venerdì 28 settembre 2012

Juve: Berbatov dimenticato, Cavani no


Con ogni probabilità Dimitar Berbatov dev’essersi dimenticato in fretta cosa è riuscito a combinare agli sgoccioli dell’ultima sessione di calciomercato estivo. Nonostante tutto era inevitabile che il suo nome riecheggiasse allo stadio “Artemio Franchi” nella recente sfida tra Fiorentina e Juventus.

Partito in aereo da Manchester per andare a Firenze, laddove lo aspettava un gruppo di tifosi viola per festeggiare il suo arrivo, non aveva preso la coincidenza a Monaco di Baviera per dirigersi successivamente in Italia. Nel nostro paese avrebbe trovato pure la Juventus pronta ad attenderlo a braccia aperte.
Motivi familiari, la moglie preferisce restare in Inghilterra”, avevano dichiarato i suoi agenti nel momento in cui si era sparsa la notizia che il giocatore bulgaro aveva trovato un accordo col Fulham di Martin Jol, il tecnico che lo aveva già allenato in una precedente esperienza al Tottenham.

Per un calciatore che alla tenera età di vent’anni aveva sostenuto le visite mediche a Lecce per poi volare in Germania (ancora… ) per accettare l’offerta del Bayer Leverkusen, quanto accaduto lo scorso fine agosto non ha rappresentato certo una novità. Certo, ci si augurava che con undici anni di più sulla carta d'identità alcune sue bizze potessero via via scomparire, ma a quanto si è trattato di una speranza vana.

La rivalità tra gigliati e bianconeri, esistente da tempo, grazie a questo episodio negli ultimi mesi ha vissuto ulteriori momenti di altissima tensione. Come non bastasse, se ne sono aggiunte altre ancora a causa di polemiche tra i vertici societari che poco o nulla hanno a che vedere con il mondo del calcio.

Tralasciando l’interesse estivo della Juventus per Jovetic, del caso Berbatov ne ha parlato nuovamente Giuseppe Marotta, intervistato dall'emittente satellitare "Sky" nei momenti precedenti la gara di Firenze: "No, sul caso Berbatov, che non è un caso, non voglio neanche pronunciarmi. Mi sembra che sia stato ingigantito oltremodo, non abbiamo fatto proprio niente di scorretto. Non solo, abbiamo agito con grande rispetto ed educazione. Poi, se si adducono motivazioni capziose per giustificare eventuali situazioni questo non dipende da noi, ma trovano riscontro in quelle che sono le loro dichiarazioni".

Anche Daniele Pradè, d.s. della Fiorentina, il giorno precedente aveva toccato l’argomento in questione: “Chiarimenti su Berbatov? Nessuno e non ci interessano. Piuttosto aspettiamo i soldi del biglietto dal giocatore”. Emil Dantchev, l'agente del calciatore bulgaro, raggiunto telefonicamente dal sito "TuttoMercatoWeb.com" gli ha risposto a tono: "Questa è una domanda irriverente. Perché mai dovrebbe pagare l'aereo? Perché in Italia vi interessa così tanto una cosa del genere?".

A Vincenzo Montella, allenatore dei gigliati, interessa soprattutto l'aspetto pratico della vicenda: disporre di un giocatore con le caratteristiche di Berbatov gli avrebbe fatto indubbiamente comodo. Al cospetto della Juventus è riuscito comunque a presentare un’ottima Fiorentina, alla quale sembra pesare la mancanza di un vero e proprio rapace dell'area di rigore. Sul campo la squadra viola ha dimostrato di aver voltato pagina rispetto a quanto accaduto lo scorso 17 marzo, allorquando i bianconeri trionfarono con un netto 5-0.

Prima del fischio d'inizio lo stesso Montella aveva focalizzato l'attenzione su tre aspetti che riteneva importanti: non avrebbe firmato in anticipo per un pari, era rammaricato per i punti gettati al vento nel precedente incontro al "Tardini" di Parma (dove i viola erano stati raggiunti dai ducali al 93'), sperava fortemente in un arrivo di Quagliarella a Firenze durante la scorsa estate.

Trascinatore della Juventus nelle gare con Chelsea e Chievo, proprio l'attaccante di Castellammare di Stabia stavolta è rimasto a secco. Non sono riusciti a fare meglio di lui Giovinco e Vucinic (le altre punte schierate dal duo Carrera-Conte), mentre Bendtner, il gigante danese ingaggiato da Madama dopo il rifiuto di Berbatov, è rimasto seduto in panchina per tutta la durata dell'incontro.

Fermata a Firenze sullo 0-0 la Vecchia Signora è poi rientrata a Torino, dove sabato affronterà la Roma di Zdenek Zeman. Un'altra gara anticipata da polemiche infinite, spesso stucchevoli.
Il Napoli di Cavani, nel frattempo, non ha esitato ad approfittare del rallentamento della Juventus: con tre goals dell'uruguaiano (messi a segno contro la Lazio) la squadra di Mazzarri l'ha raggiunta in testa alla classifica.
Anche Cavani è stato accostato a più riprese a Madama nel recente passato. Fosse realmente arrivato a Torino il campionato avrebbe avuto una sua sicura vincitrice prima ancora di iniziare.

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Ringrazio l'amico Andrea Antonio Colazingari per aver pubblicato l'articolo anche su ObiettivoJuve.it

mercoledì 26 settembre 2012

Ilunga Mwepu e il calcio alla paura nel mondiale del 1974


Ilunga Mwepu, chi era costui? Per molti appassionati di calcio è realmente difficile ricordarlo. Diventa più semplice farlo citando un episodio che lo ha visto protagonista nel corso dei mondiali disputati nell'allora Germania Ovest nel 1974. Accadde al "Parkstadion" di Gelsenkirchen, il 22 giugno: a pochi minuti dalla conclusione dell'incontro tra il Brasile e lo Zaire (l'odierna Repubblica Democratica del Congo), con i verdeoro in vantaggio per tre reti a zero, l'arbitro Nicolae Rainea aveva decretato un calcio di punizione a favore della squadra guidata da Mário Zagallo.

Al fischio del direttore di gara Mwepu, piazzato in barriera insieme ai propri compagni, improvvisamente era scattato verso il pallone per poi calciarlo con violenza lontano dal punto in cui era stato posizionato, anticipando così le intenzioni di Rivelino. Il quale era rimasto incredulo di fronte a quanto aveva appena visto, al pari di tutte le persone presenti allo stadio in quel momento. In mezzo all'ilarità generale Rainea non aveva potuto far altro che estrarre il cartellino giallo per ammonire il numero due della formazione africana. Nonostante ciò, l'atteggiamento assunto dal difensore era sembrato essere quello di chi non capiva di averla combinata grossa.

Le immagini di quel gesto fecero il giro del mondo, Mwepu era diventato il simbolo di un calcio africano che faceva ancora fatica ad emergere e che nel contempo si era reso ridicolo per colpa di una maledetta punizione. In pochi, però, si erano posti una domanda elementare: ma come era possibile che un elemento della nazionale dello Zaire non conoscesse una tra le più elementari regole del gioco del calcio?

In fondo erano stati proprio i "Leopardi" a conquistare la Coppa d'Africa qualche mese prima dell'inizio dei mondiali tedeschi, mentre lo stesso terzino militava nel TP Englebert (l'attuale TP Mazembe, avversaria dell'Inter nella finale del Mondiale per club 2010), una delle squadre più forti dell'intero continente. No, dietro quell'attimo di follia c'era dell'altro, come ebbe modo di confessare molti anni dopo Mwepu alla “BBC”.

