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mercoledì 23 novembre 2011

Conte e la ricerca dello spirito Juve

A differenza di altre occasioni, nella ripresa siamo entrati con il piede giusto e abbiamo chiuso la sfida in un quarto d’ora”. Sono bastate poche parole a Claudio Marchisio per descrivere ai cronisti presenti domenica pomeriggio nella pancia dello “Juventus Stadium” lo spirito con il quale la sua squadra si era appena divorato il Palermo.
A proposito di spirito, va ricordato come durante i primi giorni del ritiro precampionato di Bardonecchia Antonio Conte era stato chiarissimo: “Al di là dell'organizzazione tecnico-tattica, vogliamo trovare quanto prima lo spirito Juve: voglia di combattere e attaccamento alla maglia. Essere qui implica il dovere di vincere”.

Ritrovarsi dopo quattro mesi in vetta alla classifica in compagnia della Lazio (che, nel frattempo, ha disputato un incontro in più) potrebbe indurre a pensare che il nuovo allenatore bianconero abbia finalmente trovato – dopo anni di delusioni - il vestito ideale per la Vecchia Signora. Il diretto interessato, ovviamente, sposta il momento delle verità sempre più lontano nel tempo, giusto il necessario per non far perdere la fame di vittorie ai suoi uomini: “Alla fine del girone d’andata tireremo le somme e capiremo dove possiamo arrivare”.

Nelle ore precedenti la partita col Palermo, lo stesso Conte l'aveva definita “una finale di coppa del mondo”. A deciderla a favore dei padroni di casa sono stati tre giocatori protagonisti di storie diverse tra loro: quella di Pepe, che in estate si era trovato sulla lista dei partenti salvo restare a Torino per volontà del tecnico; quella di Marchisio, cui in molti attribuirono ad inizio stagione un ruolo di panchinaro di lusso nonostante il tecnico (ancora lui) continuasse a dimostrargli ripetutamente (e pubblicamente) la propria fiducia; quella di Alessandro Matri, il goleador, la soluzione ai problemi offensivi di Madama, il quale ha saputo ritagliarsi poco alla volta uno spazio importante all'interno del gruppo.

Raggiunte le tre vittorie consecutive (l’ultimo precedente risale allo scorso campionato, in concomitanza del trittico di gare del girone di ritorno con Brescia, Roma e Genoa), la Juventus adesso punta dritta al big match di sabato prossimo contro la Lazio per continuare la sequenza di successi. Dovesse riuscire nell’intento, ripeterebbe quanto fatto due stagione or sono dalla squadra allora guidata da Ciro Ferrara, che si fermò a quota quattro nelle prime partite della stagione 2009/10.

Fedele alla propria tradizione, quella formazione era stata concepita con un'ossatura tutta italiana sulla quale, però, in controtendenza rispetto al passato vennero inseriti tre brasiliani: Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha e Amauri Carvalho de Oliveira. Quest'ultimo, al secondo anno in bianconero, era in attesa di ottenere la cittadinanza del nostro paese.

Per un club come quello torinese che dal 1897 sino a quel momento aveva acquistato soltanto tredici calciatori provenienti da quella nazione, si poteva tranquillamente parlare di una scommessa.
Persa, vista poi la penuria di risultati conseguiti. Di quel trio, ad oggi, è rimasto il solo Amauri, diventato italiano a tutti gli effetti e retrocesso ad allenarsi con la formazione Primavera in attesa di essere ceduto nella prossima sessione invernale di calciomercato.

Lo scorso gennaio finì al Parma, andandosene da Torino con un dubbio: "Ora vedremo se il colpevole sono io". Rientrato alla base, la musica non è cambiata: "Sono arrivato carico e dopo due giorni sono tornato all’incubo di nuovo. Cosa è successo in quei due giorni? Me lo domando anch’io. Comunque se c’è una cosa che mi ha fatto male sono stati i cori dei tifosi", ha confessato in una recente intervista concessa in esclusiva a "Sky Sport 24".
Finito nel gruppo di quei tesserati dei quali la società si sarebbe liberata volentieri mesi fa per motivi sia tecnici che economici, il successivo scontro frontale (e verbale) col club ha prodotto il risultato di creare un danno ad entrambe le parti in causa.

Innamorato della propria creatura prima ancora di averla plasmata sul campo, sempre a Bardonecchia Conte lanciò un messaggio esplicito, nel merito: "Per me, i giocatori che sono qui sono i migliori del mondo". Nella sua lista personale erano presenti Pepe, Marchisio e Matri, non Amauri.
Bastava credergli sulla parola per capirne le reali intenzioni.

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domenica 27 marzo 2011

Da una Juventus "brasiliana" ad una di qualità?



Krasic, Melo, Aquilani e Marchisio: ecco il quartetto bianconero di centrocampo che ha spinto la Juventus nei primi mesi della stagione verso le zone nobili della classifica. All’alba del confronto con il Parma (6 gennaio 2011) dopo le diciassette giornate disputate sino a quel momento la distanza che separava la Vecchia Signora da Napoli e Lazio, entrambe seconde a pari merito, era di soli due punti. Il Milan, in testa, aveva cinque lunghezze di vantaggio sui bianconeri.

L’Udinese, che Madama annientò con un secco 4-0 in trasferta alla terza gara di questo campionato (19 settembre 2010), aveva otto punti in meno della formazione allenata da Del Neri. Viene da piangere a pensare che attualmente le parti si sono invertite, con la squadra di Guidolin che si ritrova solitaria in quarta posizione ad undici punti di distacco dai torinesi.

