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sabato 18 giugno 2011

Dal progetto alla realtà


"Colpite tutto quel che si muove a pelo d’erba. Se è il pallone, meglio...".
Hai voglia di far credere ai tifosi che il calcio vada trattato come fosse una scienza, dove la perfezione non esiste, ma con un "progetto" vero e attendibile non è detto che non si possa ottenere pure quella.
Ai tempi di Nereo Rocco e della (sua) famosa battuta appena citata, si parlava di meno pensando al sodo. E agli stinchi degli avversari di turno.

In Italia oggi vanno di moda i "progetti", appunto: quelli di cui sembrano innamorarsi perdutamente i giocatori e che finiscono con lo spostare uomini e capitali da un club ad un altro.

Cos’è un progetto? Quando applicato al mondo del pallone, spesso e (mal)volentieri è la strada migliore per arrivare al fallimento della pianificazione di una stagione calcistica da parte delle società.
E’ la prosecuzione delle "scelte di vita" delle quali erano piene le pagine dei quotidiani sino a non molti anni fa, il modo più semplice utilizzato dai dirigenti sportivi per spiegare nelle interviste rese agli organi di informazione un "qualcosa" di nuovo, che ha inizio oggi e per il quale non si possono chiedere risultati immediati. Ci vuole pazienza, per capire: con quella, e con il tempo, si potranno raccogliere i frutti delle decisioni attuali.

Poi arriva il momento di giocare, i progetti entrano in campo, le pressioni esercitate delle piazze (e dalle curve) sono sempre maggiori e, tutto ad un tratto, si finisce con il sostituirli in corsa, in cambio di altri.
La scadenza dei nuovi? E chi lo sa.

Un po’ di numeri, presi a caso, possono rendere meglio l’idea. Scorrendo la classifica dell’ultima serie A e rimanendo tra le prime otto posizioni, si può notare come soltanto quattro squadre nel prossimo campionato avranno lo stesso allenatore sulle proprie panchine rispetto a quello appena concluso: Milan, Napoli, Udinese e Lazio.

Nell’ambito di questo quartetto non va dimenticato il "caso Mazzarri": dopo aver strizzato l’occhio alla Vecchia Signora e rischiato di rimanere a spasso nonostante la cavalcata trionfale dei partenopei verso la Champions League, volente o nolente continuerà la sua attività all’ombra del Vesuvio. Nei mesi a venire si potrà vedere chiaramente se quella che a fine maggio venne definita da molti una "sceneggiata napoletana" avrà comportato (anche) il verificarsi di qualche strascico negativo all’interno della società di De Laurentiis.

Passando in rassegna gli altri club, la Roma americana parlerà spagnolo (Luis Enrique) mentre il Palermo di Zamparini ripartirà da Pioli. Rimangono Juventus e Inter, per le quali esistono due storie per ognuna di loro: quelle prima e dopo il 2006.

Anche qui si possono "usare" gli allenatori come traccia per riassumerle brevemente. D’altronde, quando le cose vanno male sono proprio loro i primi a saltare; viceversa, finiscono spesso (non sempre) per rimanere nella storia delle società quando riescono a conquistare qualche trofeo. Fermo restando che senza calciatori di valori non si va da nessuna parte.

Dal 1976 (nel momento dell’arrivo a Torino di un giovanissimo Trapattoni) al 2006, la Juventus ha avuto soltanto sette allenatori, due dei quali (lo stesso Trapattoni e Marcello Lippi) sedettero sulla panchina bianconera in due periodi distinti tra loro.
Nello stesso arco di tempo (trent’anni), i nerazzurri hanno cambiato il tecnico per ventuno volte. Suarez, Hodgson e Castellini presero in mano le redini della squadra - pure loro - in due riprese.

La differenza principale tra i due club? La competenza e - a conti fatti - le vittorie, la loro naturale conseguenza.
Dopo l’estromissione dal calcio di Moggi, Giraudo e Mazzini, in un mondo del pallone finalmente "pulito" (c’è da scommetterci), le cose sono cambiate, anche se - risultati alla mano - non si sono completamente invertite.

Sotto la Mole sono passati sette allenatori in sei anni, compreso il prossimo che verrà (Antonio Conte); l’Inter, nonostante i recenti successi conseguiti, da un anno a questa parte di tecnici ne ha avuti già tre. Ed ora, dopo l’addio di Leonardo, è alla ricerca del quarto. "Aspettavo un qualcosa che mi facesse alzare dal letto e dire di sì, e quella cosa è arrivata: non so se altre proposte mi avrebbero fatto ripartire con tanta convinzione", disse il brasiliano nel momento della sua presentazione alla Milano nerazzurra. Lo sceicco Tamim Al Thani, nuovo proprietario del Paris Saint Germain, a quanto pare sembra sia riuscito a toccargli le corde giuste.