Nello Zaire spadroneggiava Joseph-Désiré Mobutu, al timone del paese dal 1965 nelle vesti di presidente, in realtà fautore di una dittatura che vedeva nello sport l'ideale strumento di propaganda del regime. A riprova di questo basti pensare a ‘Rumble in the jungle’, l'epica sfida per la corona mondiale dei pesi massimi fra George Foreman e Muhammad Alì che si sarebbe poi disputata a Kinshasa il successivo 30 ottobre 1974. Una volta conquistato il biglietto di qualificazione al mondiale, quindi, per stimolare maggiormente i giocatori Mobutu aveva promesso loro premi sostanziosi. L'importante era non fare brutte figure.

Il sorteggio dei gruppi della prima fase del torneo aveva riservato allo Zaire tre avversarie di tutto rispetto: Scozia, Jugoslavia e - appunto - Brasile. Con gli scozzesi era arrivata una sconfitta per 2-0 (Lorimer e Jordan, futuro milanista, i marcatori). Il dramma si sarebbe materializzato nella seconda gara, quella contro gli jugoslavi, connazionali di Blagoje Vidinić, commissario tecnico dei "Leopardi": la disfatta per 9-0 aveva provocato la terribile reazione del dittatore africano, proprio come aveva testimoniato Mwepu alla televisione inglese: "Pensavamo che saremmo diventati ricchi, appena tornati in Africa, ma dopo la prima sconfitta venimmo a sapere che non saremmo mai stati pagati e quando perdemmo 9-0 con la Jugoslavia gli uomini di Mobutu ci vennero a minacciare. Se avessimo perso con più di tre gol di scarto dal Brasile, ci dissero, nessuno di noi sarebbe tornato a casa".

Era stato quello, quindi, il reale motivo che aveva innescato la corsa all'impazzata di Mwepu verso il pallone che stava per essere calciato da Rivelino. Gli epiteti rivolti dallo stesso difensore a Jarzinho, reo di essersi fatto scappare un sorriso dopo aver visto quel gesto, erano da attribuire all'incredibile tensione accumulata nei giorni precedenti l'incontro.

Passando dalla cronaca dei fatti alla storia, la partita - fortunatamente - era finita col risultato di 3-0 per i brasiliani. Una gara alla quale Mwepu aveva partecipato a causa di un banale errore dell'arbitro del precedente incontro con la Jugoslavia: il colombiano Omar Delgado, infatti, aveva espulso per errore Ndaye Mulamba, nonostante lo stesso terzino avesse ammesso di essere stato il colpevole di un calcio rifilato ad un avversario.
Si era trattato, quindi, di un caso. Era stata, invece, una fortuna che il pallottoliere preparato dai brasiliani si fosse fermato al numero tre.

Articolo pubblicato su Lettera43

Brutta serata

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Bruttissima prestazione della Juventus ieri sera all’Artemio Franchi contro un’ottima Fiorentina, messa bene in campo da quello che, a mio modo di vedere, è uno dei migliori tecnici italiani. Ma se prima della gara, con ancora in mente le immagini della grande prova di sabato scorso con il Chievo, mi avessero detto che i bianconeri avrebbero giocato così male, non ci avrei mai creduto. Forse mi sto abituando troppo bene e parto sempre con la convinzione che la Juve comunque vada disputerà un match di attacco, terrà sempre l’iniziativa, presserà alto e proporrà il suo consueto possesso palla. 

Purtroppo ieri non è andata così e, che io ricordi, forse in altre due o tre occasioni al massimo ho visto una squadra così spenta e costretta a subire l’iniziativa dell’avversario quasi senza reagire; con il Catania nella partita di andata della scorsa stagione, dove pareggiammo 1-1 con rete di Krasic, nel confronto di andata con il Siena (vittoria finale per 1-0) e nel primo tempo della sfida scudetto di San Siro con il Milan. Per il resto anche i tanti pareggi dell’anno dello scudetto erano apparsi come vittorie mancate, nel senso che il dominio degli uomini di Conte era sempre stato netto sia per le occasioni create che per il possesso palla spaventoso. 

Ora i motivi di una gara così sotto tono possono essere diversi. Ci sono i meriti dell’avversario tosto, molto organizzato, motivatissimo e con un gioco espresso degno di questo nome. C’è la stanchezza di molti elementi impegnati prima nelle rispettive nazionali, poi nei turni forse troppo ravvicinati di campionato e di Champions che portano tossine nelle gambe. C’è anche una fatica di tipo mentale. E’ difficile affrontare tutti gli impegni con la stessa determinazione e ferocia agonistica. 

Al di là di questi motivi, controbilanciati da una difesa che nonostante tutto tiene botta, a me sembra che la Juventus attualmente abbia due grossi problemi: Andrea Pirlo e Sebastian Giovinco. Conosciamo tutti la grandezza di Pirlo e l’importanza che avuto nella vittoria finale dello scorso anno nonché sullo svolgimento in generale del gioco di Conte e già da qualche giornata il centrocampista bresciano appare fuori forma, stanco, lento e nell’insieme poco lucido. Non so se riuscirà a ripetere la stagione passata, ma al momento le sue condizioni fisiche attuali sembrano abbastanza precarie e questo influisce molto su tutta la manovra della Vecchia Signora. 

Il secondo grosso problema è Giovinco. Secondo me, ma mi sembra di non essere l’unico a pensarla in questo modo, non è da Juventus, o almeno, non è l’uomo di attacco di cui la Juve ha bisogno. Troppo piccolo fisicamente, non in grado di opporre resistenza nei contrasti con i difensori avversari, ieri ha palesato anche alcune lacune tecniche che fanno pensare. Ha praticamente sbagliato tutti i controlli e ogni passaggio effettuato sembrava essere fuori misura. Fuori dalla manovra, spesso in fuorigioco, sembra non legarsi tatticamente a nessun partner di attacco. Spero di essere smentito, ma al momento, averlo ripreso (per quella cifra poi) si sta rivelando un grosso errore. 

Sabato e martedì prossimo mi auguro di vedere una Juve molto diversa e più simile a quella del secondo tempo di Stamford Bridge e a quella della vittoria sul Chievo, anche perché gli avversari saranno tosti almeno quanto lo sono stati i viola ieri sera.

lunedì 24 settembre 2012

Continuate così

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Scrivo questo pezzo quando ormai sono passati due giorni dalla splendida prestazione della Juventus di sabato scorso contro il Chievo e siamo già alla vigilia di una delle sfide più difficili e maggiormente sentite (anche se in questo caso più dalla sponda viola che non da quella bianconera) di tutta la stagione. All’Artemio Franchi di Firenze la Fiorentina attende con il coltello tra i denti, l’avversario più odiato e temuto in assoluto, in un clima che non promette sinceramente nulla di buono. 

Ma per un attimo torniamo a parlare della vittoria che gli uomini del binomio Conte – Carrera hanno ottenuto alla quarta giornata di campionato contro i Clivensi, rivelatisi nelle ultime stagioni, una autentica bestia nera per i nostri colori e che, ben messi in campo negli ultimi confronti, hanno sempre fatto penare la Vecchia Signora. Questa volta c’è da dire che la Juventus ha letteralmente dominato il match, esprimendo un grande gioco, disputando una gara che ha assunto spesso i contorni di un vero assedio, dando l’impressione che il goal del vantaggio, seppur sofferto ed arrivato grazie ad una vera prodezza del bomber ritrovato Quagliarella, potesse arrivare da un momento all’altro. 

