lunedì 30 agosto 2010

Almeno cerchiamo di riderci sopra...


Ringrazio Roberta per avermelo inviato via mail.
Sta circolando tra i vari forum.
Cerchiamo di prenderla sul ridere: stile-Juventus anche in questo.
Nell'attesa che, prima o poi, torni "veramente" la Juventus...

sabato 28 agosto 2010

Terza stella a destra, questo è il cammino


"Voglio ricordare che gli sarebbe piaciuto festeggiare la terza stella della Juve, chissà chi gliela regalerà, comunque la vedrà di sicuro dal cielo" (Marcello Lippi)
Il sogno dell’Avvocato potrebbe diventare realtà per merito di Andrea, l’ultimo degli Agnelli.

Arrivato alla Presidenza da pochi mesi, è entrato in punta di piedi nel mondo bianconero, per non rompere i cocci di quella che per più di un secolo è stata una delle squadre più prestigiose al mondo, e che ha visto distrutta dopo una collezione di record negativi da far impallidire chiunque.

A fare rumore ci ha pensato il suo cognome: pesante, di quella Famiglia che ha costruito la storia di una società che - per molti - è diventata uno stile di vita.
E’ cresciuto con la Juventus dei Zoff, Gentile e Cabrini; a Villar Perosa pranzava - ancora bambino - accanto a Paolo "Pablito" Rossi.

Il primo acquisto della sua Presidenza è stato Simone Pepe da Albano Laziale. Al momento dell’annuncio, la maggior parte dei sostenitori della Vecchia Signora rabbrividirono: "se questo è l’inizio, ormai la fine è vicina". All’esterno di centrocampo non verrà mai chiesta la qualità di un Del Piero, ma anche arrivasse a toccare i livelli di un Di Livio, ci sarebbe da leccarsi i baffi.

Ha preferito pensare al "sodo", costruendo una base sulla quale portare avanti una programmazione che, col tempo, dovrà riportare la squadra - dal punto di vista tecnico - sui livelli che le competono.
Dopo aver rinnovato (quasi) completamente la società, ha affidato quell’area a Giuseppe Marotta, uno che nel pomeriggio di un martedì tratta Di Natale e il giovedì mattina immediatamente successivo ha in mano Quagliarella.

Sta creando una squadra plasmata sulle idee di Luigi Del Neri, e rinforzata ulteriormente - viste le evidenti lacune tecniche mostrate nelle prime partite - dagli innesti di Aquilani e Krasic. Se poi si riuscisse a recuperare Felipe Melo…
Manca ancora l’uomo in grado di imprimere un cambio di marcia nel corso delle partite, il campione con la "C" maiuscola che trasformi un mercato all’insegna della ricostruzione in un "potenziamento" vero e proprio.
Del Piero c’è, non manca mai. Ma non è eterno, così come non lo è stato Pavel Nedved.

Agnelli di "nome" o di "fatto"? Per ora di nome. Per i fatti ci vuole tempo.
Se a volte subentrare ad una precedente gestione nel contesto di una situazione negativa aiuta, nel senso che fare peggio è difficile, in questo caso il suo ingresso nel mondo bianconero è stato particolarmente impegnativo: la pazienza dei tifosi è esaurita da tempo, i soldi sono stati male investiti nei quattro anni precedenti il suo insediamento, la sfiducia verso chi siede nelle poltrone più importanti è ai minimi storici, chiunque essi siano.
I ricordi più belli, poi, sono tutti legati al passato.

Ecco, appunto: il passato.
Quello che non si dimentica, il punto di partenza per rinascere.
Il passato da cui "altri" presero le distanze, che aveva permesso al mondo intero di "dire" e "fare" tutto quello che voleva sulle vittorie bianconere ottenute sul campo.
Poteva bastare il ritorno di un Agnelli a cambiare tutto questo? No, se ci si limita a portarne il nome e a "vigilare".

Ma se dal "dire" si passa al "fare", la musica cambia. Le parole diventano pesanti, come il cognome di chi le pronuncia. Ed iniziano a "fare" effetto.

I legami col passato vengono riannodati, le vittorie riconosciute in "toto": ventinove.
E non ventisette o ventisettepiùdueasterischi.
Si parte dall’esposto per la revoca dello scudetto di cartone del 2006 all’Inter sino alla richiesta - previa "dimostrazione di correttezza della società nei vari procedimenti che sono ancora aperti" - di una riassegnazione dei due titoli mancanti nel palmares bianconero.
Per arrivare alla terza stella, a quel punto, ne mancherebbe soltanto uno.

Ci vorrà del tempo. Come al solito, come sempre. Ma mai come stavolta l’idea è che si stia per intraprendere la strada giusta.
"Terza stella a destra, questo è il cammino".

Area societaria, area tecnica, i due scudetti tolti: ora che si è conoscenza del fatto che si inizierà ad affrontare, nel merito, anche quest’ultimo aspetto, i tifosi respirano "aria di casa", profumo di Juventus.

Loro non l’hanno mai abbandonata. Figurarsi ora che le aspettative iniziano ad essere diverse…
Se prima si era trattato di un piacevole rituale, adesso diventa un "fatto" sincero: benvenuto, Andrea.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Dedico questo articolo a David Trezeguet, che da oggi non è più un giocatore della Juventus.
Au revoir, David. E grazie di tutto...


venerdì 27 agosto 2010

In Europa League con il "vecchio" Del Piero e il "nuovo" Melo


Il leitmotiv che ha anticipato le prime partite ufficiali della Juventus di questo inizio stagione era diventato sempre lo stesso: giocherà Diego oppure Del Piero?
Era stato così anche a Graz, nella gara di andata dello spareggio per accedere all’Europa League contro la squadra di casa. Alla fine in campo scese il brasiliano, esattamente come accadde in occasione degli altri due incontri con lo Shamrock Rovers, quelli del terzo turno dei preliminari della stessa manifestazione.
Ora il dubbio è sparito: ceduto Diego al Wolfsburg, è rimasto il solo Del Piero.
E’ lui l’unico a ricevere cori di incoraggiamento da parte dei tifosi bianconeri prima dell’inizio dell’incontro. E’ lui, ancora una volta, l’anello di congiunzione tra una Juventus che non c’è più, e una che deve ancora rinascere.
In Austria Del Neri scoprì i fantasmi che aleggiavano intorno alla sua squadra: dopo il pareggio di Schildenfeld in risposta alla rete del vantaggio iniziale di Bonucci, soltanto un colpo di testa di Amauri permise di preparare con più tranquillità la gara di ritorno all’Olimpico di Torino.
Se una settimana fa la Juventus tornò da Graz con la notizia dell’accordo raggiunto con il Cska Mosca per l’acquisto di Krasic, la partita di stasera è stata preceduta da quello, in via di definizione, relativo a Quagliarella. L’idea Di Natale, per il reparto offensivo, è durata poco più della tradizionale passerella di Villar Perosa.
La qualità del centrocampo bianconero, per motivi diversi, è rimasta tutta in tribuna: da quella postazione Aquilani, lo stesso Krasic e Marchisio (squalificato) hanno assistito alla prestazione di un Felipe Melo “non solo quantità”. Al netto dei colpi di tacco che Del Neri gli eliminerà al più presto, si è esibito in progressioni e ripetuti lanci (in direzione di Pepe, in particolar modo) sconosciuti lo scorso anno.
Di Kienast di testa (due volte) e Szabics (palo) gli unici veri pericoli dello Sturm Graz. Manca Florian Kainz, nell’undici iniziale. Quello che all’andata aveva causato i maggiori pericoli con le sue iniziative sulla fascia destra degli austriaci, che hanno finito – stavolta - per sbilanciarsi a sinistra con Bukva. Sino al ritorno in campo del giovane centrocampista.
Lanzafame all’inizio si accomoda in panchina, sostituito da Martinez. Un po’ da un lato, un po’ dall’altro: neanche il tempo di trovare la giusta posizione che l’uruguaiano si deve spostare in attacco per sostituire l’infortunato (altri fantasmi del recente passato) Amauri. In assenza di un regista le azioni partono spesso dai piedi di Bonucci.
Dopo un palo colpito nel primo tempo, Del Piero diventa estremamente concreto con un colpo di classe nella ripresa: goal alla “Pinturicchio”, vantaggio e pratica qualificazione (semi)chiusa. Nonostante i clamorosi errori di Pepe e Lanzafame, la Juventus cresce alla distanza e controlla gli avversari.
Sino a pochi giorni fa si cercava di “recuperare” Diego: ora, con una squadra diventata meno brasiliana, forse è iniziato lo stesso percorso per Felipe Melo. Ad oggi potrebbe diventare il miglior acquisto, in relazione al doppio fallimento (bianconero e nel Mondiale sudafricano) dal quale proviene.
L’inizio di stagione di Del Piero era già stato disegnato, proprio come le sue traiettorie: a lui sarebbero spettati i venti minuti finali delle partite. Lì, avrebbe dovuto dare il meglio di sé.
Adesso ha giocato un incontro per tutti i novanta minuti, risultando decisivo. In sua assenza, manca (ancora) il giocatore in grado di imprimere il “cambio di marcia” alla squadra.
Non soltanto per una gara: quando gli acquisti sono di valore, durano anni.
Con alti e bassi, lui va avanti così da diciotto. Merito suo, ma anche demerito di una (precedente) gestione che non è riuscita, in quattro anni, a trovare (almeno) un giocatore di valore assoluto in grado di raccoglierne il testimone.
Con l’ingresso in Europa League in tasca si riparte da Bari, in campionato, domenica prossima. Laddove, il 14 maggio 2006, in campo neutro si giocò contro la Reggina l’ultimo incontro della Juventus “targata” Triade campione d’Italia per la ventinovesima volta. Il secondo goal, nel recupero, lo segnò Alessandro Del Piero. Era entrato a venti minuti dalla fine della gara.

