mercoledì 28 novembre 2012

Costantino Rozzi e l’Ascoli delle meraviglie


Suonava il violino per passione, si era diplomato geometra e da giovane, per non restare con le mani in mano durante il tempo libero, dava ripetizioni ai propri compagni di scuola. Gratuitamente, perché si trattava di una persona generosa. Costantino Rozzi era nato ad Ascoli Piceno l’11 gennaio 1929. Costruttore edile, proprietario di alberghi e produttore di vini, era diventato noto al grande pubblico nella figura di presidente dell’Ascoli Calcio.

Per raccontare il suo approccio con il mondo del pallone si può citare il famoso proverbio “chi disprezza compra”. Abitava vicino allo stadio della sua città ed era infastidito dall’incredibile aumento del traffico che si verificava in quella zona ogni fine settimana, tanto da domandarsi: “Ma chi sono quei pazzi che trascorrono la domenica pomeriggio dentro uno stadio per vedere la partita?”. Erano quei tifosi ai quali lui stesso avrebbe poi regalato anni di soddisfazioni.

Dopo essersi convinto grazie ad un’opera di persuasione messa in atto da alcuni amici, nel mese di giugno del 1968 aveva acquistato una quota di minoranza del club marchigiano, diventandone presidente trascorso poco tempo. L’intenzione era quella di prendersi un impegno di breve durata. Le prime parole da lui pronunciate dopo l’insediamento non avevano destato un’ottima impressione ai suoi più stretti collaboratori: “… Io so a malapena che in Italia il calcio si divide in tre categorie… Serie C, Serie B e Serie A. Noi adesso siamo in C. Ma chi ci vieta di arrivare sino alla A?… “.

In realtà rappresentavano lo specchio fedele di un uomo estremamente determinato. Da giovane desiderava laurearsi in ingegneria, ma visto che ad Ascoli non c’era quell’università e che avrebbe dovuto sostenere troppi esami integrativi per il proprio futuro scelse un’altra strada. Vinse un concorso al catasto e, dopo essere riuscito ad evitare il trasferimento a Firenze, si era licenziato terminata la prima ora di lavoro. Alla madre Lucia che reclamava delle spiegazioni rispose: “Mamma, per piacere levati dalla testa che io posso stare a scrivere seduto ad un tavolino. Quel lavoro non fa per me“. Aveva iniziato la propria carriera partendo dall’impresa edile ‘Zaccherini’, dove conobbe Franca Rosa, un’impiegata che nel 1957 diventò sua moglie e dalle quale ebbe quattro figli: Fabrizio, Anna Maria, Antonella ed Alessandra.

Alla quarta stagione al timone del club era riuscito finalmente a conquistare la serie B. Nei confronti di chi gli domandava maliziosamente “Adesso che siete in B cosa pensate di fare?”, rispondeva serafico: “Niente, niente, tanto è chiaro che più di un anno in B non facciamo… Cosa avete capito? Facciamo solo un anno in B perché ci attende la Serie A!”. Non si trattava di presunzione, ma di un presagio: il 9 giugno del 1974  il sogno di un’intera città era diventata realtà. Al fischio finale della gara decisiva disputata contro il Parma il campanone della Cattedrale aveva suonato per dieci minuti ininterrotti. Prima di allora era rimasto in silenzio sin dal lontano novembre del 1972, a seguito del terribile terremoto che aveva scosso Ascoli. Sulla panchina sedeva Carlo Mazzone, al quale Rozzi aveva affidato l’incarico con un discorso tanto breve quanto incisivo: “Senti un pò Mazzone… Ogni anno chiamo uno scienziato per cacciarlo a metà stagione. Visto che sei bravo a sostituirli, stavolta il campionato lo cominci direttamente tu, così non ci penso più…”.