Personalmente sono rimasto veramente impressionato da ciò che i bianconeri hanno mostrato sul rettangolo di gioco, sia dal punto di vista del carattere e dell’intensità che da quello della manovra che sembra non aver risentito affatto delle assenze importanti risultanti da un turn over obbligatorio visti tutti gli impegni ravvicinati che aspettavano e che aspettano Madama nei giorni passati e in quelli prossimi. Ho visto un Pogba che promette veramente bene, un Lucio in condizioni di forma inaspettate, un Giaccherini eccellente, ma soprattutto ho ammirato una squadra che gioca a memoria e che interpreta il copione in maniera perfetta. 

Se si eccettua Isla, per forza di cose ancora indietro fisicamente, ma che lascia intravedere grandi capacità, tutti sono apparsi in ottime condizioni. Ovviamente ora si dirà che il Chievo è poca cosa, ma ricordo che fino a poco prima della partita si parlava di un match complicatissimo a causa di un avversario veramente tosto da affrontare. Ma diciamola tutta, se Sorrentino non avesse compiuto degli autentici miracoli il passivo per la squadra di Di carlo sarebbe stato assai più pesante. 

Ovviamente non dobbiamo esaltarci, le vere difficoltà devono ancora arrivare, a cominciare da domani sera, dove affronteremo una compagine di ottimo livello, allenata da un grande tecnico, che giocherà la partita della vita (come tutti coloro che affrontano la Juve) ma soprattutto dove troveremo un ambiente che definire ostico è un eufemismo. Onestamente trovo che sia veramente vergognoso che il nostro mister debba prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di non andare nemmeno allo stadio perché non è garantita la sua incolumità fisica, al di là di tutte le rassicurazioni ricevute (non dalla società viola) da chi dovrebbe garantire l’ordine pubblico ma soprattutto un’ospitalità degna di una società di serie A.

domenica 23 settembre 2012

Mai dire mai con Quagliarella e la Juventus


Domenica 16 settembre 2012, stadio “Luigi Ferraris di Genova”: al 16’ della ripresa, in vantaggio per 1-0, il Genoa spreca una ghiotta occasione per segnare la seconda rete contro la Juventus; sul rovesciamento di fronte è Giaccherini a siglare il momentaneo pareggio, risvegliando i bianconeri da un letargo durato più di un tempo. Il resto è storia nota: Vucinic e Asamoah completano l’opera, Madama torna a Torino con altri tre punti, la parata con la quale Buffon che ha chiuso la porta in faccia a Bertolacci è diventata il simbolo, oltre che il crocevia, della gara.

Se i rossoblù avessero segnato anche il secondo goal, sotto di due reti, la Juventus sarebbe riuscita a rimettere in piedi l’incontro?”. La domanda, scontata, è stata per qualche giorno sulla bocca di molti appassionati.

Assodato che ogni partita è una storia a sé, soltanto tre giorni dopo, allo “Stamford Bridge”, nella gara che ha rappresentato il ritorno della Vecchia Signora in Champions League, gli uomini del duo Carrera-Conte subivano due goals dal Chelsea campione in carica in poco più di mezz’ora di gioco.
Oscar, il giovane talento brasiliano al quale Di Matteo aveva chiesto il compito di fare da ombra a Pirlo, si era preso due “licenze” che avevano contribuito ad incanalare l’incontro verso una comoda vittoria interna per i Blues.

L’incredibile reazione della Juventus, capace di riagguantare gli inglesi sino a sfiorare la vittoria (con la traversa spizzicata da Quagliarella), in un certo senso può rappresentare la giusta risposta alla domanda della domenica precedente: niente è sicuro, ma quando ci sono i bianconeri di mezzo, in questo periodo, è difficile sostenere che una gara possa considerarsi conclusa prima del fischio finale dell’arbitro. Anche nelle situazioni in cui si trovano sotto di due reti, con una manciata di minuti di partita ancora da disputare.

Se nella partita di Genova Madama era finita sotto accusa per un turnover che ne aveva limitato il potenziale (almeno sino all’entrata in campo di Vucinic, Asamoah e Lichtesteiner), nel recente anticipo di serie A contro il Chievo è riuscita a migliorare pure sotto questo punto di vista: ha lasciato fuori cinque giocatori rispetto al match di Londra ed ha ottenuto - in maniera brillante - la quarta vittoria consecutiva in questo campionato.

La doppietta di Quagliarella restituisce alla Vecchia Signora un giocatore che sembrava essersi smarrito dopo l’infortunio occorso allo stadio “Olimpico” di Torino il 6 gennaio 2011 (Juventus-Parma 1-4).
Il 18 dicembre 2011, allo “Juventus Stadium”, dopo trecentossessantaquattro giorni di astinenza dal goal, trascorsa un’ora di gioco della gara interna contro il Novara l’attaccante di Castellammare di Stabia era riuscito a rompere un digiuno che sembrava interminabile. La partita, guarda caso, era terminata sul risultato di 2-0.

Le parole da lui pronunciate nei momenti successivi l’incontro sembravano essere di buon auspicio per il futuro della punta: “Il goal mi dà ulteriore serenità. Non mi sono mai sentito un rincalzo e adesso sgomiterò per ritagliarmi il mio spazio. Il mercato non mi interessa: non andrò via dalla Juve senza essermi rimesso in gioco dopo il grave infortunio”.

Per attendere un altro segnale forte da parte del “vero” Quagliarella si è dovuto attendere proprio la partita allo “Stamford Bridge”, visto che è stata sua la rete del definitivo 2-2. Le dichiarazioni rilasciate nella pancia dello stadio londinese erano piene di messaggi rivolti ai propri allenatori: “Sono al 100% da tempo. Vado in panchina sempre con la speranza di giocare, magari anche più dei 10 minuti di stasera. So io quello che ho patito finora. Mi alleno bene, ma per trovare la condizione giusta bisogna lavorare”.
Testardo e con la voglia di non mollare mai, esattamente come la sua Juventus, Quagliarella sta ritrovando la condizione psicofisica persa da tempo.

Una curiosità, infine: nel giorno in cui la serie di gare positive consecutive della Vecchia Signora in campionato è arrivata a quota quarantatré, il Borussia Dortmund - in Germania - ha perso contro l’Amburgo, interrompendo la sequenza di trentuno partite senza sconfitte. Il primato, in precedenza, era detenuto proprio dallo stesso Amburgo (trentasei), all’epoca in cui spadroneggiava nel suo paese vinceva una coppa dei Campioni, ad Atene, proprio contro la Vecchia Signora.
Altri tempi, è vero. La Juventus, però, sta lavorando per tornare a quei livelli.

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giovedì 20 settembre 2012

Enzo Bearzot, un uomo leale in cima al mondo


"Un uomo onesto, di grandi valori. Una persona seria, di ampia cultura. Severo, apparentemente burbero. Sentiva la responsabilità del gruppo, voleva sapere tutto di noi, che si faceva, dove si andava. Esigeva lealtà e rispetto. Chi mancava, non veniva più richiamato". La persona in questione è Enzo Bearzot, chi ne ha tracciato il profilo è stato Marco Tardelli, uno dei suoi "ragazzi", nel corso di un'intervista rilasciata a Nicola Calzaretta e pubblicata sull'ultimo numero del mensile "GS" (evoluzione del settimanale "Guerin Sportivo").

Petto in fuori, pipa in bocca, da commissario tecnico era diventato una sorta di secondo padre per alcuni tra i giocatori che convocava in azzurro. Amava quella maglia, da bambino (era nato nel 1927) aveva gioito nella piazza di Gradisca per la vittoria nel mondiale del 1938 ascoltando dagli altoparlanti la cronaca della finalissima dalla voce di Nicolò Carosio.

