Visualizzazione post con etichetta Luigi Simoni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Luigi Simoni. Mostra tutti i post

venerdì 8 aprile 2011

"Le Roi" Platini e il poker al Genoa di Briaschi



“Una macchina da gol”. Tra le tante definizioni che si possono scegliere per descrivere la Juventus che vinse il ventunesimo scudetto della sua storia nel corso della stagione 1983-84, questa è quella che con ogni probabilità più le si addice: 57 reti realizzate su 30 gare affrontate in quel campionato, una media vicina a due marcature per ogni incontro disputato. Dopo i risultati negativi conseguiti l’anno precedente, con il tricolore perso dopo un avvincente duello con la Roma di Falcao e la coppa dei Campioni sfuggita ad Atene per opera dell’Amburgo, la Vecchia Signora si era immediatamente ripresa lo scettro della più bella del reame.

In una squadra infarcita di fuoriclasse e all’apparenza priva di punti deboli splendeva la stella di Michel Platini: fresco vincitore della classifica capocannonieri al primo tentativo dopo il suo arrivo in Italia, non smise più di segnare, confermandosi il vero trascinatore di una straordinaria rosa di giocatori creata da Boniperti (dietro la scrivania) e plasmata sul campo da Trapattoni. Al giro di boa del campionato la Juventus affrontò il Genoa guidato da Luigi Simoni, ospite allo stadio “Comunale” di Torino l’8 gennaio 1984. Il fuoriclasse francese sino a quel momento aveva messo il proprio nome nel tabellino dei marcatori ininterrottamente da sei gare: per non perdere il vizio del gol, anche con i rossoblù appose la sua firma nella rete del vantaggio iniziale della Vecchia Signora.

Al 23’ Madama beneficiò di un calcio di punizione vicino al limite dell’area di rigore avversaria, dal lato opposto rispetto alla zona prediletta dal suo numero dieci: Tardelli toccò la palla verso il centro, scartando l’opzione di passarla a Cabrini e Penzo appostati accanto a lui, con Platini che riuscì a cogliere di sorpresa Martina tirando improvvisamente verso la porta dei rossoblù. Trascorsi soltanto sei minuti, Massimo Briaschi (attaccante dei liguri prossimo a trasferirsi sotto la Mole alla corte della Vecchia Signora) siglò il pareggio approfittando di una dormita generale della difesa juventina, eludendo l’intervento di Brio e battendo Bodini con una conclusione di sinistro non certo irresistibile. Invece di demoralizzarsi Madama trovò subito (al 33’) la forza di segnare nuovamente: Rossi crossò al centro per Cabrini che di testa anticipò Bergamaschi e l’estremo difensore genoano. Sul 2-1 per i padroni di casa si chiuse la prima frazione di gioco.

Trascorso un quarto d’ora dall’inizio della ripresa, i liguri riuscirono nuovamente ad agguantare la Juventus: Paolo Benedetti, anche lui con un colpo di testa, bruciò sul tempo Scirea sfruttando alla perfezione un traversone di Policano. Le continue disattenzioni del pacchetto arretrato della Vecchia Signora (dieci reti subite nel corso delle ultime sei gare) irritarono Umberto Agnelli, che a fine incontro dichiarò: “Troppe distrazioni difensive: speriamo che d'ora in poi la Juventus possa essere più attenta”. Tre minuti di attesa e la macchina da gol bianconera si rimise nuovamente in moto: Platini subì un fallo a seguito di un contrasto con Eloi, nella successiva punizione Penzo – ricevuto il pallone da Cabrini – infilò Martina con un tiro che andò a infilarsi direttamente nel “sette”. Per dare maggiore vivacità alla manovra ed evitare ulteriori cali di concentrazione Trapattoni decise di sostituire Boniek con Vignola: il pubblico presente al “Comunale” lo stava richiedendo con forza da diversi minuti, e proprio per non demoralizzare ulteriormente il polacco (che da tempo viveva una situazione di difficoltà) il tecnico era rimasto dubbioso sino all'ultimo istante se procedere o meno al cambio. Così come accaduto in alcune gare precedenti la mossa portò subito beneficio: Platini avanzò di qualche metro il raggio d'azione avvicinandosi alla porta avversaria, e la squadra macinò gioco senza più interruzioni.