Per motivi puramente campanilistici Rozzi si era adoperato per cambiare denominazione alla società: da “Del Duca Ascoli” (il nome del primo presidente mecenate) ad “Ascoli Calcio 1898″. Proprio “Del Duca” era il nome di quello stadio che aveva promesso di costruire in cento giorni, anticipando i soldi di tasca propria. Erano in pochi a credere in quell’impresa, eppure riuscì a mantenere l’impegno anticipando i tempi della consegna. In quell’impianto che poteva contenere sino 40.000 persone (per una città che aveva poco più di 50.000 abitanti) i campioni del mondo di Enzo Bearzot disputarono un’amichevole contro il Portogallo (3 aprile 1985).

Durante i suoi ventisei anni alla guida del club, interrotta soltanto dalla sua morte avvenuta il 18 novembre 1994, Rozzi era riuscito a mantenerlo in serie A per ben quattordici stagioni, alternate da retrocessioni e successivi ritorni nel massimo campionato. Quattordici, come il numero dei tecnici da lui esonerati. Aveva un sogno: “In coppa UEFA voglio arrivarci, prima o poi…”. Nel 1980 ci arrivò vicino per davvero: con la retrocessione del Milan a causa dello scandalo del Totonero, la sconfitta del Torino nella finale di coppa Italia contro la Roma gli aveva precluso la possibilità di realizzarlo. Rimase la soddisfazione per aver conseguito il quarto posto in classifica, alla quale si era aggiunta la conquista della Mitropa Cup nel novembre del 1986.

Stefano Pellei, nel suo libro “Costantino Rozzi – Una panchina nel cielo”, ha raccontato con dovizia di particolari l’amore di un uomo verso quello sport che aveva prima detestato e poi amato. Nel 1989, oltretutto,  era riuscito ad ottenere anche la laurea honoris causa in sociologia dall’Università di Urbino. Aveva battagliato per dare voce ai diritti delle squadre provinciali, quando sedeva in panchina si agitava indossando i calzini rossi per sfidare la sfortuna. Quelli che adesso, forse, conserva ancora. In attesa di sentire suonare nuovamente una campana.

Articolo pubblicato su Lettera43

5 commenti:

Danny67 ha detto...

Che personaggio incredibile!! Lo ricordo con la stessa nostalgia con cui riporto alla mente i tempi in cui il suo ascoli, come la sua figura di presidente erano in auge, gli anni 80 soprattutto.

Thomas ha detto...

Era un altro calcio, erano altre persone.
Chi ha avuto modo di conoscerlo e frequentarlo mi ha parlato benissimo di Rozzi.

Ho letto il libro citato e scritto questo articolo con vero piacere.
Mi manca l'atmosfera che si respirava in quei tempi.

Un abbraccio!

Danny67 ha detto...

Fratello,sapessi quanto manca anche a me quell'atmosfera..tantissimo.

Giuliano ha detto...

ti dirò, all'epoca si pensava ad altro...più che altro, è il raffronto con quello che è venuto dopo a far spavento, e a far rimpiangere persone come Rozzi.
La rovina del calcio, e io direi non solo del calcio, è arrivata negli anni '80 con le radio e le tv commerciali. Prima c'era chi investiva soldi per entusiasmo, non tutti ma molti. Da dopo (dopo Berlusconi, in Italia: è un dato di fatto e spero che lo si possa dire come tale, senza polemiche) sono arrivati quelli che con il calcio c'entravano poco o niente. Q
I mondiali del '90 sono stati il colpo di grazia...(le speculazioni sugli stadi, eccetera eccetera)
Comunque ancora oggi quando vedo giocare l'Ascoli mi commuovo, sarà forse il bianconero...
:-)

Thomas ha detto...

Mi commuovo anch'io, Giuliano, pensando ad un lato romantico del calcio che oggi faccio fatica a intravedere.

Senza voler pendere troppo dalla "nostra" parte, però, mi sembra che Andrea Agnelli sia un Presidente innamorato della propria squadra
;-)

Un abbraccio!

Ps: "studiando" Rozzi ho imparato ad apprezzare meglio una gran bella persona