Stravedeva per Aldo Campatelli e sognava l'Inter. L'aveva affrontata in amichevole con la Pro Gorizia, che all'epoca si trovava in serie B, senza passare inosservato: venne arruolato dai nerazzurri, per poi debuttare a "San Siro" appena ventenne. L'emozione gli aveva giocato un brutto scherzo: stava per entrare sul terreno di gioco con la maglia indossata al contrario. Proprio Campatelli, con un gesto bonario, gli aveva fatto notare che il numero cinque andava esibito sulla schiena, non sul petto.

Non trovando spazio in prima squadra era stato dirottato a Catania: per lui si era trattato di un trauma, superato grazie a Luisa, la donna che sarebbe diventata sua moglie e che gli avrebbe dato due figli, Cinzia e Glauco. L'aveva conosciuta su un tram in quella Milano dell'immediato dopoguerra che adorava. Dalla Sicilia era salito sino in Piemonte, a Torino. L'ambiente granata gli era subito entrato nel cuore: trascorso un altro breve periodo all'Inter, era tornato sotto la Mole per concludere lì la propria carriera di calciatore.

Nereo Rocco, il “Paròn”, giunto a Torino dopo aver guidato il Milan alla prima vittoria in coppa dei Campioni, lo aveva spronato a diventare allenatore. Nella biografia "Il romanzo del vecio", curata dal giornalista e amico Gigi Garanzini, aveva confidato gli insegnamenti appresi in quel periodo: "Primo, come si crea un ambiente, un’atmosfera, un gruppo. Secondo, una squadra si regge sui vecchi prima che sui giovani. Il giovane ti dà la gamba, il vecchio la testa. Se sbagli i giovani hai il tempo di cambiarli, se sbagli i vecchi tutto ti crolla addosso".

Era stato Artemio Franchi a volerlo in nazionale, dopo che si era fatto le ossa - come tecnico - con i giovani granata e a Prato. Non c'era stato subito il "grande salto": all'inizio, infatti, aveva collaborato con Ferruccio Valcareggi e Fulvio Bernardini. Da calciatore aveva indossato la maglia dell'Italia soltanto in un’occasione: a Budapest, contro la grande Ungheria di Ferenc Puskás, con la consegna di limitare il raggio d'azione di quel fuoriclasse (27 novembre 1955, 0-2).

Quando la panchina era diventata sua a tutti gli effetti aveva fatto tesoro delle novità messe in luce dal mondiale tedesco del 1974 puntando ad un calcio diverso da far applicare agli azzurri: quello mostrato dai polacchi, simile all'olandese ma con meno rischi da affrontare nel tentativo di cambiare una mentalità ed un metodo di gioco ormai cristallizzati da tempo. La nazionale ammirata in Argentina nel 1978 era stata concepita a Milanello il 4 giugno 1976 alla vigilia di un'amichevole disputata contro la Romania, al termine di una chiacchierata con i suoi "ragazzi". Anche se non vinse il torneo, è rimasta la più bella tra tutte.

Persino più di quella che poi avrebbe fatto sognare un paese intero, in Spagna, quattro anni dopo. Lì, invece, il sogno era nato da un'intuizione del vecio datata novembre 1981: al termine di un allenamento dell'Italia, a Torino, si era fermato ad osservare Paolo Rossi mentre disputava una partitella contro la Primavera della Juventus. Era fuori forma e fuori dai giochi a causa della squalifica rimediata nello scandalo del calcioscommesse. Nonostante tutto, aveva capito in quei momenti che avrebbe potuto puntare su di lui. Sceglieva i calciatori da convocare usando come parametro il loro rendimento in nazionale, non quello in campionato.

Nel corso della carriera aveva subito critiche eccessivamente feroci. Un esempio, scelto a caso: durante il ritiro dell'Italia in preparazione agli Europei del 1980 a Pollone (Biella), due giornalisti erano stati allontanati perché arrivati in ritardo alla conferenza stampa. In tutta risposta scrissero sui quotidiani di un "lebbrosario azzurro" riservato a pochi intimi… Si definiva un cristiano anarchico: perdonava, ma non porgeva l’altra guancia. Non amava la vetrina, così come la falsa modestia. Era il primo a riconoscere i meriti dei giocatori nelle vittorie, senza trascurare i suoi. Sosteneva che agli allenatori attuali veniva data troppa importanza, in campo - in fondo - andavano i giocatori. Si sentiva patriarca perché il suo approccio mentale era lo stesso di quando la sera poggiava la testa sul cuscino e sperava di fare del pallone un hobby retribuito. Il cruccio era stato quello di non essere riuscito a civilizzare il pubblico, lui che aveva amato il calcio al di là del colore delle maglie.

E' morto il 21 dicembre, casualmente nello stesso giorno (a distanza di anni) in cui era mancato Vittorio Pozzo, il tecnico di quell'Italia che lo aveva fatto sognare ad occhi aperti, da ragazzino, a Gradisca. Ne aveva fatta di strada, Enzo Bearzot da Aiello del Friuli, per poter volare sopra il cielo della Spagna con una coppa del mondo sistemata accanto a lui. Mentre giocava a carte.

Articolo pubblicato su Lettera43

Le emozioni di un ritorno

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Quella che ieri sera la Juventus ha compiuto a Stamford Bridge, in casa dei Campioni d’Europa del Chelsea, è stata una vera impresa, tanto più se si considera la situazione di doppio svantaggio nella quale si era ritrovata, immeritatamente tra l’altro, grazie quasi esclusivamente alle prodezze di un singolo (aiutato dalla fortuna in occasione della prima rete, autore di un vero capolavoro nel caso del raddoppio). 

Un’impresa che è stata possibile grazie al cuore ed alla determinazione feroce di una squadra che non molla mai, ma anche e soprattutto dalle certezze che un gioco organizzato e degli schemi precisi offrono e trasmettono ad ogni singolo calciatore che fa parte di questa squadra. 

E’ stata una gara durissima e fin dai primi minuti si è capita l’aria che tira in Europa, quanto sia alta la concentrazione richiesta in questo tipo di competizione e quale sia il livello delle compagini che vi partecipano. Qui ci sono le migliori squadre del continente ed i giocatori più forti del mondo, fatta eccezione per qualche campione sudamericano che ancora non è approdato ad un club europeo. 

Le difficoltà incontrate da Pirlo, pressato dagli avanti inglesi al punto di renderlo quasi inoffensivo, quelle incontrate da Asamoah e Lichtsteiner, che non hanno potuto spingere come è loro abitudine perché bloccati, l’uno da Ivanovic e l’altro da Hazard, sono la dimostrazione di quanto sia complicato emergere ed affermarsi su questi campi. Il ritmo impresso alla gara dai leoni inglesi era forsennato, ma la Juventus, riusciva ugualmente a creare due nette occasioni da goal con Marchisio e Vucinic fallite per pochissimo. Nonostante questo era proprio la squadra di Di Matteo a trovare la rete, con un tiro da fuori di Oscar, preferito a Mata, che grazie alla deviazione di Bonucci ingannava Buffon. Il raddoppio nasceva da un colpo da vero fuoriclasse dello stesso Oscar che, sempre dalla distanza, dopo un controllo bellissimo, scagliava verso la porta un tiro a giro assolutamente imprendibile per il nostro Gigi. 

In quel preciso momento sembrava veramente finita. La Juventus appariva frastornata, ed il rischio era quello di crollare sotto i colpi dei Blues. Ma fortunatamente, grazie ad Arturo Vidal, il quale seppur claudicante per una distorsione alla caviglia, riusciva con una stoccata a ridurre le distanze, la Vecchia Signora rientrava in partita. 