Nel calcio italiano litigioso, frenetico e confuso, si crea tanto e si distrugge moltissimo alla velocità della luce: colpa delle scelte sbagliate, ma a volte anche della mancanza di quella pazienza che spesso viene demandata ai tifosi.
Tutto questo mentre Sir Alex Ferguson, dal 1986 al Manchester United, lo scorso 28 maggio ha sfidato a Wembley il Barcellona per aggiudicarsi la Champions League nella finalissima del torneo continentale. Proprio quei catalani che sono diventati maestri nel costruire il loro futuro nella rinomata "cantera".
Pensare che il divario che separa le squadre italiane dai club europei di prim’ordine dipenda esclusivamente da una minor disponibilità economica vuol dire crearsi un alibi per i fallimenti di questi anni.
Forse ora, tolto Moggi dalla circolazione, le cose cambieranno.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 14 maggio 2011

Il "piano di rilancio" della Juve e i 200 milioni di euro


Nell'ultima gara di campionato la Juventus ha subito un'altra rimonta dopo essere passata in vantaggio per due reti a zero, la terza in tre mesi: lo scorso 12 marzo accadde a Cesena, il 23 aprile a Torino contro il Catania per finire a lunedì scorso (9 maggio), sempre allo stadio "Olimpico", con il Chievo. A quanto pare a questa squadra non bastano Del Piero e Matri per vincere: quello che loro creano, gli altri distruggono.

Nelle partite prese in considerazione i due attaccanti hanno realizzato tre goals a testa, senza che ciò servisse per portare a casa quei sei punti in più che ora consentirebbero alla Vecchia Signora di trovarsi in classifica davanti a Udinese, Roma e Lazio nella corsa al quarto posto. Partendo, oltretutto, dal vantaggio derivante dai risultati ottenuti nei confronti diretti, ulteriore prova di una formazione che in questa stagione si è spesso comportata da "grande" contro le "grandi" e da "piccola" con le "piccole". "Ciofeca" di Gattuso a parte.

I giocatori hanno recentemente fatto gruppo intorno al proprio allenatore, quel Luigi Del Neri che si trova sulla graticola da mesi e che ciononostante conservava fino a poche ore fa buone possibilità di una conferma alla guida della Juventus anche per il prossimo campionato. Sino all'incontro col Chievo, ovviamente: da quel momento in poi la percentuale in tal senso si è (quasi) azzerata.

Una difesa, quella dei calciatori juventini, costruita con le parole più che con i fatti: se al tecnico di Aquileia si possono imputare errori di diversa natura e durata nell'arco della sua permanenza sotto la Mole, nell'attimo di follia che ha consentito ai gialloblù di Pioli di segnare due goals in un minuto a Buffon c'è stata una buona dose di compartecipazione da parte di chi si trovava in quegli istanti in campo. Non si è trattato dell'unico "scivolone" dei bianconeri avvenuto nel corso della gara, ma ha rappresentato comunque il momento decisivo per le sorti del match. La successiva rete per gli ospiti incredibilmente fallita da Uribe ha impedito loro di ottenere un successo che non avrebbe sostanzialmente intaccato il rammarico dei tifosi della Vecchia Signora per l'ennesima vittoria buttata al vento.

Madama nella prossima stagione cambierà nuovamente allenatore, alla ricerca della persona giusta cui affidare la guida di una rosa che necessariamente verrà cambiata, se non stravolta, rispetto all'attuale. Che poi si voglia chiamare quest'operazione "progetto", "piano ambizioso", "correzione", "rivoluzione" o "evoluzione", poco cambia. L'importante è la "sostanza", quella che è mancata negli ultimi anni dietro a (quasi) tutti gli interventi della società, così come della proprietà. L'unico pezzo del club che - considerando anche quanto accaduto recentemente - non è ancora mutato.

Ad oggi i sostenitori bianconeri stanno assistendo sconcertati al comportamento di un club che cambia pelle e connotati ogni estate, salvo ritrovarsi nella primavera successiva al punto di partenza. Lo scorso 15 aprile 2010, giusto per fare un esempio, alla vigilia di Inter-Juventus di campionato disputato al "Meazza" e vinto dai nerazzurri col risultato di 2-0, la "Gazzetta dello Sport" in prima pagina titolò: "Juve, 200 milioni per lo scudetto". Di Benitez si diceva che avesse nove giorni di tempo a disposizione per accettare il progetto (ancora...) triennale della Vecchia Signora. Nel caso in cui la sua risposta fosse stata negativa, erano già pronte due alternative: Prandelli e Allegri. Mascherano e Dzeko (o Torres), invece, erano le soluzioni possibili indicate dal quotidiano per rinforzare la squadra.
Quello che accadde nella realtà dei fatti, è ormai cosa nota.

