sabato 6 novembre 2010

Sanguin, il petardo e la vittoria a tavolino del Cesena sulla Juve

La storia è fatta di corsi e ricorsi, di episodi che a volte - nel momento stesso in cui si verificano - sembrano assumere un valore insignificante, salvo poi entrare di diritto nella galleria dei ricordi difficili da dimenticare.
Uno di questi accadde il 22 novembre del 1987 a Torino, in una domenica (apparentemente) qualsiasi, nella quale era previsto lo svolgimento della partita tra la Juventus ed il Cesena, valida per la nona giornata del girone di andata del campionato di serie A.
Una "grande" squadra contro una "piccola", la Vecchia Signora del calcio italiano abituata da sempre a lottare per il titolo contro una società che tradizionalmente fa della salvezza il suo scudetto.

Quella che si era presentata ai nastri di partenza del campionato 1987-88 era una Juventus decisamente inferiore rispetto ai consueti livelli di eccellenza: al termine della stagione precedente, già orfana di Giovanni Trapattoni (trasferitosi all'Inter), aveva dovuto tristemente salutare anche Michel Platini.
Per compensare l'enorme vuoto lasciato dalla partenza del francese, Boniperti aveva deciso di sfidare l'impossibile provando a sostituire Michel con un serio professionista come Marino Magrin, cui venne affidato il compito di rifornire l'acquisto-monstre del mercato estivo, il bomber gallese Ian Rush, che nei sette anni trascorsi a Liverpool aveva vinto tutto e segnato più di duecento gol con i "Reds".
Com'era prevedibile, la scelta dell'ex atalantino si sarebbe rivelata un azzardo, e la stagione della Juve (quella dei novant'anni dalla fondazione) fu deludente, con la squadra lontana dagli obiettivi che contavano, vuota di contenuti e al tempo stesso piena di polemiche. Una battuta dell'Avvocato Agnelli, pronunciata a campionato in corso (1° marzo 1988), può servire più di ogni altra considerazione a disegnare il quadro di quel particolare momento storico della Vecchia Signora: "Per salvare questa Juve non basterebbe tutto l'entusiasmo che si è creato intorno a Tomba".

E anche quel fatidico 22 novembre non si sottrasse ad un destino che per la Juventus, in quel campionato, sembrava già scritto.
Un petardo lanciato dagli spalti dello stadio "Comunale" scoppiò accanto al tunnel posto sotto la curva Filadelfia, nel momento in cui le due formazioni stavano raggiungendo gli spogliatoi per l'intervallo della partita.
Il centrocampista dei romagnoli Sanguin, a causa del trauma uditivo subìto dopo l’episodio in questione, non fece rientro sul rettangolo di gioco per riprendere il match.
A nulla valse la doppietta realizzata da Sergio Brio, cui rispose il cesenate Rizzitelli a quindici minuti dal termine dell'incontro. Il risultato non venne omologato e il Cesena presentò reclamo al giudice sportivo Barbè, che decise per la vittoria a tavolino per 2-0 a favore dei romagnoli.

Già nell'immediato dopo partita scoppiarono forti polemiche, con la Juventus convinta che Sanguin avesse accentuato gli effetti provocati dello scoppio, approfittando dell'accaduto per influenzare la decisione del giudice sportivo e guadagnare preziosi (quanto insperati) punti-salvezza.
Antonio Cabrini, a pochi passi dal giocatore avversario in quei concitati momenti, intervistato pronunciò queste parole: "Eravamo in cinque lì vicino, ma soltanto Sanguin si è sentito male. Il suo comportamento è stato esagerato".
Con l'intervento in prima persona dell'avv. Chiusano, legale (e vicepresidente) della Juventus e di Giampiero Boniperti, la società torinese provò con tutte le proprie forze a ribaltare il primo verdetto negativo, ma né la Disciplinare né la Caf (gli ultimi due gradi di giudizio) cambiarono idea: nonostante la vittoria ottenuta sul campo, la tanto temuta e "potentissima" Juventus venne quindi sconfitta in sede giudiziaria, e fu così costretta ad accettare il ribaltamento del risultato a favore del Cesena.