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Benvenuto, Fabio

mercoledì 25 agosto 2010

La Juventus a Villar Perosa: quest'anno è stato diverso...


Una volta l'appuntamento estivo a Villar Perosa era particolarmente gradito ai tifosi juventini: in molti accorrevano nella località piemontese per assistere alla passerella dei giocatori bianconeri nel campo di casa Agnelli, sotto gli occhi di Gianni e Umberto. Venivano studiati i "nuovi" acquisti e salutati i "vecchi". Una frase dell'Avvocato, in quell'occasione, si sapeva già che sarebbe entrata nella storia giornalistica di questo sport prima ancora che iniziasse a pronunciarla.

Col tempo ha finito col perdere un pò del suo fascino, incastrato tra una miriade di amichevoli di lusso e triangolari di prestigio (con relativi "ritorni" economici): il calcio estivo, poco alla volta, invase le televisioni quanto (e forse più) di quello "invernale". Si discusse anche della convenienza di continuare questa tradizione.

Negli ultimi anni, senza gli Agnelli e caduta (fatta cadere) la Triade, è venuta a mancare anche "la" Juventus. Dovevano bastarne cinque, a partire dal 2006, per farla rinascere e tornare ad essere competitiva ad altissimi livelli. Ne sono stati sufficienti quattro per affondarla.
La serie A, nel frattempo, ha perso il suo fascino; il calcio sotto l’ombrellone - tranne qualche eccezione - è diventato un piacere per pochi: per un "Trofeo Luigi Berlusconi" che da criptato torna in chiaro, ci sono moltissime altre amichevoli che ora si possono vedere solo a pagamento.

La prima partitella estiva in famiglia della Vecchia Signora del nuovo corso di un Agnelli, Andrea, non poteva passare inosservata. Krasic che si paga un aereo privato pur di non mancare all'appuntamento con l’esordio (in allenamento) con la maglia bianconera; lo stesso Presidente e John Elkann che rispondono per le rime alle (allucinanti) esternazioni di Massimo Moratti; da un momento all'altro si materializza il figlio di Antonio Giraudo, Michele, immortalato mentre abbraccia Andrea e stringe la mano al cugino; Diego viene acclamato dai tifosi bianconeri negli stessi momenti in cui circola sempre più insistente la voce della sua cessione al Wolfsburg, così come Trezeguet che viene dato - all’improvviso - per sicuro partente; dal nulla spunta fuori una trattativa in via di definizione con Di Natale che nessuno si aspettava.

Quante altre volte è capitato che nel giorno della classica "sgambata" di Villar Perosa accadessero così tanti fatti di una certa rilevanza in contemporanea?
Nel prossimo futuro, almeno, non si potrà dirà che anche quest’anno si è trattato della solita giornata all’insegna dei ricordi. Ma per iniziare a scrivere nuove pagine di una storia ferma dal 2006, questo può essere considerato soltanto un piccolo passo. Se in avanti, poi, lo si potrà vedere soltanto in un secondo momento.

Domani ci sarà il ritorno dello spareggio per accedere all’Europa League contro lo Sturm Graz. Non ne parla quasi nessuno: il goal decisivo di Amauri nel corso della gara di andata è riuscito ad evitare un pericoloso carico di tensioni in vista del ritorno a Torino. Ci sono già troppi fantasmi da scacciare: vincere aiuta a vincere (Del Piero dixit). E questa squadra, per ritrovare se stessa, ha necessità di riprendere a farlo il più presto possibile. Oltre ad una buona dose di giocatori di qualità da inserire nella rosa: con Krasic e Aquilani ci si è mossi in questa direzione. Ma si può - e si deve - fare di più.

Da "Twitter" a "Facebook": alcuni giocatori manifestano i loro stati d'animo al mondo intero utilizzando gli strumenti che la questa epoca mette a loro disposizione. Proprio come fossero ragazzi qualsiasi. A volte, andando un pò al di sopra delle righe, tirando in ballo argomenti che - data la loro delicatezza, visto che si parla anche della loro professione - meriterebbero una maggiore riservatezza.
Campioni si nasce o si diventa? La maggior parte di loro (mediamente) ha una quindicina di anni per dimostrarlo sui campi di gioco, in Italia e all'estero.
Per comportarsi da persone serie, invece, non è necessario aspettare tutto questo tempo.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Finalmente...



VILLARPEROSA, 24 agosto - John Elkann è contento per la Juve che nasce e sfodera il canino avvelenato per azzannare Massimo Moratti sulla infelice frase «meglio essere multietnici che comprare le partite». Così dice il nipote dell’Avvocato a Mediaset, mentre la partita tra Juve A e Juve B è ferma per l’intervallo (2-0 per la juve A: gol di Diego e Martinez): «Io sono molto contento di questa Juve, sono contento di essere qui con Andrea: ad oggi, poi una coppa (il Berlusconi, ndr) l’abbiamo già vinta, è una squadra che lotta fino alla fine, segna e vince come visto anche in questa estate. Indubbiamente è una squadra che s’è rafforzata, anche oggi avere Krasic qui, visto che è voluto venire a tutti i costi, è un bel segnale, abbiamo un angelo biondo con noi dopo Pavel Nedved. Mi piace, poi che ci siano tanti nazionali azzurri: sono giovani come Motta, Bonucci, Pepe e se anche Aquilani sarà dei nostri avremo quattro moschettieri azzurri: abbiamo certamente una bella Juve». Elkann poi si lascia andare anche sul calcio mercato: «Diego può partire? Le squadre vanno rinnovate e bisogna guardare avanti».

ELKANN VS MORATTI - Poi la fiondata in risposta a Moratti che riaccende la polemica su Calciopoli, con la Juve sempre in attesa di un segnale della Figc sulle nuove intercettazioni, che vedono anche l’Inter al telefono. «La frase di Moratti? Secondo me loro non hanno mai saputo perdere e non hanno ancora imparato a vincere».

ANDREA AGNELLI - Anche il presidente della Juventus ha risposto in maniera molto dura alle parole rilasciate ieri da Moratti al Tg1: «Un commento alle parole di Moratti? Dovrebbe cominciare ad imparare a gioire delle sue vittorie. Penso che le sue parole siano totalmente inutili».

RISPOSTA MORATTI E INTER - L'affondo lanciato a Villar Perosa da John Elkann nei confronti dell'Inter, una squadra, a suo dire, che «non ha mai saputo perdere e non ha ancora imparato a vincere», desta "meraviglia" nel presidente nerazzurro, Massimo Moratti, per i toni usati. A quanto appreso negli ambienti interisti, la meraviglia del patron risiederebbe, in particolare, nel fatto che ieri sera nell' intervista al Tg1 non aveva citato la Juventus quando aveva detto, «è meglio essere multietnici che comprare le partite», frase che ha invece generato la reazione bianconera.

(Fonte: "Tuttosport")

lunedì 23 agosto 2010

domenica 22 agosto 2010

Milan-Juventus e quell'8 maggio di "gloria"...