Giovedì 12 maggio 2011, sempre il giornale in questione ha riportato la notizia: "Juve da 200 milioni". Il "piano di rilancio" (questo è nuovo... ) prevede adesso un percorso di quattro anni, e i giocatori sui quali la società punterà forte saranno Pirlo (a parametro zero), Fernando, Pastore e Pinilla (oppure uno fra Tevez, Aguero e Benzema). Sull'allenatore c'è ancora incertezza, anche se i nomi più accreditati sono quelli dei soliti noti: Villas Boas, Antonio Conte o Mazzarri.

A differenza di quanto accaduto nel corso degli ultimi due anni il tecnico bianconero che ha iniziato la stagione ha poi avuto modo di completarla. Questo non è servito a risollevare le sorti di un'annata che la Vecchia Signora ha visto compromettersi proprio a partire dalla gara interna disputata contro il Parma, il suo prossimo avversario, nel giorno dell'Epifania. Le parole pronunciate da Del Neri negli attimi successivi all'incontro con il Chievo rendono l'idea della rassegnazione di un ambiente che ora ha davvero poco (nulla) da chiedere a questo campionato: "Ci manca l'esperienza, l'equilibrio. Falliamo gli appuntamenti emotivi e finiamo vittima di situazioni paradossali".

"Siamo un enorme cantiere dove quasi tutto è cambiato, dall'autista del pullman ai vertici amministrativi e tecnici. Abbiate pazienza, aspettateci", disse Marcello Lippi nel lontano 1994, all'alba di un nuovo ciclo di vittorie bianconere. Dietro a quella Juventus c'erano due Agnelli, Giovanni e Umberto, e al suo timone un trio composto da Luciano Moggi, Roberto Bettega e Antonio Giraudo.
L'amore verso il club da parte della proprietà e la massima competenza di chi la guidava: questa era la ricetta vincente.
Con i 200 milioni di euro (o 120, 100...) si fanno solo i titoli da prima pagina.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 19 marzo 2011

La Juve tra Brescia, etica e fair play finanziario

Juventus e Brescia domani si affronteranno a Torino. Uno dei due club è reduce da un pareggio e tre sconfitte accumulate nelle ultime quattro gare di campionato. L’altro, considerando lo stesso arco temporale, da quattro pareggi in altrettante partite.
Per chi ama la Vecchia Signora del calcio italiano ed è cresciuto a pane e trionfi, pensare che appartiene proprio a Madama il percorso peggiore tra quelli (di per sé) negativi presi in esame non fa che allungare ed esasperare una sofferenza che sembra non avere mai fine. Ciononostante basta vedere come si riempiono gli stadi quando emigra in giro per l’Italia per capire quanto sia grande l’amore che tutti i suoi sostenitori le continuano a riversare addosso, spinti a seguirla sempre, comunque e dovunque. Nonostante tutto. E dentro la parola "tutto" è condensato quanto successo "dentro" e "intorno" alla stessa Juventus da cinque anni a questa parte.

Il punto ottenuto a Cesena ha interrotto un’emorragia di sconfitte che per la formazione allenata da Del Neri era ormai arrivata a tre disfatte prima dell’incontro del "Dino Manuzzi" dello scorso sabato. Simone Pepe, recentemente intervistato da Sky Sport (la trascrizione è presente anche nel sito ufficiale della società), ha dichiarato: "Nel calcio comunque i verdetti possono cambiare in un attimo, basta giocare le prossime partite alla grande. Questo ora è il nostro obiettivo".

Quindi adesso bisogna aggrapparsi a questo "obiettivo". Anche perché non è rimasto che quello, dato che gli altri - strada facendo - sono svaniti, uno dopo l’altro. Mancano nove gare sino alla conclusione della stagione: tutte finali, tutte da vincere nella speranza dei diretti interessati di non dover ripartire la prossima estate da una nuova rivoluzione. Che tanto, piaccia o non piaccia, ci dovrà comunque essere. Risultati alla mano, è un percorso che non prevede alternative. Il problema reale, poi, sarà vedere a quali risultati porterà. E quali saranno i campioni (o presunti tali) che arriveranno nella Torino bianconera.