Iniziava da qui la ricerca del pareggio che i bianconeri raggiungevano solo ad una decina di minuti dalla fine del match, per merito di Quagliarella, che, imbeccato in maniera perfetta da Marchisio e sfruttando un errore tattico della difesa del Chelsea che sbagliava il fuorigioco, beffava addirittura sotto le gambe Cech. Lo stesso Quagliarella dopo pochissimi minuti rischiava di segnare il goal di una vittoria che sarebbe stata storica, colpendo la parte superiore della traversa con un tiro dei suoi, effettuato girando su se stesso e colpendo al volo la sfera che scheggiava il montante superiore. 

Io penso che la prova fornita dalla Juventus ieri sia ottima ma sono anche fermamente convinto che la squadra di Conte possa fare meglio. Insomma secondo me ha la capacità di rimanere più corta di come è stata ieri sera, è in grado di pressare di più e di imporre meglio ancora di quanto fatto a Londra il proprio gioco. Di sicuro l’aspetto psicologico della gara, l’inesperienza e la non abitudine di esibirsi su certi palcoscenici di alcuni elementi ha frenato un po’ quella macchina da guerra che è Madama da un anno e mezzo a questa parte. Si gli avversari affrontati ieri sera sono molto forti, ma a prescindere da questo a mio modo di vedere c’è la possibilità di fare di più. Parlo sotto il profilo del gioco ovviamente, perché poi il punto ottenuto dopo una rimonta del genere è eccezionale. 

Inoltre, come del resto era prevedibile, si sente fortemente la mancanza di un grande attaccante che affianchi Vucinic, una punta forte fisicamente, veloce ma soprattutto che realizzi le occasioni che le si presentano. In Champions non si può sbagliare troppo, e gli errori sotto porta si possono pagare molto cari. Visto ieri sera Giovinco non mi convince. Sovrastato dai difensori inglesi, non è quasi mai riuscito a sfuggire al loro controllo ne a triangolare con Vucinic in maniera convincente. 

Pirlo ha giocato forse una delle sue peggiori partite da quando è alla Juve, ma ci può stare, anche se occorre trovare un valido sostenuto o comunque un’alternativa di gioco valida nel caso in cui non ci sia o venga imbrigliato come ieri sera. Marchisio e Vidal grandissimi entrambi, per abnegazione, presenza, personalità ed intelligenza tattica. Due guerrieri. 

Possiamo concludere che come rientro in Coppa dei Campioni (mi piace chiamarla così) quello di ieri è stato molto emozionante, come emozionante è stato risentire quella magnifica musichetta che annuncia l’inizio della partita e come lo sono stati i cori dei nostri splendidi 3.000 sostenitori presenti a Stamford Bridge.

martedì 18 settembre 2012

La Juventus riprende il cammino europeo


Ai nastri di partenza dei gironcini della Champions League figura nuovamente il nome della Juventus, una tra le possibili protagoniste della manifestazione.
L'ultima gara di Madama in questo torneo risale all’8 dicembre 2009, allorquando la formazione allenata da Ciro Ferrara aveva subito una sonora sconfitta casalinga ad opera del Bayern Monaco (1-4), dopo aver toccato con mano per qualche istante la possibilità di accedere agli ottavi di finale.

Nella stagione precedente (2008/09) il cammino della Juventus era stato interrotto proprio negli ottavi di finale dal Chelsea, suo prossimo avversario nella partita d’esordio allo "Stamford Bridge" nella serata di mercoledì 19 settembre.
Il sorteggio, all'epoca dei fatti, si era divertito a mettere a confronto le tre squadre italiane rimaste in lizza con altrettanti club inglesi: già detto dei bianconeri, all'Inter era capitato il Manchester United ed alla Roma era toccato l'Arsenal.
Passarono il turno tutte le società provenienti dalla Premier League, sancendo un "sorpasso" di quel campionato sulla serie A ormai acclarato da tempo.

José Mourinho, tecnico dei nerazzurri, nonostante l'addio anticipato al torneo aveva mostrato uno spirito battagliero, sintetizzato nelle dichiarazioni rese alla stampa al termine della gara di ritorno: "Non sono arrabbiato, sono triste. Se vogliono toccare la mia squadra devono prima ammazzarmi. Il complesso, o la paura della Champions, per me non c'è più. Non è un problema psicologico, è un problema calcistico. Ora so cosa bisogna fare per vincere la Champions: ne discuterò con la società, non con voi".

L'anno successivo il portoghese era riuscito effettivamente a conquistare il trofeo, abbandonando l'Inter subito dopo il trionfo del "Santiago Bernabeu" per poi emigrare in Spagna, al Real Madrid.
Lungo il tragitto per arrivare alla finalissima (disputata - guarda caso - contro il Bayern Monaco), la Beneamata aveva estromesso dalla manifestazione anche lo stesso Chelsea.

Chelsea-Juventus, quindi. La prima in classifica nella Premier League contro la capolista della Serie A (in coabitazione con Napoli e Lazio). Per i bianconeri guidati dal duo Conte (in tribuna) e Carrera (sulla panchina) quella della scorsa domenica contro il Genoa è stata la terza vittoria consecutiva in altrettante gare di campionato. La più sofferta sino ad oggi, quella meno attesa alla conclusione dei primi quarantacinque minuti di gioco.

Padroni del campo per un tempo (ed in vantaggio grazie alla rete di Immobile, juventino a metà con il Grifone), i rossoblù hanno sprecato troppe occasioni da rete prima di venire colpiti e affondati dai goals di Giaccherini, Vucinic e Asamoah.
Gli ultimi due, subentrati a partita in corso assieme allo svizzero Lichtsteiner, hanno contribuito in maniera decisiva al risveglio dei bianconeri una volta rientrati sul campo dopo l'intervallo.

La sosta dovuta agli impegni delle varie nazionali, l'attuazione di una massiccia dose di turnover, la condizione fisica non ottimale di alcuni degli elementi presenti nell'undici iniziale, un approccio sbagliato alla partita, il pensiero rivolto all'ormai vicino incontro col Chelsea: queste sono state le cause principali che hanno provocato la prova incolore di Madama nel primo tempo.

Senza dimenticare, naturalmente, l'ottima prova dei padroni di casa, ai quali il vantaggio di misura andava obiettivamente stretto. Nel momento in cui sembrava potessero raccogliere il frutto della loro supremazia, soltanto un grande Buffon - con una parata decisiva su conclusione ravvicinata di Bertolacci – è riuscito ad evitare la seconda rete del Genoa.

Su tutto questo, e altro ancora, i bianconeri avranno modo di riflettere una volta rientrati da Londra.
Adesso è arrivato il momento di chiudere gli occhi ed ascoltare nuovamente la musichetta della Champions League.
Evitando di aspettare la seconda frazione di gioco per tirare fuori il meglio di sé: sarebbe il modo più semplice per complicare l’inizio del nuovo cammino europeo.

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lunedì 17 settembre 2012

Difficoltà, reazione e vittoria

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

La Juventus esce dallo Stadio Luigi Ferraris di Genova con tre preziosissimi punti, dopo un match che già si prospettava molto difficile alla vigilia ma che dopo la prima frazione di gioco sembrava potersi trasformare nella prima sconfitta in campionato della Juventus targata Antonio Conte. Nei primi 45 minuti, infatti, i bianconeri hanno sofferto tantissimo contro la squadra di De Canio, rischiando di andare sotto di brutto e di subire più di una rete. 

