domenica 28 novembre 2010

Un pareggio a due facce


Il pareggio di ieri sera contro la Fiorentina rappresenta per la Juventus un’occasione persa, al pari dei due punti in più che oggi le mancano in classifica.
Ripensando al risultato della gara pomeridiana tra il Milan e la Sampdoria, poi, i rimpianti aumentano.

Abituati a fare la conta degli infortunati in quel di Vinovo, a volte capita di dimenticarsi di andare a controllare la situazione degli avversari di turno. Beh, proviamo a farlo - a posteriori - con i viola: fuori per indisponibilità Jovetic, Mutu, Montolivo, Frey, Cristiano Zanetti e Natali; squalificato per due giornate (una, ormai, scontata) Kroldrup.
Non si tratta di calciatori di secondo piano, la contemporanea assenza degli ultimi due difensori ha costretto - inoltre - Mihajlovic a puntare sul giovane Camporese. Che poi, partita alla mano, è risultato essere uno dei migliori in campo.

In estate, quando viene stilato il calendario della serie A, si tende a dare un’eccessiva importanza alla sequenza delle partite così come scaturiscono dal sorteggio, utilizzandola come uno dei parametri per stabilire la griglia di partenza delle favorite per il campionato. Nella realtà dei fatti può capitare che le difficoltà presentate da una squadra che affronti nella giornata odierna possono cambiare radicalmente - in peggio o in meglio - in un periodo ristretto di pochi giorni, per i motivi più svariati.
Anche alla luce di queste considerazioni la Fiorentina che ieri sera si è presentata all’Olimpico di Torino andava aggredita dal primo all’ultimo minuto di gioco con lo spirito di chi ha fame di punti, con un po’ di sano cinismo sportivo, senza lasciarsi condizionare dal pareggio del Milan a Genova o dall’autogoal di Marco Motta subito a inizio gara.

E’ ovvio che se nel corso di una stessa gara si ingolfa il motore di Krasic, Aquilani non illumina il gioco, Del Piero spara in cielo un "rigore in movimento", il portiere viola Boruc è autore di diversi ottimi interventi, Storari trascorre la partita a ripensare all’autorete di Motta senza dover compiere un intervento che fosse uno sino al 94° minuto, non ci si può meravigliare più di tanto del pareggio ottenuto. Ma rammaricarsi sì. Perché si doveva vincere. Alla fine è stato merito di una punizione calciata da Simone Pepe se la Juventus è riuscita a raddrizzare una gara dove la superiorità mostrata sul campo non trovava conforto nel risultato.

L’Inter che ha vinto nella partita odierna disputata contro il Parma all’ora di pranzo ha segnato cinque reti con tre centrocampisti (Stankovic, Cambiasso e Thiago Motta), non potendo disporre - per motivi diversi - dei suoi cannonieri Eto’o e Milito; la Sampdoria orfana di Cassano è riuscita a pareggiare nel match con i rossoneri grazie al goal di Pazzini, vale a dire l’unica arma (offensiva) importante che le è rimasta a disposizione in questo momento; lo stesso Milan, in uno dei pochi giorni in cui Ibrahimovic non è riuscito a segnare, si è dovuto accontentare di un suo assist a Robinho per la realizzazione del momentaneo vantaggio sui blucerchiati. E comunque non è andato oltre l’1-1 finale.

Ogni squadra presenta sia punti forti che deboli, ed è attualmente sin troppo facile individuare nel centrocampo della Juventus il suo lato migliore. Viceversa, l’assenza di una punta di peso che possa permetterle una variante ad un gioco che dipende totalmente dalla prestazione della linea mediana si sente, eccome.
Al netto dell’Europa League mancano tre gare di campionato (Catania, Lazio e Chievo) prima della sosta invernale, e di mezzo c’è la riapertura del calciomercato: indipendentemente da quello che Del Neri potrà dire ai giornalisti in merito alle possibilità o meno che Madama possa riuscire a competere già da quest’anno per il tricolore, è dalle mosse che la società effettuerà nel mese di gennaio che si potrà intuire per quanto tempo ancora il cantiere-Juve dovrà rimanere aperto. Nel frattempo, qualche altra piccola considerazione.

Il 23 settembre, poco più di due mesi fa, nel posticipo del turno infrasettimanale della quarta giornata di campionato i bianconeri persero 3-1 in casa contro il Palermo. Alla Vecchia Signora mancò un netto calcio di rigore non assegnato da Orsato per un fallo subito da Del Piero all’interno dell’area rosanero. Dopo quell’incontro si ritrovò in quindicesima posizione, con soli quattro punti accumulati in altrettante giornate. A quanto ammontava la distanza in classifica dall’Inter prima in classifica? Sei punti, come quelli che attualmente separano la squadra del tecnico di Aquileia dal Diavolo. Ma sembravano sessanta.

Queste sono alcune delle dichiarazioni che Del Neri rilasciò dopo quella gara: "speravamo di aver risolto i problemi dopo Udine (la Juve vinse 4-0, ndr) invece ci siamo ricascati, siamo tornati a leccarci le ferite: sarà un campionato altalenante, testa bassa e lavoriamo sodo".
Ieri sera, dopo la partita contro la Fiorentina, Mihajlovic - che nelle ultime due gare ha avuto la possibilità di affrontare sia il Milan che i bianconeri - ha detto queste parole: "la differenza tra Milan e Juve? Ibrahimovic".

Lo svedese, al pari Trezeguet, Del Piero, Mutu e Zalayeta, faceva parte del reparto offensivo a disposizione di Fabio Capello nella stagione 2005-06. Certo, se Del Neri avesse a disposizione uomini del genere, con quattro anni di meno sulle rispettive carte di identità…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 27 novembre 2010

Del Neri e l'appoggio di Andrea Agnelli


Finalmente si gioca, di nuovo. I tour de force a cui sono sottoposte le formazioni di vertice in questo periodo, con molte gare previste in calendario in un arco di tempo ristretto e pochi attimi di pausa tra una e l’altra, comportano un notevole dispendio di energie fisiche per i calciatori ed un tentativo da parte degli allenatori di dosare forze, stimoli e concentrazioni degli atleti tra le diverse manifestazioni a cui i club partecipano. Ma sono quelli che poi, alla fine, piacciono alla maggior parte dei tifosi. Dipendesse da loro si giocherebbe un giorno sì e l’altro pure.

La momentanea interruzione della serie A prevista per il periodo natalizio consentirà agli stessi giocatori di rifiatare, ai club di rivedere sul campo qualche calciatore attualmente in infermeria e di ridisegnare la rosa in sede di mercato, mentre ai sostenitori non rimarrà che attendere il nuovo anno per assistere ad altri incontri. Il tifoso vive di emozioni e si nutre di partite: se ne può parlare quanto si vuole, ma il centro dell’attenzione è rivolto al rettangolo di gioco, laddove si crea la storia di questo sport.

Poi, si sa: ci sono tifosi e tifosi. Come il sindaco di Firenze Matteo Renzi, quello che a furia di fare doppi passi con le parole tutti i giorni ha finito per inciampare sul pallone, sul concetto principale che voleva esprimere attraverso alcune dichiarazioni inerenti la gara di stasera tra la Juventus e i viola: ha scambiato la Vecchia Signora per la Fiorentina, definendola una "squadretta", con tanto di descrizione dettagliata della maglia con i colori bianco e nero a bande verticali. Succede, soprattutto quando rischi di passare alla storia come il primo cittadino che ha visto la squadra del capoluogo toscano trasferirsi in una località vicina, magari a Sesto Fiorentino: perché c’è una Cittadella da costruire, e se non si trova uno spazio in città da destinarle, si emigra. Siamo ancora lontani dal "fare", adesso ci si trova ancora nel momento del "dire", ed è una fase - a quanto pare - ritenuta politicamente buona per lasciarsi andare a considerazioni simili. In controtendenza - comunque - con quanto detto da Andrea Della Valle, l’azionista di riferimento dei gigliati, in merito ai buoni rapporti esistenti con la famiglia Agnelli. La forte rivalità tra le tifoserie, ad oggi, non aveva bisogno delle esternazioni di Renzi.

Il suo stadio la Juventus lo avrà, a breve, ed è bello pensare che il Presidente che lo inaugurerà è una persona che non ha certo preso la distanze da chi - alla guida della Vecchia Signora - in passato ne aveva concepito l’idea. Ancora una volta, così come in altre occasioni non necessariamente legate al calcio giocato, la società bianconera si troverà nella condizione di essere un passo in avanti rispetto agli altri club italiani. Nell’attesa di tornare ad esserlo anche sul campo.

E dopo il (primo) contratto a rendimento stipulato la scorsa estate dalla società torinese con Marco Motta, ecco - in settimana - la notizia del rinnovo di Giorgio Chiellini, con una serie di clausole innovative che potrebbero fare da apripista ai nuovi accordi che in futuro reggeranno i rapporti tra le società ed i loro giocatori: onori sì, ma anche oneri; professionisti quanto si vuole, ma pur sempre dipendenti.

Dopo aver recuperato nell’incontro di domenica scorsa a Genova Krasic, la Juventus ha rischiato di perdere nella stessa gara Aquilani: la diagnosi, in settimana, è stata "affaticamento muscolare all’adduttore destro", e stasera dovrebbe essere nell’undici di base che affronterà i viola. Ora l’attenzione è spostata sulle diffide che pendono (da diverse giornate a questa parte) sul capo di Felipe Melo e Marchisio: alla prossima ammonizione scatterà la squalifica. Il centrocampo monstre di Madama contro Ibrahimovic: nell’attesa di puntellare l’attacco nella sessione invernale del calciomercato, attraverso il suo reparto più forte (così come plasmato da Del Neri) la Juventus si lancerà all’assalto al Diavolo rossonero nel tentativo di accumulare quanti più punti sarà possibile attraverso le quattro partite di campionato che dovrà disputare da qui sino a fine anno: Fiorentina e Lazio in casa, Catania e Chievo fuori.

Ha fatto bene lo stesso tecnico di Aquileia, nella consueta conferenza stampa del giorno precedente gli incontri, ad alzare l’asticella delle ambizioni: con la stessa umiltà con la quale lui stesso è entrato in punta di piedi a Vinovo, la sua squadra ha aspettato di confrontarsi con le altre formazioni di vertice della serie A per capire le proprie reali potenzialità. Adesso bisogna proseguire su questa strada.

Purtroppo non basta chiamarsi Juventus per vincere: basta andare a rivedersi il film dell’orrore dello scorso campionato per ricordarlo. Ma quando Del Neri, parlando di Andrea Agnelli, dice "è sempre stato un punto di riferimento importante per me e per la squadra. Il suo appoggio è stato totale in ogni momento, ci ha protetto, e se un tecnico ha dietro la società il più è fatto", si capisce chiaramente che la musica, nella Torino bianconera, è cambiata.
Ora non resta che tornare a vincere sul campo, ovunque e dovunque la Vecchia Signora dovrà giocare. Nell’attesa di riprendersi, fuori dal rettangolo di gioco, quello che le è stato tolto quattro anni fa.