In previsione della partita con i ducali Amauri si ripresentò agli ordini del tecnico di Aquileia per cercare di guadagnarsi nuovamente la sua fiducia e quella della società. Per riuscire nell’intento aveva a propria disposizione un mese intero: gennaio, quello della riapertura del calciomercato. Causa infortunio era rimasto lontano dai campi di gioco dal precedente 13 novembre (Juventus-Roma 1-1), quando subentrò a Marchisio ad un quarto d’ora circa dal termine dell’incontro. Del Neri era dubbioso se schierarlo sin dall’inizio: “Probabilmente farò una staffetta tra loro due (Del Piero, ndr). Io penso che Amauri abbia recuperato, l’ho visto dimagrito e in buone condizioni”. L’incidente al ginocchio occorso a Quagliarella dopo soli sei minuti impose al tecnico di rivedere i suoi piani, inserendo subito la punta al posto dell’attaccante di Castellammare di Stabia. La successiva espulsione di Melo aprì ufficialmente la crisi juventina, aggravata dai quattro goals con i quali gli ospiti uscirono vittoriosi dallo stadio “Olimpico”.

Amauri attualmente gioca proprio nel Parma, mentre il centrocampista brasiliano figura nella lista dei possibili partenti per la prossima stagione. Quella nella quale non saranno ammessi ulteriori fallimenti, dove i tifosi non accetteranno più di sentir parlare di fair play finanziario, etica, bilancio, quotazione in borsa, progetti, introiti provenienti dal nuovo stadio e via dicendo. Si discute molto - come sempre, d’altronde – “intorno” e “dentro” alla Vecchia Signora. Ma si è smesso di vincere. Da anni. Parole (troppe) mai accompagnate dai fatti.

Amauri Carvalho de Oliveira, Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha: la colonia brasiliana della Juventus che iniziò l’avventura nello scorso campionato con Ciro Ferrara in panchina rischia ora di scomparire definitivamente. Prima di ottenere la cittadinanza italiana l’attaccante venne acquistato dalla Juventus nel 2008 per un corrispettivo di circa ventitré milioni di euro (al lordo delle cessioni al Palermo – definitive ed in comproprietà - di Nocerino e Lanzafame). Alessio Secco e Pantaleo Corvino si incontrarono l’estate successiva a Reggio Emilia per impostare la trattativa che portò Melo alla corte della Vecchia Signora: la cifra concordata fu di venticinque milioni di euro, leggermente abbassata dal successivo passaggio di Marco Marchionni ai viola. Non sembrò vero al direttore sportivo della Fiorentina di avere la possibilità di rivendere il centrocampista acquistato l’anno prima dall’Almeria per soli otto milioni. I bianconeri si ritrovarono così ad avere un mediano preso per fare il regista e pagato (poco) più di un trequartista. Altri ventiquattro milioni (più “spiccioli”) vennero versati nelle casse del Werder Brema per il passaggio di Diego dai tedeschi ai bianconeri. Trascorso un campionato il calciatore ha poi fatto ritorno in Germania, questa volta al Wolfsburg.

Più di settanta milioni di euro spesi in due anni per costruire una Juventus all’insegna del calcio spettacolo: una spina dorsale tutta italiana (la famosa “ItalJuve” ancora in voga) rinforzata da una colonia brasiliana come mai era accaduto in passato. Dal 1897 al 2008 soltanto tredici giocatori provenienti da quella nazione avevano indossato con alterne fortune la maglia bianconera: Pedro Sernagiotto, Leonardo Colella, Bruno Siciliano, Armando Miranda, Nenè, Dino Da Costa, Fernando Josè Puglia, Cinesinho, José Altafini, Julio Cesar, Gladstone, Athirson, Emerson. Poi, in due sessioni di calciomercato estivo ne arrivarono tre.

Del centrocampo titolare della Vecchia Signora di quest’anno Aquilani e lo stesso Melo sono quelli a cui il futuro potrebbe riservare un’esperienza lontana da Torino. L’ex giocatore del Liverpool, dopo un buon avvio di stagione, ha peggiorato il livello delle proprie prestazioni di pari passo con il crescere dei problemi del club di appartenenza. Con l’Italia di Cesare Prandelli, un po’ come capitato per alcuni compagni bianconeri convocati in nazionale, è accaduto il contrario. Intervistato sull’argomento ha risposto: “In azzurro c’è più serenità. E poi, quando giochi con gente di grande qualità, è più facile fare bene”.

Quando mancano i risultati è difficile che ci possa essere “serenità”, a maggior ragione in un ambiente che negli ultimi cinque anni ne ha dovuto sopportare di tutti i colori. Per quanto concerne la “qualità” bisogna chiedere informazioni a coloro i quali dovranno riportare al più presto la Juventus nelle posizioni che le competono. Nel loro taccuino figura il nome di Bastos, giocatore attualmente in forza al Lione. Un brasiliano, il possibile “diciassettesimo” pronto a trasferirsi sotto la Mole (oltre al sogno Neymar). Anche se non conta la nazionalità di chi vestirà nel prossimo futuro la maglia bianconera, quanto l’apporto di pura e vera classe che dovrà fornire alla Vecchia Signora. Perché d’ora in poi sarà vietato sbagliare. E parlare. Da parte di tutti, non solo degli allenatori. Conterà solo tornare a vincere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 15 gennaio 2011

La Juve col Bari per ripartire. Di nuovo...


Si riparte col Bari, dopo aver iniziato col Bari. Comincia il girone di ritorno della serie A, altre diciannove partite di campionato e i tifosi bianconeri, visto l’attuale stato d’animo generale, sapranno di che morte dovranno morire.
La Juventus si era presentata ai nastri di partenza di questa stagione con uno svantaggio psicologico di ventisette punti dall’Inter (tanti quanti sono stati quelli di ritardo accumulati nei confronti dei nerazzurri al termine dell’ultima serie A disputata) e con un settimo posto in classifica appena conquistato da nascondere con il viso rosso dalla vergogna.
Quasi giunti al fatidico giro di boa, quando qualcuno iniziava a volare con i sogni oltre il cielo parlando di scudetto ecco arrivare due sberle sonanti ad opera di Parma e Napoli, con la Vecchia Signora costretta a tornarsene mesta nelle retrovie.
Dove? Nella settima posizione. Quella di partenza.
Inutile girarci intorno, quel sesto posto temporaneo è solo un’etichetta che presto verrà tolta dall’Inter: è difficile credere che con due partite a disposizione da recuperare - contro il Cesena in casa e la Fiorentina in trasferta - la squadra di Leonardo non riesca ad accumulare almeno tre punti, ora che sono soltanto due le lunghezze che la separano da Madama.

