mercoledì 30 novembre 2011

Un pari che ha il sapore di una vittoria

Alla fine del primo tempo della supersfida del San Paolo nessuno di noi pensava che sarebbe potuto accadere quello che poi si è verificato nella seconda frazione di gioco. Non tanto perché la Juventus era sotto di due reti, ma perché, nonostante un buon inizio, la squadra sembrava essersi persa proprio nel momento in cui ci si aspettava che potesse prendere il sopravvento, vale a dire dopo il rigore sbagliato da Hamsik nato da un quanto mai raro errore di Pirlo che, superato da Lavezzi in dribbling, lo atterrava piuttosto ingenuamente in area.

Quello sarebbe stato probabilmente il momento ideale per approfittare dello smarrimento susseguente all’errore dal dischetto e colpire il Napoli per far assumere alla gara una piega positiva per la Vecchia Signora. Invece, in modo del tutto insolito rispetto a quanto ci eravamo abituati a vedere nelle ultime partite, i giocatori bianconeri sembravano aver smarrito la loro sicurezza e la loro grande capacità di imprimere al match ritmi altissimi. L’impressione era che si fosse perso il bandolo della matassa e quella capacità di manovrare e sviluppare gioco tanto apprezzata da Arrigo Sacchi. Complici due incertezze difensive la Juventus si è trovata sotto di due gol e via, tutti al riposo. I fantasmi del passato sono apparsi di nuovo sullo schermo delle nostre televisioni, ed aleggiavano nello stadio e c’era un po’ di paura che questo maledetto tabù del San Paolo anche quest’anno non sarebbe stato sfatato (nel senso che si sarebbe perso di nuovo). Ad onor del vero, in fondo al mio cuore almeno, nonostante il mio pessimismo di base c’era la sensazione che non tutto fosse perduto. Ma era, appunto solo una sensazione.

Probabilmente nell’intervallo Antonio Conte deve aver fatto tremare lo spogliatoio (cosa confermata a fine gara da diversi giocatori) ed in campo, dopo la pausa, è entrata un’altra Juve, la Juve arrembante che in questo primo scorcio di stagione siamo abituati a vedere, la Juve che ci crede, che non molla mai e dopo la rete di Matri credo che tutti noi Juventini abbiamo pensato: “Ora possiamo anche perdere, ma quello che vogliamo è questo!! E cioè una squadra che non accetta passivamente la sconfitta e che nella sua mente ha l’idea di lottare comunque e sempre!”.

Ho contato circa 24 minuti in cui c’è stata solo una squadra in campo, in cui gli schemi dettati dal mister si sono rivisti in tutto e per tutto, con Vidal splendido protagonista sia come incontrista sia come ispiratore della manovra, un Estigarribia finalmente dentro il gioco e non solo fermo a contrastare le avanzate di Maggio, un Pepe entrato nel ruolo di Marchisio e un Vucinic finalmente concreto. Un’altra leggerezza difensiva, che nulla toglie alla prodezza di Pandev, permetteva al Napoli di riallungare le distanze, ed è lì che la Juventus, mai doma ha tirato prepotentemente fuori gli attributi agguantando un pari che ha veramente il gusto ed il sapore della vittoria, vittoria che con più lucidità si sarebbe addirittura potuta ottenere nel finale, visto che il Napoli, fiaccato dai ravvicinati impegni europei e di campionato appariva in confusione. Ma a volte bisogna sapersi accontentare e valutare la grande reazione e la grinta della squadra, anche se c’è ancora da lavorare affinché l’approccio alla gara sia sempre quello della ripresa e non quello più molle del primo tempo.

Vorrei concludere sottolineando in breve ciò che ho sentito dire a fine gara dal Presidente De Laurentiis che, a differenza di un oggettivo Mazzarri, si è lamentato per il rigore fatto ripetere dall’arbitro Tagliavento,nel rispetto del regolamento. Comprensibile la delusione di un presidente che tanto ha dato e continua a dare a questa società, ma questo mi sembra davvero eccessivo.


