sabato 10 marzo 2012

Luis Silvio Danuello: un "ponta" che giocava da "punta"

"Sono in gran forma e lo dimostrerò. Posso mettermi al più presto a disposizione della Pistoiese. Di solito gioco ala destra, ma so disimpegnarmi anche in altre posizioni offensive. Sono un tipo che si muove e che punta deciso verso le porte avversarie. Il vostro è un calcio di forza e di temperamento, non di abilità come in Brasile. Forse questa è la mia unica preoccupazione. Temo un pò di rudezza dei vostri difensori, ma vedrò di adattarmi. Il contratto dura un anno, spero sia il tempo sufficiente per dimostrarvi quanto valgo. Della Pistoiese ho sentito parlare molto bene di Frustalupi, descritto come un ottimo regista".

Intorno alla metà di agosto del 1980 Luis Silvio Danuello si presentò con queste parole ai suoi nuovi tifosi, nell'estate in cui il calcio italiano aveva riaperto le frontiere agli stranieri dopo la chiusura successiva alla disfatta della nazionale nei mondiali inglesi del 1966. Il caso volle che il direttore tecnico di quella Pistoiese fosse Edmondo Fabbri, la guida degli azzurri in quella famosa spedizione. Il ruolo di allenatore, invece, venne ricoperto dal giovane Lido Vieri.

In serie A giunsero, in totale, quattro brasiliani: Falcao (Roma), Eneas (Bologna), Juary (Avellino) e, appunto, Luis Silvio. Da "bidone" a "meteora", i giudizi in merito alla sua esperienza nel nostro calcio furono impietosi. Scovato in patria da Giuseppe Malavasi, l'assistente di Vieri, una volta sbarcato a Roma - come lo stesso calciatore ebbe modo di affermare nel corso di un'intervista rilasciata nel 2007 al taccuino di Sebastiano Vernazza ("Gazzetta dello Sport") - incontrò i dirigenti del club toscano, che gli domandarono: "Sei una punta?". La sua risposta fu "", dato che aveva inteso "ponta", che in portoghese vuol dire "ala", il suo ruolo naturale.

Tra un cross ed un goal corre una bella differenza, la stessa che separa le aspettative riposte verso un possibile cannoniere dalla delusione patita dopo aver scoperto di avere tra le mani un giocatore di fascia. Soltanto sei presenze accumulate in campionato certificarono il suo fallimento, mentre la Pistoiese corse ai ripari acquisendo dal Catanzaro Vito Chimenti, autore - poi - di nove reti che non furono sufficienti ad evitare la retrocessione nella serie cadetta.

Nell'esordio casalingo (21 settembre 1980, alla seconda giornata contro l'Udinese) la formazione toscana non andò oltre un pareggio per 1-1. Luis Silvio, guarda caso, fu l'autore di una bella azione sulla fascia dalla quale scaturì il trasversone per il colpo di testa vincente di Benedetti. Nella prima vittoria in campionato (5 ottobre, alla quarta gara, disputata contro il Brescia) il brasiliano, influenzato, era assente.

Messo ai margini della squadra, nella successiva primavera tornò in patria per poi farsi nuovamente vivo in estate ma, dato che anche allora trovò le porte sbarrate, lasciò definitivamente il Belpaese.

Così si chiuse, tristemente, la breve storia italiana di Luis Silvio Danuello: arrivato dichiarando di "non essere bravo come Falcao" (proprio nei momenti in cui il fuoriclasse della Roma assicurava di non averlo mai sentito nominare) ma che la Pistoiese non si sarebbe pentita dell'acquisto, scomparve accompagnato dalle leggende che nacquero dopo la sua fuga. Pizzaiolo, venditore di gelati allo stadio di Pistoia, proprietario di un bar e - dulcis in fundo - attore in film porno: su di lui si disse e si scrisse di tutto.

