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venerdì 11 maggio 2012

Del Piero e quel 5 maggio di sedici anni fa...


Nella scorsa stagione era chiaro a tutti come uno dei principali desideri di Alessandro Del Piero fosse quello di giocare nel nuovo "Juventus Stadium", con lo spirito sbarazzino di chi ha ancora voglia di divertirsi, divertire e vincere nonostante sulla carta d'identità fossero indicate trentasette primavere.

La scelta del luogo in cui avrebbe firmato il rinnovo contrattuale con il club non fu casuale, così come la data: 5 maggio, nella casa bianconera sorta sulle ceneri del vecchio "Delle Alpi".

Facendo un salto indietro nel tempo di sedici anni, su quello stesso prato verde Alessandro disputò l'ultima gara interna del campionato 1995/96 proprio il 5 maggio, contro l'Atalanta all'epoca guidata da Emiliano Mondonico.

Vinse Madama col risultato di 1-0, la rete decisiva venne messa a segno da Didier Deschamps, il centrocampista francese che diventò poi il tecnico della Vecchia Signora durante la sua permanenza in serie B. In difesa era presente Ciro Ferrara, mentre nella seconda frazione di gioco sulla linea mediana del campo Marcello Lippi decise di inserire Antonio Conte, l'attuale mister della Juventus tornata campione d'Italia.

Deschamps, Ferrara, Conte… Del Piero, quel giorno affiancato da Michele Padovano nel reparto offensivo, nel corso della sua carriera è stato allenato - con alterne fortune - da tutti e tre gli ex compagni di squadra.

In tribuna, quella domenica pomeriggio, sedeva Louis Van Gaal, guida dell'Ajax detentore della Champions League che i bianconeri avrebbero affrontato di lì a breve nella finalissima di Roma (22 maggio).
La concentrazione della Vecchia Signora, che aveva ormai consolidato la seconda posizione in campionato (lo scudetto andò infatti al Milan), era rivolta quasi completamente all'evento storico ancora tutto da vivere. E vincere.
Sugli spalti i tifosi avevano dimostrato di condividere la linea societaria del "squadra che vince si cambia": l'anno precedente salutarono Roberto Baggio (sostituito proprio da Del Piero), in quelle ore furono in pochi a protestare per l'imminente addio di Gianluca Vialli, autentico leader del gruppo di Lippi destinato a trasferirsi in Inghilterra.

Uno degli argomenti più dibattuti in quei frangenti era rappresentato dall'ipotesi che la Juventus potesse emigrare nel campionato successivo a Bologna, per disputare al "Renato Dall'Ara" le gare casalinghe. D'altronde nell'impianto torinese, così com'era stato costruito e poi gestito, la situazione era diventata insostenibile: "Sento dire che la Juve spenderebbe, per l'intera stagione a Bologna, una cifra che si aggira sui 500 milioni (di lire, ndr.): questa cifra è improponibile per il "Delle Alpi", perché questo stadio è un vero disastro e ha costi impossibili", dichiarò infatti l'allora sindaco Valentino Castellani.

Per rendere l'idea dei problemi dei quali si discuteva basti pensare che nell'arco di quell'anno il tutto esaurito si registrò soltanto in occasione della partita Juventus-Real Madrid, valevole per i quarti di finale della Champions League.

Da allora sino ad oggi è trascorso molto tempo, ma sembra passata un'eternità.
A distanza di un anno e ventiquattro ore dal suo rinnovo contrattuale Alessandro Del Piero è tornato ad essere campione d'Italia.
La prossima domenica, proprio contro l'Atalanta, disputerà quella che - salvo colpi di scena - resterà nella storia del calcio italiano come l'ultima apparizione del numero dieci juventino in serie A con addosso la maglia a strisce bianconere.

Deschamps, Ferrara, Conte, Lippi, Van Gaal, la Champions League, Vialli, l'esordio allo "Juventus Stadium", il 5 maggio, l’Atalanta... per lui, e per chi lo ha seguito nel corso della carriera, tutto questo resterà un bellissimo ricordo.
A Roma (ancora in quella città) dopo che la Vecchia Signora avrà disputato la finale di coppa Italia sfidando il Napoli calerà il sipario su una fantastica storia professionale e d'amore tra un giocatore ed il suo club.
Nell'attesa, naturalmente, che l'addio si trasformi poi in un "arrivederci".