Il silenzio stampa imposto ai giocatori da Boniperti venne disatteso soltanto da Stefano Tacconi, che si limitò a dire: “Al prossimo petardo ci provo anch'io a buttarmi a terra".
Ad ogni vittoria, all’epoca dei fatti, venivano assegnati due punti (al posto dei tre attuali): con quelli la Juventus avrebbe potuto evitare lo spareggio per accedere alla coppa UEFA, disputato a fine stagione contro il Torino (23 maggio 1988), in virtù della medesima posizione in classifica (la sesta) ottenuta da entrambe le squadre.
La Vecchia Signora tuttavia vinse, ai rigori (4-2), dopo che i tempi regolamentari e i supplementari si erano conclusi con un nulla di fatto. Sergio Brio, ironia della sorte, sbagliò il penalty.

Una nota conclusiva: l’arbitro di quel famoso Juventus-Cesena, nonché autore del referto dell’episodio dello scoppio del petardo che – così come redatto – mise in difficoltà la linea difensiva della società torinese, era Romeo Paparesta, padre di Gianluca Paparesta.
La storia, come detto, è fatta di corsi e ricorsi.
A volte anche di curiose coincidenze.

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giovedì 4 novembre 2010

Troppi infortuni e poca Juventus in Europa League

La Juventus ha iniziato la gara di questa sera contro il Salisburgo con in campo un giocatore proveniente dalla Primavera, Giandonato, per finirla con tre: Liviero, Buchel e Giannetti.
In compenso ha perso per problemi muscolari altri due elementi della rosa: Legrottaglie e Krasic.
Il serbo, appiedato dalla giustizia sportiva per due giornate da scontare in campionato, non aveva preso parte al vittorioso incontro dei bianconeri giocato sabato scorso a Milano. Questa sera, però, ben controllato dal terzino sinistro Hinteregger (che sembra essere nelle mire di Marotta) e bloccato con le cattive maniere quando ha provato ad accentrarsi in cerca di miglior fortuna, non è riuscito a lasciare il segno in una gara che definire noiosa è un eufemismo.

Le convocazioni per la partita di stasera non potevano prescindere da un bollettino del medico sociale a dir poco terrificante, che ha lasciato a Del Neri una lista di giocatori abili e arruolabili con i quali era indubbiamente difficile plasmare una squadra competitiva.
E se dai giovani scesi in campo era lecito aspettarsi un po’ di timidezza nell’impatto con il calcio che conta, dagli altri elementi della prima squadra ci si attendeva un atteggiamento sicuramente diverso da quello mostrato durante tutto l'arco dell'incontro.
Mentre il pubblico dello stadio Olimpico dedicava il primo coro dopo il fischio d’avvio dell’arbitro Stalhammar a Milos Krasic, invocando subito dopo lo spirito leonino mostrato dai giocatori bianconeri in campionato, Simone Pepe iniziava la sua personale girandola di ruoli all’interno del prato verde: dopo aver cominciato come terzino sinistro è stato successivamente spostato a centrocampo - sempre su quella stessa fascia - dopo l’ingresso di Liviero (al posto di Giandonato, chiamato in causa poche volte dai compagni), per terminare l’incontro sul lato opposto del campo.

Nel Salisburgo era assente Svento, l’autore del goal del momentaneo vantaggio degli austriaci nella gara d’andata e principale pericolo per la Juventus lungo tutto l’arco dell’incontro. Ma l’attenzione generale ha finito con l’essere catalizzata dai ripetuti problemi della squadra di Del Neri, priva di mordente e di idee e con un gioco che non ha mostrato alternative ai lanci lunghi della difesa o alle azioni impostate da Sissoko.
Due tiri in porta per la Vecchia Signora in tutto l’arco della partita: uno su punizione di Del Piero nel primo tempo e l’altro ad opera del maliano nella ripresa. Nel mezzo un ottimo assist di Krasic al capitano bianconero con la palla che termina lontano dalla porta avversaria.