A Bari, lo scorso 29 agosto, un gran tiro di Donati stese la Juventus quando ormai mancavano due minuti al termine della prima frazione di gioco, regalando la vittoria ai pugliesi. In quei giorni si parlava di un possibile acquisto da parte dei bianconeri di una punta a scelta tra Borriello, Benzema e Forlan, l’attaccante accostato anche in questi giorni di riapertura del calciomercato al club torinese. A fine gara Del Piero disse: "L’anno scorso iniziammo con una vittoria e poi le cose andarono male. Ora speriamo che accada il contrario e che questa sia la prima e unica sconfitta".

Per il gioco mostrato al cospetto della neonata Juventus di Del Neri la formazione di Ventura - in alcuni tratti di quell’incontro - sembrava si fosse travestita da Barcellona. Adesso quella stessa squadra si trova in fondo alla classifica, ultima, con sole tre vittorie in diciannove partite giocate in tutto il girone di andata. Buffon, infortunato, non indossava i guantoni per difendere la porta bianconera. Si trovava a Carrara, a seguire la squadra locale (della quale è comproprietario) nel match disputato contro la Villacidrese. Ora quella porta tornerà ad essere "casa" sua, nel suo stadio, in mezzo ai suoi tifosi.

Con una partenza ad handicap ed un calciomercato che gli aveva lasciato una rosa incompleta tra le mani, Del Neri ha affrontato i mesi successivi con il piglio del comandante sicuro dell’apporto che gli avrebbero fornito i suoi uomini, costruendo un’intelaiatura sulla quale in questi giorni di gennaio la società avrebbe dovuto (e dovrà comunque farlo, a maggior ragione, ora) intervenire per aggiungere quei giocatori in grado di farle compiere un salto di qualità.
Durante la sosta del campionato per gli impegni della nazionale italiana contro Estonia e Far Oer, immediatamente successiva alla prima gara di campionato, il tecnico di Aquileia rilasciò un’interessante intervista al taccuino di Alberto Cerruti, giornalista della "Gazzetta dello sport", comparsa sulle pagine del quotidiano rosa il 3 settembre 2010. Molti tra gli argomenti trattati a suo tempo, rileggendoli adesso, si può dire che siano ancora di moda.

Alla domanda "Perché ha voluto Martinez per farlo giocare esterno nel 4-4-2?", rispose: "Perché è un giocatore con grandi qualità che diventerà importante. E poi nella sua nazionale giocava già esterno a quattro".
Sulla cessione di Diego, argomento scomodo più allora di quanto non lo possa essere oggi, disse: "Con Quagliarella abbiamo più presenza in area di rigore. E poi il nostro Diego si chiama Del Piero".
Ad Aquilani pronosticò un ritorno in azzurro, fece intuire che non intendeva rinunciare alle sue prestazioni ipotizzando una coesistenza in mezzo al campo con Marchisio, disse di puntare molto su Felipe Melo, rimpianse il mancato arrivo di Kolarov (trasferitosi poi al Manchester City), mentre sugli obiettivi reali del club bianconero, a calciomercato chiuso, dichiarò: "Dobbiamo raggiungere un posto per la Champions in qualsiasi maniera, perché lo esige la storia della Juventus".

Eliminata dall’Europa League ed arrivata agevolmente ai quarti di finale della coppa Italia, spetta ora a Madama riprendere ad accumulare punti in campionato a partire dall’incontro di domani con il Bari. Da dove aveva iniziato in questo campionato perdendo, così come aveva fatto per ben quindici volte nella scorsa disastrosa stagione. Dove le due formazioni si affrontarono a Torino quando mancavano quattro giornate alla fine del torneo. Si trattò dell’ultima vittoria bianconera, un 3-0 che portava le firme di Iaquinta (doppietta) e Del Piero (su rigore).
Ancora lui, sempre lui: Del Piero.
Lì in attacco, adesso, orfani di Quagliarella si rende ulteriormente necessario l’acquisto di una punta di valore assoluto per puntare con decisione alle primissime posizioni in classifica.
Allo scudetto credevano in pochi, sino a qualche giorno fa. All’obiettivo dichiarato dalla società, invece, no…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 14 agosto 2010

Fate in modo che non sia un film già visto...

Serie A, coppa Italia, Supercoppa Italiana, campionato Primavera: ovunque è presente il marchio TIM.
Nell’Italia calcistica tutto, o quasi, è diventato "proprietà" esclusiva dell’Inter.
Dalla stagione 2006-07 (le ultime quattro, per intenderci) ad oggi: quattro scudetti, una coppa Italia, una Supercoppa Italiana (su tre, la quarta si disputerà tra pochi giorni), un campionato Primavera.
Storia di una dittatura sportiva. Dalla stessa stagione 2006-07, inoltre, si è deciso di intitolare alla memoria di Giacinto Facchetti (ex presidente nerazzurro) la manifestazione riservata ai giovani.

Anche nel trofeo (estivo) TIM, quello che si gioca in una sola sera dopo aver trascorso la giornata sotto l’ombrellone, la musica non cambia: 6 vittorie dei nerazzurri in 10 edizioni disputate. "Una volta" si ironizzava su questo: lasciate le briciole, le illusioni e i sogni agli altri, lo scudetto era cosa da "grandi". Da Juventus e Milan, per intenderci.

Queste sono "prove", si diceva. Di un film che poi, nel corso dell’anno, non "si sarebbe più visto". Brevi incontri da 45 minuti l’uno, tre tempi di un triangolare dove ci si guarda dritto negli occhi per tre quarti d’ora con una contendente, mentre "l’altra" è seduta a bordo campo o ti sta comunque osservando da un monitor a pochi metri di distanza.