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Juventus-Fiorentina 3-2 e la rimonta da urlo

Thomas Bertacchini

Nel “mare nostrum” dei ricordi della storia juventina la partita che Madama giocò e vinse al "Delle Alpi" di Torino contro la Fiorentina il 4 dicembre del 1994 si trova esattamente su quella linea di confine che separa il calcio dalla poesia. La cronaca dell'incontro, in casi come questi, è giusto che divida lo spazio a sua disposizione con i sentimenti che quella gara è riuscita a trasmettere ai tifosi bianconeri.

La Signorina che non vinceva uno scudetto dal lontano 1986 provava ogni anno un abito nuovo nel tentativo di ritornare ad essere la più bella di tutte. In cambio, però, otteneva soltanto qualche sorriso malizioso, piccole soddisfazioni diverse da quei complimenti che le toccavano il cuore e riempivano la sua bacheca di trofei prestigiosi. La situazione, all’alba della stagione 1994-95, era questa. Ed era troppo poco, comunque, considerando gli ingenti investimenti economici che venivano fatti per renderla sempre più attraente.

A causa delle contemporanee assenze di Roberto Baggio, Kohler, Fusi, Di Livio e Antonio Conte, in quell'ormai famoso pomeriggio di inizio dicembre Lippi fu costretto a rivoluzionare la formazione base, nella speranza di riuscire a presentare sul rettangolo di gioco una squadra comunque competitiva da contrapporre alla Fiorentina di Claudio Ranieri. Che, a sua volta, con la sola esclusione del centrocampista Di Mauro, poteva contare sulla disponibilità di tutti gli altri titolari, anche se qualcuno di loro rientrava da precedenti infortuni.
Nonostante l'aggressività mostrata in campo dai padroni di casa sin dall'inizio dell'incontro, furono i viola a realizzare due goals con Baiano e Carbone, capaci di smascherare i punti deboli di una difesa bianconera troppo preoccupata di controllare Batistuta al punto tale da dimenticarsi dei compagni che gli gravitavano intorno. A poco più di un quarto d'ora dalla fine della gara la Juventus procedeva spedita verso una sconfitta che avrebbe interrotto una serie positiva di quattro vittorie consecutive ottenute in campionato.

Dopo aver tolto Torricelli (costretto a giocare fuori ruolo) ed inserito al suo posto Tacchinardi, prelevato dal campo un Marocchi ormai esausto per aver girovagato in tutti settori della linea mediana, aumentando invece il presidio della fascia sinistra con l’ingresso in campo del croato Jarni, la Juventus ritrovò polmoni e corsa per l'assalto finale. Illuminata dalla regia di Paulo Sousa, spinta dal sostegno incessante proprio pubblico e col suo trio offensivo Vialli-Ravanelli-Del Piero pronto a perforare la difesa dei gigliati, la Signorina tornò d'incanto ad essere la Vecchia Signora del calcio italiano. La Fiorentina non fu soltanto raggiunta e superata con tre reti, ma venne letteralmente “sbranata” dagli uomini di Marcello Lippi.

Gianluca Vialli segnò i primi due goals: in occasione della seconda marcatura, quella del momentaneo pareggio, fece più fatica a liberarsi dall'abbraccio dei compagni (che lo avevano accerchiato per festeggiarlo) che a realizzarla. Cercava di divincolarsi da loro, voleva tornare il più velocemente possibile in mezzo al campo per inseguire un successo che sembrava ormai a portata di mano.
C'è chi un atteggiamento simile lo chiama "grinta", chi "cuore", in realtà il suo nome è un altro: "spirito-Juve".
In quel preciso momento tornò a farsi vivo quel sacro furore agonistico che pervade chi indossa la maglia bianconera, a cui viene chiesto sempre e solo un'unica cosa: vincere. Ai rimproveri che Marcello Lippi fece al giovane Alessandro Del Piero nel corso della gara (uno di questi fu: "Tieni troppo la palla, vuoi andare in porta da solo?") l'apprendista fuoriclasse rispose con una magia in grado di trasmettere ai sostenitori juventini emozioni difficili da spiegare: Alessandro Orlando effettuò un lancio diretto verso l’area di rigore avversaria dopo aver oltrepassato la linea di centrocampo, sulla corsia di sinistra; lui colpì il pallone al volo con l'esterno destro senza fargli toccare il terreno di gioco, disegnando una parabola che scavalcò Toldo per infilarsi in rete.

Lo stadio esplose in una gioia incontenibile: il futuro “Pinturicchio” (così lo avrebbe soprannominato, poi, l’Avvocato Gianni Agnelli) aveva appena messo la firma su uno dei tanti capolavori che caratterizzeranno la sua carriera. La Vecchia Signora si trovò nelle condizioni di poter riaprire nuovamente la bacheca dei trofei più prestigiosi: era ripresa la “caccia”, il bello sarebbe ancora dovuto arrivare. In quel pomeriggio iniziò una dittatura calcistica juventina che - almeno in Italia - sarebbe durata sino al 2006, allorquando venne deciso di cambiare le regole di questo sport e assegnare gli scudetti fuori dai campi di gioco. Quello era l'unico modo per fermare Madama.

Rileggendo ora alcune tra le dichiarazioni rilasciate dai protagonisti nel dopo gara, fanno sorridere le parole pronunciate da Del Piero di fronte ai cronisti in merito alla sua rete: "Forse è stato il mio goal più bello, ma non ne ho segnati tanti da dover scegliere".
Caro Alessandro, ne hai fatta di strada in questi anni...


Claudio Amigoni

Di quel 4 dicembre 1994 ricordo che faceva un gran freddo.
Ero in compagnia di tre amici e avevamo tardato nel trovare parcheggio.
Camminammo a passo spedito per arrivare prima del fischio d’inizio ai nostri posti: settore EST, secondo anello.
Entrammo dall'ingresso adiacente la famigerata "gabbia", che al Delle Alpi era il settore destinato alla tifoseria ospite.
Juve-Fiorentina da almeno 15 anni non era più una gara come le altre.
Dalla parte opposta della grata che delimitava la gabbia un tifoso fiorentino bofonchiò qualcosa, e un amico gli rispose con un semplice sorriso ironico.
Pronta la replica del buzzurro, fiero di vestire l’amato colore jellato: "[i]Che c'hai da fà quel sorrisino? Terrone!".

Gli ridemmo in faccia, e augurammo al nostro provocatore un deprimente ritorno a casa.
Da sconfitto.
Del primo tempo ricordo l’immeritato (doppio) svantaggio sul quale la Juve andò al riposo e i fumogeni e i petardi che i tifosi viola lanciarono (alcuni, purtroppo, finiti a bersaglio) in direzione dei settori confinanti.
Fu durante l'intervallo che, per la prima (e non ultima) volta in quella giornata, ebbi la sensazione di essere testimone di un evento che avrebbe segnato il futuro di quella Juventus.
Perché per me quella partita è stata la chiave di 12 anni di successi: tutto, a mio parere, cominciò quel giorno.
Ricordo l'atmosfera di quel quarto d'ora di pausa: il pubblico era soddisfatto del modo in cui la squadra aveva interpretato il match; nessuno commentò il parziale con sconforto; nessuno pensò minimamente che la gara fosse compromessa.
Nella ripresa ricominciò l'arrembaggio, che si concretizzò ad un quarto d’ora dal termine con l’uno-due firmato da Vialli, episodio che coincise con il secondo segnale forte trasmesso da quella partita.
Una squadra normale che raddrizza una gara del genere si accontenta e porta al novantesimo un onorevole pari, ma una grande squadra vuole vincere.
Si chiama mentalità vincente e, mentre alcuni compagni festeggiavano l’artefice della rimonta, un ragazzo di 19 anni si preoccupava di recuperare la palla dalla rete e riportarla velocemente verso il centro del campo.
Quel giovanotto era Alessio Tacchinardi, classe 1975, arrivato a Torino solo l’estate precedente: pochi mesi gli erano bastati per capire cosa fosse la Juventus.
Infine, quando partì il lungo lancio di Alessandro Orlando, osservai colui che allora era solo il sostituto di Roberto Baggio seguire la parabola della palla e colpirla con un movimento tanto innaturale quanto obbligato, spedendola dove Toldo non sarebbe mai potuto arrivare.
In cinque anni di frequentazioni, non ricordavo di aver mai sentito il “freddo” Delle Alpi ruggire in quel modo, mentre i viola riponevano mestamente i loro vessilli inveendo contro i gobbi “ladri e servi degli Agnelli”.
Per noi fu tutto fantastico.
Immagino lo sia stato un po’ meno per il buzzurro incontrato nel pre-partita…

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martedì 23 novembre 2010

Zemanlandia? No, grazie!

E così anche Milena Gabanelli ha ceduto al fascino di Zeman.
Ed io, povera mortale, non riesco ad essere da meno: anch’io cedo alla tentazione di risponderle.
In questi due giorni l’hanno già fatto – giustamente – quasi tutti i siti juventini.
C’è chi, date e carte di Tribunali alla mano, ha smontato la notizia della colpevolezza dall’accusa di doping.
C’è chi ha fatto la lista delle vittorie ottenute dal boemo, ossia zero titoli (scusate, ma io continuo pervicacemente a scriverlo e pronunciarlo in italiano). In pratica quanto quelle di un Maifredi qualunque, per intenderci!
C’è chi invece, scrivendo una lista lunghissima, ha elencato i suoi insuccessi.
C’è chi pur non dimenticando il Foggia di Signori e Baiano (ah baiaaaanooo!), non ha potuto fare a meno di ricordare che la Roma di Zeman è si arrivata vicina allo scudetto, ma l’ha vinto solo quando su quella panchina si è seduto Capello (uno che al contrario sa vincere eccome)!
C’è chi ha ricordato il Brescia lanciato alla conquista della serie A e ritrovatosi a metà classifica quando è passato nelle sue mani; nonché gli squadroni turchi e serbi preparati per vincere - e lontani mille miglia dalle grinfie di Moggi!!! – che allenati da lui si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano.
C’è chi ha parlato di veri e propri problemi psicologici, come “mania di persecuzione” e “complesso di superiorità”, consigliando al boemo la visita da un buon analista.
C’è chi ha fatto notare che quando si da una notizia, bisogna darla completa e non solo in parte : perché far passare il messaggio che il Foggia sia l’unica squadra della LegaPro costruita con pochi soldi e con i giovani della primavera delle squadre di Serie A, quando è così per quasi tutte? Perché si dice “il Foggia ha il miglior attacco del campionato”, ma si tace “ma anche la peggior difesa”?
C’è chi, infine, ha ricordato quali prestazioni sublimi (come comico) riesca a raggiungere il “miliore alenatoore di europpa” quando a fargli le domande non sono giornalisti adulatori, bensì preparati avvocati in un tribunale vero.
Quindi non sto qui a ripetere quanto già detto, vorrei solo far notare un’altra cosa (che mi da fastidio ogniqualvolta si parli del calcio di Zeman), e che soprattutto in un programma non di opinioni e pareri, ma di approfondimenti ed inchieste giornalistiche, non c’entrava nulla. Perché Report (e non solo) mi deve convincere che il calcio di Zeman è un calcio bello a vedersi?
Ma chi l’ha detto? Dove sta scritto che il “tutti all’attacco” sia il modo migliore di giocare a pallone? Dove sta scritto che lasciare la difesa scoperta e gli attaccanti avversari liberi di colpire sia così divertente? Ma chi ha deciso che una partita che finisce 4-4, con due squadre che si trovano magari spesso fuori posizione, sia più bella ed avvincente di uno 0-0, dove però i gol non arrivano proprio perché le due formazioni sono perfettamente schierate e i giocatori sono così bravi da non commettere errori?
Sinceramente, non so proprio che farmene di un terzino perennemente nella metà campo avversaria, quando poi l’ala dell’altro team si trova a tu per tu con il mio portiere un’infinità di volte.
Mi piace vincere 2 a 0, nonostante il mio centravanti sia stato il peggiore in campo, grazie soprattutto alla diga eretta dai due centrali di centrocampo e difesa (ops... proprio mentre la squadra di zeman perde 3 a 1!)
Per carità, non sto facendo un elogio al catenaccio, ma anche nel football servono le giuste misure. D'altronde, se volessi vedere una partita dove inevitabilmente si segnano tanti punti, non guarderei una partita di pallone ma di basket.