Sotto gli occhi di Michel Platini, seduto in tribuna ad assistere all’incontro, i principali episodi della gara si riducono ad essere i continui spostamenti dei giocatori di Del Neri all’interno dello scacchiere bianconero: il giovane Buchel entra e si sistema sulla sinistra davanti a Liviero, Giannetti sostituisce Pepe e affianca Amauri (evanescente anche stasera) in un 4-3-1-2 che vede Del Piero arretrare di qualche metro rispetto ai due attaccanti.
Per il resto, non c’è altro da raccontare.
Anche perché le notizie più importanti provengono dalla Polonia, dove il Lech Poznan sconfigge il Manchester City di Roberto Mancini per 3-1 e affianca la formazione inglese in testa alla classifica, a sette punti.
La Juventus rimane ferma a quota quattro, come i pareggi ottenuti in tutti gli incontri giocati in questo gironcino di Europa League.

Il 1° dicembre (eccezionalmente si giocherà di mercoledì) toccherà ai bianconeri andare in Polonia, in una gara che diventerà decisiva per il prosieguo del cammino della Vecchia Signora in questa competizione.
Senza dimenticare che nell’ultimo incontro, che si disputerà a Torino, dovrà poi ricevere i Citizens.
Con una rosa bianconera ridotta all’osso, che perde ad ogni incontro più giocatori di quelli che nel frattempo riesce a recuperare dall’infermeria, si rende necessario decidere immediatamente verso quale competizione dedicare le maggiori risorse e attenzioni.
Anche se la risposta, sin da ora, appare scontata…

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martedì 2 novembre 2010

Non me ne importa niente

Fra tutti i miei amici lei è tra quelli che più si interessa (con competenza) di calcio, ma raramente noi parliamo di pallone. Non solo perché è romanista, ma perché abbiamo sempre mille altri argomenti di cui chiacchierare quando ci incontriamo.

Anche l’altra sera, per esempio, il discorso partendo da un film, e passando per Terzigno, era arrivato alle elezioni di midterm ...e poi, non so proprio né come né perché, è uscita fuori la storia del “come si è dimostrato, Moggi è un malfattore e la Juve ha rubato”.

Allora le ho chiesto se sa che nel processo di Napoli è venuto fuori che l’investigatore ha deciso di considerare nell’inchiesta solo alcune telefonate e non tutte, e che le sue ricerche si basavano sugli articoli della gazzetta, ma non su quelli di Tuttosport perché ritenuto di parte. Che il pubblico ministero ha dichiarato “piaccia o non piaccia, non esistono telefonate di Facchetti” ed è stato smentito poco dopo dai fatti. Che esistono telefonate dell’allora presidente dell’inter ben peggiori di quelle che accusano Moggi. Che esiste una sentenza che dimostra che Paparesta non è mai stato chiuso in uno spogliatoio. Che i maggiori testi d’accusa, Zeman e Baldini, in tribunale hanno fatto una ben magra figura, il primo facendo ridere tutta l’aula; il secondo ammettendo tra l’altro di aver mentito e di essersi sbagliato, e che nelle sue telefonate scherzava. Che notai e giornalisti hanno dimostrato l’impossibilità di truccare il sorteggio. Che alcune testimonianze come quelle di Coppola, Maggiani e Nicolosi tutto dimostrerebbero tranne che l‘esistenza della famosa cupola.

Lei allora mi ha guardato con un’espressione interrogativa, come se fosse appena scesa da un’astronave proveniente da Marte E lo so che non è colpa sua. Lei ha una casa, un lavoro, è fidanzata, ha degli amici, spende molto del suo tempo in cose utili ed interessanti, è una persona che si informa – molto spesso si contro-informa (ma si sa è impossibile farlo per tutti gli argomenti) – e ogni giorno riesce per qualche minuto anche ad interessarsi di calcio, seguendo le notizie alla tv e sui giornali e, al massimo, su un sito romanista si tiene al corrente sulle ultime da Trigoria. Cosa dovrebbe fare di più? Dovrebbe andare in giro su questo o su altri siti per conoscere meglio ciò che sta avvenendo in un processo che non la coinvolge più di tanto, considerato che c’è già stato quello sportivo? Voi lo avreste fatto se la squadra sotto processo non fosse stata la Juve? Infatti l’ignoranza riguardo al processo di Napoli non è colpa sua. Lo sappiamo, lo sappiamo tutti noi, lo sappiamo bene che la colpa è dei media. Media che non informano, anzi male informano.