Proprio nell'intervista rilasciata nel 2007 smentì quelle sciocchezze, affermando di gestire una rivendita di ricambi per macchine industriali, attività iniziata investendo i soldi guadagnati nel corso della carriera. Ricordava con affetto Marcello Lippi ("Sono contento che abbia vinto il Mondiale. Era uno dei compagni più simpatici. Stava in difesa, era bravo, e in spogliatoio cercava di aiutarmi") e l'Italia ("In Toscana io e mia moglie concepimmo la nostra primogenita, Amanda").
Se i suoi limiti tecnici erano venuti ben presto a galla, la sfortuna di venire tradito da una vocale, quella "o" di "ponta", gli aveva complicato ulteriormente la vita.
Così come, d’altro canto, era capitato a chi aveva deciso di acquistarlo: i "bidoni", nel mondo del calcio, non si aggirano soltanto tra i giocatori.

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giovedì 8 marzo 2012

Forse era l'ultima occasione...

La strada ora si fa veramente dura. Quella di ieri era forse l’ultima occasione per rimanere in corsa con il Milan per la vittoria finale. Era una gara da vincere a tutti i costi, per dare un messaggio chiaro a tutti i nostri avversari e per dimostrare come la Juve non fosse ancora fuori del tutto dai giochi scudetto. Inoltre avrebbe potuto essere, per i bianconeri, quella che per i rossoneri, fu la partita di Udine, nella quale la squadra di Milano riuscì a portare a casa i tre punti nonostante una prestazione mediocre e nonostante fino ad un quarto d’ora dalla fine si trovasse in svantaggio per uno a zero. Quella vittoria ha cambiato l’inerzia della stagione per il Milan, tirandolo fuori da una mezza crisi e restituendo agli uomini di Allegri quella convinzione che sembravano aver perso per strada.

La Juventus poteva fare lo stesso ieri sera ma, per diversi motivi, non è riuscita nell’impresa. Sinceramente non capisco la scelta di schierare dal primo minuto Borriello, di sicuro molto volenteroso, ma che a tratti è sembrato la copia dell’Amauri delle passate stagioni. Sempre spalle alla porta e molto impreciso nei passaggi, oltre che sotto rete. Ma al di là di questo, ciò che non mi è piaciuto affatto è stato l’approccio alla gara e l’atteggiamento un po’ blando da parte di tutti fino a quando non si è subito quello che Conte ha definito “lo schiaffo”, il sesto che Di Vaio ci rifila da avversario (un po’ troppi in effetti..).

Come sempre le occasioni concesse agli avversari sono state pochissime, anche se, ultimamente, quelle poche finiscono in rete con una frequenza allarmante. Ma solo dopo la rete subita la Juventus ha cominciato a spingere e a macinare gioco. In particolare, l’assalto più veemente è stato prodotto nel secondo tempo, quando, una volta raggiunto il pareggio (nato da un’invenzione del solito Pirlo), i bianconeri, almeno per venti minuti, hanno letteralmente schiacciato l’avversario nella propria area di rigore. Ma spesso accade che se non si riesce ad invertire l’andamento del match nel periodo di massima spinta, e nel momento in cui l’avversario sembra alle corde, si finisce per non riuscirci più. Ed infatti è andata proprio così. Un paio di nette occasioni ed il solito rigore negato non sono bastate per riuscire a ribaltare completamente il risultato.

Alla fine della prima frazione di gioco la domanda che mi sono posto è stata questa: Ma sta giocando la Juve di Conte o quella di Del Neri? I ragazzi sembravano svuotati, molli, arrivavano sempre in ritardo sul pallone e insistevano troppo sui lanci lunghi. Fortunatamente nella ripresa si è rivista, almeno in parte, la Juventus di questa stagione, quella che non molla mai, che non ci sta a perdere, che corre e che tiene comunque in mano la partita. Questo secondo tempo mi ha trasmesso un po’ di speranza e di coraggio in vista dei prossimi impegni che, viste anche le assenze, sembrano difficilissimi se non proibitivi.

La gara di domenica prossima a Genova sarà veramente decisiva. Non si può più sbagliare. Un’eventuale vittoria potrebbe avere il valore di una vera e propria svolta, se non nella posizione in classifica, almeno dal punto di vista psicologico. Un altro pareggio o, peggio, una sconfitta, costringerebbe la Juventus a guardarsi seriamente le spalle per non perdere il secondo posto che significa Champions diretta.