Articolo pubblicato su Juvenews.net


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

Del Neri e la Juve "da corsa"


La Juventus che camminava al ritmo di un pareggio a partita ora ha ripreso a correre, vincendo e convincendo su uno dei campi più difficili di tutta la serie A.
Con la prolungata assenza di Krasic negli ultimi tempi era venuto a mancarle quel giocatore in grado di cambiare il volto ad una gara con un colpo di classe improvviso, un’accelerazione, una percussione devastante nel cuore delle aree avversarie.
Il suo rientro ha permesso ai bianconeri di avere nuovamente quell’arma in più che si era già dimostrata letale per le formazioni rivali in altre occasioni.

La prestazione del talento serbo si è inserita nel contesto di una partita giocata dalla Juventus con il piglio della grande squadra. Ritrovato il centrocampo titolare, plasmato da Del Neri in funzione degli uomini a disposizione senza limitarsi ad un’applicazione rigida del suo fidato 4-4-2, Madama ha aggredito subito il Genoa senza però sbilanciarsi in avanti, evitando di lasciare spazi per eventuali contrattacchi da parte dei liguri. Quella bianconera è una linea mediana che abbina la quantità alla qualità, in grado di "leggere" i diversi momenti che caratterizzano ogni incontro e di interpretarli nella maniera corretta.

Oltretutto, e questo rappresenta l’aspetto più importante, in maniera "attiva" e non "passiva". Lo si può dedurre anche dalle dichiarazioni rilasciate dal tecnico juventino nell’immediato dopo gara: "Nel primo tempo abbiamo avuto un atteggiamento qualitativo, nel secondo più attenzione". Tradotto: gli attacchi del Genoa nella seconda frazione di gara sono stati "controllati", non "subiti".

Se ne continua a discutere un giorno sì e l’altro pure: alla Vecchia Signora, attualmente, manca una punta di peso (fisico e specifico) in grado di realizzare un numero elevato di reti e di scardinare le difese avversarie con il proprio movimento. Nella gara di ieri, cercando di vedere anche il bicchiere mezzo vuoto, è in quel reparto che si sono viste lacune evidenti da colmare. Ciononostante (ed ancora in mancanza di correttivi) la Juventus continua ad avere il miglior attacco della serie A (25 goals segnati), il numero delle reti al passivo si è fermato a 13 (la media è di 1 gara, "macchiata" dalle 3 subite in entrambi gli incontri con Sampdoria e Palermo), per una differenza - in positivo - che rappresenta la migliore tra quelle di tutti i club in questo momento del campionato: +12.

Completato il turno infrasettimanale valido per l'undicesima giornata di serie A (10-11 novembre), la forbice dei punti che separava la prima in classifica dalla sesta era di soli 5 punti. Dopo le partite disputate lo scorso fine settimana - con i tre scontri diretti previsti in calendario - erano diventati 7.
Adesso sono 9, con il Palermo vittorioso a Cesena che ha raggiunto un’Inter che lentamente sta perdendo posizioni. Il distacco - quindi - è aumentato: chi vuole vincere "corre", non resta ad aspettare gli altri.

Smaltita la delusione per la sconfitta patita contro la Juventus, il Milan ha ottenuto quattro successi in altrettante gare. Il protagonista assoluto di questa rinascita, ovviamente, è Zlatan Ibrahimovic. Dietro di lui c’è una squadra più "robusta" rispetto ad inizio stagione: Allegri ha capito in fretta che rinunciando ad un pò di fantasia per privilegiare i polmoni e la corsa di qualche mediano avrebbe ottenuto un maggior equilibrio sul campo da parte della sua squadra. Al resto, poi, pensa lo svedese. Se la formula risulterà vincente a fine anno, questo lo potranno dire soltanto il tempo e gli incontri ancora da disputare.

Nel prossimo turno di campionato rossoneri e bianconeri saranno i protagonisti delle partite in programma sabato 27 novembre: al pomeriggio sarà il Milan, stavolta, ad andare a Genova per giocare contro la Sampdoria; la Juventus - in serata - ospiterà la Fiorentina. Nel giro di poche ore la classifica mostrerà subito il suo nuovo volto nella zona più nobile.

Luigi Del Neri, sempre al termine della gara disputata a Genova: "Inseguiamo la Champions. Prima non sapevamo per cosa avremmo lottato, adesso abbiamo quest’obiettivo, poi vediamo cosa succederà".
L’ultimo passo da compiere, per tornare ad essere la Juventus in tutti i sensi, sarà quello di riprendere a vincere un trofeo.
Correndo così come ha fatto al "Luigi Ferraris", ci si arriva più in fretta.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 21 novembre 2010

A testa bassa verso le prime posizioni

E di questa testata cosa ne vogliamo fare?

sabato 20 novembre 2010

Del Piero e i record battuti dalla panchina

Del Piero era finalmente pronto per entrare in campo, mancavano - ormai - pochi secondi. Invocato a lungo dai tifosi juventini presenti allo stadio "Olimpico" di Torino, tutti aspettavano il suo imminente ingresso nel rettangolo di gioco, nella speranza che il capitano bianconero riuscisse ad imprimere una svolta alla gara che la Vecchia Signora stava disputando contro l’Udinese. In difficoltà, senza il capitano di lungo corso in campo, quello era un ritornello già visto in moltissime occasioni nel passato.

Era il 22 novembre 2009. Nel posticipo che chiudeva la tredicesima giornata dello scorso campionato la Juventus cercava di mantenere inalterata la distanza di cinque punti che la separava in classifica dalla capolista Inter, vittoriosa nell’anticipo giocato il giorno precedente a Bologna per 3-1.
Un goal di Fabio Grosso, quando ancora Giovinco non aveva lasciato il posto a Del Piero, portò in vantaggio Madama.

Quella rete, poi, fu decisiva per l’esito finale dell’incontro. Le prestazioni offerte dalla squadra torinese erano ancora soggette ad alti e bassi, non c’era uno schema di gioco ben definito (si passava dal 4-3-1-2 al 4-2-3-1) ed il periodo di crisi che successivamente condusse al tracollo vero e proprio ancora non era arrivato.

Il rientro definitivo di Del Piero, atteso con impazienza dal recupero per un infortunio che lo aveva tenuto a lungo distante dai campi di gioco, se da un lato non poteva che portare benefici alla Juventus (era dall’estate che l’ambiente bianconero attendeva i duetti in campo tra lui e il brasiliano Diego) dall’altro finiva col mettere un po’ di pressione su Ciro Ferrara. Alla domanda "Cosa vi può dare il suo ritorno?", che venne posta allo stesso allenatore nei giorni immediatamente precedenti l’incontro, il tecnico rispose: "trasmette carica a tutti. Ci è mancato di sicuro". Stimolato dai giornalisti, gli venne poi chiesto "Deschamps ha detto che gestire Del Piero è difficile. Concorda?". La successiva dichiarazione fu: "Il rapporto di stima che c' è tra di noi va al di là delle mie scelte, il rispetto dei ruoli fa bene a tutto l' ambiente. La Juve viene prima di tutto, poi è chiaro che Del Piero, in qualità di capitano, è un riferimento molto importante. So benissimo qual è il suo ruolo e la sua figura, non credo che questo rappresenti un peso per me".

Intervistato dalla "Gazzetta dello sport" nei primi giorni del mese di giugno del 2010, quando ormai la sua esperienza a Torino era terminata, disse: "Del Piero è la storia, ma vuole giocare sempre e questo a volte diventa un problema e lo sarà anche il prossimo anno".
A seguito delle prima risposta dell’attaccante comparsa sui giornali, al microfono di Gianni Balzarini lo scorso settembre (in un servizio realizzato per la trasmissione "Studio Sport XXL") ripetè le stesse parole, chiarendone meglio il significato e spiegando come quello del capitano bianconero rappresenta il "volere" tipico di tutti i giocatori, così come capitava a lui stesso quando ancora non aveva appeso le scarpe al chiodo. Facendo capire, però, come la volontà di Del Piero abbia un suo "peso" specifico particolare.

Arrivati alla tredicesima giornata del campionato in corso, in testa alla classifica ora c’è il Milan di Ibrahimovic. Tornato in Italia dopo la breve esperienza spagnola lo svedese ha giurato - questa volta - amore eterno ai rossoneri. Subito dopo Lazio e Napoli c’è l’Inter, orfana di Mourinho, non certo (o non ancora) innamorata dei metodi e dei modi di Benitez, con la "pancia piena" così come la sua infermeria, ed in grado di accumulare gli stessi punti della Juventus. Che, a sua volta, ha cambiato nuovamente pelle. Da quello che si è potuto vedere in questi mesi, però, con esiti positivi: ci sono idee chiare ovunque, dalla società all’allenatore, dagli spogliatoi al campo di gioco.

Non potendo utilizzare a causa di infortuni un numero elevato di giocatori, dopo la brutta novità della lontananza forzata dai campi di gioco anche per Amauri adesso a Del Neri rimangono poche alternative per il reparto offensivo. Nell’attesa che gennaio porti qualche buona notizia (e un’ottima punta), ancora una volta - visto che probabilmente non inizierà l’incontro assieme agli altri compagni - ci sarà Del Piero pronto ad alzarsi dalla panchina per dare il suo personale contributo alla causa. Così come è successo da più di diciassette anni ad oggi.

