ultime esperienze dopo essere rimasto scottato a ripetizione, vittima di una caduta rovinosa dall’alto dell’entusiasmo della scorsa estate sino al tracollo dei risultati dell’anno calcistico appena concluso, ora lo sterminato popolo bianconero ha sete di fame, vittorie e rivincite.
Non pazienza: quella, ormai, l’ha persa. E’ inutile chiederla.
Ma "deve" averla.
Il Ferrara che ha perso la prima grande occasione della sua nuova vita calcistica si è preso le responsabilità del fallimento dei suoi mesi da allenatore. Ha rivendicato, inoltre, la paternità dell’acquisto di Fabio Grosso, la difficoltà nell’allenare chi era stato suo compagno di squadra e nel tenere fuori Del Piero, ha difeso Diego, evidenziato la supponenza con la quale si allenava Melo e dichiarato al mondo intero quello che tutti sapevano: la mancanza, nello staff dirigenziale, di un uomo di campo che potesse tenere testa a quei giocatori incapaci di reagire di fronte alla difficoltà.
Altro? Sì. Ha smesso di diventare esigente con suoi uomini dopo i primi risultati positivi. Ha finito col "mollare la presa", senza essere più riuscito a recuperarla. Questo è stato il suo più grande errore.
Di allenatori come Capello e Trapattoni (giusto per rimanere in casa Juventus) tra vittorie, sconfitte, imprese e delusioni spalmate in tanti anni di calcio, ancora si devono avere notizie di un loro calo di tensione. Meno che mai dopo solo quattro vittorie, in poco più di un mese.
Così fanno i vincenti.
Come il Ferrara calciatore, quando indossava la maglia bianconera.
Quello era lo "spirito Juve".
Articolo pubblicato su

Dedico questo articolo alla memoria di Valerio Fregoni, Direttore e fondatore del sito Juvenews.net (del quale sono stato redattore), mancato prematuramente lo scorso 21 novembre 2009.
Devo moltissimo, a lui. Non lo dimenticherò mai.
A proposito di "spirito Juve", e di gente che in campo dava l'anima: Romeo Benetti...

giovedì 15 aprile 2010
E chissenefrega di quei 200 milioni di euro...

"Juve 200 milioni per lo scudetto". Questo il titolo a nove colonne del quotidiano "La Gazzetta dello Sport" per la giornata odierna.
"Se la madre di tutte le intercettazioni è sterile" è l’editoriale comparso ieri, ad opera del (suo) direttore responsabile, Andrea Monti.
Come "aprire" il giorno dopo una pagina nuova, dopo averne "chiusa" una in quello precedente.
Basta con Calciopoli e le sue nuove scomode verità; basta con Luciano Moggi, con il processo penale che si tiene a Napoli e con le intercettazioni irrilevanti diventate "rilevanti"; basta con la "vecchia" Juventus. Quella che vinceva. Tanto. Troppo.
Spazio e visibilità alla "nuova": quella che con 200 milioni di euro spendibili in tre anni (grazie ad un altro "progetto") potrebbe consegnare a Benitez (diventato la prima scelta come allenatore del futuro) una rosa in grado di permettere alla Vecchia Signora di tornare a primeggiare in Italia. Ai primi cinque anni necessari (e non ancora del tutto trascorsi) per riavere una Juventus vincente, i tifosi dovrebbero aggiungerne (almeno) due. Ai milioni di euro già spesi ("sprecati", "bruciati", si scelga - a seconda delle preferenze - la definizione più adatta) se ne sommerebbero altri. In mano a chi? Per ora, alle stesse persone che li hanno gestiti dal 2006 ad oggi.
I sostenitori bianconeri devono imparare a guardare avanti, a purificarsi l’anima, a lasciar perdere un passato scomodo, fatto di trucchi (e telefonate) per vincere, di Cupole e combriccole. Bisogna trascurare i "non so, non ricordo" del tenente colonnello Auricchio, i suoi tentennamenti, il suo computer che non funziona più nel momento meno opportuno (magari durante un interrogatorio…). Non fosse altro che le indagini che avevano portato alla condanna sportiva della Juventus le aveva condotte lui.
