domenica 25 dicembre 2011

Buon Natale a tutti!!!


Ps: c'è poco da fare, Del Piero è (e rimarrà) il numero 10 per eccellenza.

giovedì 22 dicembre 2011

Una Squadra con la "S" maiuscola

Così l’allenatore della Juventus ha definito la sua squadra al termine di una delle gare più insidiose e difficili di tutto il campionato, dimostrandosi soddisfattissimo per come i suoi ragazzi hanno interpretato il match dall’inizio alla fine.

Come già aveva fatto in occasione della partita contro la Lazio, il Mister ha schierato una formazione a specchio, ricalcando lo stesso schema utilizzato dall’Udinese: un 3-5-2 con Buffon tra i pali, Barzagli, Bonucci e Chiellini in difesa, Lichtsteiner ed Estigarribia sulle fasce, sia per spingere sia per frenare le avanzate di Armero e Basta, poi i soliti tre centrocampisti, Marchisio, Pirlo e Vidal, ed infine in attacco Matri e Pepe, per la prima volta nella stagione schierato come punta capace anche di rientrare.

Come ha spiegato a fine serata, ha messo in campo gli undici così disposti proprio perché temeva le ripartenze rapidissime dei friulani e per non rischiare uno di quei contropiede letali che ormai sono una delle migliori armi della squadra di Guidolin. Qualcuno ha storto il naso dicendo che questo schieramento fosse quasi sinonimo di paura, ma la gara ha dimostrato che non era così perché, al di là degli uomini messi in campo, l’atteggiamento della Juventus è stato quello di una compagine aggressiva, che impone il proprio gioco e che cerca la vittoria fino a quando dispone delle energie necessarie per farlo. Tutto questo non correndo praticamente alcun pericolo, pur avendo davanti l’attaccante più prolifico della serie A da due stagioni a questa parte e soprattutto giocando in uno stadio dove tutti, fino a ieri, avevano pagato dazio. Secondo me (ma questo è solo la mia opinione personale) Antonio Conte ha indovinato alla perfezione la tattica.

Purtroppo, e questa è la nota dolente ormai ricorrente: per essere una vera Squadra con la S maiuscola manca ai Bianconeri quello che invece il Milan, al di là degli aiutini, delle mancate prove televisive e di quel pizzico di fortuna che ha fatto diventare Nocerino un goleador, invece possiede. E cioè quel cinismo che gli consente di mettere le partite sul binario giusto quasi da subito, quella freddezza che gli consente di capitalizzare al massimo ogni occasione da rete e quella capacità di spaventare l’avversario già negli spogliatoi che un tempo era propria della Juventus.

Sicuramente Matri in questo momento è appannato e, a posteriori, si può pensare che forse si poteva schierare Quagliarella fin dall’inizio. Di sicuro qualche tempo fa Alessandro avrebbe gestito meglio alcuni palloni pericolosi che ha avuto a disposizione, però la sensazione è che attualmente gli attaccanti di cui dispone la Juve siano ottimi, ma nessuno dispone di quella capacità realizzativa che aveva ad esempio un David Trezeguet, il cui rapporto occasioni da goal/reti realizzate era veramente mostruoso.

La Juventus, ad ogni modo, è in crescita costante: come mentalità, come gioco, come convinzione nei propri mezzi ed autostima. I ragazzi, spinti dal loro condottiero Antonio Conte che si sta dimostrando sempre più a proprio agio anche davanti ai microfoni, sciorinando ottime capacità di comunicazione, non mollano mai di un centimetro, si aiutano l’uno con l’altro, cercano sempre la vittoria, non buttano mai il pallone cercando sempre la manovra, anche nelle condizioni più difficili.

Concludo dicendo che, nonostante le difficoltà, nonostante manchi ancora più di qualcosa per diventare grandissimi, i gufi ieri sera hanno dovuto rimandare la festa che avevano programmato per festeggiare la nostra prima sconfitta.


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mercoledì 21 dicembre 2011

Juventus-Milan, duello continuo

Ancora quattro partite da disputare e la Juventus terminerà il girone di andata di questo campionato. Considerate le difficoltà iniziali, in pochi la scorsa estate erano disposti a scommettere in un cammino da record come quello tenuto da Madama sino ad oggi: una volta inserita la marcia giusta, non ha più smesso di andare avanti. A volte accelerando (nove vittorie), a volte rallentando la corsa (sei pareggi).
Mai, però, indietreggiando di un solo passo (nessuna sconfitta).

Deschamps, Corradini, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni, Del Neri: rileggendo i nomi dei tecnici che si sono susseguiti sulla panchina dei bianconeri dallo scoppio di Calciopoli in poi, risulta ancora più sorprendente il fatto che i meriti principali di un avvio così travolgente vengano rivolti soprattutto ad Antonio Conte, guida della Signora fuori dal campo dopo essere stato suo capitano dentro il rettangolo di gioco per diversi anni.

La figura dell’allenatore è la più instabile all’interno del circo del pallone nostrano: se il turnover in quel ruolo è elevato, è inevitabile che l’idea di calcio propinata da un club ai propri tifosi finisca col perdere credibilità. Oltre che “sostanza”, ovviamente: i fatti e i risultati difficilmente smentiscono questa regola non scritta.

Nove tecnici di serie A allontanati dal proprio lavoro da agosto a fine dicembre (in due casi prima ancora dell’inizio ufficiale della manifestazione) su venti squadre iscritte: in testa alla classifica di questo triste primato c’è il Palermo del patron Zamparini, che dopo aver sostituito Pioli con Mangia ha virato adesso su Mutti (un ritorno, il suo). In casa rosanero la musica è più o meno sempre la stessa: anche lo scorso anno Delio Rossi venne esonerato, avvicendato da Cosmi per poi tornare e completare il campionato sulla stessa panchina dalla quale era partito.

Arrivati a trecentosessanta minuti dal giro di boa della massima serie, Juventus, Udinese e Milan (su tutte) si contendono la conquista del platonico titolo di campione d’inverno. I rossoneri sono stati gli ultimi ad aggiudicarselo, in concomitanza con la diciottesima giornata del campionato 2010/11: nell’album dei loro ricordi per dieci volte su sedici quel traguardo aveva rappresentato l’antipasto della vittoria finale. A conti fatti, adesso si può dire “undici su diciassette”.
In quella domenica si festeggiava l’Epifania, ma i tifosi bianconeri la ricordano ancora oggi per l’infortunio occorso a Quagliarella nell’incontro casalingo perso col Parma allo stadio “Olimpico”. Da lì in poi Madama iniziò una caduta inarrestabile, che la portò a confermare il settimo posto ottenuto la stagione precedente. A nulla valse, infatti, l’impegno solenne preso dalla squadra all’interno delle quattro mura dello spogliatoio del “San Paolo” dopo la successiva sconfitta patita col Napoli: “I punti a disposizione sono ancora tanti. Lavoriamo duro e sicuramente i risultati arriveranno”.

Proprio gli scarsi risultati racimolati in campionato portarono alla risoluzione consensuale del contratto stipulato tra l’Inter e Rafael Benítez, al quale non furono sufficienti le vittorie della Supercoppa italiana e della Coppa del mondo per club per restare in nerazzurro: il 6 gennaio scorso il brasiliano Leonardo esordì alla guida della Beneamata superando proprio il Napoli con un netto 3-1. A distanza di poco meno di un anno, altri due tecnici hanno occupato quella stessa panchina: Gasperini e Ranieri.

Nell’attesa che i giocatori tornino a diventare i principali protagonisti del torneo, in questo periodo si tende a vivisezionare le dichiarazioni e gli stati d’animo dei vari tecnici per valutare il livello di salute (fisica e mentale) di ogni singola squadra.
E così, mentre Allegri è in ballo col Diavolo per il rinnovo del contratto ed è costretto ad ascoltare i consigli tattici di Berlusconi, Conte e Guidolin possono lavorare in tranquillità, consapevoli di aver svolto - sino ad ora - quanto richiesto dalle rispettive società. Se non di più.
Nell’immediato questa condizione potrebbe rappresentare per loro un vantaggio rispetto al collega rossonero, nel lungo periodo – però – non bisogna dimenticare che i reali valori (o le sorprese) tendono a venire fuori: per informazioni basta chiedere ad Alberto Zaccheroni, criticato dallo stesso Berlusconi in passato e, nonostante tutto, in grado di portare a casa il sedicesimo titolo della storia del Milan.
Quella squadra arrivava da due stagioni nelle quali si era posizionata undicesima e decima, una situazione di partenza peggiore rispetto a quella della Juventus attuale.
Ogni tanto è giusto ricordarlo.
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lunedì 19 dicembre 2011

Le coronarie di Mister Conte (e le nostre..)



Subito dopo il match di ieri contro il Novara l’allenatore della Juventus Antonio Conte, rispondendo alle consuete domande dei giornalisti, analizzava la partita in questo modo:

“L’aspetto positivo è che si crea veramente tanto. L’aspetto negativo è che abbiamo lasciato il risultato in bilico fino alla fine e questo non va bene per le coronarie di chi sta in panchina, perché quando giochi non ti accorgi, sei preso dalla trance agonistica, mentre chi sta fuori patisce in maniera importante, soprattutto quando domini e sprechi”.