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lunedì 28 novembre 2011

Di Livio, Pepe e le storie che si ripetono

In un certo senso mi rivedo in lui. È un giocatore che dà sempre tutto e che può giocare sia a destra che a sinistra: rispetto a me ha forse più confidenza con il goal, ma è un giocatore che apprezzo soprattutto perché ha sempre in testa il bene della squadra e che è anche molto attento dal punto di vista tattico. Senza dimenticare poi che il rapporto qualità-prezzo potrebbe agevolarne l’arrivo in bianconero…”. Così Angelo Di Livio, il “Soldatino” arruolato da Madama negli anni novanta, descrisse Simone Pepe a fine maggio del 2010.
Pochi giorni dopo la Juventus decise di prelevarlo dall’Udinese, la sua precedente società. Si trattava del primo acquisto della nuova “era Agnelli”, che fece storcere il naso a coloro i quali si aspettavano un esordio col “botto” da parte del neo presidente: se Umberto, il padre, aveva viziato i tifosi con John Charles e Omar Sivori all’epoca in cui giovanissimo prese in mano le redini della Vecchia Signora, come poteva Andrea presentarsi ai sostenitori con bianconeri con calciatori del calibro di Simone Pepe?

Iniziarono allora i primi paragoni tra il nuovo arrivato e Di Livio, nella speranza che la storia, spesso fatta di corsi e ricorsi, potesse decidere di scrivere pagine identiche per le carriere di due calciatori che avevano intrapreso un percorso, in momenti differenti, abbastanza simile.
Entrambi sono cresciuti nelle giovanili della Roma, sono arrivati alla Juventus all’età di 27 anni e sul campo si sono dimostrati duttili e pronti ad esaudire i desideri degli allenatori di turno. Nelle formazioni estive, quelle macchiate dalle voci di mercato e dai pronostici fatti sotto l’ombrellone, i loro nomi hanno il triste destino di scomparire dalle formazioni titolari per finire, a volte, nella casella delle “probabili partenze”.

Poi, all’atto dell’avvio di ogni stagione, tornano di moda, e ci si accorge soltanto in quei momenti della stima maturata agli occhi dei rispettivi tecnici: Conte, che con Di Livio ha condiviso più di un centinaio di partite nella linea mediana bianconera, conosce benissimo il peso specifico di calciatori dalle caratteristiche paragonabili a quelle di Pepe nell’economia di gioco di una squadra. Prova ne sia che fu lui stesso, mesi or sono, a far concludere la telenovela di un suo possibile trasferimento allo Zenit San Pietroburgo guidato da Luciano Spalletti.

Di Livio, col tempo, divenne uno dei gregari per eccellenza di più Juventus infarcite di fuoriclasse; Pepe, viceversa, giunse a Torino in una squadra costruita più sulla “quantità” che non sulla “qualità”. Per quest’ultima si è dovuto attendere quasi un anno, vale a dire sino all’annuncio ufficiale del primo giocatore arrivato sotto la Mole nella scorsa sessione di calciomercato estiva: Andrea Pirlo.

Pepe il nuovo Soldatino? Io ti devo dire che mi rivedo molto in lui: sa giocare in difesa e attacco, sta sempre nel posto giusto”. Dopo la vittoria interna dei bianconeri contro il Milan del 2 ottobre, ai microfoni di “Sky Sport 24” lo stesso ex centrocampista di Madama ha ribadito la propria opinione nel merito.

Nel recente trionfo della Vecchia Signora contro la Lazio l’apporto di Pepe non si è limitato alla realizzazione del goal decisivo, ma si è esteso alla sostanza garantita per tutto l’arco della sua permanenza sul campo. Anche il 2 maggio 2011, sempre a Roma contro i biancocelesti, il giocatore andò ad esultare mimando un colpo da golfista nella pista di atletica posta sotto lo spicchio riservato ai tifosi juventini: in quel caso, però, si trattò dell’ultimo successo bianconero in campionato. La posizione occupata in classifica dalla Juventus dopo quella gara era la settima, la stessa mantenuta a fine torneo.