Meglio seguire i dettami della "Gazzetta dello Sport", non tirando in ballo le altre squadre scampate al processo di quattro anni fa, ed evitando di fare il nome di Giacinto Facchetti. Anche se compare in moltissime intercettazioni ricavate dal consulente speciale di Luciano Moggi, Nicola Penta. Quello che oggi viene descritto, dallo stesso giornale, come uno dei capi della curva dello stadio Manuzzi di Cesena (in gioventù), "body guard" prima e "personal manager" poi del cantante Eros Ramazzotti. Quello che "avrebbe" minacciato e tentato di aggredire, in compagnia di Sebastiano Rossi (ex portiere del Milan), un conoscente, reo di averli presi in giro ad una festa. Denunciato, ha presentato una controquerela. Una vicenda torbida, lasciata a pagina 16 giusto per avvolgere con una cortina di fumo la figura di chi non ha capito con certezza chi pronunciò il nome "Collina" nel corso di una telefonata tra lo stesso Facchetti e Bergamo.
Ma è difficile prendere per "oro colato" tutto quello che viene scritto dal quotidiano rosa in questi giorni. Pur impegnandosi a fondo, è complicato non notare come sono stati un po’ troppo trascurati alcuni aspetti importanti che sono emersi lo scorso martedì dal processo di Napoli. Perché il problema non è "chi pronuncia chi": il fatto è che ci sono dimostrazioni che in molti si interessavano di griglie e grigliate; che non si può non sorridere ad ascoltare le parole di Auricchio quando si giustifica sulle telefonate non considerate rilevanti; che non si può non pensar male quando ci si accorge che chi era stato accusato di trovarsi a capo di una Cupola, non era neanche in grado di inserire un arbitro considerato “"amico" (su tre) nella griglia del sorteggio arbitrale per un Milan-Juventus decisivo per l’assegnazione dello scudetto. E via dicendo…
Certi treni nella vita passano una volta soltanto. Quello dell’ondata di giustizialismo che ha originato il terremoto calcistico del 2006 è passato. Chi doveva essere colpito, è stato affondato. Ma ricreare la stessa situazione quattro anni dopo, con l’entrata in scena di protagonisti diversi e in un ambito "esterno", come quello del tribunale di Napoli, è difficile. Se non impossibile. Non c’è la fretta del passato, ma c’è la calma di un processo che ha le sue scadenze, le sue udienze, i suoi tempi. E le sue regole.
E allora, con tutto il cuore: chissenefrega di quei 200 milioni di euro.
Ora che la "vera verità" sta venendo a galla, impazienti i tifosi juventini aspettano le udienze come fossero partite decisive per l’assegnazione di un titolo. Oppure, viste al contrario, per la revoca di qualcun altro. Nel momento in cui la giustizia sportiva dovrà decidere - anche lei al netto di ondate giustizialiste - nuove sanzioni per chi era scampato alla prima tornata. Senza che venga a mancare la stessa autorevolezza e durezza del passato.
Domani, di partite, ce ne sarà una vera: Inter-Juventus. I nerazzurri diventati secondi dopo il sorpasso della Roma di Claudio Ranieri contro la Juventus del "rombo" che non funziona, che non ha mai funzionato e che non funzionerà di nuovo. Visto che ci si trova a 5 giornate dalla fine del campionato e che per i miracoli, ormai, il tempo è quasi scaduto. A loro si chiede soltanto una prestazione di orgoglio. Quello che ha sempre contraddistinto chi indossa la maglia bianconera. Nell’attesa degli eventi futuri. Sportivi e non. In un calcio malato, polemico e isterico che rimpiange persone care che non ci sono più (ciao Raimondo) e che è arrivato a far sostenere ad un galantuomo come Massimo Moratti che il livello di intossicazione attuale, proveniente da certe critiche della stampa, è "un milione di volte" maggiore di quello presente negli anni sessanta. Quando alla guida della società nerazzurra c’era il padre Angelo.