Un’ultima considerazione. Ciro Ferrara è rimasto sulla panchina della Juventus, limitatamente alla serie A, per ventuno giornate di campionato. Del Piero - considerando, ovviamente, anche gli infortuni - in quelle partite ha avuto modo di giocarne dall’inizio soltanto tre.
Tre, su ventuno - ipotetiche - a disposizione.
Usando lo stesso parametro, in Champions League gli capitò in due gare (su sei): contro il Bordeaux (in Francia) e nel corso dell’ultima partita interna con il Bayern Monaco. Venne sostituito in entrambi gli incontri, senza portarli a termine.
Nella Coppa Italia venne schierato in una occasione soltanto tra gli undici titolari (Juventus-Napoli del 13 gennaio).
I numeri, a volte, dicono più di molte parole.
Così come i record che Del Piero sta battendo. Uno dietro l’altro. Anche se in alcune occasioni inizia le gare seduto in panchina.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Dedico questo articolo alla memoria di Roberto Stracca, scomparso recentemente all'età di 40 anni. Ero entrato in contatto con lui, mesi fa. Poi ne avevo perso le tracce. Ora, purtroppo, ho capito... (Addio a Roberto Stracca)

Aleinikov, Schillaci e lo sgambetto al "professor" Scoglio


Nei giorni precedenti l'incontro col Genoa un giornalista fece vedere a Sergej Aleinikov il suo taccuino, nel quale aveva disegnato uno schema della Juventus evidenziando la posizione da lui occupata in campo a seguito dell'assenza di Tricella e del conseguente arretramento di Daniele Fortunato nel ruolo di libero: centrocampista centrale, davanti alla difesa. "E' contento?", gli chiese. In tutta risposta il bielorusso si fece prestare la penna e si "spostò" più avanti: "Anch'io ho voglia di goal, anche se non ne ho mai segnati molti in carriera".

Il calcio italiano aveva iniziato nel modo peggiore la stagione 1989-90, quella che anticipava i secondi campionati mondiali disputati nel nostro paese: il 3 settembre 1989 Gaetano Scirea aveva perso la vita in un incidente stradale in Polonia. A Dino Zoff, confermato come tecnico alla guida della Vecchia Signora, in quell’occasione non venne a mancare soltanto l'allenatore in seconda della squadra, quanto - piuttosto - un amico vero. Per il popolo juventino era semplicemente "Gai", un campione inimitabile dentro e fuori dal rettangolo di gioco.

Il già citato Aleinikov andava a far compagnia all’altro sovietico, l'ucraino Aleksandr Zavarov, in una squadra che vedeva il suo terzetto straniero (il limite massimo tesserabile all'epoca) completato dal piccolo attaccante portoghese Rui Barros. Quella era una Juventus che, sulla carta, difficilmente avrebbe potuto competere sino in fondo al torneo per aggiudicarsi lo scudetto. Dopo un inizio stentato, però, in quella formazione successe quel "qualcosa" che anche i soloni del calcio non riescono mai a prevedere in anticipo: si creò quell'alchimia capace di trasformare una buona squadra in un gruppo vincente.

Il 22 ottobre 1989 la Vecchia Signora scese in Liguria, ospite del Genoa di Franco Scoglio, nel rinnovato "Luigi Ferraris" che proprio in quei giorni iniziava a mostrarsi in tutta la sua nuova bellezza dopo il completamento della ristrutturazione, in vista degli ormai prossimi campionati del mondo. La squadra del presidente Aldo Spinelli aveva puntato forte su un trio di uruguaiani (Perdomo, Paz, Aguilera), visto che non aveva potuto raggiungere uno degli obiettivi dichiarati nel calciomercato estivo: Sergej Aleinikov. Guarda caso.
La sconfitta finale del Genoa maturò proprio dal non aver potuto applicare la tattica in cui era particolarmente abile, il pressing sui portatori di palla avversari: gli uomini di Zoff aggredirono i grifoni in lungo e in largo per tutto il rettangolo di gioco, raccogliendo da subito i frutti di una gara affrontata con il piglio della grande squadra. Grazie ad una stupenda rovesciata sottomisura, istintiva come lo erano molte delle sue giocate, Salvatore "Totò" Schillaci portò in vantaggio la Juventus indirizzando in rete un cross proveniente da una punizione di De Agostini, la cui traiettoria era stata deviata dalle precedenti sponde di testa di Galia e del terzino destro Napoli. Pato Aguilera dopo pochi minuti – anche lui di testa - riportò la situazione in parità.

In tribuna, ad assistere alla partita, c'era Azeglio Vicini, commissario tecnico della nazionale italiana. Era venuto per osservare dal vivo tanto i giocatori già presenti nel suo gruppo quanto altri che nutrivano speranze di farne parte. Tra i quali, ovviamente, non poteva mancare l'attaccante siciliano della Juventus. "Vedrete Schillaci, sorprenderà tutti": così Giampiero Boniperti, presidente bianconero, aveva presentato il calciatore al palcoscenico della serie A ad inizio stagione. Per non deludere nessuno, a seguito di una bella triangolazione con Aleinikov proprio la punta siglò la sua personale doppietta con un tiro di destro in diagonale: 2-1.

Nel tentativo di appoggiare la palla in calcio d’angolo Daniele Fortunato fu l’autore del più classico tra gli autogoal, deviando – di testa, ovviamente - nella porta difesa da Tacconi un cross del genoano Fiorin. A fine gara il portiere bianconero confessò il contenuto della chiacchierata avuta col difensore negli attimi immediatamente successivi all’episodio: “Scherzosamente mi sono complimentato per la deviazione imparabile che aveva effettuato. Alla fine della partita, poi, è venuto a ringraziarmi”.
Il "professore" Franco Scoglio, squalificato, dopo aver assistito alla prima frazione di gara in tribuna d'onore si spostò nel corso della ripresa in quella di fronte, vuota perché non ancora aperta al pubblico. Aveva capito le difficoltà in cui versava la sua squadra, con la difesa retta dal solo Signorini e che mostrava i suoi punti deboli nelle deludenti prestazioni offerte da Perdomo e Caricola. L'allenatore genoano conosceva bene Schillaci, per averlo allenato a Messina. Aveva provato – tempo addietro - a portarlo con sé sotto la Lanterna, ma l'allora presidente Massimino si era rifiutato di farlo partire: se ne sarebbe privato solo al cospetto di un'offerta irrinunciabile da parte di una grande squadra.

Una deviazione di Aleinikov (raccogliendo un pallone scagliato in area da Marocchi) portò la Juventus nuovamente in vantaggio. Il successivo rigore calciato da Aguilera e parato da Tacconi chiuse definitivamente l’incontro. Ironia della sorte, furono proprio il centrocampista e Schillaci, fortemente voluti in passato dal Genoa, a decidere l’esito della gara.
Quella stagione, considerando le premesse iniziali, risultò poi essere ottima. A seguito del ribaltone targato Luca Cordero di Montezemolo Dino Zoff sarebbe però stato costretto ad abbandonare la Juventus a fine anno.
Nel momento dei saluti, dopo che Zoff e i suoi ragazzi avevano aggiunto nella bacheca bianconera una Coppa Italia e una coppa UEFA, oltre ad aver ottenuto il terzo posto in classifica (in coabitazione con l’Inter), è bello immaginare che lassù, da qualche parte, anche Gaetano Scirea stesse festeggiando le vittorie del suo amico.

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venerdì 19 novembre 2010

Un altro anno è passato...

Ho iniziato così, per caso, il 19 novembre 2007, celandomi dietro lo pseudonimo di “zebrabianconera10”.
Prima un blog, poi un altro.
Alla fine, “costretto” ad uscire alla scoperto con il mio nome e cognome, ne ho creato un ultimo: questo.
Ogni anno scrivo qualcosa di particolare per festeggiare questo momento.
Oggi mi limito a dire che “casualmente” l’anniversario coincide con il mio compleanno.
Quello vero.

Scrivo perché mi diverte.
Mi diverto perché scrivo della Vecchia Signora.
Scrivo della Vecchia Signora perché la amo.

La Juventus è la compagna della mia vita... Soprattutto un'emozione. Accade quando vedo entrare quelle maglie in campo... Mi emoziono anche quando vedo la lettera J in qualche titolo di giornale. Penso subito alla Juve” (Gianni Agnelli)

Mi dispiace per chi non è juventino: non può capire cosa si prova ad esserlo.

Dopo il primo scudetto nel 1975 Scirea festeggia in discoteca con la squadra fino all’alba.
“Rientro e poi vado a comprare i giornali, ma l’edicola davanti a casa mia era vicino alla fermata dell’autobus che portava gli operai in Fiat, mi vergognavo a farmi vedere vestito da sera alle 6 del mattino da gente che andava a lavorare”.
Gaetano pensò ai suoi genitori a Cernusco, agli operai della Pirelli e lasciò perdere i giornali che celebravano la Juve.

Questo è lo stile-Juventus.

Giovanni, uno degli amici più cari e compagno quotidiano di (dis)avventure, mi ha “regalato” il video che trovate qui sotto.
Chi ha seguito il mio blog nel corso di questi anni, ricorderà qualcuna delle immagini presenti.
A lui rivolgo soltanto una parola: GRAZIE

mercoledì 17 novembre 2010

La Juve e la mancanza di cinismo

Dopo due pareggi consecutivi la Juventus deve assolutamente cercare la vittoria contro il Genoa per non correre il rischio di perdere il treno delle prime in classifica. Così come ha fatto la Lazio, sconfitta nel derby contro la Roma e in trasferta a Cesena e capace di superare il Napoli per 2-0 nella gara disputata domenica scorsa.
Nella dodicesima giornata, quella degli scontri diretti incrociati tra le prime forze del campionato, la forbice dei punti che separa la capolista (il Milan) dalla sesta (la Roma) si è leggermente allargata: da cinque sono diventati sette.

La Vecchia Signora tanto bistrattata in estate dopo dodici turni si ritrova ora appaiata a quell’Inter favorita nei pronostici per la vittoria finale, in una corsa aperta a tante squadre come non capitava di vedere da anni.
Con ogni probabilità i valori assoluti delle formazioni più forti tecnicamente alla lunga usciranno fuori, disegnando una classifica vicina alle previsioni degli addetti ai lavori in questo campionato post mondiale (sudafricano) il cui esito definitivo rischia di essere pesantemente condizionato dai continui infortuni occorsi ai giocatori dei club di vertice.

Nel recente passato questa sembrava fosse una (triste) prerogativa della Juventus, che - Vinovo o non Vinovo - si è ritrovata spesso a dover fronteggiare situazioni di emergenza che la privavano della possibilità di schierare, di volta in volta, numerosi titolari. Ora, giusto per citare qualche esempio pescandolo dalle infermerie di alcune formazioni di vertice, assistiamo alle assenze (più o meno lunghe) dei vari Pato, Milito, Maicon, Thiago Motta, Taddei, Pizarro, Filippo Inzaghi, Muntari, Hernandez.

A inizio campionato il punto debole di Madama era stato identificato nelle fasce laterali difensive, laddove Del Neri - nelle squadre da lui allenate nel corso della carriera - ha sempre chiesto (ed ottenuto) una partecipazione costante e importante ai suoi giocatori sia nella difensiva che in quella offensiva.