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martedì 6 marzo 2012

I sogni della Juventus passano per Bologna

Scorrendo l'elenco degli incontri previsti per la ventiseiesima giornata del campionato di serie A e focalizzando l'attenzione sulla corsa verso lo scudetto, a prima vista quello appena concluso sembrava potesse trattarsi di un turno favorevole per la Juventus. Dalla teoria alla pratica, invece, il ritornello è stato sempre lo stesso: Ibrahimovic ha preso per mano il Milan conducendolo ad una facile vittoria sul Palermo mentre Madama, che già conosceva l'esito della gara del "Renzo Barbera", non è andata oltre il pareggio in casa contro il "piccolo" Chievo.

Lo svedese, in testa alla classifica dei marcatori in compagnia del friulano Di Natale (diciotto reti all’attivo per entrambi), lo scorso mercoledì aveva trascinato la propria nazionale al successo esterno nell’amichevole disputata contro la Croazia (3-1 a Zagabria), uno dei nostri avversari nel gironcino del prossimo Europeo. Nello stesso giorno l’Italia di Prandelli infarcita di juventini (in sei sono scesi sul campo di “Marassi”) perdeva contro gli Stati Uniti allenati da Jürgen Klinsmann (0-1). Col senno di poi (e con le dovute cautele) questi erano indizi da non trascurare.

Sempre a proposito di Ibrahimovic va ricordato che il 5 febbraio 2012 venne espulso per aver tirato uno schiaffo al napoletano Aronica: prese tre giornate di squalifica (poi confermate), saltò Milan-Juventus e fu costretto a non giocare in campionato per quasi un mese (sino a sabato 3 marzo). In quel preciso momento i rossoneri avevano accumulato quarantaquattro punti in classifica e si trovavano ad una sola lunghezza di distacco dalla Vecchia Signora capolista, alla quale – oltretutto – spettava la possibilità di recuperare una gara rinviata per neve (quella col Parma, poi disputata il 15 febbraio).

In questo arco di tempo l’attaccante del Diavolo ha potuto comunque giocare in coppa Italia, in Champions League e – appunto – in nazionale, dove ha avuto modo di tirare fuori il meglio e il peggio del suo repertorio: assist, goals e scontri sul campo di gioco con gli avversari.
Nonostante la sua assenza il Milan si trova attualmente a cinquantaquattro punti, mentre la Juventus – ferma a quota cinquantuno – aspetta l'incontro di mercoledì 7 marzo a Bologna (un altro recupero, oltre all'incontro del "Tardini") per cercare di riagguantare i rossoneri in vetta al torneo.

In un periodo in cui avrebbe dovuto mantenere il passo giusto Madama ha invece dilapidato un esiguo vantaggio, proprio mentre i diretti rivali hanno saputo affrontare al meglio la situazione di emergenza che si è prospettata davanti a loro.
Così come è assodato che un successo potrebbe rimettere le duellanti sullo stesso piano, allo stesso modo è anche vero che gli uomini di Conte farebbero bene a non mollare la presa: Lazio (quarantotto) e Udinese (quarantasei) non sono poi così lontane.

Se l'imbattibilità è stata un pregio del quale per lungo tempo la Juventus ha potuto fregiarsi, l'elevato numero dei pareggi (dodici in venticinque gare, quasi la metà) ne ha minato il prestigio. L'attuale secondo posto è frutto anche di una fase difensiva che ha funzionato spesso ai limiti della perfezione (sono solo sedici i goals subiti), ma gli infortuni che terranno lontano dai campi di gioco Barzagli e Chiellini per diverse partite sono una difficoltà in più che la Vecchia Signora dovrà affrontare nei prossimi incontri. Nella speranza che gli attaccanti inizino a fare con regolarità il loro mestiere: segnare.

"Sta per cominciare un mese che dirà molto del nostro futuro e dobbiamo farci trovare preparati. La nostra concentrazione è rivolta soltanto a questo", ha scritto Alessandro Del Piero sul suo sito qualche giorno addietro. Aggiungendo: "Erano anni che non arrivavamo a marzo in corsa per due obiettivi, campionato e coppa Italia, dato che siamo attesi anche dalla partita di ritorno contro il Milan che vale la finale dell’Olimpico". Dopo essere partita col piede sbagliato, perdendo due punti nella gara interna con il Chievo, per raggiungere i propri obiettivi da Bologna in avanti la Juventus dovrà pigiare di nuovo il piede sull'acceleratore.
Dello stesso avviso è stato Buffon: "Vogliamo continuare a sognare".
Continuando a pareggiare, però, diventa dura fare pure quello.