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

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mercoledì 9 febbraio 2011

Juve, è arrivato il momento di cambiare marcia

Il bilancio, ora, è in perfetta parità: l’anno scorso, arrivati alla ventiquattresima gara, la Juventus del "traghettatore" Zaccheroni aveva toccato quota 38 punti in classifica, la stessa raggiunta dalla formazione allenata da Luigi Del Neri. Nelle prime cinque giornate dell’attuale campionato, invece, Madama ha totalizzato due vittorie, due sconfitte ed un pareggio, un percorso identico a quello compiuto all’inizio di questo girone di ritorno. Non si tratta di numeri confortanti, proseguendo con un ritmo simile non andrà molto lontano. Urge un cambio di marcia, già a partire dalla prossima partita. Quella con l’Inter.

La Vecchia Signora arrivò al match contro i nerazzurri del 3 ottobre 2010 dopo la vittoria interna contro il Cagliari ed il pareggio in Inghilterra con il Manchester City nell’incontro valevole per l’Europa League. Si può dire, a posteriori, che lì nacque la Juventus di Del Neri, quella dei 18 risultati utili consecutivi che diede a molti l’illusione di poter competere ad altissimi livelli già a partire da questa stagione.

Reduce dalla sconfitta allo stadio "Olimpico" con il Palermo, nella gara contro i sardi esplose il talento di Milos Krasic: tre goals e gli applausi in tribuna di Pavel Nedved, a coronamento di una prestazione sontuosa che aiutò a mascherare le sbavature di un "cantiere" che non poteva ancora considerarsi chiuso. Matri realizzò una doppietta che non cambiò le sorti del risultato finale (terminò 4-2 per i bianconeri), ma fu importante per farsi riconoscere una volta di più da quelli che poi sarebbero diventati i suoi nuovi tifosi. Per il momento del perdono, invece, è bastato attendere sino a sabato scorso, allorquando al "Sant’Elia" la punta ha restituito al Cagliari le due reti a domicilio. L’arbitro Brighi regalò al fratello "bravo" di Felipe Melo un cartellino giallo con tanto di dedica, mentre la Juventus potè finalmente gustarsi un successo a Torino che le mancava addirittura dal 25 aprile, grazie al 3-0 inflitto al Bari nel campionato precedente.

Del Neri si disse soddisfatto della crescita della sua squadra ed ottimista per i margini di ulteriore miglioramento che faceva intravedere. La speranza era quella di "esserci a marzo per lottare con gli altri, è quello che conta".
Poi arrivò l’Epifania, che - come sostiene il popolare proverbio - "tutte le feste porta via": si ruppe Quagliarella e tornò il fratello "cattivo" del centrocampista brasiliano. Una Vecchia Signora spuntata ha dovuto attendere quasi un mese (5 febbraio) per rivedere le reti di un attaccante che potesse consentire al tecnico bianconero di affermare: "Ma alla fine conta fare gol: è dall’inizio di gennaio che ci mancava un finalizzatore. Adesso che ce l’abbiamo, tutto ha di nuovo ha un senso".

Ora ci sono le condizioni per provare a ripartire, anche se non basta riavvolgere il nastro per farlo: i punti di distacco dalla prima della classe sono passati dai tre di fine settembre agli undici attuali; sono diminuite le giornate che mancano alla conclusione del campionato; nel proprio cammino la Vecchia Signora ha già perso l’Europa League e la coppa Italia; il quarto posto verrebbe considerato oggi un buon risultato, mentre prima ci si scandalizzava al solo sentirlo nominare.