Il tecnico bianconero in questi mesi le ha provate un po’ tutte (De Ceglie, Motta, Grygera, all’occorrenza Rinaudo) con risultati alterni, sino a quando infortuni e squalifiche non hanno ridotto al minimo sindacale il numero delle scelte a sua disposizione, consentendogli di iniziare la partita contro la Roma con Sorensen (a destra) e Grosso (a sinistra), per chiuderla facendo esordire Traoré.

Vivacchiando in condizioni simili capita spesso di riuscire a vedere il bicchiere "mezzo pieno" anche quando i risultati non sono quelli sperati. Questo, d’altronde, non è altro che il riconoscimento dei giusti meriti di chi - società e allenatore - si è dimostrato capace di riportare a galla una barca che la precedente gestione di Jean Claude Blanc era quasi riuscita, ormai, a far affondare.

Per evitare di perdere terreno nei confronti del Milan (in particolare) e delle prime posizioni in classifica (in generale) nel corso del campionato, però, tutto questo potrebbe non bastare. Al netto di recuperi eccellenti (Krasic, ad esempio) e di una buona sorte che prima o poi dovrà iniziare a pagare il debito accumulato con la Vecchia Signora, alla Juventus sta venendo meno la capacità di assestare all'avversario di turno il colpo del k.o. durante gli incontri.

Senza nulla togliere all’impegno di Iaquinta e alle capacità realizzative di Del Piero e Quagliarella, alla squadra manca - tra le altre lacune (ma non ci sono club nel nostro paese che non ne hanno) - un Ibrahimovic (Milan), un Eto’o (Inter), un Cavani (Napoli), punte di peso fisico e specifico in grado di finalizzare il gioco dei compagni, di "chiudere" le partite, di vincerle anche quando si gioca male.

Benitez, con un’Inter figlia di quella squadra che lo scorso anno ha vinto in Italia e in Europa, chiede rinforzi alla sua società alla riapertura delle trattative; il Milan, che ha perso Inzaghi, sembra non credere più in Ronaldinho e assiste agli alti e bassi del giovane Pato, nonostante le smentite del caso proverà a innestare almeno un giocatore in quel ruolo.
La nuova Juventus, nata dalle ceneri dello scorso (disastroso) campionato, ha potuto vedere che anche schierando un Sorensen all’interno di una squadra decimata dagli infortuni e dalle squalifiche è in grado di reggere l’urto di avversari che puntano allo scudetto.

A gennaio la società bianconera molto probabilmente non investirà molti milioni di euro nella sessione invernale del calciomercato, ma proverà a cogliere quelle “opportunità che offrirà” (Marotta dixit).
Se è vero come è vero che l'appuntamento con gli acquisti importanti (Dzeko?) è rimandato alla prossima estate, la speranza è che riesca a trovare da subito (anche) una prima punta in grado di scardinare le difese avversarie, aiutando i compagni (già presenti) a portare a casa altri punti importanti in classifica.
Non importa se saranno "belli" o "brutti": quello che conta è prenderli.
Perché oltre a tornare ad essere antipatici, sarebbe bello diventare nuovamente cinici.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

lunedì 15 novembre 2010

Juve per sempre sarà…

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Direttamente dal blog di Massimiliano

“Vabbè dai… è andata com’è andata…comunque ci siamo divertiti, no? Sì, ha fatto piacere anche a me, e poi dai nostri posti il campo si vedeva proprio bene”.

Ti dico così mentre siamo appena usciti dall’Olimpico dopo Juventus-Roma e stiamo camminando lungo via Filadelfia. Per i nostri ha segnato Iaquinta, poi nel recupero del pimo tempo l’arbitro ha generosamente concesso un rigore ai giallorossi: 1-1, con le immancabili polemiche.

“Però il rigore non c’era, eh! No, non l’ho visto bene, però… non c’era! Ne sono sicuro!”.

Adesso camminiamo in corso Agnelli e all’incrocio con corso Sebastopoli ci sono dei capannelli di tifosi come noi, ancora con le sciapette bianconere al collo. Anche loro dicono che il rigore non c’era. Decido che possiamo fidarci. E’ gente che se ne intende, molto intelligente… si vede dalla faccia.

“Sì, Traorè è stato bravo e anche Sorensen. L’hai visto quando ha fatto quell’azione… ah, era Felipe Melo? Vabbè è uguale, tanto…”

Le luci dell’Olimpico spariscono alle nostre spalle mentre costeggiamo le file di banchi chiusi del mercato rionale. Il cielo c’è. Ci deve essere. Ma non si vede. E non c’entra la notte di Torino, è colpa piuttosto di questa insistente nebbiolina che si ostina a sfocare ogni cosa. Anche i pensieri più recenti.

“Un arbitraggio pessimo, comunque! Sì, davvero una vergogna… La prossima volta che sento qualcuno dire che la Juve ruba…”.

Ma vuoi sapere cosa sto pensando? Beh, sto pensando che quando tra quindici o vent’anni riparlerò della partita di stasera, quasi sicuramente non mi ricorderò del gol di Iaquinta, del braccio di Pepe o del rigore di Totti. Mi verrà in mente invece l’immagine di noi due che cantiamo a squarciagola l’inno della Juve, tesi ed emozionati come due ragazzini, con gli occhi rivolti alla Scirea.

“…JUVE, STORIA DI QUEL CHE SARO’…”.

Migliaia di persone, tutte lì per due colori e una maglia. E’ difficile spiegare a chi non è un tifoso quanto tutto questo non sia poi tanto stupido. Difficile spiegare perché, ogni domenica, questo popolo disomogeneo canta, spera e si dispera, gioisce, incita, critica ed esalta. In fondo, caro Thomas, credo che l’essenza del calcio sia tutta qui: “…JUVE PER SEMPRE SARA’… JUVE PER SEMPRE SARA’…”.

sabato 13 novembre 2010

Quando i guanti di Aldair scaldarono il "Delle Alpi"


La Roma di Carlo Mazzone che il 15 gennaio 1995 si presentò al "Delle Alpi" per sfidare la Juventus era pronta a lanciare il classico guanto di sfida alla Vecchia Signora del calcio italiano. Prima dell'inizio della contesa le due formazioni erano separate da sei punti in classifica, con i giallorossi decisi a recuperare parte del terreno perduto proprio in casa degli acerrimi rivali.
Mancavano due giornate al giro di boa del campionato e l'atmosfera che precedette l'incontro fu carica della tensione tipica delle gare importanti, quelle che sembrano non concedere prove d'appello a dispetto di un calendario ancora fitto di impegni da rispettare. Un clima, ovviamente, simile alla maggior parte dei precedenti scontri tra bianconeri e capitolini. E se nel passato più lontano, quello targato anni ottanta, bastava fare un accenno ai "centimetri di Turone" per racchiudere in poche parole mesi di polemiche, dopo quell'incontro si discusse per moltissimo tempo del "guanto di Aldair".
Che poi, a raccontarlo in maniera razionale, di quella partita rappresentò l'episodio più goffo, ai limiti della comicità, anche se poi finì - invece – col diventare l’elemento scatenante di una corrida (sul campo) alimentata da un isterismo nato ben prima del fischio d'inizio.

Faceva freddo, a Torino, quel 15 gennaio. Il campo era gelato e alcuni giocatori, per proteggersi dal freddo, indossavano - tra le altre cose - i guanti per le mani. Anche Aldair, da perfetto brasiliano, ne portava un paio. Che non volle, però, sfilarsi in occasione di una rimessa laterale intorno alla mezz'ora di gioco. In quel preciso istante, proprio dietro di lui, stava passando il guardalinee Manfredini: un lieve contatto tra i due, la sorpresa del giocatore, la palla che sfugge alla sua presa e si dirige verso Ravanelli, appostato a pochi metri di distanza. Un assist degno del miglior Del Piero.
L'attaccante bianconero non aspettava altro: un preciso pallonetto a Cervone, ed ecco confezionato l'1-0.
I calciatori giallorossi persero la testa, gettando le basi per la sconfitta che stava iniziando a materializzarsi. Corsero tutti a protestare, anche chi - al momento - ancora non aveva capito cosa fosse realmente accaduto.
La Juventus fu brava ad approfittare di tutta la confusione che si era creata: proprio nella partita contro la Roma vennero alla luce i primi sintomi di una stanchezza fisica e mentale derivanti da una rincorsa che l’aveva portata ad accumulare sette vittorie ed un pareggio dopo l’ultima sconfitta patita a Foggia (16 ottobre 1994).

A pochi minuti dalla fine della prima frazione di gioco Ciro Ferrara riuscì a salvare l’inviolabilità di Peruzzi togliendo dalla porta bianconera rimasta sguarnita un pallone scagliato da Fonseca. Nella ripresa, poi, accadde il finimondo. Petruzzi, uno dei tre difensori giallorossi in campo nel 3-5-2 schierato da Mazzone, perse palla, Vialli se ne impossessò e si diresse verso l’area avversaria. Toccato dallo stesso centrale cadde a terra: rigore ed espulsione. Le immagini, successivamente, chiarirono che il contatto era avvenuto fuori area. L’atmosfera divenne incandescente, mentre – nel frattempo – Ravanelli realizzava il penalty concesso dall’arbitro Stafoggia.
In campo saltarono gli schemi e i nervi, tanto che in occasione di un contatto tra Torricelli e Cervone il portiere giallorosso si avventò sul difensore, scatenando una rissa. Il risultato fu l’espulsione per entrambi i contendenti, con il bianconero che – successivamente - dichiarò: “Finita l'azione mi sono rialzato e sono andato verso Cervone per scusarmi. Per tutta risposta mi sono beccato una gomitata in gola e questa frase: sei un bastardo, ne hai già spaccato uno” . Il riferimento è ad un episodio analogo capitato la domenica precedente tra lo stesso calciatore e il portiere parmense Bucci, uscito malconcio dal campo dopo il contatto.
Alla Roma, poco incisiva ma padrona del centrocampo nella prima frazione dell’incontro, grazie (anche) ad un'ottima prestazione di Giuseppe Giannini e ad una linea mediana costantemente in superiorità numerica (Marcello Lippi aveva proposto la Juventus con il classico 4-3-3), non rimase che rinculare nelle retrovie. Il terzo e ultimo goal di Gianluca Vialli (in contropiede) concluse la partita e lasciò spazio alle polemiche.

La Roma chiese la ripetizione dell’incontro, il presidente Sensi – a proposito del direttore di gara – disse: “Mi ero raccomandato, serviva un arbitro all' altezza, non quello lì. Ci trattano male da ogni parte, ingiustizie senza limiti, indimenticabili”. Fu certamente più signorile l’atteggiamento mostrato da Mazzone: “Siamo andati sotto a causa un episodio sfortunato, dove mi è parsa fuori discussione la buona fede del guardalinee accanto ad Aldair. Ritengo che meritassimo un diverso punteggio”.
Con quella vittoria la Juventus si laureò campione d’inverno con un turno di anticipo, dopo aver sconfitto tutte le grandi (Milan, Fiorentina, Parma, Lazio, Napoli, Sampdoria, Roma) e pareggiato contro l’Inter, con un credito di due reti “fantasma” subite (da Bresciani a Foggia e da Galante in casa contro il Genoa) con il pallone che non aveva oltrepassato la linea di porta.