Ci ricordiamo tutti il bombardamento subito nel 2006, così come notiamo l’assoluto silenzio di oggi. Ma il sentimento popolare ormai è troppo radicato, ed allora puoi provare a spiegare quanto vuoi, tirar fuori tutto ciò che è emerso dal dibattimento ma, alla fine, ci si scontrerà contro un muro di gomma: La Juve ruba, punto!

Allora, mi è tornata in mente una vecchia canzone del Trio Lescano, che canticchiava mio padre, che fa più o meno così : “ma di quello che si dice, che sussurrano gli amici e che mormora la gente, non me ne importa niente”.

Ma si, che continuassero pure a giustificare le loro sconfitte dicendosi che noi giochiamo sporco, non me ne importa niente. In fondo, nonostante il sentimento popolare, la Juve ha vinto per cento anni e lo farà almeno per i prossimi cento.

Articolo pubblicato su Juvenews.net


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

lunedì 1 novembre 2010

Buon compleanno Juve. Sei sempre la più bella

Sabato 31 ottobre 2009: nell’anticipo pomeridiano delle 18.00, aperitivo dell’undicesima giornata dello scorso campionato, la Juventus di Ciro Ferrara incontrò il Napoli di Walter Mazzarri allo stadio "Olimpico" di Torino. Trezeguet e Giovinco portarono in vantaggio i bianconeri; Hamsik diede il via e chiuse una rimonta che stese la Vecchia Signora. L’ingresso dell’argentino Datolo, avvenuto al 13° minuto della seconda frazione di gioco, fu la mossa che permise a partenopei di cambiare il volto alla gara: imperversò sulla fascia sinistra realizzando anche il secondo goal, quello del momentaneo pareggio.

Il giorno immediatamente successivo, il 1° novembre, la Juventus festeggiò il suo compleanno numero 112.

Nei giorni precedenti Milan-Juventus, giocata sabato scorso, Pato, l’attaccante brasiliano prossimo a vestire la maglia rossonera per la centesima volta, pronunciò queste parole: "Sarà una partita speciale. Voglio vincere. Ma ho la certezza che con questa squadra ce la farò".

Le sue aspettative erano comprensibili, considerando anche i risultati del doppio confronto tra il Diavolo e la Vecchia Signora nel campionato precedente: due vittorie per la squadra allenata - all’epoca - da Leonardo, identico risultato sia nel girone di andata che in quello di ritorno (3-0), Ronaldinho mattatore di entrambe le gare con quattro goals equamente distribuiti (due a Torino, altrettanti a Milano).

Il 30 ottobre 2010, a San Siro, Ronaldinho non è sceso in campo. Questa volta, però, ha fatto la sua comparsa la Juventus. E si sono visti i risultati.

Il solo Ibrahimovic è riuscito a mettere il nome nel tabellino dei marcatori per i rossoneri: per Pato - invece - si è trattato di una serata anonima. E se doveva essere "speciale"… Beh, in un certo senso lo è stata: da qui è partita ufficialmente la rincorsa della Vecchia Signora per ritornare ad essere se stessa.

Già in occasione del posticipo serale contro l’Inter (3 ottobre), giocato proprio a Milano, la squadra di Del Neri aveva destato un’ottima impressione. Era ancora presto, però, per festeggiare: a Torino lo si fa solo per le vittorie. Ma c’erano stati segnali confortanti e importanti di un progresso in corso, di un cantiere che sembrava stesse per chiudere i battenti.

E chi, meglio di Del Piero, poteva lasciare un’impronta su un momento così particolare della storia juventina? C’era da superare Boniperti nel computo dei goals segnati con la maglia bianconera in serie A? Meglio aspettare l’occasione giusta, quella da raccontare negli anni a venire ai nipotini che dovranno studiare - prima o poi - la leggenda di una squadra nata in un’officina torinese, e partita da lì per dominare il mondo calcistico.