Ed è arrivato anche il momento del trofeo "Luigi Berlusconi", il torneo dedicato alla memoria del padre del proprietario del Milan.
Come tradizione i rossoneri sfideranno la nuova Juventus di Andrea Agnelli, Marotta, Paratici e Del Neri: un’abitudine consolidata, ormai, quella delle due squadre di affrontarsi in questa amichevole estiva (si giocò a gennaio del 2007, nel giorno dell’Epifania, solo nell’edizione - posticipata - del 2006).
Che di "amichevole", poi, porta solo il nome.

Il motivo? Fascino, importanza delle società, e non solo: dopo il primo incontro del 1991 (vinsero i bianconeri con una doppietta di Casiraghi), il Milan provò - per i tre anni successivi - a giocarselo con Inter, Real Madrid e Bayern Monaco, per poi decidere di farla diventare una cosa ristretta a due.
Con quale criterio? Quello della partecipazione del pubblico, unita - poi - a rapporti societari sempre più fluidi tra le rispettive dirigenze. Il derby estivo del 1992 portò a San Siro poco più di 40.000 spettatori; con gli spagnoli e i tedeschi lo stadio risultò semivuoto. E con la Vecchia Signora? Si è sempre oscillati tra le cinquanta e le settantamila unità. Con qualche calo nelle edizioni dal 2003 al 2005 ed in quella del 2007, per poi mantenere picchi di affluenza in tutte le altre.

Erano anni di gloria, quelli, per entrambe le società. Dal 18 agosto 1995 e nelle manifestazioni immediatamente successive si diceva che vincerlo portasse "sfortuna": conquistato quello, si poteva dire addio allo scudetto del campionato di serie A ancora da disputare.
Non era propriamente corretto definirla così, analizzando bene i fatti.
Per entrambe, a volte, voleva dire vincere una Champions League: per i rossoneri nel 2002 e nel 2006 (successi - poi - a Manchester e Atene), per bianconeri nel 1995 (vittoria a Roma contro l’Ajax).
Se questa è sfortuna…

E oggi?
Il Milan ha deciso di affidare la panchina ad Allegri, chiedendogli di cambiare le carte in tavola e di ridare competitività e vivacità ad un gruppo che - ad oggi - è rimasto pressoché identico al passato. Non solo recente. Con un anno di più sulle gambe e nelle carte d’identità. Solo un eventuale arrivo di Ibrahimovic potrebbe veramente far compiere un salto di qualità notevole a questa squadra.

Quello che servirebbe ora alla Vecchia Signora per continuare il processo di crescita nella costruzione della squadra: dopo i sei acquisti della nuova gestione già belli pronti per i primi giorni del mese di luglio, una sosta di più di un mese iniziava a far temere per il peggio. Dall’apparente "immobilismo" ad un "attivismo" (reso possibile dalle nuove cessioni) datato 19 e 20 agosto: ecco la "doppietta" Krasic e Aquilani.

Inseriti nell’intelaiatura preparata precedentemente da Marotta, i due giocatori finiscono col completare il reparto di centrocampo (a meno di sorprese legate ai nomi di Sissoko e Felipe Melo). Ancora dei tasselli da sistemare in difesa (un centrale ed un terzino sinistro) e poi una serie di punti interrogativi nel reparto offensivo, che portano i nomi di Iaquinta, Trezeguet e Diego. Per diversi motivi e per situazioni non comparabili tra loro.

Diego, con Amauri al momento titolare "di fatto" lì davanti, ancora non riesce ad incidere come dovrebbe (e potrebbe): movimenti nuovi da acquisire, errori del recente passato da evitare, un po’ di fiducia da ritrovare.
Rimane il fatto che quando Del Piero entra in campo negli ultimi venti minuti degli incontri, la differenza c’è. E si vede. O, per meglio dire, si "sente".
Al brasiliano resta il compito di accelerare questo processo di evoluzione personale da trequartista a seconda punta, anche perché la concorrenza, in quella zona del campo, potrebbe presto aumentare con l’arrivo di un altro "colpo" di mercato.
Ammesso che questo, poi, non venga finanziato proprio con la sua cessione.

"Come l’8 maggio 2005, a San Siro, sfida scudetto con il Milan, rovesciata di Ale, testa di David: 1-0 e tricolore alla Juve. Stasera è solo un’amichevole, ma non fa male chiudere gli occhi e ripensare a quel giorno di gloria"
Ha ragione da vendere, Giovanni Battista Olivero, giornalista della "Gazzetta dello Sport", che - nell’edizione odierna (la "Sportiva") - nel presentare il trofeo che verrà disputato stasera parla di quell’8 maggio come una giornata di gloria.
Una domenica che consegnò - di fatto - il "niente" più totale alla Juventus. Oppure un asterisco: ognuno scelga la versione che preferisce.

Sì, perché "quello" era il 28° tricolore, cancellato dagli archivi ma rimasto sui campi di gioco e nelle aule dei tribunali, dove è in attesa di conoscere il suo destino. Ammesso che ne abbia uno diverso dall’attuale.
Fa piacere sapere - adesso - che il giornale rosa lo ricorda come un momento di "gloria".
Visto che poi, dopo, ne arrivò un altro: il 29°.
Perché il numero è quello, sempre. Non soltanto nella giornata in cui si gioca il trofeo "Luigi Berlusconi".

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 20 agosto 2010

Benvenuto, Milos!

giovedì 19 agosto 2010

In Austria per dire addio alla Juve di Blanc


Per la Juventus, lo scorso anno, ritrovarsi a metà strada a disputare l’Europa League era stato considerato alla stregua di un declassamento: quella è la "serie B" del vecchio continente calcistico, una manifestazione che non garantisce gli stessi introiti economici, la visibilità ed il prestigio di una Champions League.
Era il primo (forte) segnale di fallimento di una stagione che iniziava a mostrare una realtà diversa da quella “progettata” in estate.

Non valeva neanche la pena paragonare le due competizioni. Anche a mettere a confronto gli inni ufficiali, se proprio uno voleva provarle tutte, non c'era (e non c’è) gara. E poi, giusto per ricordarlo, in quella più importante la Vecchia Signora era entrata dalla porta principale, grazie al lasciapassare garantito dal secondo posto nel campionato di serie A ottenuto l'anno precedente dalla squadra guidata da Claudio Ranieri e, arrivati al momento del rush finale, da Ciro Ferrara.
Per poi uscirne dalla porta di servizio, a causa della “retrocessione” come terza (su quattro) nel gironcino di qualificazione alle eliminazioni dirette.

E' pur vero che - nonostante l'entusiasmo che la scorsa estate aveva circondato la nascita di una Juventus "verdeoro" - era parso obiettivamente difficile pensare di poter puntare ad un successo nella coppa dalle “grandi orecchie”. Però con Diego, Felipe Melo e quell'Amauri un pò italiano e un pò brasiliano (quel tanto che bastava per immaginare una squadra dalle giocate spettacolari) sembrava giusto non porsi limiti.

L'unica vera incognita pareva essere proprio l’uomo scelto per la panchina, Ferrara, che - dopo aver appeso le scarpe al chiodo, lavorato in società ed essere diventato "psicologo" nelle ultime due partite di campionato di quei giocatori che avevano dato chiari segni di malessere nei confronti di Ranieri - avrebbe dovuto trasformarsi in allenatore. Di una formazione considerata una "fuoriserie".

Altro che una Vecchia Signora con mancanza di liquidità e carenza di risorse economiche: era diventato necessario l’acquisto di un regista? E allora via Marchionni e un bel gruzzolo di milioni. Per un mediano. Con tanti ringraziamenti da parte della Fiorentina e dell’attuale dirigenza bianconera. Quella che la fantasia, prima di trapiantarla nel terreno di gioco, deve ora usarla per uscire fuori dalle sabbie mobili in cui la Juventus è stata condotta nelle scorse stagioni da chi era stato messo per lì gestirla.

Il livellamento verso il basso del calcio italiano ha fatto sì che - nonostante tutte le sconfitte accumulate - la squadra bianconera riuscisse comunque a raggiungere un piazzamento utile, anche quest'anno, per affacciarsi all'Europa calcistica. Quella meno nobile, ovviamente. Un'opportunità da conquistare, peraltro, solo dopo i preliminari e se si dimostrerà in grado di battere l'ultimo ostacolo (allo spareggio): quello Sturm Graz mai incontrato prima, che oggi ospiterà i bianconeri in Austria per la disputa della gara di andata.