Nel girone di ritorno Madama completò l’opera, vincendo così il suo ventitreesimo scudetto. La penultima gara la disputò a Roma, dove i giallorossi – scivolati in quinta posizione - restituirono il 3-0 subito nella gara di andata.
La Vecchia Signora era entrata alla stadio “Olimpico” con gli abiti della festa, salutando i romani da campione d’Italia. Non portava i guanti: a lei non servivano.

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venerdì 12 novembre 2010

Del Neri, Ranieri e l'anno di "transizione"


"Siamo a 4 punti dalla capolista, mi sembra un campionato molto aperto, l'importante è che la Juve rimanga in quota e - soprattutto - che riesca a ottimizzare in alcune partite".
In poche parole Del Neri, davanti ai microfoni di "Sky Sport" nell'immediato dopo gara contro il Brescia, ha così sintetizzato il momento attuale della Juventus.

Adesso non resta che vedere cosa vorrà da fare la sua squadra da "grande".
A fine agosto, alla vigilia della prima gara di campionato contro il Bari, era chiaro a molti che per la Vecchia Signora questo sarebbe stato un anno di "transizione".
Lo si capiva dalla situazione che la nuova gestione targata Agnelli aveva ereditato dalla precedente e dalla rosa che stava nascendo dall'ultima sessione estiva del calciomercato. Non si trattava del primo, nel periodo post-2006: l'augurio e la speranza, allora come adesso, era che potesse essere l'ultimo.

Poi, ovviamente, quando il pallone ha cominciato a rotolare sul prato verde e le altre squadre a sfilarle davanti in classifica, tutti i buoni propositi di portare pazienza per concedere al cantiere di Del Neri il tempo necessario per trasformarsi in una squadra competitiva sono scomparsi di fronte alla voglia dell'ambiente bianconero di rivedere Madama il più presto possibile ai massimi vertici del calcio, pronta ad osservare gli avversari dall'alto verso il basso. Come accadeva una volta. E non si è più discusso del periodo di "transizione".
Se ne riparlerà - eventualmente - a fine stagione, quando si potrà giudicare, risultati alla mano, il primo anno della "nuova" Juventus.

Tra mille difficoltà e altrettanti infortuni è nato comunque un gruppo capace di affrontare con successo la maggior parte degli ostacoli che si è trovato di fronte al suo cammino, dimostrandosi - paradossalmente - in grado di superare in maniera brillante i più rognosi al contrario di quanto è accaduto con quelli all'apparenza più facili da oltrepassare.

Salihamidzic e Grosso sino a pochi giorni fa non facevano parte di questo gruppo. Nell'incontro che la Juventus disputerà domani sera a Torino contro la Roma potrebbero partire entrambi titolari nell'undici di base che l'allenatore bianconero schiererà dal primo minuto, andando a coprire le caselle dei laterali difensivi rimaste orfane dei precedenti proprietari a causa di squalifiche (Motta) e - manco a dirlo - di infortuni (Grygera, De Ceglie e il rientrante Traoré). Le ha provate (e le sta provando) tutte la Vecchia Signora per rimanere "in quota", per dirla alla Del Neri. Attingendo - all'occorrenza - da risorse alle quali ormai non credeva più.

Lo scorso 23 gennaio, nel corso dell'anticipo della seconda giornata del campionato passato, Claudio Ranieri tornò a Torino per affrontare quella Juventus che lo aveva esonerato a due tappe dalla fine della stagione 2008-09. La vittoria per 2-1 della sua Roma rappresentò la migliore rivincita possibile per l'attuale mister giallorosso.

Sulla panchina bianconera sedeva Ciro Ferrara, l'allenatore che lo aveva sostituito alla corte di Madama. Quella, per lui, fu l'ultima volta in cui guidò la Vecchia Signora in campionato. Venne allontanato pochi giorni dopo al termine di un'altra gara persa (contro l'Inter in coppa Italia), lasciando il posto ad Alberto Zaccheroni, a cui affidarono il compito di traghettare la squadra sino a fine anno.

Da Claudio Ranieri allo stesso Zaccheroni, passando per Ciro Ferrara: ecco alcuni dei cantieri aperti e mai chiusi in casa bianconera, edifici rimasti senza tetto perché crollati prima ancora che l'opera potesse essere completata.

Adesso c'è Del Neri, in quella posizione. Il suo lavoro è visionato e protetto da una società alle sue spalle diversa dalla precedente, con Jean Claude Blanc che sarà costretto a seguire la strada che lui stesso ha indicato - in passato - agli ex allenatori bianconeri ed il ritorno di un Agnelli alla sua guida.

Juventus-Roma, Lazio-Napoli, Inter-Milan: le prime sei squadre si incontrano - casualmente - tra loro in questa dodicesima giornata di serie A. Mano a mano che il campionato andrà avanti, la lista delle pretendenti allo scudetto si assottiglierà. E' un torneo ancora senza padrone, incerto e nel quale i bianconeri, vincendo la gara di domani sera all'Olimpico, potrebbero avere un ruolo importante. Iniziando con l'allontanare una possibile rivale come la Roma.

Anche se sulla sua panchina siede un ex. A cui andrà restituito, ora, lo sgarbo dello scorso 23 gennaio. Non se la prenda Ranieri: quella non era la Juventus. Questa sta provando a diventarla. Saltando - se possibile - l'anno di transizione. A Torino questo termine è poco gradito.

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mercoledì 10 novembre 2010

martedì 9 novembre 2010

La vittoria a Brescia per 4-0 e il 5 maggio 2002

"Sei punti di ritardo dal primo posto non sono troppi, possono essere recuperati in quattro o cinque partite".
Si espresse in questi termini, Marcello Lippi, il 23 dicembre del 2001, dopo aver espugnato con la sua Juventus il "Mario Rigamonti" di Brescia sconfiggendo le “rondinelle” allenate da Carlo Mazzone con un rotondo 4-0.
I bianconeri erano finalmente riusciti ad interrompere un digiuno di vittorie lontano dal "Delle Alpi" che durava da più di tre mesi, dopo l’ultimo successo esterno ottenuto a Bergamo contro l'Atalanta di Vavassori per 2-0 (9 settembre) alla seconda giornata del campionato 2001-02.

Con la cessione di Zidane (al Real Madrid) e Filippo Inzaghi (al Milan), gli arrivi di Buffon, Thuram, Nedved, Salas e il ritorno dell'allenatore toscano sulla panchina juventina (dopo il precedente addio del febbraio del 1999), in estate la Vecchia Signora aveva deciso di cambiare abito: dal 4-3-1-2 indossato nell’anno appena concluso al ritorno al classico 4-4-2, per una squadra più muscolare ma (inevitabilmente) dotata di minor tecnica rispetto alla precedente.

I primi mesi del campionato avevano - però - messo in mostra una pericolosa mancanza di imprevedibilità e coesione in un gruppo nuovo, vittima e carnefice al tempo stesso dei suoi continui alti e bassi, di occasioni sprecate (memorabile il derby pareggiato 3-3 dopo aver dilapidato il vantaggio di tre lunghezze), di vittorie che regalavano momentanee illusioni di un cammino meno tortuoso da percorrere sino all’obiettivo dichiarato dello scudetto.

La società sembrava intenzionata ad intervenire con correttivi di valore già nella sessione invernale del calciomercato, e la smentita di Luciano Moggi in tal senso (“per Natale non ci saranno Doni”, in riferimento all’interesse per il centrocampista allora in forza all’Atalanta) lasciava invece presagire una precisa volontà della dirigenza di rinforzare ulteriormente la rosa, andando a colmare le lacune che il campo aveva mostrato.

Poi scoccò, proprio nella gara di Brescia, quella scintilla che diede vita ad un cambio di marcia repentino, uno di quei segnali che – se colti al volo in tutta la loro essenza – sono in grado di moltiplicare le forze di chi cerca di uscire da una situazione delicata.

La temporanea assenza di Zambrotta, all’epoca ancora utilizzato come laterale destro di centrocampo, permise a Lippi di schierare Tacchinardi al centro della linea mediana, protetto ai lati da Edgar Davids (a sinistra) e Antonio Conte (nella corsia opposta), con l’avanzamento di Pavel Nedved dietro le due punte, libero di svariare e pungere le difese avversarie. Di fatto si era tornati dal 4-4-2 a quel 4-3-1-2 abbandonato pochi mesi prima, con la sostanziale differenza nell’interpretazione nel ruolo del trequartista, derivante – ovviamente – dalle diverse caratteristiche degli interpreti (Zidane prima, Nedved dopo).

Sdoganato dalla fascia sinistra, il biondo ceco iniziò a furoreggiare in lungo e in largo per tutto il rettangolo di gioco, trovando finalmente un ruolo, idoneo alle sue caratteristiche, che gli consentisse di esprimere tutto il suo potenziale. E se il Brescia nella prima mezz’ora dell’incontro mise in difficoltà la Vecchia Signora con tre conclusioni di Tare, il suo attaccante di origini albanesi, da quel momento in poi i centrocampisti bianconeri suonarono la carica, impadronendosi del gioco e conducendo la squadra di Marcello Lippi alla vittoria finale.

La prima rete bianconera fu di marca francese: cross di Thuram, schierato come difensore esterno destro, e testata vincente di Trezeguet. In occasione della seconda, realizzata da Del Piero, ci furono numerose proteste legate alla valutazione di una possibile posizione di fuorigioco del capitano bianconero nell’azione incriminata: l’arbitro De Santis la valutò passiva all’inizio, e regolare dopo che Trezeguet - ancora lui - gli servì un pallone invitante che andava soltanto spinto nella direzione della porta avversaria. Le nuove norme della FIFA, in merito, erano chiare, e il direttore di gara si limitò ad applicarle correttamente: la rete era da considerarsi valida. Ciro Ferrara (su angolo di Nedved) e Edgar Davids (direttamente su punizione) realizzarono le ultime due marcature dell’incontro. Privo delle stelle Roberto Baggio e Josep Guardiola, il Brescia dovette arrendersi al risultato e all’evidenza della netta superiorità mostrata dai bianconeri.

Nei successivi undici incontri di campionato la squadra allenata da Marcello Lippi spiccò il volo, totalizzando la bellezza di otto vittorie e tre pareggi. Il crollo a Parma a sette gare dalla fine del torneo (24 marzo 2002) non pregiudicò il successo finale della Vecchia Signora, in un torneo avvincente che si concluse soltanto all’ultima partita, disputata il 5 maggio del 2002. Come andò a finire è storia nota: il campo premiò la squadra che – alla fine della manifestazione – aveva il miglior attacco e la difesa meno perforata, in una domenica indimenticabile per il mondo bianconero.

