Con i goals avrebbe potuto segnare un'intera epoca del calcio, il suo colpo di tacco - celebre tuttora in Russia - era diventato un marchio di fabbrica, sui campi da pallone incantava le folle. Però beveva, fumava e amava la bella vita, nel contesto di un paese come l’Unione Sovietica dove le regole di comportamento le stabiliva una dittatura.
Il talento di Eduard Streltsov era sbocciato precocemente. Giostrava da attaccante, nonostante nelle prime esibizioni lo avessero confinato sulla fascia destra. Ha legato la sua vita professionale alla Torpedo Mosca, la squadra legata alla fabbrica automobilistica Zis (Zavod Imeni Stalina, poi denominata Zil), rifiutando le proposte della Dinamo e del Cdsa (l’attuale Cska), club legati all'apparato militare russo nella seconda metà degli anni cinquanta del vecchio secolo.
Proprio in quel periodo era pronto a sfidare un altro astro nascente del football, Pelé, nel corso dei campionati mondiali che si erano tenuti in Svezia nel 1958. A quella manifestazione, però, non aveva preso parte: accusato di violenza carnale, consumata ai danni di una donna nel corso di una festa svoltasi qualche giorno prima dell'avvio del torneo, era finito in prigione e poi nel gulag, dove aveva trascorso cinque anni. Il processo a suo carico era stato sommario, veloce e pieno di buchi vuoti. Compreso quello creato da un altro "rifiuto", riservato all'offerta di sposare la figlia di una potente donna membro del Politbjuro, l’organo esecutivo del PCUS, il Partito Comunista Sovietico. Interrogato nel carcere di Butyrki, era stato spinto a confessare di aver compiuto il reato dietro la promessa di poter così raggiungere i compagni di nazionale. Ovviamente quel foglio di carta era poi diventato la conferma della veridicità delle accuse contro di lui.
Quanto era accaduto in quei frangenti non lo si poteva considerare un fulmine a ciel sereno: Streltsov da tempo era nel mirino della stampa del regime. Bastava un minimo errore compiuto dentro il prato verde, il suo regno, perché nei suoi confronti si scatenasse l'inferno. Eppure era un giocatore di tutto rispetto: a soli 19 anni, durante la semifinale dei giochi olimpici di Melbourne del 1956, con l'URSS sotto per 1-0 al cospetto della Bulgaria e con due uomini fuori uso (all'epoca non c'erano le sostituzioni) aveva guidato la sua nazionale ad un’incredibile rimonta avvenuta negli ultimi minuti dei tempi supplementari.
Era stato escluso dalla finalissima a causa di un'assurda scelta tecnica: infortunato il compagno d'attacco e amico Valentin Ivanov, era finito in panchina per fare spazio alla coppia offensiva dello Spartak Mosca. A lui, tanto per gradire, non era stata consegnata la medaglia d'oro: gli organizzatori la riservarono soltanto a chi aveva disputato l’ultima gara del torneo. Nikita Simonjan, il suo sostituto, aveva provato inutilmente ad offrirgliela.
E' diventato il più giovane marcatore di sempre nella storia della lega sovietica (16 anni, 8 mesi e 24 giorni ), era arrivato al settimo posto nella graduatoria del pallone d’Oro nel 1957 e aveva esordito in nazionale realizzando una tripletta alla Svezia nel corso di un'amichevole terminata con un tennistico 6-0. I gialloblù si vendicarono, poi, nel mondiale disputato tra le mura amiche: nei quarti di finale eliminarono i russi battendoli per 2-0. Nils Liedholm, il capitano dei padroni di casa, prima dell’incontro aveva sottolineato il loro punto debole: "L’URSS sta accusando nettamente l’assenza di un campione come Streltsov".