Dopo, e soltanto dopo, si potrà dire di aver chiuso i contatti col recente passato sportivo marchiato (e "macchiato") Jean Claude Blanc.
Dall’anticamera dell’Europa League ai nuovi gironi di qualificazione: l’obiettivo è quello di iniziare un cammino, parallelo a quello del campionato, per il quale - al momento - è complicato prevederne la destinazione finale. Difficile stabilire se si possa considerare più vicino al concetto di “cantiere” il nuovo stadio (nel suo stato attuale) che sorgerà dalle macerie del vecchio “Delle Alpi” oppure questa squadra a cui mancano tanti, troppi pezzi per poterne valutare le reali prospettive.

Quello che è certo, è che questo non è il momento di fare gli schizzinosi: ben venga tutto quello di positivo che capiterà d’ora in poi. Sarebbe già un primo passo in avanti.
Inutile aggrapparsi ai ricordi, come quelli di una (formidabile) Juventus “made in Italy” del duo Trapattoni-Boniperti che iniziò proprio vincendo la coppa UEFA quel percorso che le permise di trionfare in tutte le manifestazioni calcistiche europee e mondiali.
Sono situazioni non paragonabili e, soprattutto, ci sono punti di partenza “diversi”: gli aspetti che le potrebbe accomunare dovranno essere la “fame” di vittorie e la voglia di tornare ad alzare – al più presto - qualche trofeo.
E pazienza se sarà l’Europa League: come antipasto andrebbe più che bene.

Una Juventus da ringiovanire e rinforzare (anche) attraverso l'alleggerimento del monte ingaggi della rosa attuale, uno tra gli ultimi lasciti della vecchia gestione di Jean Claude Blanc.
Anche il suo, di stipendio, pesa parecchio nelle casse societarie: continuando a discutere delle situazioni contrattuali dei vari Zebina, Grosso e via dicendo, si corre il rischio di dimenticarlo.
O, più semplicemente, di parlarne troppo poco.
Considerando che si tratta del principale responsabile di questo scempio del quale, ancora per qualche tempo, anche chi è arrivato adesso al suo posto farà fatica a trovare le soluzioni giuste per uscire fuori da questa situazione.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Dedico questo articolo, e il video che feci un anno fa (di questi tempi), al piccolo tifoso bianconero Michele Parola, figlio di due carissimi amici: Francesco e Chiara. Questa è la Juventus, Miki

martedì 17 agosto 2010

Del Neri e la Juventus "smile"


L’immagine è quella di Alessandro Del Piero, sguardo fisso su un pallone in movimento mentre è intento a rincorrerlo. Il mensile che la riporta in copertina è "GS", evoluzione dello storico settimanale “Guerin Sportivo”. Il numero è quello di settembre 2010.
La maglietta è bianconera, le strisce sono seghettate (e non più verticali), lo sponsor (BetClic) non manca: è nella seconda divisa, quella che verrà usata in alcuni incontri che si disputeranno lontano da Torino, che Jean-Claude Blanc ha dato il meglio di sé. “Nuda”, come mamma Nike l’ha fatta, (ancora) priva di un marchio da esporre a pochi giorni dall’inizio del campionato di serie A. La volontà era quella di seguire “una innovativa strategia commerciale di ripartizione dei diritti fra la prima e la seconda maglia”. Nella pratica si è trasformata nell'ennesimo "progetto" incompiuto della precedente gestione societaria del francese.
Quella che voleva trasformare la Juventus nata dalle ceneri del terremoto sportivo del 2006 in una squadra vincente e simpatica. La parola d'ordine? "Smile".
E casualmente il titolo scelto dal mensile per questo numero è proprio "Juventus smile".
"Pensi a che cosa accadrebbe se riuscissimo ad applicare quello schema (4-4-2, ndr) con i campioni che abbiamo. Si immagini il divertimento".
Queste frasi, pronunciate dal nuovo allenatore bianconero Luigi Del Neri nel corso di una (bella) intervista rilasciata in esclusiva al Direttore Responsabile della rivista, Matteo Marani, con ogni probabilità sono all'origine della scelta del titolo stesso.
Nessuna provocazione, naturalmente, nei confronti di quei sostenitori che associano a quella parola i recenti fallimenti sportivi della Juventus.
Quarant'anni di pallone e molti ricordi, quelli di Del Neri: dagli inizi da calciatore a quelli da allenatore (Pro Gorizia e Partinicaudace, tanto per gradire), sino alla sua evoluzione da uomo, oltre che da professionista, nel percorso che lo ha condotto sino alla panchina della Vecchia Signora d'Italia.
E' partito da un calcio minore, da maneggiare con pochi mezzi e "molta fantasia". Proprio lui che spesso viene tacciato di chiuderla a chiave nella gabbia del 4-4-2. Dove dovranno coesistere, nella Torino bianconera, campioni da "rigenerare" e giocatori che dovranno restituire ai loro sostenitori una Juventus "credibile".
Quello che stupisce è la scelta della redazione di chiudere il servizio con un'analisi delle reali potenzialità della rosa a disposizione di Del Neri affidata ad Aldo Agroppi: il Torino e la Fiorentina sono state le squadre cui ha legato maggiormente il nome (e il cuore) nei suoi trascorsi da giocatore e allenatore; la Juventus, viceversa, per lui ha sempre rappresentato la figura del "nemico" per antonomasia.
Il giudizio finale? "Una squadra che non andrà oltre il quarto/quinto posto".
Condivisibile, per alcuni aspetti e leggendo le sue motivazioni, ora che ci troviamo alla metà di agosto.
Ma c'è ancora una campagna acquisti da completare (una volta sbloccata quella relativa alle cessioni), e le incognite legate al nuovo allenatore e al ritorno al 4-4-2 non è detto non possano portare benefici magari riscontrabili nei prossimi mesi.
Così come auspica Del Neri: alla domanda "Se il 22 maggio la Juve fosse seconda dietro l'Inter, Lei sarebbe soddisfatto?", risponde di averla “battuta due volte nel corso degli ultimi due anni", per poi aggiungere: "Non mi accontento mai, sono perennemente per il miglioramento".
Dovesse riuscire a restituire ai sostenitori bianconeri una Juventus antipatica e non più "smile", avrebbe già ottenuto un grandissimo risultato.
A lui potrebbe sembrare poco. In realtà è molto.

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Aggiungo, a completamento del post, questo (strepitoso) video di Nicola Negro sulla nostra Juventus

sabato 14 agosto 2010

Fate in modo che non sia un film già visto...

Serie A, coppa Italia, Supercoppa Italiana, campionato Primavera: ovunque è presente il marchio TIM.
Nell’Italia calcistica tutto, o quasi, è diventato "proprietà" esclusiva dell’Inter.
Dalla stagione 2006-07 (le ultime quattro, per intenderci) ad oggi: quattro scudetti, una coppa Italia, una Supercoppa Italiana (su tre, la quarta si disputerà tra pochi giorni), un campionato Primavera.
Storia di una dittatura sportiva. Dalla stessa stagione 2006-07, inoltre, si è deciso di intitolare alla memoria di Giacinto Facchetti (ex presidente nerazzurro) la manifestazione riservata ai giovani.

Anche nel trofeo (estivo) TIM, quello che si gioca in una sola sera dopo aver trascorso la giornata sotto l’ombrellone, la musica non cambia: 6 vittorie dei nerazzurri in 10 edizioni disputate. "Una volta" si ironizzava su questo: lasciate le briciole, le illusioni e i sogni agli altri, lo scudetto era cosa da "grandi". Da Juventus e Milan, per intenderci.

Queste sono "prove", si diceva. Di un film che poi, nel corso dell’anno, non "si sarebbe più visto". Brevi incontri da 45 minuti l’uno, tre tempi di un triangolare dove ci si guarda dritto negli occhi per tre quarti d’ora con una contendente, mentre "l’altra" è seduta a bordo campo o ti sta comunque osservando da un monitor a pochi metri di distanza.