Mi aggancerei proprio a questa frase del Mister per aggiungere che le coronarie che patiscono non sono soltanto quelle di chi sta in panchina, ma anche quelle dei milioni di tifosi che seguono la gara sia allo stadio che in televisione. La differenza tra il dominio assoluto a livello di possesso palla, gioco espresso, intensità, occasioni da rete create e realizzazioni è eccessiva, e questo è sicuramente il difetto più grande di questa squadra, che d’altro canto mostra una ferocia ed una determinazione da far spavento agli avversari e che fa sentire chi ama quei colori veramente orgoglioso di questi ragazzi che non si risparmiano mai, che non tirano mai indietro la gamba, che cercano la vittoria con ostinazione ma anche con manovre e schemi finalmente degni della Juventus.

Incredibile il numero di palle gol gettate al vento che, se realizzate anche in minima percentuale, ci avrebbero consentito un pomeriggio di assoluto godimento e di tranquillità. Fanno da contraltare le pochissime occasioni concesse all’avversario, una (o l’unica?) delle quali però, avrebbe potuto punirci in maniera del tutto ingiusta, se Gigi Buffon, ultimamente meno sorridente e molto più concentrato, non avesse compiuto un vero miracolo sul colpo di testa di Rubino.

Una delle cose più importanti della giornata è stato il ritorno al gol di Fabio Quagliarella. Dopo quasi un anno di astinenza l’attaccante di Castellammare di Stabia riesce a metterla dentro realizzando la rete che chiude finalmente la partita. Una rete bellissima, alla sua maniera, con un colpo di testa angolatissimo che trafigge Ujkani, che fino a quel momento sembrava quasi insuperabile. Speriamo che questa segnatura dia la carica al bomber, sulla cui cessione Antonio Conte ha posto il veto, considerandolo importantissimo per l’immediato futuro.

Lodi alla difesa, che ieri è stata pressoché perfetta, anche se, di certo, non aveva di fronte un attacco particolarmente forte, ma Barzagli, Chiellini, Lichtsteiner e perfino De Ceglie, non hanno sbagliato praticamente un intervento. Di Buffon abbiamo già detto.

Ottima la prova di Giaccherini (a parte le due occasioni da rete clamorose sciupate) che si sta calando nella parte dell’interno di centrocampo con sempre maggiore autorità, ma in generale eccellente prestazione di tutti i bianconeri. Ora si va ad Udine, dove la Juve è attesa da una prova veramente difficile. Prima della gara dovrò procurarmi qualche ansiolitico, altrimenti, se continua così sarà dura arrivare incolume alla fine della stagione.


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venerdì 16 dicembre 2011

Juventus-Milan, duello infinito

Lo scorso 20 novembre il Parma sconfisse allo stadio “Tardini” l’Udinese con un secco 2-0: Biabiany e Giovinco (direttamente da calcio di rigore) stesero i friulani, che schieravano tra le loro fila alcuni giocatori stanchi per gli incontri disputati nelle rispettive nazionali di appartenenza durante la sosta del campionato appena conclusa. Francesco Guidolin, all’epoca dei fatti, era il ritratto dello sconforto: “Sono amareggiato e deluso. Pensavo di vedere un altro atteggiamento, ma credo che tutti si siano accorti che l’Udinese non può lottare per i primi posti”. Persa anche la vetta della classifica (distante, comunque, un solo punto, in attesa del recupero tra il Napoli e la Juventus) da quel momento in poi la sua squadra non ha più smesso di vincere: in casa con Roma e Chievo, in trasferta contro l’Inter, mettendo a segno cinque reti e subendone soltanto una.

Sono bastate tre partite, quindi, per riportare i friulani in testa, in coabitazione con la Vecchia Signora: “E’ un momento magico che sta durando, e noi proveremo a farlo durare il più possibile”, ha confessato lo stesso Guidolin dopo l’ultimo successo interno. Per continuare a sognare, però, bisogna tener conto del menù previsto dal calendario prima della sosta natalizia: la trasferta contro la Lazio (lontana solo due punti, così come il Milan) anticiperà il big match contro la Juventus del 21 dicembre, data del recupero della prima giornata originariamente prevista per il 28 agosto.

A quell’appuntamento Madama potrebbe arrivare nuovamente da capolista solitaria, nel caso in cui l’Udinese dovesse rallentare la propria corsa e la Juve riuscisse a rispettare i favori del pronostico aggiudicandosi il (ritrovato) derby contro il Novara che verrà disputato domenica prossima allo “Juventus Stadium”. L’occasione per dare una prima scossa importante al campionato la Vecchia Signora se l'è fatta sfuggire nell’ultima partita disputata a Roma contro i giallorossi: vincendo, avrebbe allungato sul Milan, la più attrezzata per la conquista dello scudetto tra le quattro attuali pretendenti.

Il 29 settembre, qualche giorno prima del successo interno dei bianconeri sul Diavolo (2 ottobre), Gianluigi Buffon pesò l’importanza di quell'incontro: “Portare a casa un risultato positivo ci servirebbe a livello di autostima, darebbe morale al gruppo. Insomma, ci permetterebbe di posare un mattoncino importante lungo il nostro percorso di crescita”. Titubante come se avesse avuto paura di mostrarsi troppo bella di fronte alle altre, Madama pareggiò subito dopo con Chievo e Genoa, lasciando per strada quattro punti.
Stordito dalla sconfitta subita a Torino, invece, nelle nove successive gare giocate il Milan ne ha vinte sette e pareggiate due, recuperando velocemente il terreno perduto nei confronti delle dirette rivali.

L'unica compagine ancora imbattuta del torneo, a questo punto, rimane proprio la Juventus. Il mezzo passo falso di Roma ha frenato il continuo susseguirsi di elogi dei quali era stata ricoperta negli ultimi giorni, lasciando spazio alle statistiche: una partenza simile non le capitava da ben sessantadue anni, dal campionato 1949/50, allorquando i risultati utili consecutivi furono diciassette.
A fine stagione per Madama arrivò il tricolore numero otto, dopo un'attesa che durava dal lontano 1935. L'avversaria più ostica, allora come oggi, era il Milan del trio svedese Gren, Nordahl e Liedholm. I rossoneri, sconfitti in casa dai bianconeri nel girone di andata col risultato di 1-0 si rifecero con gli interessi nella sfida di ritorno, disputata a Torino il 5 febbraio del 1950: con un perentorio 7-1 inflissero alla Juventus una batosta che comunque non permise loro di conquistare lo scudetto.

I ripetuti paragoni con la prima Juventus allenata da Lippi e i ricordi pescati dalla storia vincente di Madama non fanno altro che amplificare i meriti dell'ottimo lavoro svolto sino a questo momento da Conte (e, indirettamente, dalla dirigenza), a maggior ragione se si considera che il numero "sessantadue" in casa bianconera, negli ultimi due campionati, veniva spesso usato per indicare la disastrosa stagione dove la Vecchia Signora accumulò record negativi, sulla falsariga di quanto stava capitando alle formazioni guidate da Ferrara, Zaccheroni e Del Neri.
A fine febbraio (ancora) Milan e Juventus si troveranno nuovamente una di fronte all'altra: quell'incontro, più del precedente disputato a Torino, servirà a scoprire le reali potenzialità della squadra bianconera.
La posizione occupata in classifica da Madama a fine gara, invece, aiuterà a capire a quale squadra del passato è intenzionata a somigliare.

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giovedì 15 dicembre 2011

Ma cosa si aspettavano?


Grande delusione ieri da parte del Presidente del Coni Gianni Petrucci e del massimo dirigente della FGCI Giancarlo Abete per l’esito finale dell’ormai noto a tutti Tavolo della Pace, proposto dai vertici del calcio italiano con l’obiettivo ufficiale di mettere pace una volta per tutte tra la Juventus e l’Inter, relativamente alla questione Calciopoli, ma soprattutto con lo scopo ultimo di seppellire il tutto con una bella pietra tombale, comportamento ormai abbastanza usuale in un paese come l’Italia.

Grande delusione (ma solo per loro, non per chi è bianconero fino al midollo) perché si è trattato di un clamoroso quanto prevedibile e scontato fallimento, in quanto ognuno dei contendenti è rimasto sulle proprie posizioni. Del resto non poteva che essere così, innanzitutto perché, come giustamente scrive oggi Luciano Moggi su Libero questo non avrebbe dovuto chiamarsi “Tavolo della Pace”, ma piuttosto “Tavolo del Chiarimento”, poiché avrebbe dovuto essere un’occasione per fare chiarezza sulle inique e poco coerenti decisioni prese dal 2006 ad oggi in merito a Calciopoli, e, cosa ancora più importante sul doppiopesismo e sulla disparità di trattamento riservate a Juve ed Inter nel giudicare gli eventuali comportamenti illeciti o sleali delle due società e di altre coinvolte nel processo del tutto incompleto eseguito nel 2006 .

Ancora Moggi sottolinea l’inutile presenza di De Laurentiis a questo tavolo, mentre di sicuro sarebbe stata necessaria quella di Guido Rossi, dei PM Narducci e Beatrice e del Colonnello Auricchio, per poter chiedere loro illuminanti spiegazioni sulle indagini eseguite e su tutte le dimenticanze, con i baffi o senza, che si sono verificate in sede di inchiesta. Poi Moratti avrebbe dovuto dare spiegazioni concrete e convincenti sulle telefonate compiute da lui personalmente o dai suoi dipendenti ai designatori e non solo, e motivare la sua mancata rinuncia alla prescrizione, che invece gli avrebbe dato l’occasione di dimostrare la sua tanto decantata onestà.

