venerdì 18 novembre 2011

Diavolo d'un Trap


Lo scorso 17 marzo sono stati celebrati i festeggiamenti per ricordare i 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia. Nello stesso giorno uno dei figli del nostro paese più conosciuti ed apprezzati in ambito sportivo, vale a dire Giovanni Trapattoni, ne compiva 72.
Le pagine dei quotidiani, a distanza di quarant’otto ore dall’evento, davano ancora risalto alla notizia dell’ultima vittoria in Champions League dell’Inter allenata dal brasiliano Leonardo, ottenuta contro i tedeschi del Bayern Monaco allo stadio “Allianz Arena” col risultato finale di 3-2.

Ideatore del famoso schema “4-2-fantasia”, guidato dal proprio spirito di vita “Toda joia toda beleza” e con l’eterno sorriso stampato sul volto, Leonardo Nascimento de Araújo era riuscito nell’intento di catturare le simpatie dell’ambiente nerazzurro. Non si poteva certo considerare un’impresa facile, la sua, ripensando agli avvenimenti del recente passato: dopo aver trascorso tredici anni al Milan (da giocatore, dirigente e tecnico) il passaggio all’altra sponda del Naviglio non venne visto con occhio benevolo da nessuna delle due parti in causa.
Terminata la stagione all’Inter consegnò a Massimo Moratti una squadra senza un tecnico: partì - infatti - per Parigi, nuova tappa di un “giramondo” del pallone poco propenso a legare la propria carriera ad una singola società, figurarsi ad una panchina. Ad oggi non sono molti i tifosi della Milano calcistica che ancora lo rimpiangono.

Giovanni Trapattoni, dopo aver trascorso una vita da mediano nel Milan e studiato da apprendista allenatore in casa del Diavolo, contribuì alle fortune della Vecchia Signora portandola sulla vetta del mondo, proprio lei che prima del suo arrivo a Torino non era mai riuscita a vincere nessun trofeo oltre i confini della nostra penisola. Conclusa l’esperienza bianconera passò all’Inter, dove continuò a mietere successi per poi tornare alla Juventus in compagnia di Giampiero Boniperti, nella speranza di spezzare l’egemonia del Milan berlusconiano. Il tentativo fallì, ma nel frattempo aveva comunque riaperto la bacheca di Madama per inserirvi dentro un’altra Coppa UEFA.
Iniziò poi una sequenza (quasi) infinita di avventure, senza perdere la confidenza con le vittorie. In ordine sparso: Germania, Austria, Portogallo, Cagliari, Firenze, la nazionale azzurra e – adesso – quella irlandese.
Per conto della quale lo scorso martedì è riuscito a riparare alla beffa della mancata qualificazione al mondiale disputato in Sudafrica nel 2010 (clamoroso fallo di mano non visto del francese Henry) consentendo ai verdi di staccare il biglietto per le fasi finali del prossimo Europeo che si svolgeranno sia in Polonia che in Ucraina.

Laddove sarà il tecnico più anziano tra i presenti, fatto che – ovviamente – non lo preoccupa assolutamente: “Sono come il vino: più invecchia più diventa buono. E poi ho l’esperienza per affrontare qualsiasi situazione: più boschi giri, più lupi trovi”. Ecco, le sue battute: da “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” a “non compriamo uno qualunque per fare del qualunquismo”, passando per “quando ti abitui allo zucchero non accetti più il sale”. Non sono certo le uniche, queste: all’elenco ne mancano tantissime altre ancora. Senza dimenticare i monologhi, il più famoso dei quali – quello che ebbe come sfortunato protagonista il giocatore tedesco Strunz – è passato alla storia del giornalismo, non solo sportivo.

C’è un filo conduttore che lega tutte le esperienze di Trapattoni: il rispetto che è riuscito ad ottenere in ogni luogo dove ha lavorato. E’ un privilegio riservato a poche persone, che non cade direttamente dal cielo dato che lo si può ottenere soltanto attraverso la serietà e l’applicazione quotidiana nei propri compiti.