Da Enrico Canfari ad Andrea Agnelli: 113 anni uniti da un unico filo, riannodato da pochi mesi e mostrato a San Siro con orgoglio. Gobbo.
Perché tanta gioia per una vittoria di campionato, seppur prestigiosa? Per lo spirito che i giocatori che hanno mostrato, per la ritrovata certezza che quella maglia e quel nome riescono ancora a trasmettere una voglia di lottare unica, quella che ha contraddistinto la Juventus dalle altre società in tutti questi anni.

Neanche il tempo di festeggiare, di godere appieno per questo successo, che è già arrivato il momento di pensare al prossimo incontro casalingo con il Salisburgo valido per l’Europa League. Tra ernie, fratture, distorsioni, infiammazioni e risentimenti muscolari, sarà difficile lasciarsi distrarre dall’euforia per la vittoria di Milano: c’è una situazione di emergenza da affrontare, con la stessa voglia di vincere mostrata a San Siro.

Oggi, 1° novembre 2010, la Juventus spegne le sue 113 candeline.

La sensazione? Che si tratti di un compleanno diverso dagli altri. Un po’ come aver perso da quattro anni chi ti dava sensazioni uniche, e averla incontrata per caso per strada. La chiami per nome, come fai da tempo. Stavolta, però, si gira. Vista di profilo, sembra proprio essere Lei.

Tanti auguri, Vecchia Signora. Più passano gli anni, e più sei bella.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 31 ottobre 2010

Fate largo al gruppo-Juve

Alcuni video tratti dal canale YouTube di TuttoZuliani (Juvenews.net)

Ecco il derby d'Italia. E quelle "cassanate"...


Senza Krasic non sarà la stessa cosa, ma si giocherà comunque: ecco il derby d'Italia, Milan-Juventus. Finalmente.
Dopo tante parole e moltissime polemiche, le due squadre stasera scenderanno sul prato verde di San Siro.
Alle 20.45 verrà dato il via alle danze: chi ci sarà giocherà, agli esclusi non rimarrà che guardare l'incontro dalla tribuna. O dalle proprie abitazioni: la sofferenza per non poter partecipare alla festa non mancherà comunque.

Il Diavolo brasiliano potrà permettersi di rinunciare a Ronaldinho senza problemi: Robinho è riuscito a riprendersi a tempo di record dal tremendo colpo al volto che Aronica gli ha sferrato lunedì scorso, verso la fine dell'incontro tra i rossoneri e il Napoli nel posticipo giocato allo stadio "San Paolo".
Meno male che l'arbitro (Rizzoli) non si è accorto di nulla: il difensore partenopeo, stavolta, ha rischiato davvero grosso.

Se fosse stata utilizzata anche in questo caso la prova televisiva, e avesse dimostrato la chiarissima intenzione di far passare l'attaccante del Milan per un simulatore, il prosieguo della sua carriera sarebbe stata seriamente a rischio. Oltretutto con l'aggravante di aver militato per due stagioni alla Juventus, disputando una gara. Ma tanto basta, Italia, per passare - di fatto - dalla parte dei "colpevoli" per antonomasia.

Un pizzico di ironia, condita da un sano realismo che non deve passare per vittimismo (quello lasciamolo a chi ne ha fatto una ragione di vita): siamo la Juventus, "orgoglio gobbo" a volontà e avanti a testa alta. A Milano stasera così come a Torino giovedì prossimo (con Krasic in campo - Tosel permettendo, non si sa mai), dove la Vecchia Signora dovrà cercare di ottenere la sua prima vittoria nel gironcino dell'Europa League.

In un'interessante intervista rilasciata al taccuino di Giovanni Battista Olivero, e comparsa oggi sulle pagine della "Gazzetta dello Sport", Paolo Maldini (oltre a ringraziare Del Piero per le belle parole spese nei suoi confronti e aver fatto altrettanto con lui) ha fornito una semplice definizione di "grande squadra": "una grande squadra ha una faccia sola: in casa e in trasferta".

Le parole pronunciate da Del Neri nel corso della consueta conferenza stampa di ieri vanno verso questa direzione: "non firmo per il pari, perché sono convinto che faremo una grande partita. Ce la giochiamo alla pari con chiunque, sempre". Se le lacune tecniche della rosa bianconera, aggiunte alle assenze, potevano indurre a pensare ad un atteggiamento più prudente da parte dell'allenatore friulano, le sue frasi ed il piglio con il quale si appresta a guidare la Juventus stasera nell'incontro con il Milan mostrano una precisa volontà: quella di dare un'identità chiara e univoca alla sua creatura.