Sono le serate delle "giustificazioni": i giocatori hanno ancora i muscoli imballati, le gambe molli e stanche, non riescono a coprire bene gli spazi di loro competenza in campo, i brevilinei arrivano prima sul pallone rispetto a chi ha una struttura muscolare più pesante, chi è stato appena acquistato da un’altra società non può essersi ancora ambientato e conoscere bene i compagni. Scendono dalla tribune i vari Nwankwo, Biraghi, Natalino, Oduamadi, per poi tornarci - dopo qualche giorno - quando si inizia a "fare sul serio". Oppure per prendere una valigia e girare per l’Italia (a volte l’estero) con la missione di "crescere e farsi le ossa". Altrove. Perché in una società importante, da noi, non c’è tempo da perdere: bisogna vincere. Subito.

Dove non arriva il fisico è la tecnica che dovrebbe compensare le lacune di questo periodo: Sneijder, Ronaldinho, Diego... Sono stati soprattutto loro, quelli a cui la classe certo non manca, i protagonisti del trofeo disputato ieri. Oltre a chi, come Amelia, sfrutta queste occasioni per mettersi in mostra: a suon di parate eccezionali sta cercando di guadagnarsi il posto da titolare nel nuovo Milan di Allegri.

Come si è detto (e scritto) in tutte le salse in questi giorni, Diego e Del Piero restano gli unici giocatori, nella rosa bianconera, a possedere quella qualità necessaria per alzare il livello di potenzialità e competitività della squadra. Uno è in partenza (se già non è stato tutto definito); l’altro ha ormai raggiunto le trentacinque primavere (a novembre saranno trentasei), e quella che sta per iniziare sarà quasi certamente la sua ultima stagione a Torino.

Dove si cerca ancora di portare il tanto atteso bomber Dzeko: lui sì che sarebbe un grandissimo acquisto. Ma di questo passo - e per quanto (intra)visto ieri sera - potrebbe rischiare di rimanere isolato, davanti al portiere avversario, senza rifornimenti ed un gioco degno di tal nome alle sue spalle. Sarebbe come acquistare una macchina di lusso e non avere più i soldi per metterci la benzina: finisci col tenerla nel garage, per andarla a vedere ogni tanto. Senza poterla utilizzare.

C’è la grinta, ci sono ancora errori (alcuni giustificabili), ma continua a non vedersi la qualità. Rimangono pochi giorni per rimediare a questo difetto, che non si elimina continuando a comprare laterali (che pure mancano, tanto a centrocampo quanto in difesa), ma inserendo calciatori - là in mezzo - che abbiano quelle caratteristiche. Sissoko, Felipe Melo e Marchisio: c’è posto ancora per uno, ipotizzando una rosa dove si prevede almeno un sostituto per ruolo in ogni reparto (o settore). Ma potrebbe anche non bastare. Era proprio necessario dare via (di nuovo) Ekdal?

Chi la scorsa estate è rimasto scottato dalle promesse di una stagione vincente, si è spalmato la crema solare: niente più illusioni, ora si procede a fari spenti. Chi si è letteralmente bruciato, adesso fatica a contenere la rabbia e la paura di assistere, nuovamente, ad un campionato da vivere a distanza di anni luce rispetto all’Inter. E, forse, non solo a lei.
I 27 punti di distacco dai nerazzurri, i 25 dalla Roma e i 15 dal Milan della scorsa stagione sono figli di un’annata storta, dove le lacune di idee societarie senza basi solide sono venute fuori (in via definitiva) tutte, nessuna esclusa.
Ma sono (anche) i limiti di gioco attuali della Juventus che contribuiscono a non rendere tranquilli i suoi sostenitori.

Corini e Perrotta nelle prime due stagioni del ritorno del Chievo in serie A, Baronio e lo stesso Perrotta (Corini passò al Palermo) nel 2003-04: non si trattava di giocatori del livello di uno Xavi o uno Iniesta del Barcellona attuale, ma con quei calciatori posizionati nella zona centrale del campo Del Neri riuscì a dare un’identità ben precisa (e dei risultati) ad una squadra che non aveva, a sostegno, una società dalle possibilità finanziarie pari a quelle della Vecchia Signora.
Frequentemente ci si domanda, al cospetto di realtà minori, come è mai possibile che - differenze tecniche alla mano - la Juventus non riesca più ad avere un gioco accettabile (fosse anche solo "un" gioco) da diversi anni a questa parte. Spesso ("troppo") è capitato di essere sconfitti da loro su quel piano prima ancora che nel risultato finale.

Si è coscienti che ripartire è (e sarà) difficile. Ora Del Neri ha in mano la Juventus, e la speranza è che riesca a ripetere anche a Torino quanto fatto a Verona, almeno per quello che è di sua competenza. E’ ancora presto per stilare giudizi definitivi: sia perché il calciomercato estivo ancora non è completato, sia perché - in questo periodo - la condizione fisica non ottimale di alcuni giocatori non facilita il recepimento, sul campo, dei dettami del nuovo allenatore.
Quello che spaventa, però, è la sensazione che la scelta di qualche calciatore cui far interpretare alcuni di questi ruoli possa essere sbagliata. E la paura è quella di assistere, nuovamente, ad un film già visto.
C’è ancora del tempo, per rimediare. Lo si usi a dovere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 12 agosto 2010

In mezzo al campo via Poulsen dentro la qualità?


Xabi Alonso, Aquilani, Stankovic o Poulsen?
Christian Poulsen, naturalmente.

Serviva un regista, a quella Juventus targata Ranieri che al suo secondo anno in bianconero puntava a migliorarsi rispetto a quanto fatto nella stagione appena conclusa. Quella del ritorno in serie A e di un terzo posto, tutto sommato, positivo. Considerando le difficoltà iniziali nel coniugare quelli che - in realtà - erano gli obiettivi societari, quanto il campo poteva dire (e smentire) e le aspettative dei tifosi, impazienti di tornare ad ammirare la "loro" Juventus e di poter guardare, nuovamente, tutte le altre squadre dall'alto verso il basso. Proprio a centrocampo, laddove "si vincono le partite", si era deciso - in precedenza - di puntare sull'accoppiata Almiron-Tiago. Il tempo ed i fatti stabilirono che "di due non ne facevano uno".

La scelta cadde - quindi - sul giocatore danese, per un campionato che vide sì un avanzamento in classifica (2° posto), ma anche un esonero dell'allenatore a due giornate dalla fine. In onore ad un "progetto" societario che prevedeva una partecipazione comune di tutti nel momento delle decisioni importanti, ma un unico colpevole in caso di fallimento: l'allenatore.

Su Xabi Alonso, nell'estate del 2008, si scrisse (e si disse) di tutto e di più: troppo costoso e "lento", mentre i sostenitori bianconeri lo aspettavano a braccia aperte non se ne fece nulla. E ora? Gioca nel Real Madrid (via Liverpool) e si è appena laureato campione del mondo con la Spagna.

Di Aquilani "più se ne parlava, meno si faceva": eterna promessa (incompiuta) del calcio italiano, accostato ogni estate alla Juventus, il suo acquisto pareva impossibile. "Romano de Roma", come Totti e De Rossi: e chi sarebbe mai riuscito a portarlo via dalla capitale?
Il Liverpool, ovviamente. Tanto per cambiare.

Dai Reds arrivò, invece, Sissoko: panchinaro di lusso in Inghilterra, divenne in poco tempo un punto di forza di una Juventus che vedeva l'Inter sempre più lontana (in campionato e in prospettiva) e che iniziava a diventare l'ombra di se stessa. Di quella grandiosa squadra che era stata, e che difficilmente sarebbe tornata ad essere a breve. Non era un regista, il maliano, però - in mezzo al campo - serviva. Eccome.

Stankovic? In passato, da giocatore della Lazio, scelse l'Inter proprio al posto della Juventus, quando Lei era ancora una Vecchia Signora. Vinse, in quel di Milano: a tavolino e in campo. E poi cantò. Usando (anche) le parole sbagliate. E i tifosi, a cui la memoria certo non manca, nel momento di un suo possibile acquisto non dimenticarono. Se non fu un rifiuto "totale", da parte loro, poco ci mancò.

Il giocatore, adesso, è ancora a Milano, convinto di avere conquistato cinque scudetti di fila. Indossa una maglietta con uno stellone che - quando la giustizia sportiva smetterà di andare alla velocità di una Safety Car e (ri)prenderà il suo percorso - dovrebbe diventare un quadrifoglio. Quattro e non cinque.
Così come ventinove e non ventisette. O ventisettepiùdueasterischi.

Serve un uomo d’ordine in mezzo al campo, a questa Juventus. Di Sissoko si è già detto, Marchisio ha altre caratteristiche. Importanti, ma diverse. Krasic? Gioca sulla fascia, comunque niente illusioni: Abete a parte, non è Nedved. Altrimenti non si starebbe qui ad aspettare Dzeko come unico calciatore extracomunitario tesserabile.

