mercoledì 26 settembre 2012

Ilunga Mwepu e il calcio alla paura nel mondiale del 1974


Ilunga Mwepu, chi era costui? Per molti appassionati di calcio è realmente difficile ricordarlo. Diventa più semplice farlo citando un episodio che lo ha visto protagonista nel corso dei mondiali disputati nell'allora Germania Ovest nel 1974. Accadde al "Parkstadion" di Gelsenkirchen, il 22 giugno: a pochi minuti dalla conclusione dell'incontro tra il Brasile e lo Zaire (l'odierna Repubblica Democratica del Congo), con i verdeoro in vantaggio per tre reti a zero, l'arbitro Nicolae Rainea aveva decretato un calcio di punizione a favore della squadra guidata da Mário Zagallo.

Al fischio del direttore di gara Mwepu, piazzato in barriera insieme ai propri compagni, improvvisamente era scattato verso il pallone per poi calciarlo con violenza lontano dal punto in cui era stato posizionato, anticipando così le intenzioni di Rivelino. Il quale era rimasto incredulo di fronte a quanto aveva appena visto, al pari di tutte le persone presenti allo stadio in quel momento. In mezzo all'ilarità generale Rainea non aveva potuto far altro che estrarre il cartellino giallo per ammonire il numero due della formazione africana. Nonostante ciò, l'atteggiamento assunto dal difensore era sembrato essere quello di chi non capiva di averla combinata grossa.

Le immagini di quel gesto fecero il giro del mondo, Mwepu era diventato il simbolo di un calcio africano che faceva ancora fatica ad emergere e che nel contempo si era reso ridicolo per colpa di una maledetta punizione. In pochi, però, si erano posti una domanda elementare: ma come era possibile che un elemento della nazionale dello Zaire non conoscesse una tra le più elementari regole del gioco del calcio?

In fondo erano stati proprio i "Leopardi" a conquistare la Coppa d'Africa qualche mese prima dell'inizio dei mondiali tedeschi, mentre lo stesso terzino militava nel TP Englebert (l'attuale TP Mazembe, avversaria dell'Inter nella finale del Mondiale per club 2010), una delle squadre più forti dell'intero continente. No, dietro quell'attimo di follia c'era dell'altro, come ebbe modo di confessare molti anni dopo Mwepu alla “BBC”.

Nello Zaire spadroneggiava Joseph-Désiré Mobutu, al timone del paese dal 1965 nelle vesti di presidente, in realtà fautore di una dittatura che vedeva nello sport l'ideale strumento di propaganda del regime. A riprova di questo basti pensare a ‘Rumble in the jungle’, l'epica sfida per la corona mondiale dei pesi massimi fra George Foreman e Muhammad Alì che si sarebbe poi disputata a Kinshasa il successivo 30 ottobre 1974. Una volta conquistato il biglietto di qualificazione al mondiale, quindi, per stimolare maggiormente i giocatori Mobutu aveva promesso loro premi sostanziosi. L'importante era non fare brutte figure.

Il sorteggio dei gruppi della prima fase del torneo aveva riservato allo Zaire tre avversarie di tutto rispetto: Scozia, Jugoslavia e - appunto - Brasile. Con gli scozzesi era arrivata una sconfitta per 2-0 (Lorimer e Jordan, futuro milanista, i marcatori). Il dramma si sarebbe materializzato nella seconda gara, quella contro gli jugoslavi, connazionali di Blagoje Vidinić, commissario tecnico dei "Leopardi": la disfatta per 9-0 aveva provocato la terribile reazione del dittatore africano, proprio come aveva testimoniato Mwepu alla televisione inglese: "Pensavamo che saremmo diventati ricchi, appena tornati in Africa, ma dopo la prima sconfitta venimmo a sapere che non saremmo mai stati pagati e quando perdemmo 9-0 con la Jugoslavia gli uomini di Mobutu ci vennero a minacciare. Se avessimo perso con più di tre gol di scarto dal Brasile, ci dissero, nessuno di noi sarebbe tornato a casa".

Era stato quello, quindi, il reale motivo che aveva innescato la corsa all'impazzata di Mwepu verso il pallone che stava per essere calciato da Rivelino. Gli epiteti rivolti dallo stesso difensore a Jarzinho, reo di essersi fatto scappare un sorriso dopo aver visto quel gesto, erano da attribuire all'incredibile tensione accumulata nei giorni precedenti l'incontro.

Passando dalla cronaca dei fatti alla storia, la partita - fortunatamente - era finita col risultato di 3-0 per i brasiliani. Una gara alla quale Mwepu aveva partecipato a causa di un banale errore dell'arbitro del precedente incontro con la Jugoslavia: il colombiano Omar Delgado, infatti, aveva espulso per errore Ndaye Mulamba, nonostante lo stesso terzino avesse ammesso di essere stato il colpevole di un calcio rifilato ad un avversario.
Si era trattato, quindi, di un caso. Era stata, invece, una fortuna che il pallottoliere preparato dai brasiliani si fosse fermato al numero tre.

Articolo pubblicato su Lettera43

4 commenti:

Danny67 ha detto...

Beh, che dire...un episodio veramente inimmaginabile al giorno d'oggi, che narra di situazioni altrettanto incredibili..

Thomas ha detto...

Non la conoscevo fino in fondo, quanto accaduto a Mwepu è stato realmente sconvolgente.

Un abbraccio, Danny

Giuliano ha detto...

un episodio che avevo dimenticato...serve a ricordare che il mondo non finisce con il rettangolo di gioco, che dopo il 90' il mondo continua.
Devo confessarti, a questo proposito, che veder giocare la Serbia o la Bosnia mi fa ancora pensare, e molto. Da questo punto di vista, rimpiango molto la Jugoslavia unita (sto pensando alla guerra del 1995, alle stragi, alle atrocità).
Cose simili a quelle di Ilunga Mwepu si raccontano per le nazionali dell'Iraq, la Libia, la Corea del Nord...

Thomas ha detto...

Tra non molto, Giuliano, affronterò un argomento che penso (spero, di cuore) ti dovrebbe interessare.

Preferisco non aggiungere altro, per adesso ;-)

Un abbraccio!!!