La domanda da cui prende spunto il titolo di questo post è quindi la seguente:
Ma cosa si aspettavano tutti quanti? Che Andrea Agnelli dicesse a tutti: “va bene, dimentichiamo il passato, i due scudetti tolti e l’assegnazione del tricolore di cartone, dimentichiamo i danni economici e di immagine enormi subiti dalla Juventus, dimentichiamoci la serie B, condanna comminata con un processo sommario a cui mancava un grado di giudizio ed in cui non fu concessa alle difese la possibilità di portare prove preziose per la difesa. Lasciamo cadere il ricorso al TAR, lasciamo stare ogni richiesta di risarcimento, lasciamo passare tutto in cavalleria. Dimentichiamoci tutto ed andiamo avanti, tanto che problema c’è?”.

Si aspettavano questo? Tutta l’Italia calcistica si aspettava questo? Mi dispiace signori, ma Andrea è un Agnelli, e Agnelli da queste parti è sinonimo di Juventus. E la Juventus, la vera Juventus, non molla mai!! E questo sia chiaro a tutti!!


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martedì 13 dicembre 2011

Occasione persa o punto guadagnato?


Che questa sarebbe stata una partita molto difficile lo si sapeva già, per tanti differenti motivi:
innanzitutto perché quello di Roma, per la Juventus, è sempre stato un campo decisamente ostico, specialmente quando si affrontano i giallorossi, che caricano questo confronto di significati particolari che partono direttamente dalla antica rivalità degli anni 80, fino a quella più recente del periodo pre-calciopoli.

Poi perché questo incontro, per i giocatori della Roma e per l’allenatore, era una sorta di ultima spiaggia, visto che un’eventuale sconfitta avrebbe significato probabilmente le dimissioni di Luis Enrique e una crisi profonda per la squadra della capitale dopo la debacle di Firenze.

Dietro alle difficoltà di questo match ci sono anche motivazioni numeriche, infatti la Juventus arrivava a questa serata ancora imbattuta, ed inoltre era dal 2004 che non usciva perdente dallo stadio Olimpico di Roma. E si sa che la legge dei grandi numeri ha la sua importanza in questo genere di cose.

L’inizio della gara ha subito messo in mostra le prevedibili difficoltà appena descritte. La Roma era completamente rinchiusa in se stessa a difesa della propria porta e perfino l’allenatore sembrava, complici anche le pesanti assenze, aver rinnegato tutti i principi su cui dall’inizio della stagione ha basato il proprio gioco, possesso palla e ricerca della manovra. Trovare il gol dopo sei minuti, grazie a due errori in una sola azione della difesa bianconera (nessuno che andava a bloccare Totti su calcio d’angolo, permettendogli di entrare in area indisturbato, e poi il gravissimo liscio di Vidal, che ne ha poi condizionato il rendimento per tutto il primo tempo) ha permesso ai Giallorossi di impostare la gara come desideravano, difendendo e ripartendo in contropiede.

La Juventus ha avuto, come nel primo tempo di Napoli, l’approccio sbagliato alla partita. Molle, ferma e poco incisiva si metteva in condizione di dover affrontare il match in salita. Dopo la rete della Roma i bianconeri hanno avuto comunque una bella reazione, andando più volte vicino al pari con due tiri di Estigarribia (oggi molto deludente, io gli avrei preferito Giaccherini) sui quali interveniva alla grande Stekelenburg, ma nel complesso la manovra appariva meno fluida del solito e i giocatori poco lucidi rispetto alle ultime esibizioni.

In particolare il centrocampo, con il trio Pirlo-Marchisio-Vidal sembrava decisamente sotto tono e impreciso non permettendo alla squadra di girare nel modo brillante che conosciamo. Nel secondo tempo il copione della sfida non cambiava granchè, ma nonostante questo la Juve raggiungeva il meritato pareggio con Chiellini, a mio avviso, stasera, il migliore dei suoi, insieme a Barzagli. Appena ottenuto il pari, invece di spingere per andare a vincere, la squadra si lasciava schiacciare in area e in un’azione molto confusa ci scappava il rigore per la Roma. Fortunatamente Gigi Buffon si ricordava di essere un grandissimo portiere, dimostrando di essere in netta ripresa, e respingeva il tiro di Totti. Da quel momento un susseguirsi di ribaltamenti di fronte caratterizzava il finale di gara, finale in cui Quagliarella, se fosse stato un po’ più lucido avrebbe consentito alla Vecchia Signora di tornare a casa con i tre punti. Ad ogni modo il pareggio, per quanto si è visto in campo, è giusto, ed è difficile capire se possiamo considerarlo come un punto guadagnato o come due punti persi.

Forse una Squadra che vuole ambire a traguardi importanti oggi doveva uscire dallo stadio con una vittoria, ma del resto ci sono tanti fattori che influiscono sui risultati delle partite e tutto sommato siamo ancora in testa alla classifica e questo primato è del tutto meritato. Ultima riflessione: si inizia a vedere qualche elemento un po’ in debito di ossigeno, forse qualcuno deve rifiatare, ma per fortuna tra poco ci sarà la sosta natalizia per riposarsi e ricaricare le pile e poi ci sarà il mercato di gennaio in cui sarà fondamentale compiere un paio di acquisti giusti per rendere la rosa ancora più competitiva. Ora sotto con il Novara e poi con l’Udinese.


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domenica 11 dicembre 2011

Juventus-Roma, quante storie incrociate

Ogni qualvolta Juventus e Roma si trovano una di fronte all'altra il pensiero torna indietro agli inizi degli anni ottanta, al periodo in cui erano le regine incontrastate del calcio nostrano. L’Avvocato Agnelli e Giampiero Boniperti - il presidentissimo bianconero - da una parte, Dino Viola - patron dei giallorossi - dall'altra: due mondi distanti anni luce tra loro, molto più di quei centimetri che costarono a Maurizio Turone, difensore dei capitolini, il goal annullato per una segnalazione di fuorigioco nello scontro al vertice disputato allo stadio "Comunale" nel lontano maggio del 1981.

La competitività e la voglia di primeggiare erano talmente elevate da non poter essere racchiuse al solo campionato di serie A, tanto è vero che si estesero all'Europa: la Roma di Liedholm provò invano a conquistare la Coppa dei Campioni ai danni del grande Liverpool nel 1984; un anno dopo - a Bruxelles - spettò a Madama il compito di battere nella finalissima i Reds nella serata più triste della sua storia.

Se in termini di scudetti il confronto del palmarès tra i due club non è proponibile, contando le coppe Italia conquistate emerge la comune nobiltà: nove titoli a testa. E mentre nell'ultimo decennio l'Inter si è avvicinata sensibilmente al loro record (quattro successi, per un totale di sette), da tempo si è aperta la gara per arrivare primi alla conquista del decimo trionfo.

Nella scorsa edizione fu proprio la Roma ad estromettere dalla manifestazione la Juventus di Del Neri nei quarti di finale: la gara si disputò a Torino il 27 gennaio 2011, Vucinic e Taddei realizzarono i goals decisivi a favore della squadra guidata da Claudio Ranieri. Per il tecnico ex bianconero si trattò di un'altra rivincita su quella Vecchia Signora che lo aveva esonerato a sole due giornate dalla conclusione del campionato 2008/09: la panchina, all'epoca dei fatti, venne occupata sino a fine stagione da Ciro Ferrara, che da traghettatore si trasformò in allenatore l'anno successivo.

Dove la sua ultima partita in serie A coincise con una sconfitta interna patita da Madama proprio ad opera della Roma di Ranieri: il 23 gennaio 2010 i giallorossi si imposero col risultato di 2-1, e dalla giornata successiva - a partire dalla gara interna disputata contro la Lazio, l'altra squadra della capitale – toccò a Zaccheroni il compito di traghettare la Vecchia Signora sino all'arrivo di Del Neri. Curiosità, aneddoti e coincidenze che riempiono da sempre la storia del calcio in generale: andando poi a scovare nel dettaglio, si scoprono gli intrecci invisibili che legano quelle dei singoli club. Basti pensare, ad esempio, che l'esperienza dello stesso Ranieri a Roma iniziò con le dimissioni di Luciano Spalletti successive alla sconfitta interna rimediata ad opera della Juventus. Di Ciro Ferrara, guarda caso.

Attualmente prima in classifica in serie A e qualificata ai quarti di finale della coppa Italia, la squadra di Antonio Conte attende la vincente del confronto tra i giallorossi (ancora loro) e la Fiorentina per conoscere il nome della prossima sfidante (11 gennaio 2012). Per superare gli ottavi ha domato il Bologna di Pioli esibendo una squadra piena di riserve, dalle quali ha ottenuto le risposte che in parte sperava, e in parte già conosceva.

Ai "bocciati" rimarranno poche occasioni per evitare una cessione nella sessione invernale del calciomercato ormai alle porte (3 gennaio 2012 la riapertura ufficiale), mentre i "promossi" consentiranno all’allenatore di allargare il campo delle opzioni da vagliare in caso di necessità. Nella prossima trasferta di campionato a Roma contro la squadra di Luis Enrique, ad esempio, verrà a mancare il montenegrino Vucinic, ora in forza ai bianconeri: da Estigarribia a Giaccherini, passando per Quagliarella sino ad arrivare a Del Piero, ad inizio incontro o in corso d'opera, Conte sa di poter contare su più uomini per una sola maglia e con più schemi a disposizione.

A proposito di Giaccherini: il tecnico la scorsa estate difese con le unghie e con i denti le scelte di avere lui, Marchisio e Pepe tra le fila della sua squadra, contro i dubbi e le rimostranze provenienti da ogni direzione. Una volta arrivati i risultati positivi e le prestazioni confortanti da parte loro, le perplessità sono sparite. Tre indizi fanno una prova, si usa dire in questi casi.
E, forse, danno l'idea della differenza esistente tra le critiche costruttive e quelle distruttive.