Sono le serate delle "giustificazioni": i giocatori hanno ancora i muscoli imballati, le gambe molli e stanche, non riescono a coprire bene gli spazi di loro competenza in campo, i brevilinei arrivano prima sul pallone rispetto a chi ha una struttura muscolare più pesante, chi è stato appena acquistato da un’altra società non può essersi ancora ambientato e conoscere bene i compagni. Scendono dalla tribune i vari Nwankwo, Biraghi, Natalino, Oduamadi, per poi tornarci - dopo qualche giorno - quando si inizia a "fare sul serio". Oppure per prendere una valigia e girare per l’Italia (a volte l’estero) con la missione di "crescere e farsi le ossa". Altrove. Perché in una società importante, da noi, non c’è tempo da perdere: bisogna vincere. Subito.

Dove non arriva il fisico è la tecnica che dovrebbe compensare le lacune di questo periodo: Sneijder, Ronaldinho, Diego... Sono stati soprattutto loro, quelli a cui la classe certo non manca, i protagonisti del trofeo disputato ieri. Oltre a chi, come Amelia, sfrutta queste occasioni per mettersi in mostra: a suon di parate eccezionali sta cercando di guadagnarsi il posto da titolare nel nuovo Milan di Allegri.

Come si è detto (e scritto) in tutte le salse in questi giorni, Diego e Del Piero restano gli unici giocatori, nella rosa bianconera, a possedere quella qualità necessaria per alzare il livello di potenzialità e competitività della squadra. Uno è in partenza (se già non è stato tutto definito); l’altro ha ormai raggiunto le trentacinque primavere (a novembre saranno trentasei), e quella che sta per iniziare sarà quasi certamente la sua ultima stagione a Torino.

Dove si cerca ancora di portare il tanto atteso bomber Dzeko: lui sì che sarebbe un grandissimo acquisto. Ma di questo passo - e per quanto (intra)visto ieri sera - potrebbe rischiare di rimanere isolato, davanti al portiere avversario, senza rifornimenti ed un gioco degno di tal nome alle sue spalle. Sarebbe come acquistare una macchina di lusso e non avere più i soldi per metterci la benzina: finisci col tenerla nel garage, per andarla a vedere ogni tanto. Senza poterla utilizzare.

C’è la grinta, ci sono ancora errori (alcuni giustificabili), ma continua a non vedersi la qualità. Rimangono pochi giorni per rimediare a questo difetto, che non si elimina continuando a comprare laterali (che pure mancano, tanto a centrocampo quanto in difesa), ma inserendo calciatori - là in mezzo - che abbiano quelle caratteristiche. Sissoko, Felipe Melo e Marchisio: c’è posto ancora per uno, ipotizzando una rosa dove si prevede almeno un sostituto per ruolo in ogni reparto (o settore). Ma potrebbe anche non bastare. Era proprio necessario dare via (di nuovo) Ekdal?

Chi la scorsa estate è rimasto scottato dalle promesse di una stagione vincente, si è spalmato la crema solare: niente più illusioni, ora si procede a fari spenti. Chi si è letteralmente bruciato, adesso fatica a contenere la rabbia e la paura di assistere, nuovamente, ad un campionato da vivere a distanza di anni luce rispetto all’Inter. E, forse, non solo a lei.
I 27 punti di distacco dai nerazzurri, i 25 dalla Roma e i 15 dal Milan della scorsa stagione sono figli di un’annata storta, dove le lacune di idee societarie senza basi solide sono venute fuori (in via definitiva) tutte, nessuna esclusa.
Ma sono (anche) i limiti di gioco attuali della Juventus che contribuiscono a non rendere tranquilli i suoi sostenitori.

Corini e Perrotta nelle prime due stagioni del ritorno del Chievo in serie A, Baronio e lo stesso Perrotta (Corini passò al Palermo) nel 2003-04: non si trattava di giocatori del livello di uno Xavi o uno Iniesta del Barcellona attuale, ma con quei calciatori posizionati nella zona centrale del campo Del Neri riuscì a dare un’identità ben precisa (e dei risultati) ad una squadra che non aveva, a sostegno, una società dalle possibilità finanziarie pari a quelle della Vecchia Signora.
Frequentemente ci si domanda, al cospetto di realtà minori, come è mai possibile che - differenze tecniche alla mano - la Juventus non riesca più ad avere un gioco accettabile (fosse anche solo "un" gioco) da diversi anni a questa parte. Spesso ("troppo") è capitato di essere sconfitti da loro su quel piano prima ancora che nel risultato finale.

Si è coscienti che ripartire è (e sarà) difficile. Ora Del Neri ha in mano la Juventus, e la speranza è che riesca a ripetere anche a Torino quanto fatto a Verona, almeno per quello che è di sua competenza. E’ ancora presto per stilare giudizi definitivi: sia perché il calciomercato estivo ancora non è completato, sia perché - in questo periodo - la condizione fisica non ottimale di alcuni giocatori non facilita il recepimento, sul campo, dei dettami del nuovo allenatore.
Quello che spaventa, però, è la sensazione che la scelta di qualche calciatore cui far interpretare alcuni di questi ruoli possa essere sbagliata. E la paura è quella di assistere, nuovamente, ad un film già visto.
C’è ancora del tempo, per rimediare. Lo si usi a dovere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 10 agosto 2010

Diego, la nuova Juve e l'addio al trequartista


Sarà un privilegio giocare con Del Piero: insieme daremo soluzioni, non problemi. Chi batterà le punizioni? Questo è solo un dettaglio, l’importante è che ci siano più possibilità
Si era presentato così, ai tifosi bianconeri, Diego Ribas da Cunha (o più semplicemente “Diego”), nel corso della sua prima giornata ufficiale da giocatore della Vecchia Signora.
Era il 9 luglio del 2009, ed il palco era quello allestito nella piazza di Pinzolo, sede del ritiro estivo della Juventus.

Un’invasione di tifosi stava assistendo alla nascita di quella che sembrava essere una delle principali candidate per lo scudetto dello scorso anno: non una squadra qualunque, mica una formazione da quinto o sesto posto in classifica. Finì peggio: settima.