Il 10 novembre scorso Brescia e Juventus si affrontarono allo stadio "Mario Rigamonti". In quel periodo vennero accostati moltissimi giocatori alla Vecchia Signora: da Rolando (difensore portoghese del Porto) a Forlan (Atletico Madrid), da Maxi Lopez (Catania) a Demichelis (Bayern Monaco, poi passato al Malaga), giusto per citarne qualcuno. A differenza di quanto accade nella stretta attualità, la squadra di Del Neri si era presentata alla trasferta lombarda forte di una sequenza di risultati incoraggianti: tre vittorie ed un pareggio nelle ultime quattro gare disputate, con la ciliegina sulla torta della vittoria esterna ottenuta a "San Siro" contro il Milan di Ibrahimovic. La squadra era in crescita, i punti arrivavano e tra gli infortuni di lungo corso figuravano soltanto i vari Martinez, De Ceglie e Buffon, con il numero uno bianconero che - alle prese con la riabilitazione dopo l’operazione estiva all’ernia del disco - ancora non si era fatto vedere in quel di Vinovo dall’inizio della stagione.

Prima dell’incontro del "Rigamonti" lo stesso tecnico di Aquileia, memore della sconfitta all’esordio in campionato a Bari e del pareggio esterno ottenuto a Bologna (due gare dalle quali l’ambiente bianconero si aspettava un esito sicuramente diverso) disse: "Brescia è una tappa importante, ci sono tre punti in palio come contro la Roma". La Vecchia Signora affrontò le "rondinelle" forte di un quarto posto in classifica a pari merito con il Napoli di Mazzarri, a sole quattro lunghezze dalla Lazio prima della classe.

Dopo l’1-1 finale (Quagliarella e Diamanti furono i marcatori della serata) Madama scivolò in quinta posizione, proprio nella giornata nella quale il Milan prese il comando solitario della vetta. I punti di distacco tra rossoneri e bianconeri, all’epoca, rimasero comunque quattro. A fine incontro del Neri disse: "Direi che il pari è giusto. Diamanti ha segnato un bel gol, per noi un punto fuori casa è meglio di nulla, un punto importante".

Con la teoria del "bicchiere mezzo pieno" e dei piccoli passi la Juventus ha raccolto meno di quanto poteva (e doveva) nel girone di andata, prima dell’infortunio occorso a Quagliarella, dell’espulsione di Melo e della goleada con la quale il Parma ha regolato la Vecchia Signora il giorno dell’Epifania. Il resto, quello che è accaduto dopo, è storia nota, attuale, reale.

Adesso, come detto, mancano nove gare alla conclusione del campionato: le si onori a dovere.
Lo si chiede sempre, ma in cambio non si ottiene molto. Anzi.
E si inizi a programmare bene la prossima stagione: quella del riscatto, che si giocherà nel nuovo stadio, con calciatori nuovi. Non sempre per acquistarne di valore bisogna spendere cifre folli: tanto per fare un esempio Luis Alberto Suarez, l’uruguaiano acquistato recentemente dal Liverpool e che in passato venne accostato più volte alla Juventus, ai Reds è costato 26,5 milioni di euro.
Meglio un giocatore come lui che due Martinez.
In barba all’etica e al fair play finanziario.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 17 gennaio 2010