Chi rimane, poi, nella zona centrale? Felipe Melo. Se in questi ultimi giorni di mercato e nei suoi primi allenamenti con Del Neri la testa risponderà ai comandi (e non ai "colpi") giusti, una sua conferma è ancora possibile. Verticalizzazioni simili a quella ammirata in occasione dell'assist a Robinho nella gara contro l'Olanda nel corso del mondiale sudafricano potrebbero tornare utili. Molto meno lo sarebbero le passeggiate simili a quella fatta su Robben (a terra, dopo un fallo) nel corso dello stesso incontro.

Ma il brasiliano ha altri compiti, così come Poulsen. Non è colpa del primo se il suo cartellino è stato pagato uno sproposito, così come del secondo se gli fu offerto uno stipendio (per lui) da capogiro. E se venne scelto al posto di altri.

Adesso si è voltata pagina. Fuori dal campo (in società) era tutto da cambiare. Nella rosa, qualche dubbio rimane. In mezzo al campo continua a mancare la qualità. E non solo lì: a livello generale, senza Diego ce ne sarà ancora meno.

La cessione del danese ha rappresentato, in termini strettamente economici, un'operazione comunque positiva. La speranza è quella che il giocatore che arriverà al suo posto possa avere quelle caratteristiche di cui la Juventus ha bisogno da tempo.
A proposito: è stato venduto al Liverpool. Naturalmente.

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martedì 10 agosto 2010

Diego, la nuova Juve e l'addio al trequartista


Sarà un privilegio giocare con Del Piero: insieme daremo soluzioni, non problemi. Chi batterà le punizioni? Questo è solo un dettaglio, l’importante è che ci siano più possibilità
Si era presentato così, ai tifosi bianconeri, Diego Ribas da Cunha (o più semplicemente “Diego”), nel corso della sua prima giornata ufficiale da giocatore della Vecchia Signora.
Era il 9 luglio del 2009, ed il palco era quello allestito nella piazza di Pinzolo, sede del ritiro estivo della Juventus.

Un’invasione di tifosi stava assistendo alla nascita di quella che sembrava essere una delle principali candidate per lo scudetto dello scorso anno: non una squadra qualunque, mica una formazione da quinto o sesto posto in classifica. Finì peggio: settima.

Si parlava di lui come di un possibile acquisto della Juventus già da diverso tempo. Nel febbraio del 2008, dopo un’amichevole tra Brasile e Irlanda a Dublino, uscì allo scoperto: “La Juventus mi vuole e io sono orgoglioso di questo interessamento”.
Il prezzo di mercato, allora, era altissimo: 35 milioni di euro. Il Werder Brema poteva esibire con orgoglio un gioiello della nazionale verdeoro dalle grandissime potenzialità e dal futuro assicurato.
Né Doni, né Cassano: un trequartista con il gusto del goal (nel corso dei suoi tre anni trascorsi in Germania, ne segnò 57 in 126 partite).

C’era una squadra, nella Torino sponda bianconera, da ricostruire. Si sentiva la voglia di abbandonare il classico 4-4-2 che tanti successi aveva garantito - in passato - con interpreti di valore assoluto.
Si decise di cambiare spartito: 4-3-1-2, dove “l’1” era proprio lui. Con una decina di milioni in meno rispetto alla richiesta di partenza, gli si costruì una squadra intorno, così come venne fatto a suo tempo in onore di giocatori del calibro di Platini e Zidane.

Ma quello schema risultò non essere adatto a diversi suoi compagni. Alcuni di loro, non erano adeguati alla Juventus. Chi doveva dirigere la società, non era semplicemente in grado di farlo.
E lui, il trequartista di Ribeirão Preto, finì per diventare uno degli imputati (uno dei tanti, naturalmente) del fallimento della stagione appena passata, per colpe “dirette” ed “indirette”.

Ora la società è cambiata, da cima a fondo. Dopo l’addio di Marco Fassone (nuovo dg del Napoli), adesso resta soltanto un “pezzo” da sostituire: Jean Claude Blanc. Francese, come Platini e Zidane: il nero e il bianco della Francia juventina, il punto più basso e quelli più alti della storia della Vecchia Signora scritta in lingua francese.

La squadra? Un cantiere. Prima aperto, poi chiuso, ora – di nuovo (e non potrebbe essere altrimenti) – aperto.
Con la scelta di Del Neri come allenatore, l’attenzione generale si spostò subito su Diego: e adesso che fine farà?
Semplice: addio al trequartista in campo, ritorno al 4-4-2, un’unica maglia – quella della seconda punta – in ballottaggio tra Del Piero, Iaquinta e lo stesso brasiliano. Sì, perché ad oggi (11 agosto) i cinque componenti del reparto offensivo in rosa sono gli stessi della stagione passata. Mancano ancora poco più di venti giorni alla chiusura di questa sessione estiva del calciomercato, ma il turnover in attacco non si è visto sia nelle partite ufficiali (Diego e Amauri presenti nella formazione titolare tanto a Dublino quanto a Modena) che in entrata ed in uscita nelle trattative condotte dalla società.

Ma l’essere stato inserito in entrambe le occasioni nell’undici di base della squadra, ora, sembra non essergli più sufficiente a garantirgli la permanenza in bianconero.
Il Wolfsburg lo cerca con insistenza, e la Germania potrebbe essere - comunque - la sua futura destinazione: nel caso in cui la trattativa con l’attuale squadra di Dzeko dovesse fallire, anche lo Shalke 04 e l’Amburgo sarebbero pronte ad accoglierlo a braccia aperte.

Così come fecero, poco più di un anno fa, i tifosi bianconeri in quel di Pinzolo. Quelli erano i momenti delle presentazioni “monstre” ai tifosi dei neoacquisti Kakà e Cristiano Ronaldo al “Santiago Bernabeu” di Madrid, di Ibrahimovic al “Camp Nou” di Barcellona e di una Juventus che immaginava di aver recuperato velocemente il terreno perduto dal 2006 ad allora.

Adesso si sta, nuovamente, cercando di ripartire. Senza l’entusiasmo dello scorso anno. Forse, tra pochi giorni (o poche ore) non ci sarà più neanche Diego Ribas da Cunha di Ribeirão Preto.
Un paio di (veri) campioni ed una squadra degna del nome "Juventus": ecco quale sarebbe il più bel regalo che la società potrebbe fare ai propri sostenitori. Altro che verificare quali settori del nuovo stadio dedicati alle "stelle" del passato (tutte meno una, Boniek) vengono esauriti per primi: il pensiero diventerebbe quello di contenere l’entusiasmo di un popolo che ha fame di tornare a vincere.
E che chiede di smettere di essere preso in giro.

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sabato 7 agosto 2010

Lo strano caso del signor Amauri


Ed eccolo lì: Amauri Carvalho de Oliveira, professione attaccante, cittadino italiano a partire dallo scorso marzo, convocato da Cesare Prandelli per l’impegno amichevole della (nuova) nazionale di martedì prossimo a Londra contro la Costa d’Avorio.
Completerà il reparto offensivo, in compagnia dei vari Borriello, Giuseppe Rossi, Quagliarella e - finalmente, per il "popolo" che lo richiedeva da tempo a gran voce - Cassano e Balotelli.

La lista non è stata stilata da Marcello Lippi. A scorrerla, però, non sembrerebbe così: sei giocatori della Juventus (tanto per ricordare: manca "almeno" un Buffon, ad integrare la truppa…) ed uno solo dell’Inter (che, oltretutto, sta per trasferirsi in un’altra società). Va detto, a onor del vero, che si tratta di una semplice amichevole prima degli impegni ufficiali (qualificazione agli Europei del 2012), e che Gilardino e Pazzini, il nuovo CT, li conosce benissimo.
All’inizio della scorsa stagione il ruolo di prima punta della nazionale era vacante: lo stesso Gilardino era partito al rallentatore, Pazzini non forniva le dovute garanzie, Toni stentava nel Bayern Monaco. Rimanevano in tre: Lippi, Amauri e i media italiani, in attesa di quella benedetta cittadinanza che non arrivava mai. C’era un mondiale da difendere con le unghie e con i denti, dopo Mauro German Camoranesi (lo volle Trapattoni) era arrivato il momento di un’altra eccezione alla "regola".

