sabato 7 marzo 2015

Duncan Edwards e i Busby Babes





Il giorno dopo la sua morte, avvenuta il 21 febbraio del 1958, il 'Daily Mirror' gli aveva dedicato un articolo titolato “Un ragazzo che giocava come un uomo”. Nel tracciarne il profilo Robert 'Bobby' Charlton ha ripetuto più volte che 'è stato l'unico giocatore che mi abbia fatto sentire inferiore'. Jimmy Murphy, il coach del settore giovanile del Manchester United nonché vice dell'allenatore Matt Busby, anni dopo la sua scomparsa lo aveva ricordato usando queste parole: 'Quando sentivo Mohammed Alì dire al mondo che lui era il più grande di tutti mi veniva da sorridere. Vedete, il più grande di tutti fu un calciatore inglese chiamato Duncan Edwards'.

In un pomeriggio di inizio febbraio del 1958 l'aereo che avrebbe dovuto riportare i Diavoli Rossi di Manchester in Inghilterra, al termine di una gara europea disputata a Belgrado contro la Stella Rossa, prese fuoco a Monaco di Baviera. Il velivolo si era fermato in Germania per effettuare un rifornimento. Le difficili condizione metereologiche avevano impedito il nuovo decollo del mezzo per ben due volte. Alla terza era riuscito finalmente a spiccare il volo, per poi perdere subito quota e andare a schiantarsi poco distante la pista.

Perirono sul colpo ventidue persone, sette delle quali erano giocatori del Manchester United. Duncan Edwards, la stella più luminosa della squadra, era riuscito a sopravvivere anche se le sue condizioni apparvero subito gravi. In un raro momento di lucidità aveva domandato ai medici quante possibilità avesse di prendere parte alla successiva partita di campionato della compagine inglese. Il 21 febbraio del 1958 la sua breve, intensa vita si concluse definitivamente. 

Matt Busby, il manager scozzese che era riuscito a risollevare dalle ceneri il club e trasformarlo in una società vincente, perse in questo modo un gruppo di giovanissimi calciatori che considerava suoi figli. Tra questi Edwards era sicuramente l'elemento di maggior spicco, destinato ad un futuro calcistico di primissimo livello. Un giorno, mentre ne stava descrivendo le qualità in presenza di alcuni cronisti, Busby disse: “Eravamo soliti osservare i ragazzi allenarsi, per trovare qualche punto debole su cui potessero concentrarsi di più. Guardammo Edwards e ci arrendemmo nel trovare pecche nel suo gioco“.

Regista difensivo, prototipo antenato dei futuri 'calciatori totali', tuttocampista... Edwards era un condensato di classe e sostanza, fumo e arrosto, a seconda delle circostanze e delle esigenze sapeva usare tanto la sciabola quanto il fioretto. A soli ventuno anni si era piazzato terzo nella speciale graduatoria del pallone d'Oro stilata da France Football, proprio nel momento in cui il Manchester United iniziava ad assumere un ruolo di primo piano anche in Europa dopo aver vinto tre campionati in patria in soli cinque anni (1952, 1956, 1957).

Così come la tragedia di Superga del lontano 1949 ha segnato la vita del Torino, che sino ad oggi non è stato più 'grande' come in passato, quanto successe nel 1958 a Monaco di Baviera rischiò di fare altrettanto con quella del Manchester United. In realtà bastarono esattamente dieci anni per rivedere gli inglesi protagonisti in Europa. Nel 1968 fu lo stesso Matt Busby a condurre i Diavoli Rossi alla vittoria della loro prima coppa dei Campioni. Mattatore assoluto della finalissima fu Bobby Charlton, autore di una doppietta esattamente come era accaduto a Belgrado nella partita che aveva preceduto il disastro aereo.

Una coincidenza, esattamente come quella capitata il 26 maggio del 1999 allorquando il Manchester United riuscì a vincere nuovamente il massimo trofeo continentale superando il Bayern Monaco grazie ad una rimonta straordinaria che si era concretizzata negli ultimi minuti di gioco. Proprio quel giorno, infatti, Matt Busby avrebbe dovuto compiere novant'anni. Si era spento il 20 gennaio del 1994, raggiungendo così i suoi ragazzi in cielo per assistere in loro compagnia al successo dell'amato club contro la fortissima squadra tedesca.

Una squadra di Monaco di Baviera. Una coincidenza. Un'altra ancora...

Articolo pubblicato su Lettera43