No, Moratti, non è intossicazione: la sua è paura. Alla prossima udienza.
Articolo pubblicato su

Ciao Raimondo.
Semplicemente "ciao". Ci mancherai.

"MI RACCOMANDO: NON AIUTATE LA JUVE!!!"
Calciopoli?
No...
FARSOPOLI!!!
Ps: nel mio cuore (sportivo) c'è posto solo per un uomo...
Video (e audio) originale (più "chiaro", per chi non vuol sentire)
Come dessert... Oliviero Beha...
martedì 13 aprile 2010
Moratti ha un regalino per te...
Novità della serata (fonte: Corriere dello Sport):
MILANO, 13 aprile - Un «regalino» da parte del presidente dell'Inter, Massimo Moratti, per l'ex designatore arbitrale Paolo Bergamo, probabilmente in virtù del periodo natalizio. È la prima di altre tre telefonate trascritte dai difensori di Luciano Moggi di cui è stata chiesta proprio oggi l'acquisizione da parte del Tribunale di Napoli dove si sta celebrando l'udienza del processo a Calciopoli. L'intercettazione è del 23 dicembre 2004 e Bergamo chiama l'ex dirigente nerazzurro Giacinto Facchetti.
Facchetti: "Se tu chiami Moratti...son stato là anche ieri da lui ...abbiamo parlato".
Bergamo: "Io non ho più il suo numero, se tu me lo dai... infatti ricordi...ne avevamo parlato".
Facchetti: "Sì dai perchè voleva...se passi di qui un giorno...".
Bergamo: "Ma dov'è è a Forte?"
Facchetti: "In ufficio, no no a Milano se ti capita di venire giù perchè aveva là un regalino da darti".
Bergamo: "Volevo sentirlo anche così anzi avevo piacere anche di incontrarlo, di incontrarvi, insomma per fare così qualche riflessione insieme".
Facchetti: "E va bene".
Bergamo: "È una situazione che vorrei proprio anch'io aiutarvi a raddrizzare...perchè insomma la squadra non merita la posizione che ha...".
Facchetti: "Sono stati dodici pareggi incredibili...".
Torniamo alla cronaca di oggi.
L'avvocato Paolo Trofino, che aveva citato la telefonata in aula, dice: "Mi è dispiaciuto che il figlio di Facchetti abbia pensato che avessi intenzione di offendere la memoria del padre, che è cosa lontana mille miglia dalle mie intenzioni, come ho dimostrato sin dall'inizio. Per quanto riguarda la telefonata, Moggi è stato accusato per quattro anni di parlare delle griglie con Bergamo. Ho voluto dimostrare che anche il presidente dell'Inter lo faceva. Se dalla trascrizione futura, disposta dal Tribunale, si vedrà che quella frase è pronunciata da un altro interlocutore, per noi si tratterà di un particolare ininfluente"
Attaccarsi a questo dubbio, da parte dell'accusa (e degli accusatori), servirà soltanto agli avvocati difensori di Moggi ad attirare ancora di più l’attenzione dei media sul processo di Napoli. Quello ignorato (volutamente) sino ad oggi, e che avrà il suo nuovo “culmine” nella giornata di martedì prossimo. Quando le udienze riprenderanno.
Non guardiamoci i piedi: il bello deve ancora arrivare.
E lasciamo che chi ha creato (e continuato a gestire, nel corso degli anni) questa campagna di disinformazione, madre di Calciopoli, si sfoghi ben bene. Perchè poi dovranno rispondere anche loro di alcune inesattezze…
Intanto rinfreschiamoci la memoria con un'intercettazione dove si parla (anche) di tessere...
