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domenica 13 marzo 2011

Marotta, non ci parli delle indicazioni positive...

Ad essere sinceri non si può non dire che i segnali per un’altra serata negativa per la Vecchia Signora non ci fossero tutti. Un esempio preso a caso? Gli ultras del Cesena che, prima dell’incontro del "Dino Manuzzi", hanno esposto uno striscione beneaugurante durante l’ultimo allenamento dei padroni di casa con la scritta: "La strada è quella giusta: asfaltiamoli". Ecco il segno dei tempi andati: una volta la preghiere erano rivolte a chi fosse in grado di fermare quelle furie bianconere di Torino perché non impallinassero la provinciale di turno; adesso c’è la forte convinzione in loro di riuscire non soltanto a batterle, ma di stravincere. E se Giaccherini non avesse graziato un grande Buffon (oltre a quanto farà poi "l’ottimo" Bergonzi) sbagliando un goal ormai fatto, la partita avrebbe potuto prendere una piega diversa, magari in una direzione non troppo lontana da quella indicata nel messaggio scritto dai sostenitori romagnoli.

Per dirla alla Del Neri, la gara di ieri sera doveva essere la prima delle "dieci finali da non fallire, per sperare nel traguardo oggi massimo, per chiudere con dignità". D’altronde, sempre per sua ammissione, il "gruppo ha reagito bene in settimana, l’ho visto peggio dopo la sconfitta di Lecce". Questa è la teoria del "bicchiere mezzo pieno", di quel refrain che da inizio anno calcistico viene ripetuto alla conclusione di ogni incontro di Madama. Chiedere di portare pazienza ad un tifoso juventino dopo tutto quello che ha dovuto patire dal 2006 ad oggi è un compito arduo; viceversa, per chi è costretto a dover sentir parlare in continuazione di "progetti", "rivoluzioni", "evoluzioni", "transizioni" e poi scoprire amaramente che nella Torino bianconera sono tutti sinonimi della parola "fallimento", adesso la misura è davvero colma.

C’è modo e modo di vincere, di perdere, ma anche di affrontare le gare ed analizzarle nei momenti immediatamente successivi. Non si può limitare il resoconto di una partita negativa restringendolo al concetto "in campo ci sono anche gli avversari": è sconfiggendo tutti quelli che ha trovato sulla strada nel corso della propria storia ultracentenaria che la Juventus ha costruito negli anni la sua leggenda.

In un contesto diverso, in un campionato vissuto e combattuto nelle zone più nobili della classifica, un pareggio come quello ottenuto al "Dino Manuzzi" ci poteva anche stare. Ma non ora, in una situazione così disastrosa, con una squadra reduce da tre sconfitte consecutive che non segnava reti da più di 330 minuti prima dell’incontro col Cesena, capace di peggiorare il disastro combinato nel campionato passato (ad oggi ha accumulato tre punti in meno a parità di incontri disputati) e ormai lanciata verso tutti i record negativi accumulati nella stagione 1961-62, allorquando la Vecchia Signora riuscì a perdere tutte le ultime sette gare della stagione.

Una Juventus costruita attraverso una programmazione estiva "incompleta", nella quale sono state gettate le basi per la creazione di uno "zoccolo duro", rileggendo i concetti ribaditi recentemente da Giuseppe Marotta, suo amministratore delegato. Lo spirito da imitare, nel percorso di un campionato che si sapeva sarebbe stato difficile, era quello della Juventus "trapattoniana" degli anni settanta, una formazione "made in Italy" capace di vincere sia nel nostro paese che in Europa. Gente che non mollava mai, che univa la classe alla grinta.
Se venisse posta la domanda a qualche campione di quella squadra sulle difficoltà che può incontrare un giocatore bianconero in preda ad un "blocco psicologico", probabilmente risponderebbero soltanto per un mero fatto di educazione.
I vari Furino, Benetti e Tardelli sul campo non avevano il tempo di pensare a queste cose.