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mercoledì 7 dicembre 2011

Ora la Juve deve diventare cinica


Il 7 novembre 2010 a Torino si disputò Juventus-Cesena, gara valevole per la decima giornata dello scorso campionato di serie A. Luis Jiménez portò inaspettatamente in vantaggio i romagnoli, raggiunti e superati da Madama grazie alle reti realizzate da Del Piero (su calcio di rigore), Quagliarella e Iaquinta.
Tre attaccanti per tre punti, per una rimonta e una vittoria che collocò la Vecchia Signora al quarto posto in classifica (in coabitazione col Napoli), a sole quattro lunghezze di distanza dalla Lazio capolista.
Si trattava del giorno del debutto assoluto in maglia bianconera del danesino Sorensen, scomparso ultimamente dal radar di Conte al pari di Iaquinta.

Per quanto riguarda Del Piero e Quagliarella, invece, trascorso poco più di un anno da quegli istanti si può parlare per entrambi di un lungo periodo baciato dalla sfortuna. Se per il numero dieci bianconero allora si aggiornavano costantemente i record accumulati in carriera (grazie a quel goal arrivò a quota 180 in serie A), adesso si contano i punti di sutura che gli sono stati applicati sopra lo zigomo sinistro a seguito dello scontro fortuito avvenuto con Marco Rossi nell’incontro giocato proprio con il Cesena, domenica scorsa, allo “Juventus Stadium”.

A proposito della malasorte, eccone un altro: dopo averle prese di santa ragione nello scorso campionato (un pugno da Chivu ed una manata da Ibrahimovic) ed essere stato protagonista di una rissa nel dopo partita al “Tardini” (Parma-Bari del 3 aprile 2011, mentre era in forza ai pugliesi), il nome del difensore cesenate torna alle luci della ribalta per un altro episodio slegato dalle prestazioni offerte sui campi di gioco.

Per uscire fuori dal tunnel della sfortuna a Quagliarella non resta che la speranza di non trovare più qualche compagno sulla traiettoria di una delle sue conclusioni a rete. Per informazioni basta chiedere a Lichtsteiner, che involontariamente gli ha negato la gioia della prima rete stagionale respingendo un tiro a botta sicura da lui scagliato verso la porta degli ospiti.

Se in precedenza ad una Vecchia Signora non ancora in caduta libera occorrevano i goals degli attaccanti per cambiare la storia di un incontro, a svolgere quel compito ora pensano i centrocampisti: Marchisio e Vidal, orfani per un giorno di Pirlo, aiutano la Juventus a stendere il Cesena dopo averlo tramortito per più di un’ora. Madama ruota quattro punte nell’arco della gara (compresi Vucinic, poi infortunatosi, e Matri), ma il ruolo di goleador spetta ancora a Marchisio (raggiunta quota sei marcature).
Una stagione or sono Del Neri lo emarginò sulla fascia sinistra per non rinunciare ad uno tra Melo e Aquilani; pur di farlo giocare Conte ha invece ridisegnato il centrocampo che aveva in testa piazzandolo nel suo ruolo originario.

Dei quattordici giocatori scesi sul campo domenica tra le fila bianconere soltanto in cinque sono arrivati a Torino la scorsa estate, ma è tutta un’altra musica: attribuire il merito di un cambio così evidente nel modo di affrontare gli avversari alla bellezza e all’importanza del nuovo stadio significa chiudere gli occhi di fronte al grande lavoro svolto dal tecnico juventino. Se per Giampaolo Pozzo, il patron dell’Udinese, Guidolin è fondamentale nelle fortune del suo club, altrettanto lo si può dire - ad oggi – dell’allenatore juventino. Così come ha recentemente ammesso Pavel Nedved: “Conte merita i complimenti per il modo in cui ha dato un’anima alla squadra”.

Grazie alla vittoria sul Cesena la Juventus rimane (e ritorna, dopo gli anticipi di venerdì e sabato) in vetta alla classifica. Dietro di lei Milan e Udinese la inseguono a due punti di distanza, nell'attesa di quel primo vero e proprio passo falso che ad oggi ancora non le è capitato di compiere.
Nel prossimo incontro esterno con la Roma tornerà Pirlo, pronto a riprendersi il ruolo di guida nel cuore del centrocampo bianconero. Per l'ex rossonero, fresco vincitore del tricolore nella sua precedente esperienza col Milan, la strada da percorrere per arrivare al successo è ancora lunga: "Lo scudetto con la Juventus già quest’anno? Voglio vincere con questa squadra, ma è troppo presto per dirlo, e francamente, io non credo che sia arrivato il momento nemmeno di pensarci".

Dolci parole per le orecchie di Antonio Conte: quando la sua Signora, oltre ad essere bella, diventerà cinica, allora vorrà dire che sarà arrivato il momento giusto per toglierle il velo e mostrare a tutti di essere realmente tornata.

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lunedì 5 dicembre 2011

Prove di maturità


Come da tempo sostiene l’allenatore della Juventus, Antonio Conte, ogni nuova partita da affrontare è, per la Vecchia Signora, una prova, un esame di maturità. Lo era quella vinta all’Olimpico di Roma contro la Lazio, lo era quella pareggiata al San Paolo, splendida gara ed eccellente pareggio, come già scritto, dal sapor di vittoria e lo era quella di ieri in casa, allo Juventus Stadium, contro il Cesena, non solo perché la formazione romagnola si è presentata a Torino in ottime condizioni di forma, ma anche e soprattutto perché da un po’ di tempo, le difficoltà maggiori, la Juventus le ha incontrate sempre affrontando le cosiddette piccole, cioè quelle compagini che, specialmente quando vanno in campo contro una grande, impostano la gara sulla fase difensiva, chiudendo tutti gli spazi, concedendo pochissimo e rendendosi sovente molto pericolose nelle ripartenze.

In queste partite spesso conta la giocata del singolo, il colpo di classe, lo schema vincente, il tiro da fuori, anche la fortuna, ma si può affermare con decisione che, chi riesce a trionfare in questo genere di gare, si può proporre per traguardi importanti, sempre che, ovviamente, riesca almeno a ben figurare negli scontri diretti con le prime della classe, caratteristica che, alla Juventus di questa stagione non manca di certo.

Ricordo altre partite di questo tipo affrontate dalla Juve del passato, quella pre-calciopoli per intenderci, dove i bianconeri hanno incontrato grandissime difficoltà, e dalle quali sono usciti spesso vincenti solamente grazie alle prodezze realizzate da fuoriclasse del calibro di Vialli, Baggio, Del Piero, Nedved e così via.

Quindi ieri, le condizioni per essere preoccupati c’erano tutte. E il match le ha puntualmente dimostrate tutte. La superiorità del possesso palla (73,9% contro 26,1%) e il conto dei corner (10 – 1 per i bianconeri) indicano un dominio schiacciante, ma fino alla rete di Marchisio, tutti questi numeri si sono rivelati inutili dati statistici.

La squadra si stava quasi lasciando andare, la sua pressione si stava spegnendo dopo un vero assedio durato 70 minuti, assedio in cui i giocatori, vuoi per la fretta ed il desiderio di sbloccare il risultato, vuoi per una frenesia frutto di una ancora non piena fiducia in se stessi, cercavano più la soluzione personale che il lavoro di squadra.
Fortunatamente la perla di Marchisio, frutto di una splendida giocata eseguita in collaborazione con Vidal, l’altro migliore in campo insieme al Principino, abbatteva il muro del Cesena e permetteva alla Juventus di conquistare i tre punti.

Assolutamente irrilevante, ai fini del risultato, il contestato calcio di rigore concesso ai bianconeri dall’arbitro Doveri. Sicuramente fa benissimo Mister Conte ad essere soddisfatto del comportamento dei suoi ragazzi, però non si può non notare (e del resto proprio Conte lo ha dichiarato sabato) come il Milan questo genere di partite le vinca con una facilità estrema, senza praticamente correre rischi.

Sarebbe una bella cosa se anche la Juventus riuscisse a risolvere tali confronti più in fretta, così da permettere alle nostre coronarie di funzionare correttamente il più a lungo possibile.

Concludo con un riferimento all’infortunio di Alex Del Piero. Mi sono preso, e con me credo tutti noi tifosi, bianconeri e non, un bello spavento vedendo tutto quel sangue uscire dal suo volto, ma fortunatamente il nostro Capitano sta bene. Mi piacerebbe che certi interventi fossero stigmatizzati e condannati maggiormente, mentre ieri ho sentito da più parti dire che quella “scarpata” era del tutto involontaria. Sicuramente era involontaria, ma se si evitassero certi eccessi di agonismo forse sarebbe meglio per tutti.


Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

venerdì 2 dicembre 2011

La Juventus non può più nascondersi

Dopo quattro vittorie consecutive la Juventus è tornata da Napoli con un pareggio dal peso specifico superiore a quel singolo punto che le ha consentito di portare a due le lunghezze di distacco dal Milan detentore del tricolore.

Quando la formazione di Conte piegò il Palermo a Torino (20 novembre) a spegnere il fuoco del crescente entusiasmo in casa bianconera pensarono quei pompieri che misero in evidenza il doppio volto mostrato dalla formazione guidata da Mangia in questo campionato: infallibile al "Renzo Barbera", tenera come un tonno che si taglia con un grissino in trasferta.