La gara in trasferta giocata contro l'Inter (3 ottobre), terminata con il risultato di 0-0, contribuì ad accrescere autostima e sicurezze nel gruppo di Del Neri. La successiva vittoria casalinga ottenuta contro il Lecce confermò le speranze che la Juventus avesse (veramente) intrapreso la strada giusta, senza più alti e bassi o cali di concentrazioni improvvisi. I due ultimi pareggi di Salisburgo e Bologna hanno smorzato l'entusiasmo dell'ambiente: se la difesa ha dato concreti segnali di miglioramento, il problema più grosso - adesso - è là davanti.

E se la qualità del centrocampo bianconero era riuscita - in alcune gare - a mascherare le difficoltà realizzative, ora Del Neri dovrà aggrapparsi alle buone intenzioni di Martinez nella speranza che riesca a non far rimpiangere più del lecito Krasic. Magari attraverso un atteggiamento in campo della squadra ancora più elastico del solito, attraverso i movimenti (dieci metri avanti o indietro) dello stesso uruguaiano, di Felipe Melo e Quagliarella (in primis), la Juventus potrebbe passare - nell'arco dell'incontro - dallo schema classico al 4-1-4-1 o al 4-3-3.
Anche se fa uno strano effetto parlare in questo modo di un gruppo di giocatori schierati in campo da un allenatore che ha abbracciato il 4-4-2 come un credo (calcistico) a cui non sembrava voler rinunciare.

Questa volta, oltretutto, non si potrà non dare un'occhiata alla classifica: una vittoria del Milan porterebbe i rossoneri a otto punti di distanza dalla Juventus, mentre l'Inter (con Lucio in campo ieri nella gara vinta contro il Genoa, nessuna simulazione e prova televisiva anche per lui dopo l'incontro col Bari) si trova già a sei punti.

Tra le occasioni che la sessione invernale del calciomercato potrebbe offrire alla campagna di rafforzamento che verrà portata avanti da Marotta e Paratici, ora spunta il nome di Antonio Cassano. Il suo acquisto, ad oggi, sembra difficile: dipenderà da diversi aspetti, tra i quali - naturalmente - quello economico riveste un ruolo di primo piano.
Anche il Manchester City è tra le pretendenti al talento barese, ormai in rotta con la Sampdoria: e proprio in Inghilterra si potrebbe comporre la coppia offensiva che l'Italia mediatica ha sognato per un'estate intera, con l'attaccante che raggiungerebbe Mario Balotelli. Maglia azzurra sì, quindi, ma non quella della nazionale.
L'opinione pubblica, madre di tutti i sentimenti popolari, anche stavolta non ce l'ha fatta: ha puntato deciso su un'idea, e ha fallito. Magari la colpa della nuova, ennesima "cassanata" verrà data a Marcello Lippi (ottimo capro espiatorio, juventino), rimane il fatto che gli errori da correggere iniziano ad essere tanti.
A cominciare da Farsopoli.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 30 ottobre 2010

Quando la Vecchia Signora giocò a tennis col povero Diavolo

Ci sono partite che entrano a piedi uniti nella storia del calcio, per non uscirne più.

E' il caso dell'ormai famoso Milan-Juventus disputato a San Siro il 6 aprile 1997, con i rossoneri detentori del tricolore che affrontarono la Vecchia Signora campione d'Europa e del mondo. Quella gara rappresentò l’ideale passaggio del testimone nel predominio calcistico in Italia e nel Vecchio Continente tra le due squadre, celebrato dai bianconeri vittoriosi con un risultato tennistico che non ammetteva repliche: 6-1.

Fresco di uno scudetto appena conquistato il Diavolo aveva deciso di cambiare volto e filosofia di gioco: una scelta che - a campionato in corso - si rivelò sbagliata. In estate la squadra fu affidata all'uruguaiano Oscar Tabárez: a Milanello durò sino al 1° dicembre, per poi essere sostituito da Arrigo Sacchi. E fu proprio lui a sedere sulla panchina dei rossoneri in quel famoso 6 aprile.