"La Champions League? Vediamo cosa succede. Ci sono ancora trenta punti in palio e una serie di scontri diretti sparsi qua e là". Così Del Neri nella conferenza stampa dell’immediata vigilia dell’incontro pareggiato a Cesena. E’ lecito domandarsi se la risposta fosse connessa realmente a quella domanda oppure a quali "scontri diretti" si riferisse il tecnico di Aquileia.
Anche perché è fin troppo facile stilare un resoconto del comportamento della sua formazione in questo 2011: ha perso sette partite sulle undici disputate prima di Cesena (vincendone soltanto tre); nel periodo considerato è stata umiliata da Parma, Bologna, Udinese, Napoli e Lecce; si è potuta aggrappare all’arbitraggio di Morganti per giustificare la disfatta col Palermo al "Renzo Barbera" (a conti fatti immeritata); ha perso un incontro casalingo contro un Milan non certo irresistibile grazie ad una "ciofeca" di Gattuso (che non segnava da tre anni), "accompagnata" in porta da Buffon, senza che l’altro portiere in campo (Abbiati) avesse dovuto compiere un intervento solo in 90 minuti di gioco.

"Di solito parlo dopo le sconfitte, ma questo pareggio ci lascia indicazioni positive". Con queste parole è intervenuto Marotta al termine della gara di ieri sera.
Il pareggio ottenuto al "Dino Manuzzi", per i motivi sopracitati e per l’andamento della partita (la Juventus si trovava in vantaggio di due reti), in realtà equivale ad una sconfitta. Quindi, i motivi del suo intervento sono più che giustificabili, se quella è la linea scelta dalla società.
Per ciò che concerne le "indicazioni positive", la speranza è che non vengano mai rese note ai sostenitori juventini.
Sarebbe davvero troppo…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 9 settembre 2010

La Juve tra vecchi progetti e nuovi rinnovamenti

"Abbiamo riportato nei tempi previsti la squadra alla massima competitività, nazionale e internazionale. In questi ultimi anni solo un'altra squadra ha fatto meglio di noi, ma con una logica economica diversa".
Era il 14 febbraio 2010, il giorno dedicato agli innamorati, quando Jean Claude Blanc pronunciò queste parole.

A (ri)leggerle ora, a distanza di mesi, verrebbe da pensare ad una Juventus finalmente alla conclusione di quel percorso di rinascita iniziato dalle ceneri del terremoto del 2006.
Invece si stava parlando di una squadra eliminata di fatto dalla Champions League, retrocessa nell’Europa League dove avrebbe ancora dovuto giocare l’andata dei sedicesimi di finale contro l’Ajax e che era riuscita ad ottenere 8 punti nelle ultime quattro giornate in serie A, dopo la recente vittoria in casa del Bologna (tanta roba, visto quello che sarebbe accaduto da quel momento in avanti).

Ciro Ferrara era stato esonerato da pochi giorni, nonostante le dichiarazioni dello stesso Blanc del 1° dicembre 2009 dopo la sconfitta esterna a Cagliari ("Ferrara non rischia nulla, sta lavorando bene e ha tutta la nostra fiducia. L'esito delle due prossime partite non cambierà nulla, andiamo avanti con il nostro progetto. Ciro ha grandi capacità ed è un gran lavoratore, ha con lui uno staff di qualità").

Al termine dello scorso campionato altre cinque squadre, assieme all’Inter, fecero meglio della Juventus.

Ci voleva pazienza, per vedere finalmente compiuta l’idea di calcio (in)sostenibile del francese.
La stessa parola usata più volte da Claudio Ranieri ai tempi della sua permanenza in bianconero. Come, ad esempio, nella dichiarazione che rilasciò in occasione del pareggio (0-0) ottenuto a Genova contro la Sampdoria nell’anticipo della 5° giornata del campionato 2008-09: "Ma se raccontassi che siamo venuti a Genova senza pensare ai tre punti non direi la verità. È andata male, pazienza, sorrideremo un'altra volta". Nella partita diventata famosa per altre affermazioni: "Non ho messo Giovinco perché avevo paura della spinta offensiva di Pieri".