Ferrara e quella valigia dietro la panchina…


Con una valigia sistemata dietro la panchina, Ferrara ha condotto (mercoledì scorso) la Juventus in una delle rare vittorie di questo ultimo periodo, nel quale soltanto Inter e Parma (in campionato) avevano ceduto l’onore delle armi contro i bianconeri. Uno dei tanti CDA juventini, nel pomeriggio della stessa giornata, aveva ratificato la fiducia in lui: per l’attuale società, vale quanto una dichiarazione d’amore di Ibrahimovic. Tranne l’arrivo di Bettega, dal periodo prenatalizio ad oggi rimane inalterato (quasi) tutto il resto. Sono cambiati, invece, gli obiettivi: prima ero lo scudetto, ora diventa il terzo posto; sino a dicembre era la Champions League, poi l’Europa League; la Coppa Italia avrebbe dovuto rappresentare il trofeo di consolazione, ora diventa (ancor più) importante e prestigioso conquistare la "decima". Costruire il futuro adesso nella speranza di conseguire qualche vittoria è importante; centrare il terzo posto in campionato un obbligo da non mancare assolutamente.
Perde il Napoli delle 13 partite da imbattuto: ma quella schierata contro la Juventus, non era la squadra titolare. Mazzarri, cui non manca la fantasia per cercare scuse in caso di sconfitte, non si è lasciato sfuggire l'occasione per evidenziarlo. Fosse per De Laurentiis, invece, quella coppa verrebbe anche abolita. Stile-Napoli: non si è ancora capaci di vincere, ma tantomeno di perdere…
Non è stato il Diego di Roma (doppietta strepitosa alla seconda giornata di campionato), ma è comunque un bel vedere; non è stato il Del Piero colonna leggendaria della Juventus, ma da chi non ha (quasi) mai giocato in quest’annata, non ci poteva aspettare molto di più. Tre goals in due: stavolta non è risultato decisivo il solito (e solo) Chiellini. Ora Ferrara dovrà aggrapparsi al capitano bianconero e alle sue prodezze per uscire fuori da un tunnel cui la fine sembra(va) non arrivare mai. A Ranieri, all’inizio della scorsa stagione, il suo apporto fu indispensabile: poi, però, non bastò per evitargli l’esonero. Giocoforza (un’infinità di assenze) si è passati al rombo di centrocampo: con due veri giocatori di fascia con la fase difensiva nelle corde (De Ceglie e Salihamidzic) l’equilibrio non è mancato. Quella zona riservata a Felipe Melo, però, non è la sua: ma quando si sono spesi 25 milioni di euro per lui, si pensava di farlo giocare lì?
Punito il Napoli e il finto fair-play da loro invocato per la caduta di Datolo: chi decide è l’arbitro, se non ferma il gioco si deve andare avanti. A furia di randellare per tutto l’incontro, è finita anzitempo la partita di Contini: non per aver passeggiato sulla testa di Del Piero, ma per aver procurato il fallo da rigore su Diego. Salti, fischi e cori contro Balotelli e la dirigenza: contro la Roma mancherà tutto questo, la curva Scirea verrà chiusa. Mancherà, però, anche l’appoggio alla squadra: di questi tempi è fondamentale.
Per un Lanzafame che non arriva torna a casa Paolucci, giovane cresciuto con il bianconero addosso come quelli che affollano la lista dei convocati per l’incontro con il Chievo: i forfait si accumulano di giorno in giorno. L’ultima volta al Bentegodi (casa Chievo) fu il 9 novembre 2008: con una splendida punizione Del Piero si fece un bellissimo regalo di compleanno. Completò l’opera Iaquinta: quello che oggi (dopo l’operazione al menisco) sta così bene da allenarsi, ma così male da non giocare.
Scorrendo la classifica non si faccia l’errore di guardare avanti: con una vittoria sul Siena oggi, il Milan si avvicinerebbe all’Inter per continuare un campionato a parte. Quello che assegnerà lo scudetto. Il miracolo del Bari (due rigori contro l’Inter giustificano l’uso della parola) non è bastato a sconfiggere i nerazzurri. Potrebbe essere utile al Milan in vista del derby di domenica prossima: con una vittoria dei rossoneri basterebbe loro ripetersi contro la Fiorentina nel recupero del 24 febbraio per veder concretizzato l’aggancio.
Più utile guardarsi alle spalle: se il Napoli (in virtù della vittoria nello scontro diretto a Torino) ha già ottenuto un set-point che gli consente di essere terzo nonostante lo stesso numero di punti della Juventus, la folla delle squadre pronte ad approfittare di un eventuale altro passo falso dei bianconeri aumenta di giornata in giornata. L’occasione è ghiotta: al Chievo mancherà Pellissier, l’uomo che infilò tre volte i bianconeri all’Olimpico nell’aprile dello scorso anno.
Con la valigia sistemata dietro la panchina anche a Verona, Ferrara dice di aver chiuso il suo libro nero: grazie alla vittoria di coppa Italia, il peggio è passato. L’impressione è che le pagine siano terminate, e che - andando avanti di questo passo - ne servirebbe un altro. E’ da capire se il nome di Maifredi sia stato già scritto o meno. Il rischio, per loro, è di ritrovarsi al "bar sport" a discutere da soli su quale sia stata la Juventus peggiore del dopoguerra. Un successo anche col Chievo per lasciare quella valigia lì dove si trova, e per far immaginare ai tifosi per qualche momento che la Juventus non ha dimenticato cosa vuol dire vincere. Con la speranza che qualcuno spieghi loro che cosa hanno fatto di male per meritarsi tutto questo.
Speranza, la parola giusta per Van der Sar: la moglie Annemarie si sta rimettendo dopo l’emorragia cerebrale che la colpì nello scorso mese di dicembre e che fece maturare, nel portiere, la decisione di abbandonare il Manchester United per starle vicino. Ieri ha rimesso i guantoni per tornare in porta nell’incontro con il Burnley: in bocca a lupo, Edwin.


Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Un piccolo omaggio ad un grande giocatore del passato: Michael Laudrup.