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domenica 4 marzo 2012

Il fondo del barile

“I ragazzi sono stanchi, stanno raschiando il fondo del barile…..ci sono tre o quattro squadre con un organico superiore al nostro…solo il Milan può permettere l’intromissione di qualche altra squadra, altrimenti vince lo scudetto…se noi arriviamo ad ottenere un posto in Champions, quest’anno abbiamo fatto un miracolo”.
Suonano come una resa le parole in conferenza stampa di Antonio Conte. Non che abbia mai fatto proclami il tecnico Leccese, anzi, anche nei momenti di maggiore esaltazione ha sempre gettato acqua sul fuoco, scegliendo un profilo basso e ricordando a tutti, fin da inizio stagione, che la Juventus viene da due settimi posti e soprattutto da due stagioni decisamente umilianti.

Ma io credo che anche il Mister, fino a pochissimo tempo fa, sotto sotto, credesse al sogno scudetto. Così come un po’ tutti noi abbiamo sperato che potesse accadere il miracolo, frutto comunque di un grandissimo lavoro che società, squadra e tecnico hanno portato avanti dal luglio 2011 in poi. Molto probabilmente quel sogno si è infranto ieri sera, allo Juventus Stadium, dopo l’ennesimo pareggio della stagione (sono ben 12) e le solite difficoltà che fin dalle prime giornate di campionato si trova a dover affrontare la Vecchia Signora al cospetto delle cosiddette piccole.

Ovviamente io spero, con tutto il cuore, di sbagliarmi e che la mia affermazione sia solo il risultato della grandissima delusione dalla quale sono stato colto ieri sera al triplice fischio del Signor Gervasoni. Triplice fischio che ha decretato la fine di un match che ha visto una Juventus che, come sempre, nella prima frazione di gioco, ha attaccato con veemenza, ma senza riuscire a creare il numero di occasioni che fino a qualche partita fa erano una costante (anche se quelle capitalizzate sono state per tutta la stagione inferiori a quelle costruite). Nel secondo tempo si è notato immediatamente un nettissimo calo fisico, anche a causa del fatto che, tranne Giaccherini e De Ceglie, non a caso due tra i più brillanti, tutti gli altri in settimana sono stati impegnati con le rispettive nazionali.

Come lo stesso Conte ha sottolineato la seconda frazione di gioco ha visto un Chievo più fresco e che dava l’impressione di poter arrivare al goal in ogni momento, cosa durante l’arco della stagione praticamente mai accaduta all’avversario di turno presentatosi allo Juventus Stadium. Sta di fatto che, una volta subita la rete del pareggio, la Juventus non è riuscita ad avere una vera e propria reazione, se si eccettua un tiro da fuori area di Pirlo, ben parato da Sorrentino. Si sono rivisti i lanci lunghi, quei palloni gettati in avanti per disperazione che non vedevamo più dalla scorsa stagione. Nel recupero i ragazzi mostravano di non crederci più e quei 5 minuti concessi dall'arbitro sono praticamente volati via senza emozioni.

Considerando la “sconcertante” facilità con cui il Milan vince da un po’ di tempo su ogni campo, anche quelli, come Udine e Palermo che dovrebbero, almeno in teoria, rappresentare ostacoli importanti da affrontare, c’è poco da stare allegri. Onestamente mi piacerebbe vedere qualche volta gli avversari dei rossoneri scendere in campo con la metà della grinta che hanno quelli che affrontano la Juve, ma forse io vedo le partite con occhi troppo da tifoso. E’ fuor di dubbio però, che vedere Bortolo Mutti, dopo quattro reti subite senza neanche tentare di reagire, sorridere davanti alle telecamere e dichiarare “vabbè abbiamo perso contro la prima della classe, ci può stare, ci rifaremo alla prossima”, fa un po’ rabbia.