Oppure in quelle pronunciate dallo stesso allenatore dopo la sconfitta interna contro la Lazio in coppa Italia, nel corso di quella stagione. Una disfatta che determinò l’uscita dei bianconeri dalla competizione: "Volevamo andare in finale, non ci siamo riusciti,...Pazienza". A cui seguirono altre frasi diventate (anch’esse) celebri: "I nostri tifosi sono il nostro popolo e il popolo è sovrano".

Non si possono imputare al nuovo Presidente Andrea Agnelli e alla sua dirigenza (tutta meno uno…) gli errori del recente passato bianconero. Su quelli, e "con" quelli, hanno dovuto lavorare in questi primi mesi. Si attendeva il termine del calciomercato estivo per stilare un bilancio dell’operato in quella sede: oltre all’unanime delusione per il mancato arrivo di (almeno) un campione sotto la Mole, la tifoseria si è "divisa" tra pessimisti, ottimisti e realisti. Consci, in larghissima maggioranza, che lo scudetto, per quest’anno, è "roba d’altri".

E’ sparita, o quasi, la parola "progetto", sostituita dal termine "rinnovamento". Che, come dice Giuseppe Marotta, "è un processo più lento rispetto a una rivoluzione". L’unico ritornello, che non cambia, è che "ci vuole pazienza".
Quella che viene chiesta ai tifosi, nuovamente. E che, ad oggi, hanno avuto in dosi massicce.

Al ritorno in serie A (dopo l’inferno della B), si decise di puntare su un centrocampo guidato da Tiago e Almiron (per finire con Cristiano Zanetti e Sissoko). Se sul portoghese non vale la pena dilungarsi, sull’argentino è giusto ricordare le sue prime parole pronunciate a Torino ("Forse non sono ancora pienamente maturo per una squadra come la Juve") per capire la differenza tra "indossare" la maglia della Juventus e "portarla": sono due cose diverse.

Nonostante gli errori della campagna acquisti, alla fine la Vecchia Signora si classificò al terzo posto. Accettato di buon grado, in larga parte, perché i tifosi avevano capito le difficoltà nelle quali si trovava ad operare la (precedente) società. La scorsa estate, invece, nel tentativo di migliorare e rendere competitiva la squadra, si finì col distruggere tutto. La gestione degli eventi in corso d’opera, poi, fecero venire alla luce le debolezze interne della dirigenza. Ma quello è un altro discorso.

Si può sbagliare, e il campo dirà - come al solito, come sempre - la verità, ma l’impressione è quella di essere tornati di nuovo "all’anno zero", più o meno come accadde nei momenti successivi al ritorno in serie A. Con qualche campione in meno e con una Vecchia Signora più simile ad una Signorina ai primi passi in attesa di diventare grande, verso la quale i tifosi devono portare pazienza. E infinito amore. Quello che non è mai mancato: l'ennesima riprova la si può avere guardando come si sta iniziando a riempire lo stadio Olimpico per la prossima gara interna con la Sampdoria di domenica.

Lo si è capito: ci vuole pazienza. Ormai si può anche smettere di dirlo. Adesso spazio alle partite, alle sette gare in poco meno di un mese. E che siano i fatti a parlare, d’ora in poi.