Successivamente fu la volta della Lazio a soccombere (26 novembre), battuta a Roma da Madama nel solco della sua recente tradizione positiva allo stadio "Olimpico": lì, invece, in molti sostennero la tesi secondo la quale il successo della Vecchia Signora dipese anche dalle difficoltà mostrate dai biancocelesti nel riuscire a vincere dentro le mura amiche.
L'episodio della palla carambolata sul braccio di Barzagli all'interno dell'area di rigore protetta da Buffon, poi, creò l'alibi perfetto che Reja colse al volo per giustificare la sconfitta interna appena rimediata.

Secondo la convinzione di alcuni addetti ai lavori la gara di Napoli era la più indicata per mettere a nudo i limiti di una squadra come quella bianconera alla quale Conte ha restituito un'anima in pochi mesi, ma che non poteva essersi completamente trasformata dopo i due ultimi settimi posti consecutivi racimolati.

Nell'incontro del "San Paolo" la Juventus si è dimostrata "Vecchia" nella prima frazione di gioco, per tornare ad essere "Signora" nella seconda. Le assenze di Marchisio da una parte e di Cavani dall'altra non hanno tolto spazio allo spettacolo di un confronto diretto che ha finito per regalare maggiori certezze (e sicurezze) ai torinesi.

Sfatato il tabù di trovarsi in svantaggio al cospetto di una grande della serie A, Madama ha superato uno degli esami più difficili affrontati dall'inizio di questo torneo.
Ora le prospettive, per lei, cambieranno: da inseguitrice è diventata lepre, e dovrà affrontare le prossime partite senza potersi più nascondere dietro i recenti fallimenti.

Il primato in classifica dei bianconeri in questa stagione non è una novità, ma soltanto adesso si ha la sensazione di una qualcosa di duraturo.

Ogni campionato racchiude in sé partite che tracciano, nel bene o nel male, il destino di un club: nello scorso, la gara interna col Parma disputata allo stadio "Olimpico" nel giorno dell'Epifania segnò la fine dei sogni delle Juventus di Del Neri. Quello che era stato costruito in quattro mesi si ruppe in un istante durato novanta minuti: dall'infortunio al ginocchio di Quagliarella all'espulsione di Felipe Melo, le certezze accumulate sino a quel momento crollarono una dietro l'altra.

I recenti inviti alla calma di Buffon, uniti alle continue raccomandazioni di Conte a non dimenticarsi delle macerie dalle quali è nata questa Juventus, sembrano scongiurare il pericolo di un gruppo che possa autoconvincersi di aver eliminato in così poco tempo tutti i mali dai quali era afflitto.

Superato un esame importante, all'orizzonte ne spunta un altro: quello col Cesena, penultimo in classifica. Negli istanti immediatamente successivi al successo ottenuto sul campo del Siena (18 settembre), fu proprio Conte a giocare a carte scoperte: "La storia dice che la Juve negli ultimi campionati ha perso tantissimi punti con le provinciali".

In quelli, la Vecchia Signora recitò la parte della comparsa. Se adesso vuole tornare ad essere protagonista l'unica strada possibile è quella che porta alla vittoria. Per accumulare altri tre punti e, magari, dare una svolta positiva alla stagione. Andando incontro ad un destino diverso da quello del suo recente passato.

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giovedì 1 dicembre 2011

Libertà di scelta

L'individuo e la sua volontà sono sacri.
Niente paura, io sono qui, come al solito, per parlarvi di pallone e non voglio tediarvi parlando di etica o politica, ma e' fuor di dubbio che ogni persona dovrebbe prendere le decisioni che riguardano la propria vita facendo delle scelte che derivano unicamente dalle proprie personali idee.

Però un vecchio motto recita che "i figli dei gatti prendono i topi", intendendo che le cose che noi impariamo dipendono sostanzialmente dagli insegnamenti dei genitori e delle persone che abbiamo vicino. E se sicuramente qualcuno avrà scelto la squadra di calcio per i colori della maglia o magari per l'infatuazione nei confronti di un particolare giocatore oppure, più prosaicamente, perché era il team vincente del periodo, moltissimi di noi, invece, sono semplicemente tifosi della squadra per la quale teneva il padre, il fratello più grande o il migliore amico.

Lui e' bello, biondo, con dei luminosissimi occhi azzurri, cammina a testa alta e sorride quando calcia un pallone, e se e' vero che ha delle decise prese di posizione, a 16 mesi e' normale che non abbia ancora idee molto chiare su tantissimi argomenti. E ancora non sa che si può essere tifosi di una squadra di calcio.
Intorno a lui, tutti noi - parenti e amici - parliamo sempre di “rispetto” a proposito di quelle che saranno le sue idee e le sue scelte, ma ciò non ci impedisce, a volte, di tentare di indirizzarle, cosi da farle combaciare con le nostre.
Cosi, contro la volontà della madre (romanista), qualche giorno fa gli ho fatto indossare la maglia della Juve. Ho provato a perorare la mia causa anche facendo notare quanto il bianconero sia elegante, e come si abbini bene con i capelli chiari. Sappiamo tutti, quanti ragazzi biondi hanno calcato i campi di calcio con indosso la nostra gloriosa maglia, in verità con alterne fortune. I miei ricordi partono da Francesco Morini e Helmut Haller e poi, passando da Romeo Benetti, Bonini, Fanna, Marangon, Koetting, Carrera, Michelino Laudrup, Mellberg, Poulsen e Pavel Nedved, arrivano fino a Krasic e Sorensen . Ma, per il momento non sono riuscita a far breccia nel cuore dei genitori.

E’ ovvio, e giusto, che sarà lui un giorno ad emozionarsi per una maglia piuttosto che per un’altra, ma (anche se ho già fallito con i miei nipoti!!) proverò ancora a parlargli delle gesta di quei ragazzi con la voglia di vincere; di quel nomignolo, “gobbi”, dovuto alla maglia larga che correndo si gonfiava col vento; dei tanti tifosi sparsi nel mondo; delle tante vittorie; di quella piccola parola che ha un significato meraviglioso “gioventù”; dei nostri palloni d’oro; dell’invidia nei nostri confronti; di tutte le coppe sollevate ma anche delle tante finali sfortunate; della fatica e della soddisfazione che si prova a tifare Juve in una città come Roma (vero Danny?); dei momenti bui e di giovani uomini perduti troppo prematuramente; dei tanti giocatori che hanno permesso alla Nazionale di diventare più volte campione del mondo.
E lo farò, alla faccia del politically correct!

Articolo pubblicato su Juvenews.net

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

mercoledì 30 novembre 2011

Un pari che ha il sapore di una vittoria

Alla fine del primo tempo della supersfida del San Paolo nessuno di noi pensava che sarebbe potuto accadere quello che poi si è verificato nella seconda frazione di gioco. Non tanto perché la Juventus era sotto di due reti, ma perché, nonostante un buon inizio, la squadra sembrava essersi persa proprio nel momento in cui ci si aspettava che potesse prendere il sopravvento, vale a dire dopo il rigore sbagliato da Hamsik nato da un quanto mai raro errore di Pirlo che, superato da Lavezzi in dribbling, lo atterrava piuttosto ingenuamente in area.

Quello sarebbe stato probabilmente il momento ideale per approfittare dello smarrimento susseguente all’errore dal dischetto e colpire il Napoli per far assumere alla gara una piega positiva per la Vecchia Signora. Invece, in modo del tutto insolito rispetto a quanto ci eravamo abituati a vedere nelle ultime partite, i giocatori bianconeri sembravano aver smarrito la loro sicurezza e la loro grande capacità di imprimere al match ritmi altissimi. L’impressione era che si fosse perso il bandolo della matassa e quella capacità di manovrare e sviluppare gioco tanto apprezzata da Arrigo Sacchi. Complici due incertezze difensive la Juventus si è trovata sotto di due gol e via, tutti al riposo. I fantasmi del passato sono apparsi di nuovo sullo schermo delle nostre televisioni, ed aleggiavano nello stadio e c’era un po’ di paura che questo maledetto tabù del San Paolo anche quest’anno non sarebbe stato sfatato (nel senso che si sarebbe perso di nuovo). Ad onor del vero, in fondo al mio cuore almeno, nonostante il mio pessimismo di base c’era la sensazione che non tutto fosse perduto. Ma era, appunto solo una sensazione.

Probabilmente nell’intervallo Antonio Conte deve aver fatto tremare lo spogliatoio (cosa confermata a fine gara da diversi giocatori) ed in campo, dopo la pausa, è entrata un’altra Juve, la Juve arrembante che in questo primo scorcio di stagione siamo abituati a vedere, la Juve che ci crede, che non molla mai e dopo la rete di Matri credo che tutti noi Juventini abbiamo pensato: “Ora possiamo anche perdere, ma quello che vogliamo è questo!! E cioè una squadra che non accetta passivamente la sconfitta e che nella sua mente ha l’idea di lottare comunque e sempre!”.

Ho contato circa 24 minuti in cui c’è stata solo una squadra in campo, in cui gli schemi dettati dal mister si sono rivisti in tutto e per tutto, con Vidal splendido protagonista sia come incontrista sia come ispiratore della manovra, un Estigarribia finalmente dentro il gioco e non solo fermo a contrastare le avanzate di Maggio, un Pepe entrato nel ruolo di Marchisio e un Vucinic finalmente concreto. Un’altra leggerezza difensiva, che nulla toglie alla prodezza di Pandev, permetteva al Napoli di riallungare le distanze, ed è lì che la Juventus, mai doma ha tirato prepotentemente fuori gli attributi agguantando un pari che ha veramente il gusto ed il sapore della vittoria, vittoria che con più lucidità si sarebbe addirittura potuta ottenere nel finale, visto che il Napoli, fiaccato dai ravvicinati impegni europei e di campionato appariva in confusione. Ma a volte bisogna sapersi accontentare e valutare la grande reazione e la grinta della squadra, anche se c’è ancora da lavorare affinché l’approccio alla gara sia sempre quello della ripresa e non quello più molle del primo tempo.