Gli infortuni di Barzagli (forse solo forti crampi per lui) e Chiellini (possibile stiramento), tra i migliori in campo, non contribuiscono ad accrescere l’ottimismo in vista del difficile incontro di mercoledì a Bologna, campo storicamente ostico ed ostile per Madama.

Vorrei parlare infine dei fischi che si sono sentiti allo stadio. Pare fossero indirizzati a Vucinic e Bonucci. Ora voglio dire una cosa: di sicuro a me Bonucci non piace molto come difensore e ritengo che una squadra che voglia ambire alla vittoria debba schierare centrali di ben altro livello, mentre per ciò che concerne Mirko Vucinic, lo ritengo la più grande delusione della stagione. A mio avviso, come già ho scritto più volte in passato, proprio lui avrebbe dovuto essere la nostra arma in più ed invece non è mai riuscito veramente ad assolvere a questo compito, vittima, probabilmente di quella incapacità di compiere il salto di qualità da grande talento a campione che ha sempre contraddistinto la sua carriera. Ma se c’è una cosa di cui questa squadra adesso non ha bisogno sono i fischi!! Qualcuno forse ha la memoria corta ed ha già dimenticato gli anni di umiliazioni continue da cui veniamo. Io sono il più deluso di tutti, ma non finirò mai di ringraziare Conte e questi ragazzi per quello che stanno facendo e vorrei che, ora che sta arrivando il difficile, tutti li sostenessero come meritano, fino alla fine, indipendentemente da quello che succederà.


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sabato 3 marzo 2012

Marcelo Bielsa, un "Loco" meglio del "Mago di Oz"

Quando la scorsa estate il suo nome fu accostato alla panchina dell’Inter, il gioco di parole venne naturale: un “pazzo” per una “pazza”. Ebbene sì, perché Marcelo Bielsa, argentino di Rosario che da una vita si porta dietro il soprannome di “loco” (“pazzo”, appunto, in lingua spagnola), sembrava l’uomo giusto per rilanciare il club nerazzurro prossimo ad essere abbandonato dal brasiliano Leonardo.

Riavvolgiamo il nastro: il 14 giugno 2011 rimbalza in Italia la notizia di una telefonata di Massimo Moratti all’ex commissario tecnico del Cile per sondare la sua disponibilità a guidare la squadra milanese. Si tratta di un fulmine a ciel sereno, che trova una spiegazione il giorno immediatamente successivo: Leonardo Nascimento de Araújo, dopo essere passato da una sponda del Naviglio (Milan) all’altra (Inter), è in trattativa per tornare al Paris Saint Germain nel ruolo (a lui più congeniale) di dirigente.

Trascorse altre settantadue ore, la storia di un possibile approdo di Bielsa sotto la Madonnina trova il suo epilogo in una dichiarazione dello stesso Moratti: “Un gran signore. All’inizio era entusiasta di venire all’Inter. Poi sono sopraggiunti problemi anche familiari, e ha dovuto declinare. Era veramente dispiaciuto e mi ha fatto avere una lettera in cui spiegava i motivi del suo no”. Da Lezama (Spagna) il successivo 13 luglio Bielsa chiude il cerchio: “Ho rifiutato la proposta dell’Inter perché avevo già dato la parola all'Athletic Bilbao. Niente di più. Nessun paragone tra le due squadre. Quando dissi di sì all’Athletic sapevo che sarebbero potute arrivare altre offerte, e così è stato”.

