Il Sudafrica balla sul goal di Tshabalala, quello del momentaneo vantaggio nella gara contro il Messico, allontanando per qualche ora i problemi di una nazione che (anche) attraverso lo sport cerca di riunire le sue diverse anime.
Quel pallone che ha creato tante polemiche, lo "Jabulani", indirizzato verso il sette dell’estremo difensore messicano, dava la sensazione di essere spinto da una mano invisibile, quasi a voler premiare un popolo che segue con passione sincera il primo campionato del mondo disputato in terra africana. Il successivo pareggio di Marquez ha riportato tutti con i piedi per terra: questo è il calcio, i miracoli esistono, ma il cuore non basta. Serve, ma non è decisivo.
Partirà, lunedì, anche il mondiale dell’Italia campione in carica. Anche lei ha più di un’anima: quella della giustizia e quella del giustizialismo; quella dei (veri) colpevoli e quella dei capri espiatori; quella di chi si allontana dalla (propria) nazionale prima ancora che metta il piede in campo, ammettendo candidamente che dei mondiali azzurri "non gliene frega niente", salvo poi ritrattare tutto quando i risultati (e l’entusiasmo) danno loro torto.
E’ la nazione di un popolo maestro nello sparare a zero contro tutto e tutti, seguendo il "sentimento popolare". Un popolo fatto - anche - di persone sempre pronte a polemizzare, quasi a volersi mostrare, agli occhi del vicino, "diverso": in politica come nell’ultimo dei "bar sport". Sono i primi a salire sul carro dei vincitori o sulle Api strapiene di tifosi che inondano le città festose per un mondiale appena vinto. Sono quelli che si coprono il volto facendosi avvolgere dalle bandiere tricolori, le cui parole - però - "rimangono". Soprattutto se scritte o dichiarate di fronte ad una telecamera. Nonostante i tentativi, nel corso del tempo, di modificarle o - addirittura - negarle.
E’ l’Italia che aveva necessità urgente di procurarsi un nuovo tecnico, per il dopo-mondiale, il prima possibile: non solo perché la Fiorentina si sarebbe dovuta cautelare con un sostituto, ma soprattutto per spegnere sul nascere focolai polemici che impazzivano ovunque. E’ una nazionale senza un "Totti", un "Del Piero" o un "Roberto Baggio", sfavorita d’obbligo perché campione in carica e tecnicamente diversi gradini sotto i vari Brasile, Argentina, Inghilterra e Spagna.
E’ la nazionale di un C.T. antipatico, Marcello Lippi, perché vincente e juventino nell’anima. Troppo schietto, duro e diretto? Lo è anche Fabio Capello, le cui vittorie bianconere sono state insabbiate in un cd di intercettazioni "irrilevanti". Quelle milaniste, ormai, pur se entrate nella leggenda sono datate nel tempo. E’ bastato se ne andasse all’estero, per diventare simpatico ed essere rimpianto.
Siamo diventati l’Italia dei "Zoff, Gentile e Cabrini" e dei "Buffon, Zambrotta, Cannavaro" solo dopo cataclismi sportivi: dai primi silenzi stampa del mundial spagnolo alla Farsa montata e smontata in pochi giorni in quello tedesco. E’ maturata la convinzione che senza tensioni non si riesce a vincere: solo questo spiega la ricerca ossessiva di un qualcosa cui attaccarsi (e da attaccare) per creare un contesto simile a quelli (passati) vincenti.
E’ nel DNA dell’italiano medio quello di dare il meglio di sé soltanto nelle situazioni peggiori.
Riuscendo a compiere, a volte, veri e propri miracoli. Non solo sportivi.
Abbiamo una nazionale dove il talento non abbonda: si guardano con speranza le delicate fibre muscolari di Camoranesi perché è uno dei pochi che può dare quel pizzico di imprevedibilità in più per sorprendere gli avversari e vivacizzare un gioco che - in caso contrario - dovrebbe sopravvivere della corsa del nuovo bianconero Pepe e di un centrocampo dove, complice l’infortunio di Pirlo, Lippi sta rimescolando le carte nella speranza di trovare il giusto equilibrio tra difesa e offesa.
C’è ancora tanta Juve, in questa squadra. Tra presente, passato, futuro (prossimo) e panchina.
Perché - "piaccia o non piaccia" - quando l’Italia vince, sotto l’azzurro c’è parecchio bianconero. In finale a Berlino ce n’erano tanti, da una parte e dall’altra (Francia).