Vorrei concludere sottolineando in breve ciò che ho sentito dire a fine gara dal Presidente De Laurentiis che, a differenza di un oggettivo Mazzarri, si è lamentato per il rigore fatto ripetere dall’arbitro Tagliavento,nel rispetto del regolamento. Comprensibile la delusione di un presidente che tanto ha dato e continua a dare a questa società, ma questo mi sembra davvero eccessivo.


Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

lunedì 28 novembre 2011

Di Livio, Pepe e le storie che si ripetono

In un certo senso mi rivedo in lui. È un giocatore che dà sempre tutto e che può giocare sia a destra che a sinistra: rispetto a me ha forse più confidenza con il goal, ma è un giocatore che apprezzo soprattutto perché ha sempre in testa il bene della squadra e che è anche molto attento dal punto di vista tattico. Senza dimenticare poi che il rapporto qualità-prezzo potrebbe agevolarne l’arrivo in bianconero…”. Così Angelo Di Livio, il “Soldatino” arruolato da Madama negli anni novanta, descrisse Simone Pepe a fine maggio del 2010.
Pochi giorni dopo la Juventus decise di prelevarlo dall’Udinese, la sua precedente società. Si trattava del primo acquisto della nuova “era Agnelli”, che fece storcere il naso a coloro i quali si aspettavano un esordio col “botto” da parte del neo presidente: se Umberto, il padre, aveva viziato i tifosi con John Charles e Omar Sivori all’epoca in cui giovanissimo prese in mano le redini della Vecchia Signora, come poteva Andrea presentarsi ai sostenitori con bianconeri con calciatori del calibro di Simone Pepe?

Iniziarono allora i primi paragoni tra il nuovo arrivato e Di Livio, nella speranza che la storia, spesso fatta di corsi e ricorsi, potesse decidere di scrivere pagine identiche per le carriere di due calciatori che avevano intrapreso un percorso, in momenti differenti, abbastanza simile.
Entrambi sono cresciuti nelle giovanili della Roma, sono arrivati alla Juventus all’età di 27 anni e sul campo si sono dimostrati duttili e pronti ad esaudire i desideri degli allenatori di turno. Nelle formazioni estive, quelle macchiate dalle voci di mercato e dai pronostici fatti sotto l’ombrellone, i loro nomi hanno il triste destino di scomparire dalle formazioni titolari per finire, a volte, nella casella delle “probabili partenze”.

Poi, all’atto dell’avvio di ogni stagione, tornano di moda, e ci si accorge soltanto in quei momenti della stima maturata agli occhi dei rispettivi tecnici: Conte, che con Di Livio ha condiviso più di un centinaio di partite nella linea mediana bianconera, conosce benissimo il peso specifico di calciatori dalle caratteristiche paragonabili a quelle di Pepe nell’economia di gioco di una squadra. Prova ne sia che fu lui stesso, mesi or sono, a far concludere la telenovela di un suo possibile trasferimento allo Zenit San Pietroburgo guidato da Luciano Spalletti.

Di Livio, col tempo, divenne uno dei gregari per eccellenza di più Juventus infarcite di fuoriclasse; Pepe, viceversa, giunse a Torino in una squadra costruita più sulla “quantità” che non sulla “qualità”. Per quest’ultima si è dovuto attendere quasi un anno, vale a dire sino all’annuncio ufficiale del primo giocatore arrivato sotto la Mole nella scorsa sessione di calciomercato estiva: Andrea Pirlo.

Pepe il nuovo Soldatino? Io ti devo dire che mi rivedo molto in lui: sa giocare in difesa e attacco, sta sempre nel posto giusto”. Dopo la vittoria interna dei bianconeri contro il Milan del 2 ottobre, ai microfoni di “Sky Sport 24” lo stesso ex centrocampista di Madama ha ribadito la propria opinione nel merito.

Nel recente trionfo della Vecchia Signora contro la Lazio l’apporto di Pepe non si è limitato alla realizzazione del goal decisivo, ma si è esteso alla sostanza garantita per tutto l’arco della sua permanenza sul campo. Anche il 2 maggio 2011, sempre a Roma contro i biancocelesti, il giocatore andò ad esultare mimando un colpo da golfista nella pista di atletica posta sotto lo spicchio riservato ai tifosi juventini: in quel caso, però, si trattò dell’ultimo successo bianconero in campionato. La posizione occupata in classifica dalla Juventus dopo quella gara era la settima, la stessa mantenuta a fine torneo.

L’immediato futuro di Madama sarà svelato da quanto accadrà allo stadio “San Paolo” nella serata di martedì 29 novembre, nel recupero dell’incontro dell’undicesima giornata tra bianconeri e partenopei. Pepe, in odore di squalifica in quanto diffidato, non mancherà all’appuntamento a differenza di Marchisio, ammonito a seguito di una trattenuta sul laziale Hernanes.

A onor del vero Di Livio, rispondendo ciclicamente alle consuete domande su Pepe, ha aggiunto altre considerazioni interessanti: “Sì, lo ammetto: mi ricorda la mia Juve, questa squadra di Conte” (4 ottobre), “Questa Juve deve puntare a vincere il campionato, ha ritrovato fame, voglia e umiltà. Inizia a piacermi molto, ma manca ancora la convinzione e la consapevolezza nella vittoria” (21 novembre), “Si sta rivedendo la vecchia Juve grintosa, combattiva non molla mai niente anche nei momenti di difficoltà” (27 novembre).
Questa, però, è tutta un’altra storia…

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domenica 27 novembre 2011

Carattere e personalità

Seguendo in tv la partita di ieri sera direi che la sintesi e l’essenza dell’approccio mentale della Juventus alla gara sono, a mio modo di vedere, racchiusi totalmente in due momenti: innanzitutto nell’assoluta volontà di Andrea Pirlo di esserci e di scendere in campo, nonostante il fastidio al ginocchio che ne aveva messo in dubbio la presenza fino all’ultimo, mostrando nell’occasione il piglio del leader e del condottiero, oltre al suo già consolidato ruolo di regista e faro illuminante del gioco dei bianconeri; attraverso il suo sacrificio personale ha caricato i propri compagni, indicando quale deve essere l’atteggiamento di chi vuole vincere.

Il secondo momento, per chi è riuscito a notarlo nella concitazione del match, è un gesto di Lichtsteiner, compiuto nella seconda frazione di gioco, quando il terzino svizzero, che si sta dimostrando, in questo periodo, il miglior laterale destro del campionato, con una scivolata riusciva a chiudere l’avversario (non ricordo chi fosse) che stava per scagliare la palla verso la porta di Buffon praticamente a colpo sicuro. Non appena deviata la palla in calcio d’angolo il buon Stephan si è alzato esultando con il pugno chiuso come se avesse appena segnato un gol. Probabilmente questo è l’atteggiamento che Antonio Conte chiede a tutti i suoi uomini e che sta trasmettendo loro, questo è l’atteggiamento che la Juventus sta mettendo in campo fino ad ora e che le sta permettendo di essere meritatamente in vetta alla classifica.

Carattere e personalità, come recita il titolo di questo post, sono due caratteristiche che sembrano appartenere a questa squadra. Eppure ieri sera si è sofferto, soprattutto nel secondo tempo, quando nei primi venti minuti della ripresa la Lazio è uscita fuori dal suo guscio costringendo la Juve a difendersi, quasi ad arroccarsi dietro, anche se i bianconeri non hanno mai rinunciato a giocare il pallone ed a ripartire non appena possibile, mantenendo sempre la calma e riuscendo fuori nella seconda parte del secondo tempo creando altre occasioni da rete e cogliendo il palo con Matri, il quale sta dimostrando, gara dopo gara, di poter fare anche reparto da solo, riuscendo a tenere palla, a far salire la squadra e, oltre a realizzare gol importanti, anche a fornire assist preziosi come quello per il gol di Pepe.

Certo ieri è stata molto dura, sia perché la Lazio è stato un avversario veramente ostico e duro, sia soprattutto perché troppo spesso la Juve non riesce a chiudere la partita, o comunque a farla incanalare su binari di maggior sicurezza, e questo è un aspetto che va perfezionato al più presto, perché quando ci sarà un calo fisico e si attraverserà un momento meno brillante, sarà fondamentale concretizzare le occasioni da rete che si creano. Inoltre c’è da dire che in difesa si corre qualche pericolo di troppo, e quasi sempre per la sbavatura del singolo, più che per effettive difficoltà create dall’avversario di turno.
Ora la Juventus è attesa da una partita delicatissima e dovrà affrontarla senza uno degli uomini chiave della stagione, Claudio Marchisio. Speriamo che chi lo sostituirà sarà all’altezza della situazione.


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giovedì 24 novembre 2011

Villas Boas, Conte e la ricetta per vincere

La testa dell’allenatore è pronta per l’esecuzione, quando non ci sono i risultati”. Parole e musica (triste) di André Villas Boas, tecnico portoghese di quel Chelsea sconfitto a Leverkusen dai padroni di casa lo scorso mercoledì di Champions League col risultato finale di 1-2.

