Quando la scorsa estate il suo nome fu accostato alla panchina dell’Inter, il gioco di parole venne naturale: un “pazzo” per una “pazza”. Ebbene sì, perché Marcelo Bielsa, argentino di Rosario che da una vita si porta dietro il soprannome di “loco” (“pazzo”, appunto, in lingua spagnola), sembrava l’uomo giusto per rilanciare il club nerazzurro prossimo ad essere abbandonato dal brasiliano Leonardo.
Riavvolgiamo il nastro: il 14 giugno 2011 rimbalza in Italia la notizia di una telefonata di Massimo Moratti all’ex commissario tecnico del Cile per sondare la sua disponibilità a guidare la squadra milanese. Si tratta di un fulmine a ciel sereno, che trova una spiegazione il giorno immediatamente successivo: Leonardo Nascimento de Araújo, dopo essere passato da una sponda del Naviglio (Milan) all’altra (Inter), è in trattativa per tornare al Paris Saint Germain nel ruolo (a lui più congeniale) di dirigente.
Trascorse altre settantadue ore, la storia di un possibile approdo di Bielsa sotto la Madonnina trova il suo epilogo in una dichiarazione dello stesso Moratti: “Un gran signore. All’inizio era entusiasta di venire all’Inter. Poi sono sopraggiunti problemi anche familiari, e ha dovuto declinare. Era veramente dispiaciuto e mi ha fatto avere una lettera in cui spiegava i motivi del suo no”. Da Lezama (Spagna) il successivo 13 luglio Bielsa chiude il cerchio: “Ho rifiutato la proposta dell’Inter perché avevo già dato la parola all'Athletic Bilbao. Niente di più. Nessun paragone tra le due squadre. Quando dissi di sì all’Athletic sapevo che sarebbero potute arrivare altre offerte, e così è stato”.
Josep Guardiola, mister del Barcellona “vincitutto”, in merito ad un suo possibile addio al club catalano lo ha recentemente citato come uno dei possibili sostituti su quella panchina: “Non ho nessun dubbio che Bielsa avrebbe le capacità per allenare il Barcellona”. Nel frattempo ritroverà quello che considera uno dei suoi ispiratori tattici nella prossima finale di Coppa del Re che verrà disputata il 25 maggio.
Riavvolgiamo il nastro: il 14 giugno 2011 rimbalza in Italia la notizia di una telefonata di Massimo Moratti all’ex commissario tecnico del Cile per sondare la sua disponibilità a guidare la squadra milanese. Si tratta di un fulmine a ciel sereno, che trova una spiegazione il giorno immediatamente successivo: Leonardo Nascimento de Araújo, dopo essere passato da una sponda del Naviglio (Milan) all’altra (Inter), è in trattativa per tornare al Paris Saint Germain nel ruolo (a lui più congeniale) di dirigente.
Trascorse altre settantadue ore, la storia di un possibile approdo di Bielsa sotto la Madonnina trova il suo epilogo in una dichiarazione dello stesso Moratti: “Un gran signore. All’inizio era entusiasta di venire all’Inter. Poi sono sopraggiunti problemi anche familiari, e ha dovuto declinare. Era veramente dispiaciuto e mi ha fatto avere una lettera in cui spiegava i motivi del suo no”. Da Lezama (Spagna) il successivo 13 luglio Bielsa chiude il cerchio: “Ho rifiutato la proposta dell’Inter perché avevo già dato la parola all'Athletic Bilbao. Niente di più. Nessun paragone tra le due squadre. Quando dissi di sì all’Athletic sapevo che sarebbero potute arrivare altre offerte, e così è stato”.
Josep Guardiola, mister del Barcellona “vincitutto”, in merito ad un suo possibile addio al club catalano lo ha recentemente citato come uno dei possibili sostituti su quella panchina: “Non ho nessun dubbio che Bielsa avrebbe le capacità per allenare il Barcellona”. Nel frattempo ritroverà quello che considera uno dei suoi ispiratori tattici nella prossima finale di Coppa del Re che verrà disputata il 25 maggio.
Uomo tutto d’un pezzo, Bielsa abbraccia un calcio offensivo basato sull’ormai celebre 3-3-1-3. Vive di pallone ventiquattro ore su ventiquattro, ha smesso di giocare a soli venticinque anni per poi guidare i ragazzi del Newell’s Old Boys. Da lì ha iniziato ad intraprendere una carriera che lo ha portato anche in Messico (Atlas e América) e in Spagna (Espanyol), salvo poi ritornare in Argentina, dove ha diretto la nazionale del suo paese nei mondiali del 2002 tenutosi in Giappone e nella Corea del Sud.
Fallita quella spedizione si è preso una parziale rivincita arrivando in finale nella Coppa America del 2004, dopodiché ha trionfato, nello stesso anno, con la selezione Olimpica ad Atene. Dimessosi improvvisamente dall’incarico si è trasferito in Cile, dove è riuscito a condurre La Roja sino agli ottavi di finale del mondiale sudafricano del 2010, persi per mano del Brasile. Diventato un idolo assoluto, ha abbandonato anche quella panchina nel febbraio del 2011.