Nel primo campionato dopo gli effetti della sentenza Bosman, che permise alle società sportive di tesserare un numero illimitato di giocatori provenienti dagli altri paesi comunitari, il Milan aggiunse alla rosa due calciatori olandesi formati nella "scuola Ajax" (Davids e Reiziger), nel dichiarato intento di proseguire l'opera l'anno successivo con gli innesti di Kluivert e Bogarde.

La Juventus decise di abbandonare l'idea del tridente offensivo Vialli-Ravanelli-Del Piero, lasciando partire i primi due verso la Premier League e puntando sul (più) giovane attaccante. Oltre alla conferma dell’esperto Padovano, in attacco vennero aggiunti il potente Boksic e i giovani Vieri e Amoruso. Ma in tutti i settori del campo l'undici di base subì una vera e propria trasformazione, contrariamente al motto "squadra che vince non si cambia".

Venne plasmato un gruppo di giocatori in grado di usare – all’occorrenza - sia la sciabola che il fioretto: dalla grinta di Montero alla sapienza tattica di Jugovic, passando per la classe di Zidane sino ad arrivare alla forza devastante delle punte presenti nella rosa a disposizione di Marcello Lippi.

A San Siro scese in campo una Vecchia Signora bella come solo lei sapeva essere nelle serate di gala. Fece divertire il Milan per una manciata di minuti, con Peruzzi abile e reattivo nel respingere i primi assalti dei rossoneri.
Poi decise che era arrivato il momento di togliersi il velo e di mostrare al mondo intero tutto il suo splendore.

Vieri iniziò a fare sportellate con Franco Baresi; Sebastiano Rossi si dimostrò capace di rispondere a un suo tiro potentissimo, ma sulla successiva respinta Jugovic si trovò nella posizione ideale per realizzare la prima rete, quella del vantaggio. Alla furiosa reazione del Milan si contrappose, più volte, il portierone bianconero.

I bollenti spiriti rossoneri andavano placati e, mentre Jugovic cercava di mettere nuovamente la sua firma sull'incontro con una conclusione da fuori area, la ribattuta della difesa avversaria fece terminare la palla sui piedi di Boksic: neanche il tempo di tirare, che uno sgambetto di Maldini lo fece finire a terra. Rigore. E stavolta toccò a Zidane entrare nel tabellino dei marcatori.

Il pubblico rossonero presente a San Siro, sotto shock, iniziò a perdere fiato e coraggio, proprio mentre stava per avere inizio - a tutti gli effetti - la festa bianconera. Terminato il primo tempo sul 2-0, la gara riprese con un'altra rete: sull'asse Zidane-Amoruso la palla giunse a Jugovic, che partendo dal centrocampo puntò dritto l'area di rigore rossonera per beffare - per la terza volta - Sebastiano Rossi.

Le grandi squadre non hanno limiti. Quella Juventus, in più, aveva anche voglia di divertirsi: Vieri ricevette un assist da Tacchinardi (palombella a scavalcare la difesa del Milan) e portò a quattro le marcature, seguito da Nicola Amoruso (nuovo compagno di reparto, entrato in campo al posto di Boksic), che completò la cinquina raccogliendo in area di rigore una respinta del portiere rossonero su tiro, guarda caso, di Jugovic.

Al goal della bandiera realizzato da Marco Simone (conclusione al volo da palla ricevuta direttamente da calcio d'angolo) replicò immediatamente Christian Vieri: 6-1.
Quella sera Jesús Gil, vulcanico presidente dell'Atletico Madrid, si innamorò del talento del giovane attaccante juventino, che riuscì a portare in Spagna a fine stagione dietro il versamento nelle casse bianconere di una cifra pari a 34 miliardi delle vecchie lire.

Diventata campione d'Italia per la ventiquattresima volta Madama decise di cambiare abito nuovamente, ingaggiando al suo posto il fresco vincitore della classifica capocannonieri: Filippo Inzaghi. Per costruire una Juventus nuovamente vincente.
Contrariamente al motto "squadra che vince non si cambia".
Alla Triade riusciva spesso e volentieri.

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