Ha detto bene due giorni fa David Trezeguet, uno che a Torino sarà sempre di casa: "Nel calcio il passato è importante. Nella Juve è quasi tutto".
Il problema è che, ancora, non si trova un collegamento tra tutto quello che c’era nel 2006 e la realtà odierna. Fatta eccezione per qualche giocatore.
Ma è ancora poco. Troppo poco.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Comunicazione (per gli amici): nella giornata di domani, per motivi personali, non sarò reperibile. Tornerò online sabato (sera). A presto

mercoledì 10 febbraio 2010

Quando l'obiettivo diventa vincere una partita…


Per una squadra che non vince (quasi) più, non ci possono essere altri pensieri se non quelli di ragionare partita dopo partita, nella speranza di smuovere la classifica con una vittoria. Non limitandosi, nonostante la soddisfazione della società (complimenti per il commento post Livorno-Juventus nel sito), soltanto a qualche pareggio.
Il ridimensionamento c’è stato, le cause sono sotto gli occhi di tutti. Elencare gli aspetti che non funzionano vorrebbe dire girare il coltello nella piaga. Per l’ennesima volta. Anche se, ormai, non provoca neanche più dolore: ci si è abituati alla rabbia; il "non gioco" finisce con l’evitare che nascano illusioni; il confronto con il passato provoca sconforto.
L’importante è che non si sconfini nella rassegnazione.

Quella che si sta avvicinando pericolosa, ma che va allontanata con forza: è il nemico peggiore, quello che non si sconfigge. Ti spezza il morale e ti taglia le gambe. Anche a chi ha vinto mondiali o palloni d’oro. Certo, ci sono persone che non hanno bisogno di obiettivi per essere stimolati: basti pensare all’impegno che Nedved mise nell’incontro a Bari contro il Martina, nel 1° turno eliminatorio della Coppa Italia nell’agosto del 2006, poco dopo il terremoto scoppiato con Calciopoli. Allenamento, amichevole, gara di campionato o di Champions League: per lui non faceva differenza alcuna. Ma di calciatori di quel calibro ne nascono uno ogni chissà quanto: basterebbero anche un po’ di Torricelli o Di Livio.

Sfumati gli obiettivi prestigiosi, stanno volando via leggeri anche tutti quelli al loro seguito. I giocatori avvertono la sfiducia, cercano di rimediare con una "partita perfetta", quella della svolta. Quella che, con uno stato d’animo simile, difficilmente adesso arriverà. Quando guardi l’orizzonte e pensi di essere in grado di raggiungere l’irraggiungibile, diventa difficile accettare di non riuscire ad ottenere più nulla. In quei momenti anche una sola e semplice vittoria diventa una montagna difficile, se non impossibile, da scalare.

Allora si tratta di trovare l’umiltà per ammettere i propri limiti, di personalità prima ancora che di natura tecnica o atletica, anche verso se stessi. E di ripartire dalle cose più elementari: un passaggio ad un compagno; riuscire ad arrivare per primo sulla palla rispetto all’avversario; correre per 90 minuti senza avvertire la fatica che (anche) lo stress contribuisce ad aumentare. Soltanto dopo i muscoli iniziano a sciogliersi, i movimenti diventano più elastici, naturali. La testa torna ad essere libera da pensieri e condizionamenti. Ed accetta anche un errore commesso con meno ansia, riuscendo ad estraniarsi dalla critiche. Comprese quelle provenienti dagli spalti.

La maglietta torna ad essere un’armatura, l’avversario un contendente, il campo un’arena. La vittoria come unico obiettivo. Raggiungibile. Perché a chi non è (quasi) più in grado di vincere, non si può chiedere di più. E’ dura da accettare, ma ora è così.

La Juventus tornerà ad essere la Vecchia Signora. Non con queste persone che la stanno distruggendo. Ci vorrà tempo, quantificarlo non è possibile. Ma se la serie B sembrava dovesse essere il punto di partenza per una nuova strada, in realtà ha rappresentato la terz’ultima tappa verso l’inferno. Quello che si sta vivendo in questi giorni. C’è da tenere duro e sostenerla in questa infausta stagione, come e quanto è sempre stato fatto. Se non di più. Ma soltanto quando i giocatori verranno scelti da persone competenti, utilizzando come criteri la classe, la personalità e (solo dopo) l’aspetto economico, allora si potrà tornare a vincere. Non soltanto una partita.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com