Dal blog di Christian Rocca
Calciopoli oggi
13 Aprile 2010 - Blog Oggi al processo napoletano sono successe, tra le altre, quattro cose:
1) ll giudice Teresa Casoria ha detto al pm Narducci: «Le telefonate mi sembrano rilevanti»
2) Pare ci fossero contatti tra i designatori e quasi tutta la serie A (alla prossima udienza le telefonate). A dimostrazione della bufala dell’associazione a delinquere moggiana
3) Il tenente colonnello Auricchio, l’uomo che ha condotto le indagini di calciopoli, svela che Facchetti e Bergamo andavano anche a cena insieme e certo non per il piacere di prendersi un te.
4) E’ stata letta un’intercettazione tra Facchetti, quello "dolce e severo" che secondo Moratti non sapeva nemmeno che cosa fossero i gettoni telefonici, e Bergamo. In questa intercettazione i due parlano di griglie (accusa massima fatta a Moggi) e Facchetti chiede di mettere in griglia Collina ("Metti a Collina", da farci un rap come "Metti a Cassano".
Questa sola telefonata, ma ce ne sono altre, è violazione dell’articolo 1 del codice sportivo, per cui è stata condannata la Juventus. Io continuo a pensare che queste telefonate, quelle di Moggi e di Facchetti e di Moratti, fossero violazioni dell’articolo 1, l’articolo sulla lealtà sportiva, non illeciti sportivi (qualche dubbio, invece, su una particolare telefonata di Facchetti e su quasi tutte quelle del milanista Meani).
Ma la Juve è stata retrocessa, perché sono state considerate illeciti sportivi, con un’interpretazione giurisprudenziale alquanto fantasiosa. Ora delle due l’una: o restituite alla Juventus scudetti, onore e gli chiedete anche scusa, ringraziando che gli addormentati di Torino non facciano richiesta danni oppure mandate in B anche gli indossatori di scudetti altrui dopo avergli tolto lo scudetto falso (vinto in segreteria, come dice Mourinho) e quei tre o quattro vinti nei campionati aziendali falsificati dall’eliminazione dei concorrenti.
mercoledì 24 marzo 2010
giovedì 18 marzo 2010
Grygera, Melo e la voglia di una Juve vincente

"Mi ha sorpreso Grygera. E' davvero forte". Felipe Melo pronunciò queste parole il 12 agosto 2009, davanti a Luca Calamai (giornalista della "Gazzetta dello Sport"), nel corso di un’intervista rilasciata a Tallinn, sede dell’amichevole giocata tra la nazionale estone e quella brasiliana.
Parole che fanno ridere amaro (per non dire piangere) ripensando a quanto accaduto all’Olimpico nel corso dell’ultima giornata di campionato. Il difensore ceco è stato il principale colpevole (ed "esecutore materiale", in occasione del primo goal subito) della rimonta patita dalla Juventus; il centrocampista brasiliano, nel contempo, ha risposto da par suo ai fischi dei tifosi.
Di Grygera non stupiscono gli errori o i limiti tecnici: per i primi, originati anche da improvvise amnesie, ci si era già abituati da tempo (basti pensare al passaggio al palermitano Budan in occasione del secondo goal all’Olimpico il 28 febbraio scorso, giusto per fare un esempio); per i secondi, era bastato un anno di convivenza (il primo trascorso a Torino) per non avere più dubbi in merito. Capita di sbagliare degli acquisti, anche alle migliori dirigenze. Poi, però, bisogna anche porvi rimedio. Senza farsi prendere dalle malinconie (perché si è ceduto Balzaretti? Perché si è bocciato Criscito senza appello?), e con la consapevolezza che quello dei laterali difensivi è (e rimane) un problema irrisolto da quattro anni a questa parte. Dal 2006, naturalmente.