Su di lui i Blues in estate hanno deciso di puntare forte: 15 milioni di euro, per la precisione, vale a dire l’importo della clausola rescissoria che legava l’allenatore al Porto, il suo precedente club, con il quale la scorsa stagione ha fatto incetta di trofei nazionali ed europei. Roma, Juventus e Inter dovettero abbandonare anzitempo l’idea di accettare una scommessa troppo cara per un campionato come quello italiano che non può più permettersi certi lussi.

Devo tutto a Bobby Robson. Il divorzio da Mourinho? Dovevo seguire la mia ambizione”. Alla vigilia della finale dell’Europa League conquistata ai danni dello Sporting Braga si smarcò in questo modo, netto e deciso, dall’ombra dello “Special One”, lui che venne definito “Two”, il numero due, proprio perché stava dimostrando con i fatti di poter proseguire con le proprie gambe una carriera da predestinato. Da stretto collaboratore a suo avversario, il passo ormai era stato compiuto. Con il beneplacito del vecchio José, che poche ore prima aveva recapitato un messaggio di complimenti a Domingos Paciência, l’altro mister di quella sfida.

Un pensiero particolare va a Pep Guardiola. Lui per me è una continua fonte d’ispirazione, e lo sa. Per questo gli dedico questa vittoria”. Bastò poco a Villas Boas, nei momenti immediatamente successivi il trionfo di Dublino dello scorso 18 maggio, per chiudere momentaneamente la querelle con l’ex maestro.

Le difficoltà riscontrate anche in Premier League hanno fatto risuonare nuovamente le voci sul possibile ritorno al Chelsea di Guus Hiddink. Va ricordato che, per motivi differenti, non sono comunque mancate polemiche anche sul recente operato di altri suoi illustri colleghi: Arsène Wenger (Arsenal), Alex Ferguson (Manchester United) e Roberto Mancini (Manchester City).

Su quest’ultimo, poi, pesa come un macigno la frase pronunciata dal patron del Napoli De Laurentiis dopo la sconfitta subita dagli inglesi allo stadio “San Paolo”: “Visto? Non si fa tutto con i soldi”.
In quei casi, chi “paga” è sempre il tecnico. Che avrà comunque un’intera stagione per rifarsi, magari vincendo il campionato, sempre che i Citizens non riescano a rimanere in corsa anche nell’attuale edizione della Champions League.

Il calcio molte volte è imprevedibile, può bastare poco per cambiare il corso della storia: quella del Milan stellare di Arrigo Sacchi iniziò grazie alla nebbia calata su Belgrado nel corso di una partita che stava vedendo i rossoneri in svantaggio di un goal. La ripetizione della stessa consentì poi al Diavolo il passaggio del turno dopo la disputa della lotteria dei calci di rigore.

Mentre gli eterni rivali “spagnoli” Guardiola (Barcellona) e Mourinho (Real Madrid) rischiano di fare incetta di titoli anche quest’anno (Bayern Monaco permettendo), sabato prossimo in Italia Edy Reja e Antonio Conte si affronteranno a viso scoperto per giocarsi la momentanea leadership della serie A.
Lo scorso 19 settembre l’allenatore dei biancocelesti arrivò a Formello per rassegnare le proprie dimissioni, salvo rinunciarvi su richiesta di Lotito e dei giocatori. Nell’arco di quasi due mesi si è ritrovato in vetta alla classifica, in compagnia di una Vecchia Signora che ha ripreso confidenza con l’alta quota.

Di mesi ne sono passati ventiquattro dal momento in cui Antonio Conte sfiorò la panchina della Juventus (dopo un incontro infruttuoso con Jean Claude Blanc), per poi aggiudicarsela a seguito dell’ennesima rivoluzione bianconera. Lui stesso, nel merito, era stato profetico i primi giorni di novembre del 2008: “Di sicuro, se entro 3 o 4 anni non sarò arrivato ad alti livelli, lascerò perdere”.
La sua ricetta per vincere è semplice: “Un grande allenatore lo fa una grande società e grandi giocatori, sono loro i protagonisti assoluti”.
Da quest’orecchio, però, i presidenti non ci sentono bene.
Oppure, semplicemente, fingono di non sentire.

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mercoledì 23 novembre 2011

Un bianconero a Roma: mi presento


Carissimi fratelli Bianconeri, anticipando la richiesta del creatore di questo splendido blog, avevo già optato per inserire nel presente post di prova l'immagine del mio avatar. Immagine che, scattata nel settore ospiti lo scorso anno allo Stadio Olimpico di Roma, in occasione della partita Roma - Juventus, racchiude e rappresenta in pieno la mia essenza di cittadino romano da diverse generazioni e, al tempo stesso, e forse ancor di più, di tifoso Juventino. Quando, durante la gara, nel bel mezzo di una ripresa panoramica dello stadio, l'ho vista, sono stato assalito da un vero colpo al cuore, da un'emozione profonda, perché per me è stato come vedere il mio volto su quello striscione scritto a mano, è stato come se io stesso gridassi a tutto il mondo quello che sono con l'orgoglio di un vero gobbo nell'anima, e per me era quasi uno sberleffo alla tifoseria avversaria con la quale combatto (dialetticamente, s'intende) e discuto da poco meno di quarant'anni, cioè da quando sono entrato in possesso dell'uso di quel poco di ragione che la natura mi ha concesso. Il giorno successivo alla gara mi sono messo a cercare questa foto dovunque sul web e, quando sono riuscito a trovarla, l'ho fatta mia ed ora me la tengo stretta e la mostro a voi come un vero biglietto da visita. Il biglietto da visita di un Bianconero a Roma.



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Conte e la ricerca dello spirito Juve

A differenza di altre occasioni, nella ripresa siamo entrati con il piede giusto e abbiamo chiuso la sfida in un quarto d’ora”. Sono bastate poche parole a Claudio Marchisio per descrivere ai cronisti presenti domenica pomeriggio nella pancia dello “Juventus Stadium” lo spirito con il quale la sua squadra si era appena divorato il Palermo.
A proposito di spirito, va ricordato come durante i primi giorni del ritiro precampionato di Bardonecchia Antonio Conte era stato chiarissimo: “Al di là dell'organizzazione tecnico-tattica, vogliamo trovare quanto prima lo spirito Juve: voglia di combattere e attaccamento alla maglia. Essere qui implica il dovere di vincere”.

Ritrovarsi dopo quattro mesi in vetta alla classifica in compagnia della Lazio (che, nel frattempo, ha disputato un incontro in più) potrebbe indurre a pensare che il nuovo allenatore bianconero abbia finalmente trovato – dopo anni di delusioni - il vestito ideale per la Vecchia Signora. Il diretto interessato, ovviamente, sposta il momento delle verità sempre più lontano nel tempo, giusto il necessario per non far perdere la fame di vittorie ai suoi uomini: “Alla fine del girone d’andata tireremo le somme e capiremo dove possiamo arrivare”.

Nelle ore precedenti la partita col Palermo, lo stesso Conte l'aveva definita “una finale di coppa del mondo”. A deciderla a favore dei padroni di casa sono stati tre giocatori protagonisti di storie diverse tra loro: quella di Pepe, che in estate si era trovato sulla lista dei partenti salvo restare a Torino per volontà del tecnico; quella di Marchisio, cui in molti attribuirono ad inizio stagione un ruolo di panchinaro di lusso nonostante il tecnico (ancora lui) continuasse a dimostrargli ripetutamente (e pubblicamente) la propria fiducia; quella di Alessandro Matri, il goleador, la soluzione ai problemi offensivi di Madama, il quale ha saputo ritagliarsi poco alla volta uno spazio importante all'interno del gruppo.

Raggiunte le tre vittorie consecutive (l’ultimo precedente risale allo scorso campionato, in concomitanza del trittico di gare del girone di ritorno con Brescia, Roma e Genoa), la Juventus adesso punta dritta al big match di sabato prossimo contro la Lazio per continuare la sequenza di successi. Dovesse riuscire nell’intento, ripeterebbe quanto fatto due stagione or sono dalla squadra allora guidata da Ciro Ferrara, che si fermò a quota quattro nelle prime partite della stagione 2009/10.

Fedele alla propria tradizione, quella formazione era stata concepita con un'ossatura tutta italiana sulla quale, però, in controtendenza rispetto al passato vennero inseriti tre brasiliani: Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha e Amauri Carvalho de Oliveira. Quest'ultimo, al secondo anno in bianconero, era in attesa di ottenere la cittadinanza del nostro paese.

Per un club come quello torinese che dal 1897 sino a quel momento aveva acquistato soltanto tredici calciatori provenienti da quella nazione, si poteva tranquillamente parlare di una scommessa.
Persa, vista poi la penuria di risultati conseguiti. Di quel trio, ad oggi, è rimasto il solo Amauri, diventato italiano a tutti gli effetti e retrocesso ad allenarsi con la formazione Primavera in attesa di essere ceduto nella prossima sessione invernale di calciomercato.

Lo scorso gennaio finì al Parma, andandosene da Torino con un dubbio: "Ora vedremo se il colpevole sono io". Rientrato alla base, la musica non è cambiata: "Sono arrivato carico e dopo due giorni sono tornato all’incubo di nuovo. Cosa è successo in quei due giorni? Me lo domando anch’io. Comunque se c’è una cosa che mi ha fatto male sono stati i cori dei tifosi", ha confessato in una recente intervista concessa in esclusiva a "Sky Sport 24".
Finito nel gruppo di quei tesserati dei quali la società si sarebbe liberata volentieri mesi fa per motivi sia tecnici che economici, il successivo scontro frontale (e verbale) col club ha prodotto il risultato di creare un danno ad entrambe le parti in causa.