Andando alla ricerca delle ragioni di queste grandi difficoltà potremmo dire che gli elementi che hanno contributo ai patimenti del primo tempo sono diversi: 

1) l’eccessivo turn over effettuato. E qui non mi riferisco tanto alla quantità di calciatori alternati rispetto alle precedenti partite della stagione in corso quanto alla qualità di quelli esclusi ed allo stato di forma di alcuni sostituti messi in campo. Vucinic, Asamoah, Lichtsteiner e Vidal, sono, a parer mio, troppo importanti in questo momento per poter affrontare una gara pericolosa come quella di ieri, contro una compagine che già lo scorso campionato mise la Vecchia Signora in difficoltà, senza di loro. Inoltre Caceres, che di per sé io adoro come giocatore, rientrava proprio ieri da una lunga sosta per infortunio e non è parso essere in condizione fisica eccellente. O, almeno, non tale da contrastare gli indemoniati rossoblu che hanno impresso da subito alla gara un ritmo altissimo. Anche De Ceglie non è sembrato essere in formissima, ed infatti l’ingresso di Asamoah nel secondo tempo, ci ha permesso di creare grosse difficoltà sulla fascia ai genoani (il rigore ne è un esempio), cosa che nel primo tempo non era praticamente mai accaduta. Posso comprendere l’esclusione di Vidal, tornato da un viaggio aereo intercontinentale, che comunque si porta dietro qualche problemino di pubalgia, e che, pertanto, va preservato, ma il resto io, sinceramente non lo avrei cambiato. Va da se che questa è solo la mia opinione, però l’anno scorso il Napoli perse contro il Chievo per la stessa ragione, cioè per voler risparmiare alcuni uomini fondamentali in vista di una gara di Champions. Credo sia perfino superfluo parlare di Vucinic, che, al di là di alcuni suoi momenti di blackout, è il vero ed unico fuoriclasse in grado di cambiare l’inerzia di una gara da solo. Non lo so, ma secondo me è ancora presto per fare turn over. 

2) I meriti del Genoa. Che non vanno taciuti, perché bisogna riconoscerli. Dalla difesa, puntuale negli anticipi sulle nostre punte, al centrocampo, con inserimenti continui di tutti in mezzo alle linee della nostra difesa, all’attacco, con i due ex (uno dei due speriamo che in futuro possa rivestire la casacca a strisce bianconere) con il dente avvelenato, autentiche spine nel fianco di Chiellini, Barzagli e Bonucci. Fortunatamente nel secondo tempo i rossoblu hanno abbassato i ritmi, mentre contemporaneamente la Juventus li alzava notevolmente. 

3) L’atteggiamento della squadra nei primi 45 minuti di gioco. Questo è il motivo che più degli altri due preoccupa. Le partenze decisamente sotto ritmo stanno caratterizzando un po’ troppo le prime uscite della Juventus di quest’anno (vedi Supercoppa con il Napoli, ma anche la prima gara con il Parma). Vedo nei nostri calciatori una certa superficialità, un po’ di presunzione ed un accanimento inferiore a quello a cui eravamo abituati nella splendida cavalcata dello scudetto, in cui mai, nemmeno a Napoli, quando eravamo sotto di due reti, avevamo sofferto così. 

Fortunatamente questa squadra ha anche un carattere meraviglioso, una forza di gruppo eccezionale ed una vera identità di gioco, elementi che, uniti alla classe di alcuni singoli, le permette di ribaltare le sorti di un incontro complicatissimo e anche di riuscire a gestire le partite meglio di quanto accadeva prima. Però non bisogna abusare delle proprie qualità, occorre invece riacquistare quella fame, quella cattiveria agonistica che si è vista nel secondo tempo e che sempre deve essere alla base dei grandi successi, soprattutto per riuscire nella vera impresa, che sicuramente è quella di vincere, ma soprattutto quella di “ripetersi” e rimanere in alto per molto tempo.

giovedì 13 settembre 2012

Nazionale, i dubbi di Prandelli


"Vincere l'Europeo avrebbe fatto bene, ma avrebbe tolto l'equilibrio a qualcuno: non siamo ancora pronti a vincere, quando lo saremo vinceremo e rivinceremo ancora, senza alti e bassi né disagi". Con queste parole Cesare Prandelli aveva messo la parola "fine" alla recente spedizione della nazionale agli Europei di calcio disputati in Ucraina e Polonia.

La batosta rimediata nella finalissima di quella manifestazione contro la Spagna (0-4, il 1° luglio 2012) non aveva reso omaggio al lavoro svolto dal commissario tecnico nei primi due anni del suo mandato, visto e considerato che dall'inizio (incerto) sino alla gara conclusiva il torneo era diventato un crescendo di soddisfazioni ed emozioni. Poi, giunti sul più bello, ecco il tracollo (di gioco e risultato) al cospetto dei campioni in carica.

Nella pratica dei fatti, tra l'Italia che aveva vinto brillantemente il girone di qualificazione e quella che aveva cominciato l'Europeo si notava una chiara frattura: la prima cercava spesso il fraseggio a centrocampo ed una manovra di gioco armoniosa, disponendosi con un collaudato 4-3-1-2; l'altra si era arroccata in un 3-5-2 (nella sua versione più prudente) che metteva in discussione sin dalle fondamenta tutte le lezioni impartite ai giocatori sino a quel momento.

Prandelli, a Cracovia, aveva spiegato i motivi della scelta iniziale: "Dopo la qualificazione ci sono stati infortuni e cali di rendimento che hanno modificato i piani". A Criscito, inoltre, non era stata concessa la possibilità di partecipare alla manifestazione. L'assenza forzata di Barzagli aveva spinto il c.t. a promuovere la soluzione di un arretramento di De Rossi in difesa, privando in questo modo la zona nevralgica del campo di un suo pezzo da novanta.

"Non è un problema di modulo, ma di volontà, di cuore", ripeteva il tecnico ai cronisti presenti in sala stampa prima della gara contro l'Irlanda, quella che aveva decretato il ritorno all'amato 4-3-1-2 con il conseguente avanzamento del giallorosso nel settore di sua competenza.
Passato il gironcino per il rotto della cuffia (e grazie al mancato "biscotto" tra Spagna e Croazia), l'Italia aveva spiccato definitivamente il volo verso la finale, vincendo e convincendo contro Inghilterra e Germania.

Tralasciando l'amichevole agostana contro gli stessi inglesi, utile soltanto a far esordire qualche nuovo elemento, si arriva così alla stretta attualità. Dove, per affrontare in trasferta la Bulgaria nella prima gara delle qualificazioni al prossimo mondiale del 2014, Prandelli ha deciso di ripartire dal 3-5-2. Più che una nazionale vice campione d'Europa quella azzurra vista a Sofia è sembrata una squadra alle prime armi (e alle prime convocazioni). Doveva essere la gara di Giovinco, numero dieci di maglia ma non di fatto, è diventata - invece - la partita nella quale il romanista Osvaldo è riuscito ad evitare all'Italia un tracollo inaspettato alla vigilia.

Dopo il pareggio per 2-2 nella gara d'esordio, nel successivo incontro con Malta la piccola punta bianconera è uscita dall'undici titolare ed è stato abbandonato nuovamente il 3-5-2 per tornare al 4-3-1-2. Il motivo di questo ulteriore cambio? Parola al c.t.: "Un'alternativa possibile (il 3-5-2, ndr.) solo se ho a disposizione tutti gli juventini, e comunque la brutta serata in Bulgaria non è figlia del modulo, forse abbiamo anche forzato troppo negli allenamenti".