Ma non è per questo che l’Italia va amata e tifata.
Sarà dura ripetersi, praticamente impossibile. Nel caso, ci sarà ancora più gusto vedere qualcuno provare a salire sul carro (o sulle Api) dei vincitori, guardarlo dritto negli occhi e invitarlo a scendere.
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Quel pallone che ha creato tante polemiche, lo "Jabulani", indirizzato verso il sette dell’estremo difensore messicano, dava la sensazione di essere spinto da una mano invisibile, quasi a voler premiare un popolo che segue con passione sincera il primo campionato del mondo disputato in terra africana. Il successivo pareggio di Marquez ha riportato tutti con i piedi per terra: questo è il calcio, i miracoli esistono, ma il cuore non basta. Serve, ma non è decisivo.
Partirà, lunedì, anche il mondiale dell’Italia campione in carica. Anche lei ha più di un’anima: quella della giustizia e quella del giustizialismo; quella dei (veri) colpevoli e quella dei capri espiatori; quella di chi si allontana dalla (propria) nazionale prima ancora che metta il piede in campo, ammettendo candidamente che dei mondiali azzurri "non gliene frega niente", salvo poi ritrattare tutto quando i risultati (e l’entusiasmo) danno loro torto.
E’ la nazione di un popolo maestro nello sparare a zero contro tutto e tutti, seguendo il "sentimento popolare". Un popolo fatto - anche - di persone sempre pronte a polemizzare, quasi a volersi mostrare, agli occhi del vicino, "diverso": in politica come nell’ultimo dei "bar sport". Sono i primi a salire sul carro dei vincitori o sulle Api strapiene di tifosi che inondano le città festose per un mondiale appena vinto. Sono quelli che si coprono il volto facendosi avvolgere dalle bandiere tricolori, le cui parole - però - "rimangono". Soprattutto se scritte o dichiarate di fronte ad una telecamera. Nonostante i tentativi, nel corso del tempo, di modificarle o - addirittura - negarle.
E’ l’Italia che aveva necessità urgente di procurarsi un nuovo tecnico, per il dopo-mondiale, il prima possibile: non solo perché la Fiorentina si sarebbe dovuta cautelare con un sostituto, ma soprattutto per spegnere sul nascere focolai polemici che impazzivano ovunque. E’ una nazionale senza un "Totti", un "Del Piero" o un "Roberto Baggio", sfavorita d’obbligo perché campione in carica e tecnicamente diversi gradini sotto i vari Brasile, Argentina, Inghilterra e Spagna.
E’ la nazionale di un C.T. antipatico, Marcello Lippi, perché vincente e juventino nell’anima. Troppo schietto, duro e diretto? Lo è anche Fabio Capello, le cui vittorie bianconere sono state insabbiate in un cd di intercettazioni "irrilevanti". Quelle milaniste, ormai, pur se entrate nella leggenda sono datate nel tempo. E’ bastato se ne andasse all’estero, per diventare simpatico ed essere rimpianto.
Siamo diventati l’Italia dei "Zoff, Gentile e Cabrini" e dei "Buffon, Zambrotta, Cannavaro" solo dopo cataclismi sportivi: dai primi silenzi stampa del mundial spagnolo alla Farsa montata e smontata in pochi giorni in quello tedesco. E’ maturata la convinzione che senza tensioni non si riesce a vincere: solo questo spiega la ricerca ossessiva di un qualcosa cui attaccarsi (e da attaccare) per creare un contesto simile a quelli (passati) vincenti.
E’ nel DNA dell’italiano medio quello di dare il meglio di sé soltanto nelle situazioni peggiori.
Riuscendo a compiere, a volte, veri e propri miracoli. Non solo sportivi.
Abbiamo una nazionale dove il talento non abbonda: si guardano con speranza le delicate fibre muscolari di Camoranesi perché è uno dei pochi che può dare quel pizzico di imprevedibilità in più per sorprendere gli avversari e vivacizzare un gioco che - in caso contrario - dovrebbe sopravvivere della corsa del nuovo bianconero Pepe e di un centrocampo dove, complice l’infortunio di Pirlo, Lippi sta rimescolando le carte nella speranza di trovare il giusto equilibrio tra difesa e offesa.
C’è ancora tanta Juve, in questa squadra. Tra presente, passato, futuro (prossimo) e panchina.
Perché - "piaccia o non piaccia" - quando l’Italia vince, sotto l’azzurro c’è parecchio bianconero. In finale a Berlino ce n’erano tanti, da una parte e dall’altra (Francia).