I nerazzurri prossimi avversari nel posticipo previsto nella serata di domenica, poi, saranno completamente diversi da quelli incontrati ad inizio ottobre al "Meazza": liberati dal peso di Benitez e accolto con un sorriso Leonardo, dopo aver vivacchiato a distanze siderali dalle zone alte della classifica per qualche tempo ora vedono nuovamente da vicino il Milan primo della classe, con la conseguente concreta possibilità di puntare allo scudetto. Per un Milito che si mangiava quei goals che l’anno precedente segnava ad occhi chiusi c’è adesso Pazzini, pronto a sostituirlo per tutte quelle partite che l’argentino dovrà saltare a causa dell’infortunio patito al bicipite femorale sinistro. Eto’o continua a caricarsi il peso dell’attacco sulle proprie spalle nel contesto di una squadra diventata ora più "italiana" (anche) grazie all’arrivo di Ranocchia ed alla prima convocazione in maglia azzurra di Thiago Motta. Mancherà Chivu, vittima nella gara di andata delle scorribande di Krasic e nel prosieguo della stagione di quel momento di follia che lo ha portato a colpire con un pugno Marco Rossi, prendendosi così una meritata squalifica.

Ma anche la Juventus, dal canto suo, non sarà la stessa, visto che si è già dimostrata capace di abbandonare quel 4-4-2 che sembrava fosse scolpito nel suo animo. Chiellini è tornato sulla fascia nella quale era cresciuto come calciatore, laddove - tra non molto - tornerà a disposizione anche De Ceglie, per una difesa che sembra essersi effettivamente rinforzata con l’arrivo di Barzagli. Il parco attaccanti dell’Inter, oltretutto, sarà la classica prova del nove per verificare eventuali miglioramenti del reparto difensivo. Il centrocampo così come è stato ridisegnato da Del Neri sembra calzare a pennello per Claudio Marchisio, non a caso diventato goleador nelle ultime tre gare (due reti realizzate tra Palermo e Udinese). Ora la speranza è quella di averlo disponibile per la partita di domenica.

Grazie alla vittoria di Cagliari l’ambiente bianconero ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Ma ci sono ancora da scacciare i fantasmi di un ulteriore fallimento, affidandosi (anche) all’istinto di Matri, il nuovo goleador di Madama. Per evitarlo è necessario un cambio di marcia, da subito, già a partire dalla prossima gara. Quella contro l’Inter. Non un’avversaria qualsiasi. E non soltanto per quanto è capitato dopo il 2006, ma anche per quello successo negli anni precedenti.
In occasione del 5 maggio 2002, per esempio. Una data che solo a sentirla pronunciare qualcuno avverte un profondo dispiacere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 9 novembre 2010

La vittoria a Brescia per 4-0 e il 5 maggio 2002

"Sei punti di ritardo dal primo posto non sono troppi, possono essere recuperati in quattro o cinque partite".
Si espresse in questi termini, Marcello Lippi, il 23 dicembre del 2001, dopo aver espugnato con la sua Juventus il "Mario Rigamonti" di Brescia sconfiggendo le “rondinelle” allenate da Carlo Mazzone con un rotondo 4-0.
I bianconeri erano finalmente riusciti ad interrompere un digiuno di vittorie lontano dal "Delle Alpi" che durava da più di tre mesi, dopo l’ultimo successo esterno ottenuto a Bergamo contro l'Atalanta di Vavassori per 2-0 (9 settembre) alla seconda giornata del campionato 2001-02.

Con la cessione di Zidane (al Real Madrid) e Filippo Inzaghi (al Milan), gli arrivi di Buffon, Thuram, Nedved, Salas e il ritorno dell'allenatore toscano sulla panchina juventina (dopo il precedente addio del febbraio del 1999), in estate la Vecchia Signora aveva deciso di cambiare abito: dal 4-3-1-2 indossato nell’anno appena concluso al ritorno al classico 4-4-2, per una squadra più muscolare ma (inevitabilmente) dotata di minor tecnica rispetto alla precedente.

I primi mesi del campionato avevano - però - messo in mostra una pericolosa mancanza di imprevedibilità e coesione in un gruppo nuovo, vittima e carnefice al tempo stesso dei suoi continui alti e bassi, di occasioni sprecate (memorabile il derby pareggiato 3-3 dopo aver dilapidato il vantaggio di tre lunghezze), di vittorie che regalavano momentanee illusioni di un cammino meno tortuoso da percorrere sino all’obiettivo dichiarato dello scudetto.