Josep Guardiola, mister del Barcellona “vincitutto”, in merito ad un suo possibile addio al club catalano lo ha recentemente citato come uno dei possibili sostituti su quella panchina: “Non ho nessun dubbio che Bielsa avrebbe le capacità per allenare il Barcellona”. Nel frattempo ritroverà quello che considera uno dei suoi ispiratori tattici nella prossima finale di Coppa del Re che verrà disputata il 25 maggio.
Uomo tutto d’un pezzo, Bielsa abbraccia un calcio offensivo basato sull’ormai celebre 3-3-1-3. Vive di pallone ventiquattro ore su ventiquattro, ha smesso di giocare a soli venticinque anni per poi guidare i ragazzi del Newell’s Old Boys. Da lì ha iniziato ad intraprendere una carriera che lo ha portato anche in Messico (Atlas e América) e in Spagna (Espanyol), salvo poi ritornare in Argentina, dove ha diretto la nazionale del suo paese nei mondiali del 2002 tenutosi in Giappone e nella Corea del Sud.
Fallita quella spedizione si è preso una parziale rivincita arrivando in finale nella Coppa America del 2004, dopodiché ha trionfato, nello stesso anno, con la selezione Olimpica ad Atene. Dimessosi improvvisamente dall’incarico si è trasferito in Cile, dove è riuscito a condurre La Roja sino agli ottavi di finale del mondiale sudafricano del 2010, persi per mano del Brasile. Diventato un idolo assoluto, ha abbandonato anche quella panchina nel febbraio del 2011.

Amato da molti dei propri giocatori, le sue conferenze stampa non sono certo memorabili, mentre i racconti su alcuni suoi comportamenti si dividono tra stranezze e leggende. Da allenatore delle giovanili del Newell’s Old Boys (a proposito: gli hanno intitolato pure lo stadio di Rosario) visto che il campo di allenamento era sprovvisto di tribune era solito arrampicarsi su un albero posizionato all’altezza del centrocampo con penna e fogli per vedere meglio la disposizione dei suoi calciatori sul rettangolo verde. Quando qualche appunto gli scappava di mano, scendeva per poi risalire come nulla fosse su quella “postazione”. Nella sua casa di campagna si narra che ogni tanto disponga familiari e domestici su un terreno di gioco fatto appositamente costruire lì per soddisfare le sue alchimie tattiche.

Ai tempi dell’Espanyol fece aspettare per quindici minuti Arrigo Sacchi, all’epoca tecnico dell’Atletico Madrid, dietro ad una porta: il tecnico del Milan leggendario e della nazionale vice campione del mondo ad Usa ’94 si era sentito in dovere di fargli i complimenti per il gioco mostrato dalla sua squadra appena affrontata, mentre lui – semisconosciuto – aveva deciso di presentarsi seguendo i propri “tempi”. Qualche mese prima (21 agosto 1998) non le mandò a dire a Marcelli Lippi (allenatore della Juventus del ciclo d’oro della fine degli anni novanta e futuro campione del mondo nel 2006) quando a San Benedetto del Tronto fronteggiò i bianconeri nel corso di un’amichevole estiva dai toni poco “amichevoli”. Tanto per fare un esempio: venne espulso Del Piero, stufo di subire tackle dagli avversari ai limiti del regolamento.

Moratti pensò a Bielsa già nel mese di novembre del 2011 per una eventuale sostituzione di Rafael Benítez. Ora il suo nome circola nuovamente per il futuro prossimo dei nerazzurri insieme ai vari Villas Boas, Guardiola, Guidolin e Blanc, in un giro di panchine che potrebbe coinvolgere più tecnici ed altrettanti club. “Andiamo avanti con Ranieri, ha tutta la fiducia che serve. Il Mago di Oz non lo vedo in giro”, ha dichiarato il patron dell’Inter pochi giorni fa.
Nell’estate che verrà, magari, più che un mago sulla sua strada potrebbe incrociare un “loco”.

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venerdì 2 marzo 2012

Verso Juventus - Chievo


Sabato prossimo, allo Juventus Stadium, in occasione della sfida interna contro il Chievo ci sarà il tutto esaurito. Ormai, se si eccettuano rarissime occasioni, è quasi un’abitudine vedere gli spalti della nuova casa della Juve gremiti in ogni ordine di posti per sostenere la Vecchia Signora. Ed è un bene che sia così, perché questo di certo è un momento decisivo per la squadra, come ha ribadito proprio in questi giorni Alex Del Piero sul suo sito personale. Il mese appena iniziato e le imminenti gare che si dovranno affrontare ci diranno molto sul futuro prossimo di Madama e sulle sue ambizioni di questa stagione, e ci mostreranno dove potrà arrivare.