Amato da molti dei propri giocatori, le sue conferenze stampa non sono certo memorabili, mentre i racconti su alcuni suoi comportamenti si dividono tra stranezze e leggende. Da allenatore delle giovanili del Newell’s Old Boys (a proposito: gli hanno intitolato pure lo stadio di Rosario) visto che il campo di allenamento era sprovvisto di tribune era solito arrampicarsi su un albero posizionato all’altezza del centrocampo con penna e fogli per vedere meglio la disposizione dei suoi calciatori sul rettangolo verde. Quando qualche appunto gli scappava di mano, scendeva per poi risalire come nulla fosse su quella “postazione”. Nella sua casa di campagna si narra che ogni tanto disponga familiari e domestici su un terreno di gioco fatto appositamente costruire lì per soddisfare le sue alchimie tattiche.
Ai tempi dell’Espanyol fece aspettare per quindici minuti Arrigo Sacchi, all’epoca tecnico dell’Atletico Madrid, dietro ad una porta: il tecnico del Milan leggendario e della nazionale vice campione del mondo ad Usa ’94 si era sentito in dovere di fargli i complimenti per il gioco mostrato dalla sua squadra appena affrontata, mentre lui – semisconosciuto – aveva deciso di presentarsi seguendo i propri “tempi”. Qualche mese prima (21 agosto 1998) non le mandò a dire a Marcelli Lippi (allenatore della Juventus del ciclo d’oro della fine degli anni novanta e futuro campione del mondo nel 2006) quando a San Benedetto del Tronto fronteggiò i bianconeri nel corso di un’amichevole estiva dai toni poco “amichevoli”. Tanto per fare un esempio: venne espulso Del Piero, stufo di subire tackle dagli avversari ai limiti del regolamento.
Moratti pensò a Bielsa già nel mese di novembre del 2011 per una eventuale sostituzione di Rafael Benítez. Ora il suo nome circola nuovamente per il futuro prossimo dei nerazzurri insieme ai vari Villas Boas, Guardiola, Guidolin e Blanc, in un giro di panchine che potrebbe coinvolgere più tecnici ed altrettanti club. “Andiamo avanti con Ranieri, ha tutta la fiducia che serve. Il Mago di Oz non lo vedo in giro”, ha dichiarato il patron dell’Inter pochi giorni fa.
Nell’estate che verrà, magari, più che un mago sulla sua strada potrebbe incrociare un “loco”.
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Fallita quella spedizione si è preso una parziale rivincita arrivando in finale nella Coppa America del 2004, dopodiché ha trionfato, nello stesso anno, con la selezione Olimpica ad Atene. Dimessosi improvvisamente dall’incarico si è trasferito in Cile, dove è riuscito a condurre La Roja sino agli ottavi di finale del mondiale sudafricano del 2010, persi per mano del Brasile. Diventato un idolo assoluto, ha abbandonato anche quella panchina nel febbraio del 2011.
Amato da molti dei propri giocatori, le sue conferenze stampa non sono certo memorabili, mentre i racconti su alcuni suoi comportamenti si dividono tra stranezze e leggende. Da allenatore delle giovanili del Newell’s Old Boys (a proposito: gli hanno intitolato pure lo stadio di Rosario) visto che il campo di allenamento era sprovvisto di tribune era solito arrampicarsi su un albero posizionato all’altezza del centrocampo con penna e fogli per vedere meglio la disposizione dei suoi calciatori sul rettangolo verde. Quando qualche appunto gli scappava di mano, scendeva per poi risalire come nulla fosse su quella “postazione”. Nella sua casa di campagna si narra che ogni tanto disponga familiari e domestici su un terreno di gioco fatto appositamente costruire lì per soddisfare le sue alchimie tattiche.
Ai tempi dell’Espanyol fece aspettare per quindici minuti Arrigo Sacchi, all’epoca tecnico dell’Atletico Madrid, dietro ad una porta: il tecnico del Milan leggendario e della nazionale vice campione del mondo ad Usa ’94 si era sentito in dovere di fargli i complimenti per il gioco mostrato dalla sua squadra appena affrontata, mentre lui – semisconosciuto – aveva deciso di presentarsi seguendo i propri “tempi”. Qualche mese prima (21 agosto 1998) non le mandò a dire a Marcelli Lippi (allenatore della Juventus del ciclo d’oro della fine degli anni novanta e futuro campione del mondo nel 2006) quando a San Benedetto del Tronto fronteggiò i bianconeri nel corso di un’amichevole estiva dai toni poco “amichevoli”. Tanto per fare un esempio: venne espulso Del Piero, stufo di subire tackle dagli avversari ai limiti del regolamento.
Moratti pensò a Bielsa già nel mese di novembre del 2011 per una eventuale sostituzione di Rafael Benítez. Ora il suo nome circola nuovamente per il futuro prossimo dei nerazzurri insieme ai vari Villas Boas, Guardiola, Guidolin e Blanc, in un giro di panchine che potrebbe coinvolgere più tecnici ed altrettanti club. “Andiamo avanti con Ranieri, ha tutta la fiducia che serve. Il Mago di Oz non lo vedo in giro”, ha dichiarato il patron dell’Inter pochi giorni fa.
Nell’estate che verrà, magari, più che un mago sulla sua strada potrebbe incrociare un “loco”.
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