Si parlava di lui come di un possibile acquisto della Juventus già da diverso tempo. Nel febbraio del 2008, dopo un’amichevole tra Brasile e Irlanda a Dublino, uscì allo scoperto: “La Juventus mi vuole e io sono orgoglioso di questo interessamento”.
Il prezzo di mercato, allora, era altissimo: 35 milioni di euro. Il Werder Brema poteva esibire con orgoglio un gioiello della nazionale verdeoro dalle grandissime potenzialità e dal futuro assicurato.
Né Doni, né Cassano: un trequartista con il gusto del goal (nel corso dei suoi tre anni trascorsi in Germania, ne segnò 57 in 126 partite).

C’era una squadra, nella Torino sponda bianconera, da ricostruire. Si sentiva la voglia di abbandonare il classico 4-4-2 che tanti successi aveva garantito - in passato - con interpreti di valore assoluto.
Si decise di cambiare spartito: 4-3-1-2, dove “l’1” era proprio lui. Con una decina di milioni in meno rispetto alla richiesta di partenza, gli si costruì una squadra intorno, così come venne fatto a suo tempo in onore di giocatori del calibro di Platini e Zidane.

Ma quello schema risultò non essere adatto a diversi suoi compagni. Alcuni di loro, non erano adeguati alla Juventus. Chi doveva dirigere la società, non era semplicemente in grado di farlo.
E lui, il trequartista di Ribeirão Preto, finì per diventare uno degli imputati (uno dei tanti, naturalmente) del fallimento della stagione appena passata, per colpe “dirette” ed “indirette”.

Ora la società è cambiata, da cima a fondo. Dopo l’addio di Marco Fassone (nuovo dg del Napoli), adesso resta soltanto un “pezzo” da sostituire: Jean Claude Blanc. Francese, come Platini e Zidane: il nero e il bianco della Francia juventina, il punto più basso e quelli più alti della storia della Vecchia Signora scritta in lingua francese.

La squadra? Un cantiere. Prima aperto, poi chiuso, ora – di nuovo (e non potrebbe essere altrimenti) – aperto.
Con la scelta di Del Neri come allenatore, l’attenzione generale si spostò subito su Diego: e adesso che fine farà?
Semplice: addio al trequartista in campo, ritorno al 4-4-2, un’unica maglia – quella della seconda punta – in ballottaggio tra Del Piero, Iaquinta e lo stesso brasiliano. Sì, perché ad oggi (11 agosto) i cinque componenti del reparto offensivo in rosa sono gli stessi della stagione passata. Mancano ancora poco più di venti giorni alla chiusura di questa sessione estiva del calciomercato, ma il turnover in attacco non si è visto sia nelle partite ufficiali (Diego e Amauri presenti nella formazione titolare tanto a Dublino quanto a Modena) che in entrata ed in uscita nelle trattative condotte dalla società.

Ma l’essere stato inserito in entrambe le occasioni nell’undici di base della squadra, ora, sembra non essergli più sufficiente a garantirgli la permanenza in bianconero.
Il Wolfsburg lo cerca con insistenza, e la Germania potrebbe essere - comunque - la sua futura destinazione: nel caso in cui la trattativa con l’attuale squadra di Dzeko dovesse fallire, anche lo Shalke 04 e l’Amburgo sarebbero pronte ad accoglierlo a braccia aperte.

Così come fecero, poco più di un anno fa, i tifosi bianconeri in quel di Pinzolo. Quelli erano i momenti delle presentazioni “monstre” ai tifosi dei neoacquisti Kakà e Cristiano Ronaldo al “Santiago Bernabeu” di Madrid, di Ibrahimovic al “Camp Nou” di Barcellona e di una Juventus che immaginava di aver recuperato velocemente il terreno perduto dal 2006 ad allora.

Adesso si sta, nuovamente, cercando di ripartire. Senza l’entusiasmo dello scorso anno. Forse, tra pochi giorni (o poche ore) non ci sarà più neanche Diego Ribas da Cunha di Ribeirão Preto.
Un paio di (veri) campioni ed una squadra degna del nome "Juventus": ecco quale sarebbe il più bel regalo che la società potrebbe fare ai propri sostenitori. Altro che verificare quali settori del nuovo stadio dedicati alle "stelle" del passato (tutte meno una, Boniek) vengono esauriti per primi: il pensiero diventerebbe quello di contenere l’entusiasmo di un popolo che ha fame di tornare a vincere.
E che chiede di smettere di essere preso in giro.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


giovedì 5 agosto 2010

A Modena dentro Diego, fuori le polemiche



"Diego o Del Piero?". Un dubbio che Del Neri aveva già sciolto al momento del suo arrivo a Torino: giocherà la meritocrazia.
Ancora oggi si continua a parlare del dualismo tra i due giocatori, in un attacco dove il nuovo allenatore bianconero ha ripetuto più volte che "non farà mai giocare due punte e un trequartista".
E che il posto di attaccante centrale "se lo giocheranno Amauri e Trezeguet".

Gli undici scesi in campo a Dublino, nell’incontro di andata contro lo Shamrock Rovers, si ritroveranno titolari stasera a Modena.
Diego più avanti, in campo, rispetto alla posizione ricoperta nella scorsa stagione: dai "duetti" al dualismo con Del Piero; dal rappresentare - entrambi - due terzi del reparto offensivo della squadra, ad essere in ballottaggio per un unico posto (in attesa del rientro di Iaquinta) da seconda punta.

Si continua e si continuerà a parlare di questo ancora per un po’. Almeno sino a quando non ci si stancherà di farlo, oppure fino al momento in cui non "farà più notizia". Molto probabilmente sino a quando il percorso calcistico italiano di Diego avrà una sua naturale conclusione: consacrazione (definitiva) o cessione.