Ma non è per questo che l’Italia va amata e tifata.
Sarà dura ripetersi, praticamente impossibile. Nel caso, ci sarà ancora più gusto vedere qualcuno provare a salire sul carro (o sulle Api) dei vincitori, guardarlo dritto negli occhi e invitarlo a scendere.
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10 commenti:
Bei momenti! In Sudafrica non ne vedremo ...ma! Si sà mai! La palla è rotonda e schizza veloce. Quindi senza DP e Molinatro... Qualcosina, magari , succederà. GUTTURNIO! (Che c'entra un cazzo con GATTUSO) ho avuto il piacere e l'onore di averlo incontrato ed apprezzato. :)
“Chi combatte può perdere. Chi non lotta ha già perso”.
Concordo con te, caro darmax99: è dura. Molto. Ci proveremo.
Senza Molina(t)ro e (il “tuo”) Del Piero ;-)
Buono il Gutturnio, eh? :-)
Tra poco scendo dai miei: mi aspetta…
Un abbraccio a e a presto!
Grazie per la visita
Bellissimo. Bellissimo articolo. La frase nel tuo precedente commento è poi stupenda. Sull'Italia beh, la storia insegna che le vittorie azzurre dipendono da quelle bianconere. Ergo, quest'anno non riusciremo a rivincere. Ma guarda, spero avvenga solo per ribadire e gustarmi la tua frase finale.
Ti ringrazio di cuore per le tue parole.
Stasera sono di corsa: nel blog ho già letto tutti i tuoi ultimi articoli. Domattina arriveranno anche i commenti ;-)
Un abbraccio e a prestissimo!
Ai mondiali mi esalto. Sempre.
Anche se talvolta mi incavolo con qualcuno dei nostri mentre fa il coglione durante l'Inno di Mameli.
Divento, quindi, un dei circa sessantamilioni di Commissari Tecnici della Nazionale.
Ma ciò che mi esalta è Lo Sport, che vedo più limpido in tale competizione.
Una volta tanto non assisto a partite della legione straniera, ma a quelle di squadre costituite da gente della medesima etnia, razza, credo religioso e chissà quant'altro.
Solo il vedere i Sudafricani entrare in campo, o il loro modo pittoresco di festeggiare il goal, ad esempio, mi ha strappato un grande sorriso.
Il mio è solo un personalissimo punto di punto di vista.
Ora, un poco in ritardo, la tavola è imbandita... ed il Gutturnio mi attende...
Confermo quanto scritto dal "senior" qui sopra ;-)
Invidio il rapporto che intercorre tra "Senior" e "Junior". Ho tentato anch'io d'averlo col mio "Junior"...non è riuscito alla grande. Non è neanche tragico..ma mi aspettavo di più! Ovviamente la/le colpe dipendono , probabilmente, anche da me. La vita è un rebus! Tutto è opinabile, incerto, quasi impossibile conoscere il perchè le cose non vadano nel modo auspicato. L'unica certezza è: l'Inter è una società di farabutti! :)
E' un classico, prima del mondiale va di moda dire che "io tifo contro". poi quelli che dicono così sono sempre i primi a festeggiare...
@darmax99: sulla tua certezza, non ho dubbi anch’io ;-)
Sull’altra considerazione, “Junior” ti ringrazia di cuore.
Qui dalla mia postazione, quello che posso dire è che da subito – dietro i tuoi commenti che leggevo (e leggo) su “Juvenews.net” – mi ero accorto di aver trovato una persona di “spessore”.
A volte fermarsi alla prima “stazione” e poi dare un giudizio troppo affrettato su chi hai conosciuto, porta a fare errori.
Con te, quello, io non l’ho fatto.
Mi sono accorto, col tempo, di non essere stato l’unico.
@JUVE 90: per non parlare di chi è maestro nello sbagliare pronostici.
Salvo poi modificarli, in corso d’opera.
E ritrattarli completamente, alla fine del “giro”…
Un abbraccio a tutt’e due!
Una volta tanto concordo con Junior: Darmax è una persona di spessore, già me ne ero accorto nonostante un apparente atteggiamento caustico e dissacratorio.
Tutti, poi, abbiamo alcuni difetti più o meno evidenti, che talvolta sfociano in una qualche incomprensione. Il tempo riesce spesso ad aggiustare le cose.
Solo su una cosa non sono affatto d'accordo.
L'Inter non è una società di farabutti.
E'una società di onesti.
Ahahahahhahahah!!!!!!!!!
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