Nel 2006, durante il periodo in cui prestò la propria attività da allenatore e direttore tecnico dei Red Bull Salisburgo, nel merito rilasciò una dichiarazione illuminante: “A qualsiasi livello, bisogna sempre insegnare. Non mi sento svalutato, qui. Tutto ciò che ho sempre conquistato, l’ho costruito con l’umiltà del lavoro. La soddisfazione è enorme se il mio disegno diventa di successo. Non sento differenze nel vincere davanti a 80 mila spettatori a Milano o a Lisbona, oppure con i 5 mila di Ried. Sono felice quando vedo che la fatica di ogni giorno contribuisce a centrare il traguardo. Sempre e ovunque”.
Diavolo d’un Trap: se a fine carriera tornerà a Milano per allenare i ragazzini rossoneri, come confidò lui stesso tempo fa, verrà sicuramente accolto a braccia aperte nonostante la moltitudine di altre esperienze vissute dal momento del suo addio a Milanello negli anni settanta. Esistono successi simili che non si possono rinchiudere dentro una bacheca, ma non per questo sono meno importanti.

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6 commenti:

Giuliano ha detto...

articolo molto bello, come ti capita spesso. Aggiungerei il curioso destino dei tecnici di scuola o passato juventino: se ne parla pochissimo, si tace sulla loro juventinità...Adesso abbiamo Prandelli, Capello, Trapattoni in posizioni di grande prestigio, per tacere del mondiale di Lippi, ma qui c'è gente che rimpiange ancora Donadoni.
Discorso lungo, ma per tornare al Trap, o magari a Vycpalek e Boniperti, la Juve ha spesso schierato una linea d'attacco con cinque punte o attaccanti. Per esempio: Haller Causio Anastasi Capello Bettega; Bettega Tardelli Rossi Platini Boniek; eccetera. Ma tutti dicono che il Trap sapeva solo fare catenaccio. Mah! Oltre a quella linea d'attacco, c'erano Cabrini, Gentile, Scirea, perfino Brio...

Thomas ha detto...

Ti ringrazio tanto, Giuliano ;-)
Questa settimana ho concentrato il tempo che dedico agli articoli alla sola descrizione del “Trap”, un uomo (e un professionista) che sportivamente parlando adoro.

Domani sarà il mio compleanno, motivo per il quale a breve staccherò il pc sino alla mattinata di domenica, interagendo con commenti, Facebook e via dicendo attraverso l’uso del cellulare.

Appartengo alla schiera di quelli che non rimpiangono Donadoni, visto che tra le mani avevo la prelazione per acquistare il biglietto della finalissima di quell’edizione dell’Europeo (dove lui era il nostro C.t.) nel caso in cui l’Italia fosse arrivata sino a quel punto.
Quindi… :-(

Delle formidabili Juventus “trapattoniane” rinnego la mancanza di coraggio e la voglia di osare in alcune occasioni: a livello di mentalità, però, non certo nella scelta dell’undici di base da mettere sul campo.
Da quel punto di vista tutte le sue squadre erano (più che) offensive, altroché…

Nella bilancia delle mie valutazioni considero pure il fatto che esistono gli avversari: è per questo che adoro il Trap, un uomo e uno sportivo vincente.

Un abbraccio grande!
A presto (anche via mail)

Il Duca ha detto...

Beh, visto il contenuto della tua risposta a Giuliano, note entrambe assai piacevolmente tecniche, ci sarebbe solo una cosa su cui vorrei per un attimo soffermarmi:
BUON COMPLEANNO!!!!

Giuliano ha detto...

il gatto nel sacco è comunque un modo di dire molto antico, non l'ha di certo inventato il Trap! sono stati i tre della Gialappa, in tv negli anni '90, a riderci sopra: ma "non vendere la pelle dell'orso prima di averlo catturato" e "non dire gatto se non l'hai nel sacco" sono modi di dire molto antichi.

E, a questo, punto, auguri anche da me: buon compleanno!

MauryTBN ha detto...

Bell'articolo! Nutro una grande ammirazione nei confronti del Trap, un tecnico figlio di un calcio che ormai non esiste più, ma che rimane ancora oggi un vincente. Tanti hanno avuto i loro 5 o 6 anni di gloria, ma pochissimi sono riusciti a portare a casa trofei su trofei per oltre 30 anni! Detto questo, ti auguro un felicissimo compleanno! :)

Thomas ha detto...

@Il Duca: grazie di cuore. Ho trascorso una bellissima "due giorni" di compleanno ;-)

@Giuliano: grazie mille anche a te, Giuliano :-)

@MauryTBN: "ma pochissimi sono riusciti a portare a casa trofei su trofei per oltre 30 anni": ottima osservazione.
Ti ringrazio, al pari degli altri, per gli auguri :-)

Un abbraccio a tutti!!!