Dopo il match contro i rossoneri, seguito da una settimana di roventi polemiche relative alle ormai famose reti annullate e alle dichiarazioni di Gigi Buffon (in occasione delle quali molti non si sono lasciati sfuggire la ghiotta possibilità di dare addosso al portiere della Juventus, per fortuna difeso a spada tratta dall'intero ambiente bianconero) tutto sembra essere diventato più complicato. I nostri diretti avversari per la vittoria finale si sono incattiviti ancora di più, così come un po’ tutto l’ambiente calcistico italiano che (ammesso che abbia mai smesso di farlo) ha ripreso a gettare fango sulle maglie zebrate.

D’altra parte non è un momento di grande brillantezza atletica per gli uomini di Conte, o almeno per una parte di essi. Marchisio, Vidal e Lchtsteiner ad esempio sembrano appannati (anche se il cileno sabato sarà squalificato), ma la questione riguarda un po’ tutta la squadra, che non sembra più riuscire ad avere quella velocità e quella intensità di gioco che ne ha caratterizzato le prestazioni nei mesi scorsi e che le ha consentito di stazionare in testa alla classifica per diverso tempo. Fino a quando, poi, non sono arrivati i rinvii a causa del maltempo.

Probabilmente il Mister nelle prossime gare (quelle di sabato, di mercoledì a Bologna e di domenica prossima a Genova) alternerà gli uomini in campo, perché sembra essere proprio necessario farlo se si vuole arrivare in fondo nella maniera migliore. Per la partita contro il Chievo si parla di Caceres al posto di Lichtseiner, giusto per dirne una. Oltre al turn over però, sarà necessario che alcuni elementi importantissimi riescano a rendere al massimo ed a dimostrarsi decisivi proprio in questo momento, poiché non lo sono stati fino ad ora ma sono stati acquistati proprio per questo. E’ il caso di Mirko Vucinic: il Montenegrino si è dimostrato troppo alterno nel rendimento in tutta la prima parte della stagione, ma è l’unico, nel reparto di attacco che ha le capacità tecniche per superare l’uomo, creare la superiorità numerica e scardinare le difese avversarie. Deve assolutamente cambiare marcia, su questo non si discute.

Tornando all’inizio di questo post, io credo che l’apporto del pubblico e dei tifosi nella sfida di sabato sera sia fondamentale per ottenere i tre punti. Alla vigilia della prima gara di campionato contro il Parma Antonio Conte disse che avrebbe desiderato che sugli spalti ci fosse una vera bolgia e così fu. Bene, è necessario che ci sia anche stavolta.


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giovedì 1 marzo 2012

Buffon, Zoff, Baresi tra serietà e fair play

Dal goal non convalidato al rossonero Muntari alle polemiche nate durante e dopo i novanta minuti di gioco, anche l'ultimo Milan-Juventus disputato lo scorso sabato non passerà inosservato nella storia dei confronti tra i due club.
Le premesse, cariche di tensioni, sono finite per sfociare in atti e parole che poco hanno avuto a che vedere con l'etica sportiva ed il fair play.
In tutto questo calderone è finito pure Gianluigi Buffon a causa di una dichiarazione rilasciata al termine del match ("Non mi sono accorto che la palla fosse entrata, ma con onestà devo dire che di sicuro non l’avrei detto all’arbitro") che ha scatenato immediatamente ulteriori discussioni e partorito sondaggi di ogni natura: “Ha fatto bene o male a pronunciare quella frase?”; “Può un capitano della nazionale comportarsi in questo modo?”.

Nel frattempo, mentre continuavano i “botta e risposta” tra i colpevolisti e gli assolutisti, Dino Zoff ha compiuto settant’anni. Era il 28 febbraio, un giorno prima dell’amichevole organizzata a Genova tra la nazionale italiana e quella statunitense: iniziando quella gara dal primo minuto Buffon ha avuto modo di superare il suo illustre predecessore nel numero di presenze in maglia azzurra (centotredici, salendo così al terzo posto della graduatoria assoluta dietro i primatisti Cannavaro e Paolo Maldini).