Allo stadio "Braglia" di Modena l'Italia ha raccolto i primi tre punti del suo cammino senza convincere più del dovuto. Le premesse, considerando il modo in cui Prandelli aveva messo le mani avanti prima della contesa, non erano state le migliori: "Non sarà facile segnare tanti goals, rispetto molto il nostro prossimo avversario, che ha perso 1-0 con l’Armenia. E’ una squadra equilibrata. Mi andrebbe bene vincere anche con pochi gol, però giocando bene". Sul campo, poi, le reti messe a segno all'inizio ed alla fine del match (Destro e Peluso) non hanno nascosto le lacune di una formazione che - nel tentativo di mettere l'avversario alle corde - ha concluso l'incontro virando sul 4-3-3, spostando sulla fascia il giocatore posizionato dietro alle punte nello schema usato in precedenza.

Anche su questo argomento Prandelli ha voluto (e dovuto) fornire una spiegazione: "Nella ripresa siamo stati molto più ordinati, e con l'ingresso di Insigne ci siamo schierati larghi. Torno su un vecchio discorso, non voglio trequartisti ma calciatori che sappiano attaccare lo spazio. In Armenia tra un mese avremo maggiore brillantezza".
Oltre, si spera, alle idee più chiare su quale vestito far indossare a questa squadra.

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martedì 11 settembre 2012

Il Genoa di Bagnoli conquista Liverpool


"Dicono che il Liverpool non è più quello di una volta, ma neanche le squadre italiane lo sono. Una volta chi veniva qua con un 2-0 si sparava in difesa. Impossibile schiodarlo. Ma adesso giocano e il Genoa un goal lo subisce quasi sempre. E poi questo sarà il miglior Liverpool di tutta la stagione". Le parole pronunciate da Ian Rush prima dell'incontro disputato tra i Reds e i rossoblù il 18 marzo 1992 erano intrise di quello spirito battagliero che da sempre anima il club inglese.

Reduce da un brillante quarto posto in serie A ottenuto nella stagione precedente, nella gara di andata dei quarti di finale della coppa U.E.F.A. il Genoa era riuscito a piegare gli avversari per due reti a zero allo stadio Luigi Ferraris (4 marzo). I goals erano stati messi a segno da Fiorin e Branco. Era stato proprio il terzino brasiliano a sigillare la vittoria con una delle sue ormai classiche punizioni, colpendo il pallone con le ultime tre dita del piede sinistro, accanto alla valvola, per spedirlo sotto la traversa dopo avergli impresso una traiettoria carica di effetto.

L'Anfield, la casa del Liverpool, in ambito europeo era rimasto inviolato dal lontano 6 novembre 1973, allorquando la Stella Rossa si era unita al Ferencvaros e al Leeds United nel ristrettissimo novero delle compagini in grado di espugnarlo. L'appuntamento con la storia, quindi, era fissato per il 18 marzo. Il Grifone si apprestava a vivere - finalmente - una serata degna del suo blasone, accompagnata da aspettative che avevano generato un altissimo livello di tensione. Lo stesso Branco, stimolato a più riprese sull'argomento, alla fine era sbottato: "Ragazzi, mica è la guerra del Golfo".

Superati - in rigoroso ordine cronologico - Real Oviedo, Dinamo e Steaua Bucarest, il Genoa poteva permettersi di perdere di misura per accedere alle semifinali del torneo. Graeme Souness, tecnico degli inglesi con un passato da grande giocatore (anche alla Sampdoria), aveva chiesto ai suoi centrocampisti Barnes e McManaman di costringere sulla difensiva Eranio e Branco, i rispettivi dirimpettai sulla linea mediana del campo. Conquistato il pallone, avrebbero poi dovuto rifornire di munizioni i due attaccanti: Saunders e - appunto - Rush, quest'ultimo recuperato dopo l'ennesima operazione al menisco.

Osvaldo Bagnoli, dal canto suo, non intendeva certamente partire battuto: "L'Ajax di Cruyjff e il Liverpool dei tempi d'oro sono le squadre che, dal '70 a oggi, più mi hanno colpito. Ma favorito, oggi, è il mio Genoa. Giocheremo come sappiamo. Senza paura. Sempre che l'emozione di essere qui, in un tempio del calcio, non ci blocchi proprio sul più bello". Dopo aver guidato il Verona sino a raggiungere lo storico scudetto nella stagione 1984/85, il tecnico milanese era arrivato sotto la Lanterna nel corso dell'estate del 1990 in sostituzione di Franco Scoglio. In pochi mesi di lavoro era riuscito a creare una squadra in grado di giocare a memoria, difficile da buttare giù al primo colpo.

Anche il Liverpool se n'era dovuto accorgere: dopo un avvio di chiaro stampo inglese, al 27’ Aguilera aveva portato in vantaggio i rossoblù, concludendo con un diagonale imparabile un'azione partita dai piedi di Onorati e portata avanti da Ruotolo. Sfiorato il raddoppio con Eranio e salvato più volte da Braglia, all'inizio della ripresa aveva poi subito la rete del momentaneo pareggio ad opera di Rush (di testa, su azione nata da un calcio d'angolo). A chiudere il discorso qualificazione, in mezzo ad una vera e propria bolgia, aveva pensato ancora una volta Aguilera: un triangolo tra Eranio e Skuhravy aveva tagliato a fette la retroguardia dei Reds, consentendo alla piccola punta uruguaiana di trovarsi di fronte a Hooper e trafiggerlo nuovamente. Due a uno, match virtualmente finito. Una curiosità: la seconda rete di Aguilera era stata messa a segno esattamente nello stesso minuto in cui aveva realizzato l'altra nel corso della prima frazione di gioco (al 27’).

In un clima di assoluta sportività tanto sugli spalti quanto sul campo di gioco (nessun ammonito tra i presenti) il Genoa era riuscito nell'impresa di qualificarsi espugnando l'Anfield. Da uomo umile quale era, nonostante la felicità per il successo appena conseguito, Bagnoli aveva preferito mantenere un profilo basso: "Non vorrei che qualcuno si demoralizzasse, ma abbiamo vinto solo una partita, se finissimo qua non avremmo conquistato niente. Comunque è stata una prestazione da 10 e lode".
Il cammino della sua squadra si sarebbe poi concluso in semifinale, contro l'Ajax vincitore della coppa U.E.F.A.. Lo stesso club che, tre anni dopo, avrebbe conquistato la Champions League battendo nella finalissima il Milan di Fabio Capello.
Nonostante i tentativi messi in atto dal presidente Aldo Spinelli per trattenere il tecnico per la stagione successiva ("E' la nostra mamma. Due anni fa l'avevo in testa, ora ce l'ho anche nel cuore. Vorrei che restasse con noi l'anno del centenario"), Bagnoli a fine anno prese la strada di Milano, per andare a sedersi sulla panchina dell'Inter.

Eranio, Aguilera, Braglia, Branco, Skuhravy, Bortolazzi... poco alla volta si sarebbe sciolto un gruppo in grado di regalare il sorriso ad una tifoseria che attendeva da troppo tempo una soddisfazione simile. La punta dell'iceberg di quel periodo fu proprio la gara di Liverpool. In fondo Rush non aveva tutti i torti: "Il Genoa un goal lo subisce quasi sempre".
Vero. Però ne segnava pure parecchi...

Articolo pubblicato su Lettera43

lunedì 3 settembre 2012

Avanti così...