Lo stesso francese al 75' conquistò un penalty dopo essere venuto a contatto con Faccenda, cadendo insieme a lui in area di rigore nel tentativo di raggiungere un pallone lanciato da Rossi. La concessione della massima punizione fece arrabbiare gli ospiti, tanto che Luigi Simoni, alla fine delle ostilità, ebbe a dichiarare: "Dopo il nostro secondo pareggio la Juventus è tornata subito in vantaggio. Ma la partita era ancora aperta come ha lasciato intravedere la palla del tre a tre capitata a Policano. E invece ecco il rigore per un fallo che voglio proprio rivedere in quanto a me non è sembrato tale". A suo modo di vedere, comunque, la Vecchia Signora era la principale candidata alla vittoria dello scudetto: "Può sempre trovare il gol in mille maniere". E con diversi giocatori: dopo essersi procurato il rigore il francese lasciò l'incombenza a Rossi, nella giornata in cui Zico, il brasiliano acquistato dall'Udinese, lo raggiungeva nella classifica marcatori. Questo non gli sarebbe bastato per superare il fuoriclasse bianconero a fine stagione: con venti realizzazioni su ventotto partite da lui disputate arrivò primo nella speciale graduatoria davanti all'asso dei friulani, fermo a quota diciannove. Con il successo sui grifoni Madama chiuse il girone d'andata in vantaggio di due punti sui cugini granata, per poi conquistare il tricolore in primavera mantenendo lo stesso vantaggio in classifica sulla Roma.

Nei giorni immediatamente successivi l'incontro con i grifoni tenne banco il dualismo tra Boniek e Vignola, tanto che iniziarono a farsi sempre più insistenti le voci che volevano la Juventus interessata a Karl-Heinz Rummenigge e Bryan Robson per colmare la casella del secondo straniero utilizzabile in caso di rinuncia al polacco. A fine anno Madama sarebbe riuscita a trionfare anche nella coppa delle Coppe, sollevata a Basilea dove vinse la finalissima disputata contro il Porto (16 maggio 1984). Le reti con le quali la formazione bianconera piegò gli avversari furono segnate proprio da Boniek e Vignola, che quella sera Trapattoni schierò entrambi sin dall'inizio della gara nella formazione titolare.

Articolo pubblicato su


martedì 1 febbraio 2011

Mutu e la doppietta con cui stese il Palermo

"Le milanesi giocano in smoking, quelli della Juve sono operai: la differenza è tutta qui". Maurizio Zamparini, dopo aver visto perdere il suo Palermo contro la formazione allenata da Fabio Capello allo stadio “Renzo Barbera” l’8 gennaio 2006, cercò di spiegare con queste poche parole il predominio esercitato da Madama in quel campionato che l’avrebbe portata alla conquista dello scudetto numero 29.
Ed erano proprio i numeri della stagione disputata sino a quel momento dalla Vecchia Signora a destare stupore: 16 vittorie su 18 gare disputate; con il successo casalingo nell’incontro con la Reggina della domenica successiva la compagine bianconera avrebbe finito per chiudere il girone d’andata totalizzando 52 punti. Persino Luigi Simoni, l’ex tecnico dell’Inter protagonista di un testa a testa con la Juventus otto anni prima quando era alla guida dei nerazzurri, rimase di stucco: “Non ho mai visto una cosa del genere”.
All’allenatore bianconero la definizione di squadra operaia non piaceva un granché: “Ormai su di noi, su di me, ne ho sentite di tutti i colori. Persino che siamo difensivisti. Mah. In ogni caso, se questi fenomeni che ho in squadra continuano ad avere una mentalità operaia, andremo molto lontano”.

Nel giorno del suo ventisettesimo compleanno Adrian Mutu venne schierato da Fabio Capello sulla fascia sinistra della linea mediana juventina, nel classico 4-4-2 dove - assente per l’occasione Nedved - il rumeno completava un reparto composto da Camoranesi, Emerson e Vieira. Abbandonato da Roman Abramovich e Mourinho (proprietario e allenatore del Chelsea) dopo essere risultato positivo alla cocaina ed essere stato squalificato per sette mesi ai tempi della sua permanenza in Inghilterra, era stato riportato in Italia da Luciano Moggi. “Il merito della rinascita è in parte mia e in parte della Juventus”, sostenne alla fine di quella gara. Per dimostrare la sua riconoscenza aveva ricominciato a correre sul campo accettando di ricoprire un ruolo più defilato rispetto a quello per lui abituale di attaccante, un ruolo in cui il pallone bisogna andarlo a recuperare dai piedi degli avversari e non soltanto aspettarlo da quelli dei propri compagni di squadra.