Poi… "In questo momento non mi sento in ballottaggio con Amauri perchè io sono italiano e lui è brasiliano. Devo confessare che questa situazione un po' mi dà fastidio. Capisco se uno è mezzo italiano e mezzo brasiliano, un conto è se non è proprio per niente italiano". Così Pazzini, lo scorso mese di novembre del 2009, diede il benvenuto alla possibile convocazione dell’attaccante della Juventus. Ringalluzzito dall’arrivo dei primi assist decisivi di Cassano, la sua stagione stava per cambiare decisamente volto. Era arrivato il momento di “parlare chiaro”, e di respingere altri pretendenti a quella maglia.

Divamparono le (ovvie) polemiche. Perchè "sì" a lui e "no" agli altri (Thiago Motta e Zarate)? Forse perché è juventino?
Rispose Giancarlo Abete, presidente della FIGC: "Oggi il parametro di riferimento è la cittadinanza. Un giocatore, se è cittadino italiano, ha tutto il diritto di essere convocato in Nazionale. C'è una politica della federazione che tende a non allargare oltre misura la presenza di giocatori non nati in Italia. Lo stesso CT Marcello Lippi ha detto più volte che si trattava di una situazione limitata a pochi calciatori. Non vogliamo perdere la nostra identità, ma non vogliamo nemmeno discriminare".

Se ieri il parametro di riferimento era la cittadinanza, oggi lo è la Germania ottima protagonista del mondiale sudafricano. Quella giovane, ma anche multietnica.
"Gli stranieri? Se hanno la cittadinanza italiana e giocano bene, non vedo perché non possano essere convocati in nazionale" (Cesare Prandelli, 1° luglio 2010).
Dichiarazioni rilasciate, ovviamente, con il benestare di Abete.
Tra Uruguay, Argentina e Brasile, sono una ventina (almeno) i giocatori cui si potrebbe attingere per rinforzare la nazionale azzurra laddove si dovesse ritenere necessario farlo.

Amauri, nel periodo in cui Pazzini rilasciò quelle dichiarazioni, smise di segnare. La Juventus di "giocare". Entrambi iniziarono a perdere: partite, convinzione, prestigio agli occhi del mondo intero.
Da possibile salvatore della patria ad emarginato di lusso. Giusto (per chi scrive) non renderlo partecipe della spedizione sudafricana agli ordini di Marcello Lippi.
Paradossale, adesso, leggere come venga considerata "normale", dai media, la sua convocazione: i due goals segnati in Irlanda allo Shamrock Rovers, la ritrovata brillantezza fisica e l’interesse manifestato da Mourinho ed il Real Madrid nei suoi confronti sono bastati a cancellare mesi di critiche feroci.

Ma ora potrebbe "servire" di nuovo: come "apertura" verso nuove convocazioni, sino al prossimo momento difficile, alla consacrazione di un altro attaccante, o magari fino ad una vittoria in una competizione importante di una nazionale diversa dalla Germania attuale (quindi, con tutti i giocatori originari di quel paese).
In quel caso passerebbe di moda l’idea di un gruppo di giocatori multietnico che si potrebbe tranquillamente integrare con chi è nato nella nostra penisola, si tornerebbe a difendere l’italianità nel senso più letterale (e stretto) della parola e tutti rinnegherebbero quanto detto nel passato. A Prandelli, ovviamente, verrebbe rinfacciato il suo aver militato, da calciatore, nella Vecchia Signora.

E se invece la nuova Italia dovesse rivelarsi vincente? Basterebbe contare i giocatori provenienti dalla Juventus. Anche se a qualcuno darebbe fastidio.

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giovedì 5 agosto 2010

A Modena dentro Diego, fuori le polemiche



"Diego o Del Piero?". Un dubbio che Del Neri aveva già sciolto al momento del suo arrivo a Torino: giocherà la meritocrazia.
Ancora oggi si continua a parlare del dualismo tra i due giocatori, in un attacco dove il nuovo allenatore bianconero ha ripetuto più volte che "non farà mai giocare due punte e un trequartista".
E che il posto di attaccante centrale "se lo giocheranno Amauri e Trezeguet".

Gli undici scesi in campo a Dublino, nell’incontro di andata contro lo Shamrock Rovers, si ritroveranno titolari stasera a Modena.
Diego più avanti, in campo, rispetto alla posizione ricoperta nella scorsa stagione: dai "duetti" al dualismo con Del Piero; dal rappresentare - entrambi - due terzi del reparto offensivo della squadra, ad essere in ballottaggio per un unico posto (in attesa del rientro di Iaquinta) da seconda punta.

Si continua e si continuerà a parlare di questo ancora per un po’. Almeno sino a quando non ci si stancherà di farlo, oppure fino al momento in cui non "farà più notizia". Molto probabilmente sino a quando il percorso calcistico italiano di Diego avrà una sua naturale conclusione: consacrazione (definitiva) o cessione.

Allora si tornerà a discutere di argomenti più "sostanziosi", perché i problemi da superare per passare dalla settima posizione ottenuta in campionato nella scorsa stagione alle prime (obiettivo della società) nella prossima, non possono essere riassunti - alla vigilia di ogni incontro dei bianconeri - nell’analizzare la bontà della scelta di Del Neri di affidare una maglia da titolare nel reparto offensivo ad un giocatore piuttosto che ad un altro: c’è un rosa da completare, da migliorare qualitativamente e da "aggiustare" quantitativamente tramite le cessioni di quei calciatori che a più riprese sono stati invitati a togliere il disturbo. E, soprattutto, una mentalità vincente da riconquistare.

Via Giovinco (in bocca al lupo), a breve dovrebbero seguirlo altri.
"Stiamo parlando di un calciatore che giocherà i Mondiali, è ovvio che ci vorrà una squadra di livello, altrimenti onoreremo il contratto con i bianconeri, in assoluta tranquillità e mantenendo gli ottimi rapporti con la società, più in là ne sapremo di più".
Era il 4 maggio scorso, quando Sergio Fortunato, agente di Mauro German Camoranesi, pronunciò queste parole.
Oggi è il 5 di agosto, e i contatti più avviati per un suo addio sono quelli rappresentati (salvo ulteriori sorprese) dal Birmingham. Conditi, quasi certamente, dalla richiesta di una buonuscita da presentare alla Juventus.

Mentre Del Piero occupò la sedia accanto a Del Neri nel corso della conferenza stampa di vigilia dell’incontro di Dublino, questa volta il compito è capitato a Claudio Marchisio, una delle travi sulle quali la nuova Juventus cercherà di costruire la struttura della squadra del futuro. Dall’Irlanda a Modena, ma - soprattutto - dallo stadio "San Vito" di Cosenza (teatro dell’amichevole dei bianconeri contro il Lione) al "Braglia" di stasera, passando per i ritiri di Pinzolo e Varese e da Rovereto (gara contro l’Al Nassr): ovunque vada, la Vecchia Signora fa il pienone. Di amore e di entusiasmo.

Perché il problema non è chi giocherà tra Del Piero e Diego (fermo restando che il mercato, anche in entrata, non è ancora concluso), ma rimane quello di dare in pasto a milioni di tifosi bianconeri un qualcosa di simile alla "vera" Juventus il più presto possibile.
Il resto sono solo parole. Che non contano nulla, portano polemiche inutili e, soprattutto, non ti fanno vincere niente.

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martedì 3 agosto 2010

Una Juve programmata per vincere


Meno di un mese, e la sessione estiva di questo calciomercato terminerà. Passano i giorni, e la situazione rimane inalterata: non se ne vanno i "partenti" e non arrivano i giocatori con cui le trattative sono state annodate da tempo.
Ormai, difficile essere smentiti (ci sarebbe veramente da preoccuparsi…), è questione di poco. Poi inizierà la seconda fase: dopo aver gettato le fondamenta, si dovrà puntare alla realizzazione ed alla conclusione dell’opera di ricostruzione della squadra.

Il trequartista che doveva far compiere il salto di qualità alla Juventus nella scorsa stagione (Diego) viene ora utilizzato come seconda punta ("stile" Doni o Cassano è ancora tutto da vedere, così come per la sua effettiva permanenza in bianconero); gli altri attaccanti in rosa sono sempre gli stessi (con un anno e qualche acciacco in più); nelle restanti zone del campo la squadra inizia ad assumere una sua fisionomia, anche se ci sono ancora diverse caselle da riempire. Compresa quella della "qualità".