Allora si tornerà a discutere di argomenti più "sostanziosi", perché i problemi da superare per passare dalla settima posizione ottenuta in campionato nella scorsa stagione alle prime (obiettivo della società) nella prossima, non possono essere riassunti - alla vigilia di ogni incontro dei bianconeri - nell’analizzare la bontà della scelta di Del Neri di affidare una maglia da titolare nel reparto offensivo ad un giocatore piuttosto che ad un altro: c’è un rosa da completare, da migliorare qualitativamente e da "aggiustare" quantitativamente tramite le cessioni di quei calciatori che a più riprese sono stati invitati a togliere il disturbo. E, soprattutto, una mentalità vincente da riconquistare.

Via Giovinco (in bocca al lupo), a breve dovrebbero seguirlo altri.
"Stiamo parlando di un calciatore che giocherà i Mondiali, è ovvio che ci vorrà una squadra di livello, altrimenti onoreremo il contratto con i bianconeri, in assoluta tranquillità e mantenendo gli ottimi rapporti con la società, più in là ne sapremo di più".
Era il 4 maggio scorso, quando Sergio Fortunato, agente di Mauro German Camoranesi, pronunciò queste parole.
Oggi è il 5 di agosto, e i contatti più avviati per un suo addio sono quelli rappresentati (salvo ulteriori sorprese) dal Birmingham. Conditi, quasi certamente, dalla richiesta di una buonuscita da presentare alla Juventus.

Mentre Del Piero occupò la sedia accanto a Del Neri nel corso della conferenza stampa di vigilia dell’incontro di Dublino, questa volta il compito è capitato a Claudio Marchisio, una delle travi sulle quali la nuova Juventus cercherà di costruire la struttura della squadra del futuro. Dall’Irlanda a Modena, ma - soprattutto - dallo stadio "San Vito" di Cosenza (teatro dell’amichevole dei bianconeri contro il Lione) al "Braglia" di stasera, passando per i ritiri di Pinzolo e Varese e da Rovereto (gara contro l’Al Nassr): ovunque vada, la Vecchia Signora fa il pienone. Di amore e di entusiasmo.

Perché il problema non è chi giocherà tra Del Piero e Diego (fermo restando che il mercato, anche in entrata, non è ancora concluso), ma rimane quello di dare in pasto a milioni di tifosi bianconeri un qualcosa di simile alla "vera" Juventus il più presto possibile.
Il resto sono solo parole. Che non contano nulla, portano polemiche inutili e, soprattutto, non ti fanno vincere niente.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 18 luglio 2010

Del Piero o Diego? Decide Del Neri...



E ora si riparte. Col calcio giocato, ma non solo.
Juventus-Amburgo come importante banco di prova in attesa dell’andata del terzo turno di preliminare dell’Europa League, previsto per il 29 luglio.
Nel mezzo ci sarà un’ultima amichevole, il 24 luglio, a Cosenza, contro l’Olympique Lione.

Così come a Pinzolo gli spettatori al seguito della Vecchia Signora sono aumentati mano a mano che il ritiro si avviava verso la sua conclusione, per l’incontro con i francesi di sabato prossimo i biglietti stanno andando letteralmente a ruba: ad oggi ne sono stati venduti ben 18.000.
E non è finita qui. Anche perché gli organizzatori stanno pensando di richiedere un aumento della capienza dello stadio, elevandola - in via del tutto eccezionale - a poco più di 24.000 unità.

"Di Ekdal e Krhin abbiamo i contratti che attendiamo di depositare non appena saranno liberati da Juve e Inter, cioè verso la fine della prossima settimana" (Carmine Longo, consulente di mercato del Bologna).
Dopo Fabio Cannavaro, emigrato in Arabia Saudita (Al Ahi), in uscita - in casa bianconera - al momento sono previsti soltanto movimenti relativi ad alcuni tra i calciatori più giovani: lo stesso centrocampista svedese (ad un passo dal vestire rossoblù), Giovinco (Bari, Parma e Arsenal su di lui) e Paolucci (Chievo).

Ma non sono (soltanto) quelli i giocatori che dovrebbero lasciare la Vecchia Signora.
Ce ne sono altri, di età più avanzata, che hanno trovato l’Eldorado del pallone a Torino.
Con una vecchia gestione, non più presente, e con contratti onerosi (in rapporto alle effettive qualità tecniche e a quanto riportato sulle rispettive carte d’identità) di cui anche la nuova Juventus fa fatica a liberarsi.
Con le loro promesse di un pronto riscatto e il mancato addio, complicano non poco i piani della società.

"L’anno scorso è l’anno scorso e se penso che due non sono complementari come attitudini, non giocano assieme" (Luigi Del Neri su Del Piero e Diego, 14 luglio 2010)
"Non c’è nulla di male nel dire che io e lui possiamo ricoprire lo stesso ruolo. Magari nel corso della stagione, conoscendoci meglio può vedere altre soluzioni. Nessuno di noi due sta vivendo il dualismo. Vediamo quel che capita, adesso è presto: il tecnico si è un po’ sbilanciato, io non me la sento di farlo" (Del Piero, 16 luglio)
"La concorrenza con Del Piero? Possiamo giocare insieme, è un grandissimo giocatore ed una grandissima persona. Io ho tanto voglia di dimostrare quello che valgo, ma nelle grandi squadra la concorrenza c'è sempre. L'eventuale panchina? E' difficile accettarla, ma rispetterò sempre le scelte dell'allenatore" (Diego, 16 luglio)
"È giusto che abbiano detto ciò che pensano. Del Piero è un giocatore, e non un dirigente: ha fatto capire che sarà disponibile in pieno e questo non può che fare piacere. È legittimo che Diego abbia rivelato le proprie intenzioni e quelle della società. Simili atteggiamenti mi trovano in piena sintonia" (Del Neri, 16 luglio).


Sta a Del Neri, il "dittatore-democratico" della panchina bianconera, chiudere il cerchio della piccola discussione intorno al dualismo Diego-Del Piero.
Nella Juventus dello scorso anno avrebbero dovuto giocare (e divertire) insieme.
La squadra era stata costruita per permettere al brasiliano di esprimere le proprie potenzialità, nel ruolo a lui più gradito.
A Del Piero, Trezeguet, Amauri e Iaquinta rimaneva il compito di battersi per due maglie da titolari in attacco.
Ora i tempi, e gli spazi disponibili in campo, sono cambiati.