Sotto di un goal dopo soli 12 minuti per merito di un potente rasoterra del difensore dei rosanero Terlizzi, la Vecchia Signora reagì con decisione realizzando due reti proprio con Mutu.
Al 15’ il rumeno, all’interno dell’area di rigore palermitana, entrò in possesso di un pallone da lui stesso indirizzato di testa sulla traversa nel tentativo di finalizzare un’azione originata da un cross di Camoranesi e proseguita con un assist di Ibrahimovic, dribblò un avversario e batté Lupatelli; al 34’ fu ancora lo svedese a regalargli un pallone che lui, inseritosi prepotentemente nelle retrovie dei padroni di casa, fu bravo a depositare a rete per il 2-1 definitivo .
Luigi Del Neri, allenatore del Palermo, provò allora ad alzare il ritmo del gioco dei suoi uomini, chiedendo ai laterali di centrocampo Gonzalez (a destra) e Santana (poi sostituito da Brienza, a sinistra) di aumentare la pressione sulla retroguardia bianconera e di rifornire l’attacco, composto dal duo Caracciolo e Makinwa. Di fronte a loro c’era Christian Abbiati, estremo difensore della porta juventina ancora per poche gare, visto l’ormai imminente ritorno tra i pali di Gianluigi Buffon dopo l’infortunio patito nel trofeo “Luigi Berlusconi” dell’agosto precedente in un contrasto con il rossonero Kakà (sul dualismo tra i due portieri, dirà Capello: “Chi è titolare? Sapete come la penso: Gigi può contare su una sorta di priorità, però di solito io guardo e poi decido”).
Messa sotto assedio dall’avversario, la Juventus riuscì a tenere duro e a non crollare. L’incontrò si vivacizzò col trascorrere dei minuti: l’arbitro Bertini giudicò involontario un tocco di mano di Terlizzi durante un suo contrasto con Trezeguet; lo stesso francese lambì un palo esterno, Vieira scheggiò la traversa con un colpo di testa e Ibrahimovic impensierì seriamente Lupatelli, mentre dal lato opposto Barone, Bonanni (subentrato a gara in corso a Makinwa) e Caracciolo provarono inutilmente a pareggiare le sorti dell’incontro. Del Piero, inserito da Capello al posto dello svedese quando la gara volgeva al termine, gestì male un contropiede, beccandosi una tirata d’orecchie del suo allenatore (“Forse pensava al record di Boniperti, ma invece dove passare la palla al centro”)
Il risultato non cambiò, e Mutu diventò il protagonista assoluto di una serata per lui indimenticabile: “È stata una sensazione indescrivibile, il compleanno più bello della mia vita, anche perché a maggio nascerà il mio secondo figlio. Mi sento un uomo nuovo e un po' me ne compiaccio: ho sbagliato, sono caduto e mi sono rialzato. Ho capito di avere svoltato l' ultimo giorno del 2005: mi sono guardato allo specchio la mattina, ho pensato allo scudetto e ai quattro riconoscimenti assegnatomi nel mio Paese e mi sono detto: Adrian, sì, stavolta ce l'hai fatta

La partita del “Renzo Barbera” confermò quanto già visto sino a quel momento: il campionato aveva trovato da tempo la sua padrona incontrastata, agli avversari restavano soltanto le briciole. E le parole. Proprio prima dell’incontro di Palermo Roberto Mancini, tecnico dell’Inter, si era lasciato andare ad una profezia: “Bastano due pareggi e per loro è finita. Se rimontiamo due o tre punti, li riprendiamo”. Gli rispose a tono Luciano Moggi: “Paura noi? Sì, davvero, stiamo tremando... Ma io capisco che chi sta dietro si diverta con le tabelle, mentre chi è davanti continua a correre. Quelle tabelle, a Mancini le lascio volentieri. E ribadisco che lui potrà essere soddisfatto di arrivare secondo, non è mica un brutto risultato”.
Per tutti, ma non per la Juventus: nella Torino bianconera, prima del 2006, veniva considerato alla stregua di una sconfitta.


Articolo pubblicato su