Accolto dai tifosi con un entusiasmo (quasi) superiore a quello del connazionale Diego, l’acquisto di Felipe Melo si è rivelato dopo poco tempo un azzardo della dirigenza juventina: prezzo altissimo, un ruolo che avrebbe dovuto coprire in campo diverso da quello a lui consono (regista invece di mediano). Due ostacoli non facili da superare, anche per un neo titolare della nazionale verdeoro. Critiche su critiche, partita dopo partita: poi, dopo tanto, l’esplosione di rabbia. Le sue prestazioni hanno finito col rivalutare l’acquisto dell’anno precedente di Poulsen: un altro mediano preso per fare il regista. Un altro errore della dirigenza, caduto - in primis - sulle spalle degli stessi calciatori. Che poi, non solo per colpe loro, non riescono a rispondere sul campo. Di questo passo, se qualcosa non cambierà nei vertici societari, la prossima estate un nuovo giocatore (sbagliato) verrà preso dopo averne inseguito un altro con le caratteristiche che sarebbero servite a questa squadra. E finirà, a sua volta, per far rivalutare (per quanto possibile) l’acquisto di Felipe Melo. A meno che, nel frattempo, non abbia già lasciato la Juventus.
E ai tifosi juventini, da quelli che frequentano lo stadio Olimpico a quelli seduti in poltrona davanti alla televisione, da quelli attaccati alla cara vecchia radiolina sino ad arrivare a quelli incollati al monitor di un computer, non rimarrà che ingoiare l’ennesimo boccone amaro, frutto di decisioni sbagliate in partenza cui è difficile poi rimediare in corso d’opera. Litigando anche tra di loro, come già sta accadendo, dimenticandosi di essere tutti fratelli, figli di un unico grande amore. Da chi se la prende con chi contesta allo stadio, non accorgendosi - forse - che all’interno delle quattro mura si dicono anche cose peggiori, a chi lamenta che è facile far danzare le dita sulle tastiere dei computer, senza sopportare gli sforzi di chi è sempre in prima linea per seguire le sorti della squadra.
Molti, tra coloro i quali frequentano gli spalti dell’Olimpico, provengono da località diverse da Torino. C’è chi si carica sulle spalle centinaia di chilometri pur di veder giocare la Juventus, compiendo rinunce anzitutto a livello economico (per non dire di quelle personali) pur di passare una domenica accanto alla squadra del cuore. E se è vero come è vero che anche il pubblico italiano dovrebbe assumere un po’ di quella mentalità sportiva che manca alla nostra cultura, e che certi cori non possono essere giustificati (ma neanche stravolti dai media, in alcuni casi), è pur vero che da chi era abituato a vedere le pennellate di Platini, le veroniche di Zidane o le geometrie di Paulo Sousa o Emerson, ha tutti i motivi per lamentarsi di una squadra che da quattro anni non riesce a fare cinque o sei passaggi di fila nel corso di una partita. Se non in verticale, tra difensori, nell’ambito di una fase di palleggio della partita. Si finisce col discutere, come accade (anche) nelle migliori le famiglie, quando le cose non vanno bene. Nella speranza di poter tornare presto a gioire tutti insieme.
La Juventus di Ciro Ferrara era malata. Questa di Zaccheroni è in convalescenza. Lo era prima della gara con il Siena, lo sarà anche dopo. E’ stata costruita male in estate, e pur avendo a disposizione un undici di base di ottimo livello, i continui infortuni ne hanno minato le certezze prima, e i risultati poi. E non sarà certo un’Europa League (magari) vinta quest’anno a cambiare le valutazioni finali.
Mentre si parla di un allenatore da scegliere (o confermare) per un nuovo - ennesimo - corso, i tifosi chiedono di fare alla svelta. Perché mentre si ascoltano promesse, gli altri comprano, incassano e vincono. Perché le squadre si iniziano a costruire da ora. Così come le dirigenze che devono plasmarle. E chi ha già ampiamente dimostrato di non essere in grado di reggere certe responsabilità, è pregato di prendere la porta e andarsene. Per loro è sempre aperta. Sarebbe il primo vero passo per il ritorno di una Juventus vincente.
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