Tornato alla libertà nel 1963, ad ottobre dell'anno successivo gli venne revocata la squalifica a vita da Leonid Brežnev. Indossata di nuovo la maglia dell'amata Torpedo Mosca, che anche durante gli anni di prigionia non l'aveva mai fatto sentire solo, era riuscito a dimostrare che la sua classe era rimasta intatta, mentre il fisico – ovviamente - risentiva degli anni di stop forzato. Gli stadi avevano ripreso a ribollire dall'entusiasmo per lui. Questa, a detta di molti, è stata la sua colpa più grande. Nel 1965, come per miracolo, era arrivata la vittoria: la Torpedo Mosca trionfava in campionato, per la seconda volta nella propria storia. L’ostruzionismo nei suoi confronti, però, non era ancora terminato.
Il Kgb aveva deciso di non concedergli il visto per recarsi all’estero per disputare i mondiali inglesi del 1966. Due anni dopo, in compenso, conquistava la coppa nazionale. Nel 1967 e 1968 Streltsov era stato votato miglior calciatore sovietico, tornando a vestire la maglia dell’URSS, con la quale – in totale – aveva poi realizzato 24 reti su 38 presenze. Nel 1967 il suo nome era comparso nuovamente nella classifica del pallone d’Oro (al tredicesimo posto). E' morto all'età di 53 anni, nel 1990, a causa di un tumore ai polmoni provocato, con ogni probabilità, dalle esalazioni nelle miniere del gulag.
Marco Iaria, giornalista della "Gazzetta dello Sport", dopo accurate ricerche ha raccontato con dovizia di particolari la vita del calciatore nel libro "Donne, vodka e gulag. Eduard Streltsov, il campione".
Compreso quello legato agli ultimi istanti della sua vita, allorquando aveva abbracciato la donna che gli aveva donato piccolo Igor’ per confessarle di non aver mai fatto niente di tutto quello per il quale era stato accusato.
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7 commenti:
Avevo letto anni fa la storia di questo grande calciatore.
In questo momento mi pare di grandissima attualità, perché le ingiustizie, grandi o piccole che siano, nascono sempre dall'invidia e dell'errato esercizio del potere
Drammatica storia raccontata in maniera eccellente, tributando altresì il giusto onore ad un grande campione.
Bravo!
@30 sul campo: la storia di Strelstov ha incuriosito anche il sottoscritto.
Ne avevo sentito parlare anni fa pure io, ma non mi ero mai documentato.
Ho letto il libro citato nell'articolo, posso assicurarti che è stupendo. Anche considerando la drammaticità degli eventi raccontati.
@Il Duca: grazie di cuore.
Ti confesso che la Torpedo Mosca ha fatto breccia nel mio cuore.
Un abbraccio ad entrambi!
Buona domenica
queste storie vanno sempre raccontate, è bene avere memoria.
l'episodio più ridicolo che mi è capitato di leggere è stato il divieto per un concerto per violino di Sciostakovic, e anche per la sua decima sinfonia...musica strumentale, niente parole, niente azione scenica, ma la consideravno pericolosa.
La stupidità può essere pericolosissima, sotto ogni regime.
Al solito hai centrato il punto, Giuliano: la "memoria".
Parere esclusivamente personale: è quella che manca all'uomo. Il fatto che si continua a parlarne è pericoloso.
La storia è fatta di corsi e ricorsi anche per questo motivo.
Un abbraccio e a presto!
Bellissimo pezzo Thomas, bellissimo ma anche tristissimo. Storie come queste dovrebbero insegnare molto, e come tu e Giuliano sostenete giustamente, dovrebbero essere riportate alla memoria con una certa frequenza, ma c'è anche un altro problema: di certi fatti, di certi episodi la maggior parte della gente non capisce la gravità finchè non ne viene colpita personalmente, mentre quando ne sente parlare con riferimento ad altri, o non li considera perchè tanto sono cose lontane oppure, senza conoscerli a fondo, si permette di dare giudizi senza minimamente pensare a quanta sofferenza questi accadimenti hanno generato in chi li ha dovuti affrontare. Occorrerebbero perciò due cose fatte entrambe molto seriamente: "Memoria" e "Riflessione".
Sì, Danny, hai ragione.
Aggiungo anch'io la parola "riflessione" al precedente commento.
Un abbraccio (e grazie)!
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