Innamorato della propria creatura prima ancora di averla plasmata sul campo, sempre a Bardonecchia Conte lanciò un messaggio esplicito, nel merito: "Per me, i giocatori che sono qui sono i migliori del mondo". Nella sua lista personale erano presenti Pepe, Marchisio e Matri, non Amauri.
Bastava credergli sulla parola per capirne le reali intenzioni.

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venerdì 18 novembre 2011

Diavolo d'un Trap


Lo scorso 17 marzo sono stati celebrati i festeggiamenti per ricordare i 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia. Nello stesso giorno uno dei figli del nostro paese più conosciuti ed apprezzati in ambito sportivo, vale a dire Giovanni Trapattoni, ne compiva 72.
Le pagine dei quotidiani, a distanza di quarant’otto ore dall’evento, davano ancora risalto alla notizia dell’ultima vittoria in Champions League dell’Inter allenata dal brasiliano Leonardo, ottenuta contro i tedeschi del Bayern Monaco allo stadio “Allianz Arena” col risultato finale di 3-2.

Ideatore del famoso schema “4-2-fantasia”, guidato dal proprio spirito di vita “Toda joia toda beleza” e con l’eterno sorriso stampato sul volto, Leonardo Nascimento de Araújo era riuscito nell’intento di catturare le simpatie dell’ambiente nerazzurro. Non si poteva certo considerare un’impresa facile, la sua, ripensando agli avvenimenti del recente passato: dopo aver trascorso tredici anni al Milan (da giocatore, dirigente e tecnico) il passaggio all’altra sponda del Naviglio non venne visto con occhio benevolo da nessuna delle due parti in causa.
Terminata la stagione all’Inter consegnò a Massimo Moratti una squadra senza un tecnico: partì - infatti - per Parigi, nuova tappa di un “giramondo” del pallone poco propenso a legare la propria carriera ad una singola società, figurarsi ad una panchina. Ad oggi non sono molti i tifosi della Milano calcistica che ancora lo rimpiangono.

Giovanni Trapattoni, dopo aver trascorso una vita da mediano nel Milan e studiato da apprendista allenatore in casa del Diavolo, contribuì alle fortune della Vecchia Signora portandola sulla vetta del mondo, proprio lei che prima del suo arrivo a Torino non era mai riuscita a vincere nessun trofeo oltre i confini della nostra penisola. Conclusa l’esperienza bianconera passò all’Inter, dove continuò a mietere successi per poi tornare alla Juventus in compagnia di Giampiero Boniperti, nella speranza di spezzare l’egemonia del Milan berlusconiano. Il tentativo fallì, ma nel frattempo aveva comunque riaperto la bacheca di Madama per inserirvi dentro un’altra Coppa UEFA.
Iniziò poi una sequenza (quasi) infinita di avventure, senza perdere la confidenza con le vittorie. In ordine sparso: Germania, Austria, Portogallo, Cagliari, Firenze, la nazionale azzurra e – adesso – quella irlandese.
Per conto della quale lo scorso martedì è riuscito a riparare alla beffa della mancata qualificazione al mondiale disputato in Sudafrica nel 2010 (clamoroso fallo di mano non visto del francese Henry) consentendo ai verdi di staccare il biglietto per le fasi finali del prossimo Europeo che si svolgeranno sia in Polonia che in Ucraina.

Laddove sarà il tecnico più anziano tra i presenti, fatto che – ovviamente – non lo preoccupa assolutamente: “Sono come il vino: più invecchia più diventa buono. E poi ho l’esperienza per affrontare qualsiasi situazione: più boschi giri, più lupi trovi”. Ecco, le sue battute: da “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” a “non compriamo uno qualunque per fare del qualunquismo”, passando per “quando ti abitui allo zucchero non accetti più il sale”. Non sono certo le uniche, queste: all’elenco ne mancano tantissime altre ancora. Senza dimenticare i monologhi, il più famoso dei quali – quello che ebbe come sfortunato protagonista il giocatore tedesco Strunz – è passato alla storia del giornalismo, non solo sportivo.

C’è un filo conduttore che lega tutte le esperienze di Trapattoni: il rispetto che è riuscito ad ottenere in ogni luogo dove ha lavorato. E’ un privilegio riservato a poche persone, che non cade direttamente dal cielo dato che lo si può ottenere soltanto attraverso la serietà e l’applicazione quotidiana nei propri compiti.

Nel 2006, durante il periodo in cui prestò la propria attività da allenatore e direttore tecnico dei Red Bull Salisburgo, nel merito rilasciò una dichiarazione illuminante: “A qualsiasi livello, bisogna sempre insegnare. Non mi sento svalutato, qui. Tutto ciò che ho sempre conquistato, l’ho costruito con l’umiltà del lavoro. La soddisfazione è enorme se il mio disegno diventa di successo. Non sento differenze nel vincere davanti a 80 mila spettatori a Milano o a Lisbona, oppure con i 5 mila di Ried. Sono felice quando vedo che la fatica di ogni giorno contribuisce a centrare il traguardo. Sempre e ovunque”.
Diavolo d’un Trap: se a fine carriera tornerà a Milano per allenare i ragazzini rossoneri, come confidò lui stesso tempo fa, verrà sicuramente accolto a braccia aperte nonostante la moltitudine di altre esperienze vissute dal momento del suo addio a Milanello negli anni settanta. Esistono successi simili che non si possono rinchiudere dentro una bacheca, ma non per questo sono meno importanti.

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domenica 13 novembre 2011

La lunga sosta nuoce alla Juventus


Quando lo scorso 27 luglio si procedette al sorteggio del calendario dell’attuale edizione della serie A, nel menù delle partite tra un’abbuffata e l’altra vennero fissate cinque soste: tre di queste legate agli impegni della nazionale azzurra (4 settembre, 9 ottobre e 13 novembre), le altre due alla pausa invernale del campionato.

Sì, lo scudetto ce lo giochiamo alla penultima giornata”, dissero in coro Ariedo Braida (Milan) ed Ernesto Paolillo (Inter), i rappresentanti delle squadre milanesi presenti alla cerimonia, vale a dire i due club che si sono aggiudicati (sul campo e fuori) gli ultimi sei scudetti in ballo.

In simili occasioni può capitare di avvertire le medesime sensazioni tipiche dell’approccio alla lettura di un libro giallo: da una parte c’è la volontà di gustarselo dall’inizio alla fine, dall’altra quella di dare un’occhiata alle pagine conclusive per scoprire con largo anticipo l’identità dell’assassino.

Nello scorrere velocemente le partite programmate nell’ultima giornata della manifestazione era, quindi, difficile non fermarsi di fronte a Lazio-Inter per tornare poi con la mente a quel famoso 5 maggio 2002 che tutt’ora conserva un posto di rilievo nell’album dei ricordi juventini.

La fuga improvvisa per protesta del patron del Napoli Aurelio De Laurentiis a bordo di uno scooter guidato da uno sconosciuto distolse l’attenzione generale dalle disamine tecniche successive al sorteggio.

Massimiliano Allegri, tecnico del Milan campione in carica, predicò ai suoi uomini la massima concentrazione “fin dall’inizio, perché gli scontri diretti importanti arrivano già nei primi turni”. Dopo aver perso con Juventus e Napoli, pareggiato in casa contro la Lazio e vinto soltanto con la Roma, non si può certo dire che le raccomandazioni fatte all’epoca siano state seguite alla lettera.

Aver racimolato molti punti con le squadre cosiddette “medio-piccole”, però, ha consentito ai rossoneri di sistemarsi attualmente in seconda posizione in classifica, in attesa del recupero della gara tra il Napoli e la Juventus che - in caso di successo esterno dei bianconeri al “San Paolo” – potrebbe comunque consentire a Madama di riportarsi solitaria in cima alla vetta.

Sempre in quei momenti Antonio Conte confessò di temere il blocco di incontri previsti tra la nona e la tredicesima giornata (nell’ordine: Fiorentina, Inter, Napoli, Palermo e Lazio). Dopo lo slittamento della prima partita dell’attuale stagione, che ha consentito alla Vecchia Signora di spostare a dicembre inoltrato il duro ostacolo rappresentato dalla trasferta di Udine, la decisione del rinvio della gara col Napoli fissata per il 6 novembre rischia ora di complicare ulteriormente il percorso dei bianconeri in quel tratto di campionato.

L’ultimo incontro ufficiale disputata dalla Juventus risale al 30 ottobre (vittoria interna contro l’Inter): da quel momento sino al suo ritorno sui campi di gioco, previsto per domenica 20 novembre, passeranno tre settimane. Si tratta di un’attesa estremamente lunga, mitigata dagli impegni dei nazionali bianconeri sparsi in giro per il mondo con le rispettive rappresentative: per la maggior parte dei convocati non verrà a mancare l’abitudine a disputare partite importanti; quello che potrebbe venire meno è la capacità nell’immergersi immediatamente nella realtà del campionato con la stessa determinazione mostrata nel match contro i nerazzurri.

Domenica prossima Madama affronterà nella sua nuova casa il Palermo: tranne la roboante vittoria nella stagione del ritorno in serie A (25 novembre 2007, 5-0 per i bianconeri), i siciliani hanno poi vinto nelle tre gare successive giocate a Torino.
Per una Juventus reduce da due settimi posti consecutivi, capace di riprendersi quel primo posto in classifica che le mancava dal lontano 14 maggio del 2006 per poi perderlo solo a causa dell’alluvione abbattutasi nella mattinata del 6 novembre su Napoli, ecco un altro (nuovo) piccolo tabù da sfatare.

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