mercoledì 23 novembre 2011

Conte e la ricerca dello spirito Juve

A differenza di altre occasioni, nella ripresa siamo entrati con il piede giusto e abbiamo chiuso la sfida in un quarto d’ora”. Sono bastate poche parole a Claudio Marchisio per descrivere ai cronisti presenti domenica pomeriggio nella pancia dello “Juventus Stadium” lo spirito con il quale la sua squadra si era appena divorato il Palermo.
A proposito di spirito, va ricordato come durante i primi giorni del ritiro precampionato di Bardonecchia Antonio Conte era stato chiarissimo: “Al di là dell'organizzazione tecnico-tattica, vogliamo trovare quanto prima lo spirito Juve: voglia di combattere e attaccamento alla maglia. Essere qui implica il dovere di vincere”.

Ritrovarsi dopo quattro mesi in vetta alla classifica in compagnia della Lazio (che, nel frattempo, ha disputato un incontro in più) potrebbe indurre a pensare che il nuovo allenatore bianconero abbia finalmente trovato – dopo anni di delusioni - il vestito ideale per la Vecchia Signora. Il diretto interessato, ovviamente, sposta il momento delle verità sempre più lontano nel tempo, giusto il necessario per non far perdere la fame di vittorie ai suoi uomini: “Alla fine del girone d’andata tireremo le somme e capiremo dove possiamo arrivare”.

Nelle ore precedenti la partita col Palermo, lo stesso Conte l'aveva definita “una finale di coppa del mondo”. A deciderla a favore dei padroni di casa sono stati tre giocatori protagonisti di storie diverse tra loro: quella di Pepe, che in estate si era trovato sulla lista dei partenti salvo restare a Torino per volontà del tecnico; quella di Marchisio, cui in molti attribuirono ad inizio stagione un ruolo di panchinaro di lusso nonostante il tecnico (ancora lui) continuasse a dimostrargli ripetutamente (e pubblicamente) la propria fiducia; quella di Alessandro Matri, il goleador, la soluzione ai problemi offensivi di Madama, il quale ha saputo ritagliarsi poco alla volta uno spazio importante all'interno del gruppo.

Raggiunte le tre vittorie consecutive (l’ultimo precedente risale allo scorso campionato, in concomitanza del trittico di gare del girone di ritorno con Brescia, Roma e Genoa), la Juventus adesso punta dritta al big match di sabato prossimo contro la Lazio per continuare la sequenza di successi. Dovesse riuscire nell’intento, ripeterebbe quanto fatto due stagione or sono dalla squadra allora guidata da Ciro Ferrara, che si fermò a quota quattro nelle prime partite della stagione 2009/10.

Fedele alla propria tradizione, quella formazione era stata concepita con un'ossatura tutta italiana sulla quale, però, in controtendenza rispetto al passato vennero inseriti tre brasiliani: Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha e Amauri Carvalho de Oliveira. Quest'ultimo, al secondo anno in bianconero, era in attesa di ottenere la cittadinanza del nostro paese.

Per un club come quello torinese che dal 1897 sino a quel momento aveva acquistato soltanto tredici calciatori provenienti da quella nazione, si poteva tranquillamente parlare di una scommessa.
Persa, vista poi la penuria di risultati conseguiti. Di quel trio, ad oggi, è rimasto il solo Amauri, diventato italiano a tutti gli effetti e retrocesso ad allenarsi con la formazione Primavera in attesa di essere ceduto nella prossima sessione invernale di calciomercato.

Lo scorso gennaio finì al Parma, andandosene da Torino con un dubbio: "Ora vedremo se il colpevole sono io". Rientrato alla base, la musica non è cambiata: "Sono arrivato carico e dopo due giorni sono tornato all’incubo di nuovo. Cosa è successo in quei due giorni? Me lo domando anch’io. Comunque se c’è una cosa che mi ha fatto male sono stati i cori dei tifosi", ha confessato in una recente intervista concessa in esclusiva a "Sky Sport 24".
Finito nel gruppo di quei tesserati dei quali la società si sarebbe liberata volentieri mesi fa per motivi sia tecnici che economici, il successivo scontro frontale (e verbale) col club ha prodotto il risultato di creare un danno ad entrambe le parti in causa.

Innamorato della propria creatura prima ancora di averla plasmata sul campo, sempre a Bardonecchia Conte lanciò un messaggio esplicito, nel merito: "Per me, i giocatori che sono qui sono i migliori del mondo". Nella sua lista personale erano presenti Pepe, Marchisio e Matri, non Amauri.
Bastava credergli sulla parola per capirne le reali intenzioni.

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