Né Juve, né Roma, Inter Campione”, recitava lo striscione che campeggiava nella curva nord dello stadio "Olimpico" di Roma, per l’occasione tinto di nerazzurro. Doveva essere la festa dello scudetto dell’Inter, divenne il ventiseiesimo tricolore a finire nelle mani della Vecchia Signora del calcio italiano, con la squadra allenata da Hector Cuper che – perdendo quella gara - arrivò addirittura terza dietro la Roma (vittoriosa a Torino contro i granata).
Il campo aveva deciso così: lui è sincero, non mente mai. Soprattutto nei confronti di chi è innamorato delle vittorie a tavolino.

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A Brescia per vincere. Ancora con Del Piero...


"In passato certe partite le avremmo perse". Queste parole, pronunciate da Claudio Marchisio domenica scorsa nell'immediato dopo gara tra la Juventus e il Cesena, evidenziano il salto di qualità compiuto dalla Vecchia Signora nel corso delle ultime giornate di campionato.

Con la sconfitta interna subita contro il Palermo nel posticipo del turno infrasettimanale giocato il 23 settembre scorso, la seconda dopo quella patita nella gara d’esordio a Bari, la (nuova) stagione bianconera sembrava essere la naturale prosecuzione di quella appena conclusa: in quattro incontri Madama era riuscita ad accumulare soltanto quattro punti, frutto di una vittoria (sull’Udinese) ed un pareggio (con la Sampdoria).
Da quel momento in poi il cammino della squadra allenata da Del Neri si è trasformato in una marcia vera e propria, che le ha consentito di conquistare quattordici punti nelle successive sei gare.

Al netto delle titubanze mostrate in Europa League, la Juventus ha trovato adesso una sua quadratura sul campo, dimostrandosi capace di sopperire alle contemporanee assenze di più giocatori, alcuni dei quali particolarmente importanti all’interno dello scacchiere del tecnico di Aquileia. Uno su tutti: Milos Krasic.

A tal proposito, ecco le dichiarazioni dell’allenatore bianconero (ancora) dopo l’ultima partita interna disputata all’Olimpico: "Due vittorie in due gare senza Krasic? Mi fa piacere, non dobbiamo dipendere da nessuno: siamo la Juve e come tale intendiamo scendere in campo".

In realtà la mancanza del talento del serbo si sente, così come è altrettanto vero che Aquilani si è impossessato del centrocampo bianconero e che la sua crescente intesa con Marchisio e Melo sta contribuendo a nascondere i problemi creati dai continui infortuni occorsi ai giocatori juventini.

Proprio in virtù delle difficoltà incontrate in questo periodo assumono maggior rilievo tutti i punti conquistati dalla Juventus, sia quelli portati a casa dalle trasferte di Milano e Bologna che le vittorie (all’apparenza semplici) ottenute contro Cagliari, Lecce e Cesena.

Il campionato di serie A non ha ancora trovato una sua padrona, e se la Juventus dovesse continuare la sua marcia evitando i pericolosi "alti e bassi" di inizio anno, potrebbe seriamente diventare - per le avversarie - una pericolosa mina vagante di questo torneo, soprattutto nel momento in cui il numero delle partite da giocare inizierà a ridursi e sarà il peso specifico dei punti a disposizione ad aumentare.

Va considerato, oltretutto, che la finestra invernale del calciomercato potrebbe offrirle l’opportunità di rinforzare la rosa e che le stagioni successive ai campionati del mondo spesso regalano delle sorprese. Ad oggi, comunque, è meglio vivere alla "giornata". Per il resto, se mai ci sarà "un resto", se ne parlerà a tempo debito. Ora ogni discorso in tal senso appare prematuro.

Gli scudetti si vincono - innanzitutto - non dilapidando punti contro le piccole squadre. Per informazioni in merito bisognerebbe chiedere notizie ad Arrigo Sacchi: il suo Milan stellare, quello degli olandesi (Gullit e Van Basten prima, a cui venne aggiunto Rijkaard a partire dalla seconda stagione) che dominò l’Europa e il mondo segnando un’epoca calcistica, in quattro stagioni ne vinse uno soltanto. I tricolori in serie, per i colori rossoneri, giunsero con l’avvicendamento su quella panchina tra lo stesso allenatore di Fusignano e Fabio Capello.

In questo turno infrasettimanale, valido come undicesima giornata del campionato, non sono previsti scontri diretti tra le squadre presenti nelle prime posizioni in classifica. Tra sabato e domenica, invece, avranno inizio le danze: Juventus-Roma, Lazio-Napoli e Inter-Milan. Concludere un periodo denso di partite come questo con due successi garantirebbe un’iniezione di fiducia enorme per la truppa guidata da Del Neri, anche perché sarebbero ottenuti in condizioni obiettivamente difficili. Una pausa di otto giorni dalla gara contro i giallorossi la separerà - poi - dalla prossima trasferta di Genova.

Le parole del tecnico bianconero circa l’importanza per la Juventus di riuscire a sopperire all’assenza di Krasic ricordano vagamente quelle pronunciate in un passato ormai lontano da Marcello Lippi nel corso della prima esperienza sulla panchina bianconera, allorquando chiedeva alla sua squadra di diventare indipendente dal talento di Roberto Baggio. Altri tempi, altri giocatori, un altro calcio. A Torino c’era un giovanotto sulla rampa di lancio pronto a decollare per una carriera luminosa che si dimostrò in grado di prendere per mano quella Juventus, allontanando - di fatto - il Divin Codino da Torino.

Adesso quel ragazzino è diventato un uomo, ha appena raggiunto il traguardo dei suoi primi 36 "autunni" dopo aver trascorso una carriera a vincere su tutti i campi del mondo. Ora è diventato il collante tra la nuova Juventus e la Vecchia Signora del passato.
A 16 anni di distanza da quei momenti, continua ad essere decisivo. Quanto e più di prima.
Tanti auguri, Capitano.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 7 novembre 2010

Altri 3 punti in classifica...


La corsa della Juventus riparte dal Cesena

"Questa Juventus ha dimostrato di avere sette vite. Abbiamo fiducia, voglia di lavorare, ci saranno momenti non semplici ma l'atteggiamento, lo spirito è quello della Juve ed è quello che interessa a me".
Luigi Del Neri pronunciò queste parole sabato 30 ottobre, nell’immediato dopo partita tra i bianconeri e il Milan. Più che un doveroso riconoscimento a quanto mostrato in campo dai suoi giocatori, sembrava un presagio di quello che avrebbe atteso la Vecchia Signora da quel momento in poi.

E’ trascorsa poco più di una settimana dalla vittoriosa trasferta di San Siro, ma sembra sia passato molto più tempo. Quello che è certo, è che si sono accumulate altre indisposizioni nella rosa a disposizione del tecnico di Aquileia.
Martinez e De Ceglie contro il Milan, Manninger il giorno precedente quella gara, Krasic e Legrottaglie nel successivo impegno in Europa League con il Salisburgo: ad ogni incontro che si presenta lungo il cammino della Juventus, la squadra perde pezzi importanti.

Dei quindici punti accumulati in questa stagione, la Vecchia Signora ne ha raccolti poco meno della metà nelle gare disputate allo stadio "Olimpico" (sette). In una partita casalinga apparentemente semplice, contro una formazione come quella romagnola che negli ultimi sei incontri ne ha persi cinque e pareggiato uno (al "Dino Manuzzi" contro il Parma, 1-1 il 17 ottobre), la Juventus deve cercare assolutamente di conquistare altri tre punti, indispensabili per continuare la rincorsa alle primissime posizioni, avvicinarsi ulteriormente all’Inter (bloccata ieri sera sull’1-1 in casa dal Brescia di Iachini) e non perdere contatto con il Milan e la capolista Lazio di Reja, che nella giornata odierna disputerà il derby contro la Roma.

In un momento particolarmente delicato come questo, nel quale una sosta permetterebbe a chi gioca con maggiore continuità di rifiatare, il numero delle partite da disputare non consente pause e distrazioni: mercoledì la Vecchia Signora sarà nuovamente in campo nel turno infrasettimanale di campionato contro il Brescia, mentre sabato prossimo ospiterà proprio i giallorossi di Claudio Ranieri a Torino. Poi, finalmente, complice la momentanea interruzione dell’Europa League (si riprenderà il 1° dicembre, la Juventus giocherà in Polonia contro il Lech Poznan), i prossimi incontri verranno disputati a distanza di una settimana uno dall’altro.

Fuori Colucci e Caserta, anche il Cesena ha qualche problema di formazione a centrocampo, laddove la Juventus ha perso la sua stella più luminosa, Krasic, proprio nella giornata in cui alcune glorie del passato bianconero calcheranno per pochi istanti il prato verde dell’Olimpico per un prepartita all’insegna dei festeggiamenti che i tifosi riserveranno ad alcuni dei 50 campioni scelti nella campagna "Accendi una stella". Tra gli assenti, spicca il nome di Zbigniew Boniek. E non è un caso.

Così come non doveva essere un caso l’assenza di Gianluigi Buffon al rituale della foto ufficiale della squadra, ma ha finito col diventarlo. Se la successiva giustificazione addotta (si trovava in Svizzera a ritirare un premio) è sembrata plausibile, dalle parole di Del Neri (da una parte) e di Silvano Martina (agente del giocatore, dall’altra) si può intuire come il rapporto tra il club e il portiere, in questo particolare momento, è più nero che bianco.

Fuori (anche) Amauri febbricitante, farà il suo ritorno sul campo Fabio Grosso (giocò l’ultima partita con la Juventus a metà luglio, nell’amichevole estiva contro l’Amburgo).
Seguendo il tracciato della linea verde voluta della società e per far fronte alla impressionante lista di indisponibili, oggi ci sarà il debutto di Frederik Sorensen, difensore danese prelevato dal Lyngby e attualmente in forza nella Primavera allenata da Giovanni Bucaro, dopo le apparizioni dello scorso giovedì di Liviero, Buchel e Giannetti e l’esordio dal primo minuto di Giandonato (che aveva già giocato con Zaccheroni il 6 febbraio scorso a Livorno, entrando in prossimità della fine dell’incontro).

Dalle formazioni giovanili al salto in prima squadra: negli ultimi anni l’unico giocatore in grado di reggerne l’urto, confermandosi nel tempo come un elemento di forza della Juventus, è stato il solo Claudio Marchisio. Dirottato Giovinco a Parma e con De Ceglie che stava iniziando proprio in questo periodo a ritagliarsi uno spazio importante (prima di infortunarsi), la Vecchia Signora - dovendo fare di necessità virtù - cercherà di trovare valide alternative agli acquisti di giocatori prelevati da altri club proprio con l’impiego dei suoi ragazzi più giovani, nella speranza di poter allacciare un contatto tra la squadra maggiore e quella minore che - negli ultimi anni - non ha portato gli effetti sperati.

In un centrocampo orfano di Krasic (e Martinez) e dove il "jolly" Pepe si stabilirà sulla fascia destra, riprenderanno le loro posizioni Aquilani e Felipe Melo: il primo era assente giovedì in Europa League in quanto (temporaneamente) inutilizzabile in quella manifestazione, il secondo perché vittima di un affaticamento muscolare.