La scelta di spostare il gioco nelle fasce laterali, lasciando ai due centrali di centrocampo il compito di difendere ed assalire, ma non di "impostare", potrebbe portare la squadra ad avere un perfetto equilibrio tra condizione fisica e prestazioni in campo: quando la prima sarà buona, dovrebbero arrivare i risultati; in caso contrario, si soffrirà.

In mancanza di occasioni di mercato, si proverà a rilanciare Felipe Melo. Un patrimonio tecnico ed economico, per la società. Ma al di là dell’effettiva riuscita dell’idea, questo non dovrà accadere a scapito della qualità in campo: scelto lui, chi ci sarà a fargli compagnia, in mezzo al rettangolo di gioco? O, viceversa: chi saranno gli esclusi?
L’importante è che il più penalizzato non risulti il gioco: quello che manca, a questa squadra, da anni.
La speranza è che, "regista o non regista" di centrocampo, non venga commesso l’errore ripetuto da tempo: privilegiare la "muscolarità" alla tecnica.

"Platini, ma lei fuma nell’intervallo di una partita?"
"Avvocato, non si preoccupi se fumo io. L’importante è che non fumi Bonini, che deve correre anche per me!" (Michel Platini)


"Jean Claude Blanc ed io stiamo garantendo al nostro Direttore Generale (Giuseppe Marotta) tutto il sostegno necessario perché possa arrivare a fine agosto con una compagine competitiva da mettere a disposizione del nostro nuovo allenatore, Gigi Del Neri" (lettera di Andrea Agnelli ai tifosi).
Ad oggi è sembrato più facile fare piazza pulita in società piuttosto che tra i giocatori.

Il calcio, così come la vita, è fatto di "cicli". L’ultimo vincente, in bianconero, partì dopo otto anni di insuccessi (in campionato) e da pochi trofei (due Coppe U.E.F.A. e una coppa Italia). In pratica dal "primo" addio alla Juventus di Trapattoni e dal "penultimo" Platini (1985-86).
C’erano due Agnelli (Giovanni e Umberto), ma non si riuscì comunque a fronteggiare i periodi vincenti del Napoli di Maradona, dei Milan di Sacchi e Capello, dell’Inter dello stesso Trap e della Sampdoria di Roberto Mancini e Gianluca Vialli.

Proprio Vialli, convinto da Marcello Lippi a rimanere a Torino dopo le sue due prime deludenti stagioni, divenne il simbolo di una Juventus nuovamente vittoriosa.
Quella che ereditò, dall’ultima creatura di Giampiero Boniperti (1993-94), i seguenti giocatori: Peruzzi, Rampulla, Kohler, Porrini, Torricelli, Carrera, Fortunato, Marocchi, Conte, Di Livio, Roberto Baggio, Ravanelli, Del Piero. Oltre, come detto, allo stesso attaccante di origini cremonesi.

Invece di paragonare, come spesso si usa fare in questi periodi, la Juventus attuale a quella del 2006 o ad una di quelle plasmate dalla Triade in quel periodo, è più utile fare un confronto tra "quel" punto di partenza e questo di Marotta e Andrea Agnelli.
Si capirà, una volta di più, la difficoltà del lavoro che li aspetta. E che stanno svolgendo.
Con tanti sentiti ringraziamenti a John Elkann e Jean Claude Blanc.

Ora c’è poco meno di un mese a disposizione, per costruire una squadra "programmata per vincere".
Il voto che verrà dato al mercato bianconero al 31 agosto, non potrà non tenere conto di queste valutazioni. In attesa di (almeno) un "big" che possa aumentare il tasso tecnico e la caratura della rosa. E nella speranza che questo processo richieda il minor tempo possibile.
Senza perderne ancora: a quello hanno già pensato altri.

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lunedì 2 agosto 2010

Il ritiro di Pinzolo visto da Del Piero

Nel primo video, quei pochi secondi di Grygera sono fenomenali... ;-)

domenica 1 agosto 2010

1° agosto: il giro di boa del calciomercato



Il consiglio della FIGC ha diramato in modo ufficiale le date del calciomercato estivo. L'inizio è fissato per il giorno 1 luglio, mentre il termine è stato fissato il 31 agosto alle ore 19.00.
Il che vuol dire che oggi, 1° agosto, siamo esattamente al "giro di boa".
Manca ancora un mese alla fine di questa sessione. Poi, si partirà con gli effettivi a disposizione in quel momento. Per altri acquisti e cessioni i battenti si riapriranno in quella invernale (3 gennaio - 31 gennaio 2011).
Ma cosa succedeva all’alba del 1° luglio scorso?

La Juventus attendeva il sì per Marco Motta: dopo averlo ottenuto dallo stesso calciatore si cercava l’intesa (poi trovata) con l’Udinese. Riallacciati i buoni rapporti dopo le tensioni dell’affare (saltato) Gaetano D’Agostino, l’operazione che portò Simone Pepe alla corte della Vecchia Signora (la prima della nuova era Agnelli) aveva contribuito ad un primo riavvicinamento tra le due società.
L’arrivo di Marotta a Torino e gli addii di Gasparin (per i friulani), Alessio Secco ed il parziale allontanamento di Jean Claude Blanc hanno fatto il resto.

Marcello Lippi veniva insultato, al tramonto dell’infelice spedizione sudafricana, nella sua Toscana (prima all’isola del Giglio, poi all’Elba); Brasile e Argentina dovevano ancora essere eliminate da Olanda e Germania; Berlusconi (da Panama) prometteva di rimanere in sella al suo Milan per altri 25 anni (il tempo utile per distanziare chi ha vinto meno di lui…); tra l’Inter e il Real Madrid calava il gelo nella trattativa per la cessione di Maicon alle merengues, mentre Moratti fissava il prezzo per Balotelli ad Arsenal e Manchester City (40 milioni di euro); la Lega A si riuniva in assemblea per la prima volta dopo la scissione con quella che poi è diventata la Lega B; Giovanni Petrucci (presidente del CONI) si dichiarava d’accordo sia con Crimi (Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport) che con Abete (presidente della FIGC) sul metodi di rilancio del calcio italiano (i due, invece, non andavano d’amore e d’accordo), prima ancora di indicare Berlusconi e Moratti come "esempi da seguire"; Cesare Prandelli aveva appena sottoscritto il contratto che lo legherà alla nazionale azzurra (giovane e multietnica) per i prossimi 4 anni.

E per la Juventus, oltre a Motta?
Già concretizzati gli altri acquisti presenti ad oggi, deciso da tempo il trasferimento di Molinaro allo Stoccarda, mentre Cannavaro sbarcava negli Emirati Arabi per essere accolto con tutti gli onori di casa da Mark Bell (d.g. dell’Al Ahli) si parlava delle cessioni di quei giocatori dai contratti "pesanti" e importanti che avrebbero permesso di sbloccare il mercato bianconero.
Tiago aveva chiesto tempo prima di dare una risposta positiva all’Atletico Madrid per la proposta di spalmare il suo contratto biennale (da 2,8 milioni) in triennale, mentre ormai le società - tra di loro - erano sostanzialmente d’accordo; per Fabio Grosso, sempre con gli spagnoli, si parlava di un rinvio ai giorni successivi per una eventuale chiusura dell’accordo.
Zebina e Camoranesi si trovavano nella stessa situazione di oggi: con una valigia in mano.

La prossima potrebbe essere una settimana decisiva per diversi movimenti, sia in entrata che in uscita: è dai primi di luglio che si "dice così". E mentre sul versante acquisti qualche occasione nel frattempo si è presentata (ottima - ingaggio permettendo - quella di Rafael Marquez, svincolato dal Barcellona) e si dibatte ancora su "Krasic o Dzeko" (grazie, Abete…), più passa il tempo e prima arriverà il momento di agire: "cessioni o non cessioni" di quei calciatori che manifestano un grande amore (non ricambiato) verso la Juventus.
Anche se purtroppo non sarà possibile usare una delle migliori armi di convincimento in simili situazioni: quella di dimostrare tutto questo affetto non comodamente seduti in tribuna o sulla panchina, bensì direttamente in campo, seguendo le rigide disposizioni di Del Neri. Quelle che impongono continui "su e giù" per le fasce (stile Marco Motta o Davide Lanzafame) sino allo sfinimento fisico.
Qualche dubbio sull’effettiva convenienza nel restare in bianconero, forse, allora comparirebbe.

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