Non è detto che Diego rimanga alla Juventus.
Sicuramente non sta a Del Neri sbilanciarsi su questo tema: sino a quando vestirà la casacca bianconera, lo gestirà esattamente al pari degli altri componenti la squadra.
Con l’unico criterio da lui stabilito sin dal suo arrivo a Torino: quello della meritocrazia.
E certi punti è meglio fissarli bene sin dal primo giorno di ritiro: è lui che comanda, con la società pronta ad appoggiare le sue decisioni.
Il bene del gruppo, della Juventus in generale, dovrà tornare ad essere un obiettivo da raggiungere tutti insieme, dal primo all’ultimo elemento della rosa. Anche questo servirà per evitare che si ripetano annate come quella appena trascorsa.

Vale per chi gioca, così come per chi starà in panchina.
E per chi è pregato di togliere il disturbo.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 3 luglio 2010

Un altro "black out" di Felipe Melo. E adesso?


Non ci voleva. Quel fallaccio di Felipe Melo su Robben proprio non ci voleva. Una prestazione, quella del brasiliano ieri, dai due volti: bene il primo tempo, condito con un bellissimo lancio in verticale per il goal di Robinho; malissimo nella ripresa, con l’incomprensione con Julio Cesar in occasione dell’autogoal e - soprattutto - l’espulsione per il calcio al giocatore olandese a terra.

Se in occasione dell’autorete dell’1-1 (parziale) il portiere interista rivendica l’aver chiamato la palla e condivide la paternità dell’errore con il compagno, per ciò che concerne l’attimo di follìa successivo, quello ha un solo nome e cognome: Felipe Melo.

Si conclude, così, una stagione negativa per il centrocampista verdeoro, legata a doppio filo con quella della Juventus, il suo club di appartenenza. Proprio nel momento in cui la squadra bianconera si è appena ritrovata per iniziare la preparazione in vista dei preliminari dell’Europa League.
E dire che tutto era iniziato sotto ben altri auspici: nella sessione di calciomercato della scorsa estate, impegnata a cercare un regista, la Vecchia Signora (tale di nome, non di fatto) corteggiava D’Agostino, allora all’Udinese. Non riuscendo ad arrivarci, ecco il colpo di scena che non t’aspetti: 25 milioni di euro (meno Marchionni), clausola rescissoria voluta da Corvino pagata e rispettata, un altro campione che si apprestava a raggiungere Torino, sponda bianconera. Un mediano costato più di un trequartista.

Amauri non era ancora italiano, Diego era stato già acquistato e si attendeva proprio Melo per presentare ai nastri di partenza una Juventus "brasiliana" come mai in passato.
Settantacinque milioni (circa) di investimento in due anni per i tre calciatori, per una squadra che avrebbe dovuto giocare a ritmo di samba. Il "gap" con l’Inter, in Italia, sicuramente ridotto. Col tempo, chissà, il campo avrebbe potuto anche dire "annullato".
Dalla successiva cessione di Cristiano Zanetti alla Fiorentina, ecco i primi equivoci tattici manifestarsi in campo, per poi esplodere fuori dal rettangolo di gioco al presentarsi delle prime critiche.
Partito l’unico regista rimasto in rosa (quando non era alle prese con problemi muscolari), con il posizionamento di Diego come vertice alto del rombo di centrocampo, a Felipe Melo non rimaneva che rispettare gli ordini di scuderia, e piazzarsi davanti alla difesa.

La gara contro la Roma all’Olimpico (30 agosto 2009, vinse la Juve 3-1) aveva fatto sognare i tifosi bianconeri: se Diego si era espresso su livelli eccezionali (mai più rivisti), Felipe Melo gli era andato dietro, producendosi - ad incontro ormai concluso - in una cavalcata potente e devastante che gli permise di realizzare la terza marcatura, quella che chiuse definitivamente la partita.
Ma l’Olimpico di Roma fu, appunto, l’eccezione, non la regola.
Eppure Cesare Prandelli, neo CT della nazionale azzurra ed ex allenatore del brasiliano ai tempi della Fiorentina, lo aveva detto, nel corso di una intervista: "No, consigli non ne voglio dare. Vi dico però che noi l'anno scorso avevamo creato un gioco che per Melo era possibile: non è un regista, ha visione ma non abbastanza. E così avevamo creato meccanismi di gioco facendolo giocare come mezzo destro del 4-2-3-1, con movimenti delle ali che facilitavano il suo gioco".

Il "4-2-3-1", lo schema spesso adottato dal Brasile e qualche volta - nel corso della stagione appena conclusa - dalla Juventus. Il vestito che più si addice alle caratteristiche di Felipe Melo. Proprio nella sua nazionale si è sempre sentito a casa, protetto e coccolato da un allenatore - Carlos Dunga - che adesso, al pari di Marcello Lippi, si assume tutte le responsabilità di un fallimento che ha iniziato a materializzarsi al 28° del secondo tempo dell’incontro con l’Olanda, cinque minuti dopo la rete dell’1-2 segnata da Sneijder, proprio grazie all’attimo di follìa del centrocampista brasiliano. Esattamente nel momento in cui la sua nazionale avrebbe avuto necessità di raccogliere tutte le proprie forze nel disperato tentativo di un recupero in extremis per evitare l’eliminazione dai mondiali.

Lui se ne frega delle critiche. Va in vacanza, felice - poi - di tornare alla Juventus.
"Del passato non mi interessa molto, nello spogliatoio so cosa porterò. Le regole vanno rispettate in campo e fuori. Dialogo senza imposizioni, ma decido io. La base di tutto è il rispetto".
Queste sono alcune delle parole pronunciate ieri da Luigi Del Neri, durante la presentazione delle nuove divise da gioco della società bianconera. Questo è il nuovo ambiente che Felipe Melo troverà, a Torino, se prima non verrà ceduto (a quale prezzo?) a qualche altra squadra.
Potrebbe durare, sì. Ma quanto?