Mito vivente, leggenda,… Chi più ne ha più ne metta… Zoff ha vissuto il mondo del calcio per una vita intera, assaporandolo da ogni angolazione possibile: direttamente dal campo, seduto su una panchina e dietro a una scrivania. Recentemente gli è stato domandato con quale aggettivo si definirebbe: la sua risposta è stata “serio, anche se ormai non si usa più”. Da portiere e tecnico della Juventus incrociò il Milan in più occasioni: nel corso della stagione 1989/90 gli era capitato di conquistare la coppa Italia al termine delle sfide di andata e ritorno proprio contro i rossoneri. Alla guida di una squadra tecnicamente inferiore, infatti, aveva affrontato la fortissima formazione all’epoca allenata da Arrigo Sacchi.

Nel percorso che lo aveva condotto alla fase conclusiva della manifestazione il Diavolo era inciampato in una delle giornate più negative della propria storia, che aveva finito per coinvolgere in prima persona Franco Baresi, bandiera del club e colonna portante della nazionale di Azeglio Vicini. Accadde a Bergamo il 24 gennaio 1990, nell'ultima gara del gironcino a tre squadre previsto per i quarti di finale. Dopo aver vinto contro il Messina, al Milan bastava un pareggio contro l'Atalanta per passare il turno: quando mancavano due minuti alla fine dell'incontro, sotto di un goal i rossoneri beneficiarono di una rimessa laterale grazie ad un pallone tirato volontariamente fuori dal campo di gioco dal nerazzurro Glenn Strömberg per consentire i soccorsi all'infortunato Borgonovo.
In occasione della successiva rimessa laterale Rijkaard non lo restituì direttamente agli avversari, porgendolo altresì a Massaro, il quale crossò al centro dell'area di rigore: lo stesso Borgonovo, ignaro dell'episodio precedente, nel tentativo di raggiungerlo venne atterrato da Barcella. La concessione del penalty scatenò le furibonde proteste dei padroni di casa, che non impedirono comunque a Baresi la realizzazione della rete del definitivo 1-1.

"Vergogna, mai vista una cosa simile. Ci vorranno tanti anni prima che il Milan riesca a recuperare un minimo di dignità, a rifarsi un'immagine. Una squadra che ha dato spettacolo in tutto il mondo non si comporta così", disse un affranto Strömberg. "Signori si nasce, ricchi si diventa", fu - invece - il commento sarcastico di Cesare Prandelli, all'epoca uno dei giocatori in forza agli orobici. Con un comunicato ufficiale la società rossonera espresse il proprio rammarico per quanto accaduto, professando la buona fede nel comportamento tenuto dai propri tesserati.

A distanza di anni Borgonovo, grazie all'aiuto della moglie, rivisitò quella giornata attraverso uno scritto esclusivo consegnato a "Sportmediaset": "Ricordo che a fine gara si scatenò l'inferno. I giocatori dell'Atalanta negli spogliatoi mi cercavano e ricordo che sul pullman la polizia ci chiese di non sederci vicino ai finestrini, tirare le tendine e sdraiarci a terra per evitare guai. In quanto a Mondonico, che voleva portarmi al Torino e che quella sera avrei dovuto incontrare a cena, mi scaricò. Chiedo scusa a Bergamo. Come disse Paolo Maldini nello spogliatoio: 'che figura di merda abbiamo fatto!'".

Franco Baresi, a caldo, si sfogò senza usare mezzi termini: "Se vogliamo cambiare il regolamento, nessun problema, però sino a prova contraria io sono un professionista. Sono pagato per segnare, quando è possibile. A parte il fatto che in tribuna c'era un esponente dell'ufficio inchieste, avrei cercato di trasformare il rigore anche se il mio allenatore mi avesse invitato a sbagliarlo". Rovistando nella memoria, tirò fuori un aneddoto riguardante un’altra partita disputata contro l'Atalanta (22 dicembre 1985, 1-1): "Segnò Simonini al 90', mentre Maldini era a terra infortunato. Allora nessuno si scandalizzò".

Chiuse con una dichiarazione che diventò subito "materiale" utile per aprire altri sondaggi: "La realtà è che in quel momento avrei voluto essere lontano mille miglia. Ma cosa potevo fare, far tirare a un altro? Bel capitano sarei stato. E poi adesso tutti sono scatenati, ma se fosse stata la finale di Coppa Campioni quanti avrebbero protestato?".
Ognuno, nel merito, si sarà fatto la propria opinione.

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