Ci siamo. Seconda vittoria consecutiva della Juventus, secondo rigore (con espulsione del portiere a dire il vero un po’ eccessiva) in due partite per la Juventus e ricominciano gli attacchi mediatici e le proteste, con Pozzo, il quale solitamente non parla mai, che si precipita davanti ai microfoni a parlare di pagliacciata dell’arbitro, mandando in visibilio telecronisti, opinionisti e commentatori vari che altro non aspettavano per gettare ombre sul successo dei bianconeri che, al di là dell’episodio in questione, che ha comunque incanalato la gara su un binario favorevole alla Vecchia Signora, sono apparsi, ad uno spettatore obiettivo, nettamente superiori al proprio avversario. 

Il possesso palla della Juve è stato a tratti veramente impressionante, così come il pieno controllo del match, ad eccezione del calo di tensione, giustamente sottolineato da Carrera, nell’occasione della rete di Lazzari (che si esalta quando vede i colori Bianconeri) e che in futuro va assolutamente evitato. La superiorità degli uomini di Conte è apparsa comunque schiacciante ed almeno qualche giornalista questo lo ha sottolineato. 

Personalmente ieri sono rimasto molto colpito dalla prestazione di Marchisio, per continuità, corsa, precisione nei controlli e nei passaggi e per la pericolosità negli ultimi 30 metri. Quando il Principino è in condizione può essere devastante, i sui tagli, i suoi dribbling, le sue percussioni mettono sempre in difficoltà gli avversari. Asamoah si sta confermando, fino ad ora, il miglior acquisto di Marotta, un calciatore fisicamente fortissimo, veloce, abile nell’uno contro uno, rapido anche nelle decisioni e molto concentrato. Tenendo conto che gioca in un ruolo non suo, a mio parere sta stupendo veramente tanto. 

 Giovinco sembra che finalmente stia imboccando la strada giusta, al di là delle due reti. Sta acquistando sicurezza, anche se ancora non è pienamente inserito negli schemi di Conte e deve affinare la sua intesa con Mirko Vucinic, quest’ultimo ieri a tratti veramente eccellente. Per il resto dopo due giornate non c’è molto altro da dire. Purtroppo adesso arriva la sosta per la nazionale, che alla Juventus costa sempre qualcosa sia per le fatiche ulteriori cui devono sottoporsi tutti i convocati bianconeri (sempre tanti) sia, soprattutto, perché interrompono il grande lavoro tattico ed atletico che si svolge a Vinovo, al quale il tecnico leccese giustamente conferisce un’importanza fondamentale. 

Ultima osservazione: ovviamente da ieri sera le radio romane parlano di una Roma tricolore, sempre che non intervengano oscure manovre ad impedirle la vittoria. Come dicevo sopra? Ci siamo, si ricomincia.

 Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

sabato 1 settembre 2012

La rabbia e l'orgoglio della Juventus


Prima il Parma, poi l'Udinese. Il calendario si è divertito a presentare alla Juventus le stesse avversarie che avrebbe dovuto affrontare all'inizio dello scorso campionato, modificando soltanto l'ordine degli incontri. Allora, però, lo slittamento della prima giornata (per le note vicende legate al mancato rinnovo del contratto collettivo) aveva rimandato la trasferta nel Friuli in prossimità delle feste natalizie. L'esordio di Madama in serie A era stato quindi posticipato all'11 settembre 2011, giorno in cui - a Torino - aveva sconfitto i gialloblù con un secco 4-1.

All'epoca si era parlato di un pericolo scampato: l'Udinese, smantellata e ricostruita con nuovi pezzi di ricambio come in ogni stagione, veniva considerata una delle squadre più temibili da fronteggiare. Oltretutto schiumava ancora rabbia, mista a delusione, per l'eliminazione dalla Champions League subita per mano dell'Arsenal.
La vittoria ottenuta dagli uomini di Conte nella seconda giornata contro il Parma aveva portato loro punti, entusiasmo ed una maggiore convinzione nei propri mezzi. In sintesi, si era trattato di un vero e proprio toccasana per una creatura che necessitava di continue certezze per crescere sempre più forte.

A distanza di poco meno di un anno la Juventus affronta il viaggio a Udine col titolo di campione d'Italia in carica, i favori del pronostico ed il vanto di essere imbattuta in campionato dal lontano 15 maggio 2011, data della sconfitta patita allo stadio "Ennio Tardini"- guarda caso - contro il Parma. La squadra di Guidolin, viceversa, dopo aver smantellato un gruppo capace di ottenere un brillante terzo posto in classifica è stata nuovamente eliminata dalla massima competizione europea, questa volta ad opera dello Sporting Braga. Adesso, però, sta convivendo con la paura di non riuscire più a ripetere le imprese del recente passato.

"E' la partita più importante della mia vita", aveva detto lo stesso Guidolin prima della gara di ritorno dei preliminari contro i portoghesi. Il giovane brasiliano Maicosuel, reo di aver fallito il rigore decisivo tentando di imitare i vari Panenka, Pirlo e Totti nell'esercizio del cucchiaio, ha dimostrato di non aver ancora metabolizzato lo spirito che da anni anima il club friulano. Per informazioni bastava chiedere un parere a Giampiero Pinzi, centrocampista di lungo corso: "La nostra forza è la paura di retrocedere. Per questo non molliamo mai un pallone. E' la molla che ci fa arrivare così lontano".

Dimenticare in fretta la gioia per i successi appena ottenuti per cercare di costruirne altri è la ricetta vincente di molte società. Andrea Agnelli, il giorno della presentazione delle divise per l’attuale stagione, lo aveva dichiarato a chiare lettere: "Siamo consapevoli che ora si torna ai blocchi di partenza, si riparte da zero, ma si è acquisita la consapevolezza di come si vince". Aggiungendo, poi: "L’anno scorso è stato indimenticabile. È stato lo scudetto della rabbia, per quello che ci è accaduto, e dell’orgoglio, per ciò che siamo tornati ad essere".

Rabbia e orgoglio, gli stessi sentimenti manifestati da Antonio Conte a più riprese nel corso di un’estate che per lui non è stata semplicemente calda, bensì bollente. In merito alle trattative utili a puntellare e rinforzare la rosa a disposizione sua e di Carrera lo scorso 16 luglio il tecnico era stato sibillino: “Sono contento del mercato, ma c’è ancora qualcosa da fare. L’anno scorso feci la battuta sul ‘bass player’. Adesso vi dico che il ‘top player’ deve essere tale non a livello economico ma calcistico, come Vidal nel 2011. E sappiamo che quando non ci sono soldi vincono le idee”.

Ora che le luci sulla sessione estiva del calciomercato si sono spente, a Torino è sbarcato Nicklas Bendtner. Leggendo le critiche che hanno accompagnato il mancato acquisto di un giocatore dall’elevato spessore tecnico nel reparto offensivo della Juventus tornano alla memoria le parole pronunciate, poco meno di due mesi or sono, dal presidente Agnelli: “Il top player? Ci stiamo comportando coerentemente con le esigenze della squadra, valuteremo strada facendo. Io aspetto di sentire da voi che con la squadra che abbiamo usciremo dalla fase a gironi della Champions League...”.

A proposito di Champions League: la prima gara che sancirà il ritorno della Vecchia Signora nella massima competizione continentale la vedrà opposta al Chelsea, il club detentore del trofeo. Ieri il club inglese è stato sconfitto nella finale di Supercoppa Europea dall’Atletico Madrid, spinto da un monumentale Falcao, autore di una tripletta nel 4-1 conclusivo. Un fuoriclasse, il colombiano. Di quelli veri.

Comunque sia, ci sarà tempo per pensare all’Europa. Alla Juventus, adesso, spetta il compito di concentrarsi sulla trasferta di Udine, evitando di compiere l’errore di sottovalutare un avversario in evidente difficoltà.
La palla, ora, passa in mano a Conte e Carrera.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com
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