La società sembrava intenzionata ad intervenire con correttivi di valore già nella sessione invernale del calciomercato, e la smentita di Luciano Moggi in tal senso (“per Natale non ci saranno Doni”, in riferimento all’interesse per il centrocampista allora in forza all’Atalanta) lasciava invece presagire una precisa volontà della dirigenza di rinforzare ulteriormente la rosa, andando a colmare le lacune che il campo aveva mostrato.

Poi scoccò, proprio nella gara di Brescia, quella scintilla che diede vita ad un cambio di marcia repentino, uno di quei segnali che – se colti al volo in tutta la loro essenza – sono in grado di moltiplicare le forze di chi cerca di uscire da una situazione delicata.

La temporanea assenza di Zambrotta, all’epoca ancora utilizzato come laterale destro di centrocampo, permise a Lippi di schierare Tacchinardi al centro della linea mediana, protetto ai lati da Edgar Davids (a sinistra) e Antonio Conte (nella corsia opposta), con l’avanzamento di Pavel Nedved dietro le due punte, libero di svariare e pungere le difese avversarie. Di fatto si era tornati dal 4-4-2 a quel 4-3-1-2 abbandonato pochi mesi prima, con la sostanziale differenza nell’interpretazione nel ruolo del trequartista, derivante – ovviamente – dalle diverse caratteristiche degli interpreti (Zidane prima, Nedved dopo).

Sdoganato dalla fascia sinistra, il biondo ceco iniziò a furoreggiare in lungo e in largo per tutto il rettangolo di gioco, trovando finalmente un ruolo, idoneo alle sue caratteristiche, che gli consentisse di esprimere tutto il suo potenziale. E se il Brescia nella prima mezz’ora dell’incontro mise in difficoltà la Vecchia Signora con tre conclusioni di Tare, il suo attaccante di origini albanesi, da quel momento in poi i centrocampisti bianconeri suonarono la carica, impadronendosi del gioco e conducendo la squadra di Marcello Lippi alla vittoria finale.

La prima rete bianconera fu di marca francese: cross di Thuram, schierato come difensore esterno destro, e testata vincente di Trezeguet. In occasione della seconda, realizzata da Del Piero, ci furono numerose proteste legate alla valutazione di una possibile posizione di fuorigioco del capitano bianconero nell’azione incriminata: l’arbitro De Santis la valutò passiva all’inizio, e regolare dopo che Trezeguet - ancora lui - gli servì un pallone invitante che andava soltanto spinto nella direzione della porta avversaria. Le nuove norme della FIFA, in merito, erano chiare, e il direttore di gara si limitò ad applicarle correttamente: la rete era da considerarsi valida. Ciro Ferrara (su angolo di Nedved) e Edgar Davids (direttamente su punizione) realizzarono le ultime due marcature dell’incontro. Privo delle stelle Roberto Baggio e Josep Guardiola, il Brescia dovette arrendersi al risultato e all’evidenza della netta superiorità mostrata dai bianconeri.

Nei successivi undici incontri di campionato la squadra allenata da Marcello Lippi spiccò il volo, totalizzando la bellezza di otto vittorie e tre pareggi. Il crollo a Parma a sette gare dalla fine del torneo (24 marzo 2002) non pregiudicò il successo finale della Vecchia Signora, in un torneo avvincente che si concluse soltanto all’ultima partita, disputata il 5 maggio del 2002. Come andò a finire è storia nota: il campo premiò la squadra che – alla fine della manifestazione – aveva il miglior attacco e la difesa meno perforata, in una domenica indimenticabile per il mondo bianconero.

Né Juve, né Roma, Inter Campione”, recitava lo striscione che campeggiava nella curva nord dello stadio "Olimpico" di Roma, per l’occasione tinto di nerazzurro. Doveva essere la festa dello scudetto dell’Inter, divenne il ventiseiesimo tricolore a finire nelle mani della Vecchia Signora del calcio italiano, con la squadra allenata da Hector Cuper che – perdendo quella gara - arrivò addirittura terza dietro la Roma (vittoriosa a Torino contro i granata).
Il campo aveva deciso così: lui è sincero, non mente mai. Soprattutto nei confronti di chi è innamorato delle vittorie a tavolino.

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