giovedì 2 agosto 2012

La Supercoppa nell'Italia degli scandali


Se n’erano già accorti in tanti della loro esistenza, ma chi aveva usato - la scorsa estate - le parole più dure per esprimere le debolezze del calcio italiano era stato Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan: “Da ristorante di lusso siamo passati a pizzeria: il grande problema sono gli stadi. E vi faccio una previsione: fra un po’, grazie ai nuovi stadi di Euro 2016, anche i francesi ci sorpasseranno. Diventeremo i quinti d’Europa”. Era il 3 agosto 2011, esattamente un anno fa.

Che cosa non funziona nell’Italia del pallone? Ecco un veloce riepilogo: spese che superano i guadagni nei bilanci di molti club italiani, stipendi troppo elevati in proporzione al fatturato, gli introiti delle società che dipendono quasi esclusivamente dai diritti televisivi, grandi investitori stranieri che preferiscono i campionati esteri al nostro (tranne qualche eccezione, comunque ancora poco significativa), mancanza degli stadi di proprietà (Juventus a parte), un merchandising senza anima, la necessità di reperire soldi da quei paesi attratti dalla nostra serie A.

Quest’ultimo, oltretutto, è il motivo principale per il quale la Supercoppa Italiana viene sempre più spesso disputata all’estero. La competizione, nata da un’intuizione del compianto presidente sampdoriano Paolo Mantovani, dal 1988 ad oggi si è tenuta per ben cinque volte al di fuori dei confini italici: due in America, una in Libia, due in Cina. La prossima, come risaputo, si svolgerà ancora a Pechino l’11 agosto e metterà di fronte la Vecchia Signora nuovamente scudettata contro il Napoli vincitore della coppa Italia.

Il Milan è il club che detiene il maggior numero di successi del torneo (sei), seguito da Inter (cinque) e Juventus (quattro). L’unica vittoria del Napoli risale al 1990, allorquando Maradona e soci sculacciarono Madama con un sonoro 5-1 al “San Paolo” (1° settembre). Quella sarebbe dovuta diventare una “Juventus da bere” (grazie al “calcio champagne” di Luigi Maifredi), in realtà si era rivelata un fallimento sin dal suo esordio ufficiale.

La scorsa stagione si è chiusa il 20 maggio 2012 proprio con uno scontro tra bianconeri e campani a Roma, nella finalissima della coppa nazionale: vinse il Napoli per 2-0, con le reti di Cavani (su rigore) e Hamsik. Segnarono, quindi, due dei tre “tenori” partenopei. Il terzo, l’argentino Lavezzi, era stato comunque protagonista di un’ottima gara. Al 27’ del secondo tempo Mazzarri lo aveva sostituito con Pandev, sulla falsariga di quello che poi ha fatto il club nel corso dell’estate: Lavezzi è emigrato a Parigi, mentre il macedone – arrivato in prestito dall’Inter – è stato successivamente acquistato a titolo definitivo.

Walter Mazzarri, che alla guida della Sampdoria aveva sfiorato il titolo nel 2009, poteva così alzare il primo trofeo importante della propria carriera da allenatore. Antonio Conte, dal canto suo, perdeva l’ultima partita della stagione dopo essere riuscito a restare imbattuto per tutto l’anno.
Quel 20 maggio è stato un giorno importante anche per altri motivi: sanciva l’addio di Del Piero dalla sua Signora ed i ritorni in serie A del Torino e di Zdenek Zeman, arrivato primo nel campionato cadetto con il Pescara.

Conquistata la promozione l’allenatore boemo aveva lasciato una speranza ai dirigenti del club abruzzese in merito ad una sua permanenza per l’anno prossimo: “Possiamo sederci a parlare del futuro. Qui sono stato benissimo, mi hanno messo nelle condizioni ideali per lavorare, ora serve un programma”. Il 4 giugno 2012 la Roma annunciava la firma di un contratto biennale che legherà Zeman alla società giallorossa per le due prossime stagioni.

Una sorte simile è capitata a Marco Verratti, il gioiellino del centrocampo biancazzurro: desideroso di crescere gradualmente in provincia (“Dopo la nazionale penserò al futuro: ma sono pescarese, vorrei davvero proseguire qui”) era diventato oggetto di una trattativa che lo avrebbe dovuto portare alla corte della Vecchia Signora. Alla fine, però, al pari di Lavezzi ha ceduto di fronte alle lusinghe del Paris Saint-Germain.

Bastava aspettare qualche altro giorno (29 maggio) per ascoltare il “desiderio” che Mario Monti, il presidente del Consiglio, “a volte sente” dentro di sé: “Fermare il calcio per due o tre anni”.
Memore delle battaglie disputate con “quel” mondo qualche anno prima, aveva tirato fuori il suo cavallo di battaglia: “Trovo inammissibile, io me ne sono occupato una volta da commissario europeo, che periodicamente si usino i soldi dei contribuenti per ripianare perdite delle società di calcio”.
Apriti cielo: come se non ci fossero state polemiche e scandali che già accompagnavano la quotidianità degli amanti del pallone, ci mancava anche quella.

Nonostante tutto, il prossimo 11 agosto il calcio italiano riaprirà ufficialmente i battenti. Per il momento senza alcuni dei suoi protagonisti, fermati dalla giustizia sportiva. Con la garanzia, però, che chi lo ha governato in questo modo sino ad oggi continuerà a rimanere saldamente seduto sulla propria poltrona.
Come se nel frattempo non fosse accaduto nulla.

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