"La mia Juventus si esalta nelle difficoltà, questo posso garantirlo sempre".
Così parlò Del Neri prima dell’incontro col Salisburgo. Dove la squadra non andò oltre un pareggio senza reti. Né fatte, ma neanche subite. Nonostante la contemporanea presenza di tre ragazzi provenienti dalla Primavera in campo. Ad oggi, questo è il bicchiere "mezzo pieno" dell’allenatore bianconero.
Che ora va riempito con tre punti.

Probabili formazioni:
Juventus (4-4-2): Storari; Motta, Bonucci, Sorensen, Grosso; Pepe, Melo, Aquilani, Marchisio; Quagliarella, Del Piero.
A disposizione: Costantino, Camilleri, Salihamidzic, Sissoko, Iaquinta, Lanzafame, Giannetti.

Cesena (4-3-2-1): Antonioli; Ceccarelli, Von Bergen, Benalouane, Lauro; Schelotto, Appiah, Parolo; Jimenez, Giaccherini; Bogdani.
A disposizione: Cavalieri, Pellegrino, Fatic, Nagatomo, Gorobsov, Piangerelli, Rodriguez.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

La stella di Boniek. A chi la diamo? (Vol. 2)


Vade retro, Zibì. Una sommossa popolare come nemmeno ai tempi di Stankovic dato per bianconero: decine di petizioni per impedire che una delle 50 stelle che "accenderanno" il nuovo stadio, dedicate ad altrettanti campioni della nostra storia, venga assegnata al polacco, colpevole di averci odiato troppo, da quel dì che se ne andò.
Chi al suo posto, però? Quale eroe dimenticato, più di tutti, merita quel posto d'onore?
Una discussione ancora più caotica e appassionata: ogni juventino ha il suo. E siccome noi Teamster siamo tanti, ci siamo prestati al giochino e, uno per uno, abbiamo acceso la nostra personale Stella, sperando di rappresentare tutte le opinioni. Diteci la vostra su Facebook!


Signor Presidente (Domenico Laudadio) - Signor Presidente, siamo qui a chiederLe una stella per 39 cittadini del cielo che furono vidimati dal sangue e dall'odio dei barbari e dalla vita per sempre sfrattati, laceri e in stracci in quella curva dell'Heysel. Le chiediamo dignitosamente un segno perenne a nome di chi si smarrì in quel viaggio, di chi li amò e non ebbe più lacrime per piangerli, e di chi non li ha mai dimenticati. Le sussurriamo dolcemente da uno a trentanove quei cari nomi... Presidente, in fondo Le chiediamo soltanto una piccola stella, per celebrarne ai posteri la memoria ed il vanto di onorarli nel nostro firmamento in bianco e nero come l'astro più intenso.

A tutti gli altri, per farli sentire qualcuno (Trillo) - Come un monumento al Milite Ignoto, troverei giusto lasciare lo spazio di una stella per loro, gli avversari. Tutti. Italiani, stranieri, dai più titolati ai più modesti, sarebbe bello che ci fosse uno spazietto anche per loro. Perché sarebbe giusto, in fondo, rendere l'onore delle armi a chi, perdendo, ti ha reso grande per sempre. Una stella senza nome, di tutti e di nessuno. Perché noi siamo la Juve, ma non sarebbe giusto farlo pesare a chi non lo è. Alla faccia di chi ci trova antipatici, uno spazio permanente dentro la nostra Casa. Perché possano sentirsi qualcuno.

A chi la stella ce l’ha fatta vincere (Thomas Bertacchini) - Vogliamo dare un’occhiata alla nostra storia? Allora potremmo dare il giusto premio a William “Liam” Brady: due anni alla Juventus (dal 1980 al 1982), conditi da due scudetti consecutivi.
I tifosi si innamorarono prima delle giocate del suo piede sinistro, per poi scoprire - poco alla volta - le qualità di un uomo vero. Non si tirò indietro il 16 maggio del 1982, a Catanzaro, quando si trattò di tirare il rigore decisivo non soltanto di una singola partita, ma di un campionato intero. Conoscendo già il suo destino: se ne sarebbe dovuto andare via da Torino. C’erano due giocatori ai quali avrebbe dovuto fare spazio: Platini e Boniek. Appunto. Quel goal dal dischetto fruttò il ventesimo titolo alla Vecchia Signora. E la seconda stella. Giusto per rimanere in tema.

La stella cometa (Riccardo Gambelli) - Io scelgo Andrea Fortunato, la stella cometa, il campione che volava sulla fascia sinistra, con l'orgoglio di essere arrivato ad indossare la casacca bianconera, quella che sognava da bambino. Scelgo lui per i suoi occhi malinconici che leggevano il suo tragico futuro, scelgo lui per il coraggio che ha dimostrato nel combattere una malattia terribile dal nome "leucemia", scelgo lui perché è sempre nei miei ricordi, scelgo lui perché ci ha lasciati troppo presto, scatenando in tutti noi quei terribili sentimenti contrastanti: dolore immenso e rabbia, che portano a chiedersi perché debba morire un ragazzo così giovane.
Scelgo lui per tutto questo e non mi preoccuperò se la sua stella non verrà posta nel nuovo stadio, perché mi basterà alzare gli occhi verso il cielo per poterla scorgere: è lassù e brilla sempre.

L'idolo dei mala tempora (Claudio Amigoni) - Arrivò dal Bayern con le credenziali di uno fra i migliori interpreti del ruolo a livello planetario. Le battaglie nel nostro campionato lo forgiarono ulteriormente, facendolo diventare quel guerriero duro che incuteva timore agli avversari con la sua sola presenza e il suo sguardo truce. Vinse uno scudetto non recitando la parte da attore protagonista, panni indossati in altre stagioni più sfortunate alla Juve, soprattutto in quella che portò il club alla conquista di una delle tre Coppe UEFA che ne impreziosiscono la bacheca. Campione del Mondo nel '90, con la sua Nationalmannschaft strozzò in gola agli italiani l'urlo delle Notti Magiche. Jürgen Kohler fu un trascinatore. Tante stelle a chi ci ha fatto vincere, insomma, ma una stella anche a chi ha contribuito a mantenere dignità e reputazione quando la Juve perdeva. Quasi da solo.

La stella del Coraggio (Angelo Ribelle) - Incredibile la dimenticanza di uno juventinovero come Tino Castano, che della Juventus è stato forse uno degli emblemi più compiuti: antidivo per antonomasia, campione per bravura, correttezza abbinata alla necessaria 'cattiveria', all'intelligenza, ad uno stile e un modo di essere, dentro e fuori dal campo, tipicamente juventini, di quella Juve della prima Stella in cui entrò giovanissimo a soli 19 anni. Ma non solo: campione anche per il grandissimo coraggio e la voglia di non arrendersi mai, neanche alla malasorte: a 22 anni la sua carriera era data praticamente per finita a causa delle sue ginocchia di vetro, plurioperate e rimesse insieme per puro miracolo: e divenne il centromediano con i bulloni. Niente lo fermò: c'era lui in quella difesa che supportava l'attacco del trio Boniperti-Charles-Sivori, e c'era ancora lui, un decennio più tardi, nella Juve operaia di Heriberto, lui, l'impeccabile capitan Tino, con il suo senso tattico unito all'agonismo e ad una volontà tanto ferrea da sconfinare nello stoicismo, a serrare i denti in coppia con Berceroccia, Giancarlo Bercellino, un altro dimenticato illustre: Tino la mente, Berceroccia la forza pura. Due juventini doc, due stelle che brillano di luce propria, a dispetto della labilità della memoria umana.

Tedesco? Forse (Nino Ori) - Arrivò alla Juve da Bologna nel '68. Haller, il tedesco meno teutonico della storia, non era più un giovincello (29 anni) e il fisico un po' rotondetto denunciava una certa tendenza ad eccedere nei piaceri della vita (buona cucina, alcool, fumo, donne). L'intelligenza, la visione di gioco e il tocco di palla erano però quelli di un fuoriclasse assoluto, di una stella di primaria grandezza. Si mise al servizio della squadra, facendo da chioccia alla nidiata di giovani campioni portati alla corte della Signora dalla gestione Boniperti-Allodi. E accettò con grande disponibilità, dopo la malattia di Bettega nel '71/'72, di improvvisarsi spesso seconda punta atipica, dietro ad Anastasi e davanti al barone Causio, suo allievo prediletto. Un pezzo importante di quello scudetto (il 14°) lo dobbiamo a lui. Riservare una stella a chi ha contribuito sul campo alla crescita umana, tecnica e tattica di tante nostre stelle è doveroso.

Al sogno di giocare nella Juve (Patrizia Gai) - Riccardo e Alessio, che in un pomeriggio come tanti altri, a Vinovo, hanno perso la possibilità di continuare a sognare, di rincorrere quel pallone oggetto di speranze di tanti giovani, a causa di un destino perverso e crudele. Un tiro impreciso, un pallone che rotola nel punto sbagliato, il buio, la terra scivolosa e l'acqua gelida. Quel pallone, che appariva loro come un futuro brillante e felice, li ha uniti in un tragico epilogo.
La Stella deve avere i loro nomi: perchè lo sport non è solo sudore, muscoli e competitività, è soprattutto onestà, correttezza, rispetto e voglia di migliorare e di migliorarsi.

Il nostro Forrest Gump (inunmondoche) - Trovo sinceramente un po' cobolliana l'esclusione dal firmamento juventino di quei giocatori che hanno lasciato la Juve nel 2006, e tanto più nel caso di Gianluca Zambrotta che, è bene ricordarlo, fu ceduto per comprensibilissime ragioni economiche, senza che mai gli venisse proposto di restare. Vero: disse una frase un po' infelice su Calciopoli, ma con i vari Tardelli e Boniek sarebbe stato tutto sommato in buona compagnia. L'operazione di riscrittura della storia tra fedelissimi e infami non può funzionare con quello che, vestendo la nostra maglia, è stato per 5 anni il miglior terzino sinistro del pianeta, un professionista esemplare, una colonna della Juve vincente, il nostro più grande orgoglio in Nazionale, dove per 3 competizioni consecutive è stato tra i migliori Azzurri, laureandosi infine Campione del Mondo. Quando lo acquistò, Moggi disse che lui "non comprava i nomi, ma i giocatori". Zambrotta lo ripagò e fu suo speciale orgoglio; in quelle dannate intercettazioni lo sentiamo gongolare con Lippi, che lo indica come il più forte degli Azzurri, rispondendo:"e sta solo al 40% !". Carattere schivo, assai poco loquace, Zambrotta non fu, come tanti nella Juve, un giocatore normale che, inserito nella nostra fabbrica, diventò molto forte. Zambrotta fu un normale che diventò campionissimo, un protagonista assoluto della nostra Storia. Un po' come Forrest Gump. Certo, ha detto qualcosa di stupido, ma "stupido è chi lo stupido fa". E lui con noi ha fatto solo cose intelligenti.

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Ps: qui potete trovare la prima parte