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 5 giugno 2010

Ciro Ferrara, gli "asini" e lo spirito Juve


A leggere l’intervista rilasciata da Ciro Ferrara al taccuino di Paolo Condò ("La Gazzetta dello sport") e comparsa sulle pagine del quotidiano sportivo mercoledì 2 giugno, la Juventus dello scorso anno ha fallito (anche) per colpa di alcuni "asini".
Così ha definito chi - all’interno della rosa - dopo il suo addio si è lamentato di lui, della sua inesperienza, del modo di allenare la squadra e della mancanza di una vera disciplina tattica.

Non che le cose, con l’arrivo del traghettatore Zaccheroni, siano poi cambiate in meglio: partenza stentata, qualche risultato (in Italia e in Europa) confortante, poi la barca è affondata. Così come stava accadendo al momento della sostituzione tra i due tecnici. Né il (temporaneo) ritorno di Bettega, nè - tantomeno - il tentativo dell’allora gruppo dirigenziale di mettere la squadra di fronte alle proprie responsabilità, servirono a migliorare le cose.

Di quella Juventus, oggi, almeno nei piani alti della società è rimasto ben poco. Segno che le colpe non erano - e non potevano essere - solo ed esclusivamente di Ferrara. La stessa musica ascoltata mesi prima quando, al posto dell’ex giocatore bianconero, si trovava Claudio Ranieri.
Come Trapattoni iniziò la sua (trionfale) carriera da allenatore con un Boniperti alle spalle, e Lippi la sua cavalcata bianconera con la Triade a supporto, Gigi Del Neri proverà a ridare un’anima a quella squadra che ha spaventato i tifosi non tanto per i disastrosi risultati ottenuti in questa stagione, quanto per la mancanza assoluta di carattere, di grinta, di combattività: alcuni dei segni distintivi di un DNA ormai incollato a quelle maglie. Si poteva cedere il passo agli avversari, in passato, ma non senza che soffrissero le pene dell’inferno contro chi gettava sempre il cuore oltre l’ostacolo.
Quello che manca alla Juventus di oggi, e che dovrà rappresentare il primo vero e proprio acquisto della nuova gestione, è lo spirito battagliero che ne ha contraddistinto la sua storia: si gioca per vincere, per essere competitivi sino in fondo. Il resto, non conta.

Simone Pepe passerà alla storia come il primo uomo scelto per vestire la casacca bianconera della nuova era-Agnelli. Il suo arrivo non entusiasma i tifosi: sarebbe stato bello (e romantico) iniziare subito con un "botto" di mercato. Dzeko? Ribery? O il meno quotato (ma pur sempre bravissimo) Krasic? Non importa, sai che effetto…
E se un "top player" arrivasse, tra qualche giorno, come terzo o quarto acquisto, cosa cambierebbe?
Il nome di Pepe non stuzzica un popolo deluso, a cui - in passato - è stata chiesta pazienza da chi non ha saputo gestire il tempo (e i soldi) a disposizione per ricostruire una società devastata da (falsi) scandali e dalla retrocessione in serie B. I danni da loro stessi creati, poi, sono risultati ancora maggiori.
Chi è arrivato ora deve partire da "un Pepe" per ricostruire quanto distrutto da altri. Senza giocatori di classe, non si va da nessuna parte; viceversa, senza i Di Livio, i Torricelli e i Pessotto, quella Champions League del 1996 (e altre vittorie precedenti e successive) sarebbero in bella mostra in altre bacheche.

Ogni giocatore ha un suo ruolo preciso, all’interno di un gruppo. Senza quello, regna la confusione. Se la regia, dall’alto, è buona, i risultati - sul campo - si vedranno. Né ottimismo, né pessimismo: realismo. Il problema è che il campionato di serie A (con le rose ultimate) riprenderà tra troppo tempo: c’è il mondiale di mezzo, con i preliminari di Europa League. Tanto, per un popolo che non ha più voglia di aspettare.
Bruciato dalle ultime esperienze dopo essere rimasto scottato a ripetizione, vittima di una caduta rovinosa dall’alto dell’entusiasmo della scorsa estate sino al tracollo dei risultati dell’anno calcistico appena concluso, ora lo sterminato popolo bianconero ha sete di fame, vittorie e rivincite.
Non pazienza: quella, ormai, l’ha persa. E’ inutile chiederla.
Ma "deve" averla.

Il Ferrara che ha perso la prima grande occasione della sua nuova vita calcistica si è preso le responsabilità del fallimento dei suoi mesi da allenatore. Ha rivendicato, inoltre, la paternità dell’acquisto di Fabio Grosso, la difficoltà nell’allenare chi era stato suo compagno di squadra e nel tenere fuori Del Piero, ha difeso Diego, evidenziato la supponenza con la quale si allenava Melo e dichiarato al mondo intero quello che tutti sapevano: la mancanza, nello staff dirigenziale, di un uomo di campo che potesse tenere testa a quei giocatori incapaci di reagire di fronte alla difficoltà.

Altro? Sì. Ha smesso di diventare esigente con suoi uomini dopo i primi risultati positivi. Ha finito col "mollare la presa", senza essere più riuscito a recuperarla. Questo è stato il suo più grande errore.
Di allenatori come Capello e Trapattoni (giusto per rimanere in casa Juventus) tra vittorie, sconfitte, imprese e delusioni spalmate in tanti anni di calcio, ancora si devono avere notizie di un loro calo di tensione. Meno che mai dopo solo quattro vittorie, in poco più di un mese.
Così fanno i vincenti.
Come il Ferrara calciatore, quando indossava la maglia bianconera.
Quello era lo "spirito Juve".

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Dedico questo articolo alla memoria di Valerio Fregoni, Direttore e fondatore del sito Juvenews.net (del quale sono stato redattore), mancato prematuramente lo scorso 21 novembre 2009.
Devo moltissimo, a lui. Non lo dimenticherò mai.

A proposito di "spirito Juve", e di gente che in campo dava l'anima: Romeo Benetti...



mercoledì 13 gennaio 2010