L’immediato futuro di Madama sarà svelato da quanto accadrà allo stadio “San Paolo” nella serata di martedì 29 novembre, nel recupero dell’incontro dell’undicesima giornata tra bianconeri e partenopei. Pepe, in odore di squalifica in quanto diffidato, non mancherà all’appuntamento a differenza di Marchisio, ammonito a seguito di una trattenuta sul laziale Hernanes.

A onor del vero Di Livio, rispondendo ciclicamente alle consuete domande su Pepe, ha aggiunto altre considerazioni interessanti: “Sì, lo ammetto: mi ricorda la mia Juve, questa squadra di Conte” (4 ottobre), “Questa Juve deve puntare a vincere il campionato, ha ritrovato fame, voglia e umiltà. Inizia a piacermi molto, ma manca ancora la convinzione e la consapevolezza nella vittoria” (21 novembre), “Si sta rivedendo la vecchia Juve grintosa, combattiva non molla mai niente anche nei momenti di difficoltà” (27 novembre).
Questa, però, è tutta un’altra storia…

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domenica 27 novembre 2011

Carattere e personalità

Seguendo in tv la partita di ieri sera direi che la sintesi e l’essenza dell’approccio mentale della Juventus alla gara sono, a mio modo di vedere, racchiusi totalmente in due momenti: innanzitutto nell’assoluta volontà di Andrea Pirlo di esserci e di scendere in campo, nonostante il fastidio al ginocchio che ne aveva messo in dubbio la presenza fino all’ultimo, mostrando nell’occasione il piglio del leader e del condottiero, oltre al suo già consolidato ruolo di regista e faro illuminante del gioco dei bianconeri; attraverso il suo sacrificio personale ha caricato i propri compagni, indicando quale deve essere l’atteggiamento di chi vuole vincere.

Il secondo momento, per chi è riuscito a notarlo nella concitazione del match, è un gesto di Lichtsteiner, compiuto nella seconda frazione di gioco, quando il terzino svizzero, che si sta dimostrando, in questo periodo, il miglior laterale destro del campionato, con una scivolata riusciva a chiudere l’avversario (non ricordo chi fosse) che stava per scagliare la palla verso la porta di Buffon praticamente a colpo sicuro. Non appena deviata la palla in calcio d’angolo il buon Stephan si è alzato esultando con il pugno chiuso come se avesse appena segnato un gol. Probabilmente questo è l’atteggiamento che Antonio Conte chiede a tutti i suoi uomini e che sta trasmettendo loro, questo è l’atteggiamento che la Juventus sta mettendo in campo fino ad ora e che le sta permettendo di essere meritatamente in vetta alla classifica.

Carattere e personalità, come recita il titolo di questo post, sono due caratteristiche che sembrano appartenere a questa squadra. Eppure ieri sera si è sofferto, soprattutto nel secondo tempo, quando nei primi venti minuti della ripresa la Lazio è uscita fuori dal suo guscio costringendo la Juve a difendersi, quasi ad arroccarsi dietro, anche se i bianconeri non hanno mai rinunciato a giocare il pallone ed a ripartire non appena possibile, mantenendo sempre la calma e riuscendo fuori nella seconda parte del secondo tempo creando altre occasioni da rete e cogliendo il palo con Matri, il quale sta dimostrando, gara dopo gara, di poter fare anche reparto da solo, riuscendo a tenere palla, a far salire la squadra e, oltre a realizzare gol importanti, anche a fornire assist preziosi come quello per il gol di Pepe.

Certo ieri è stata molto dura, sia perché la Lazio è stato un avversario veramente ostico e duro, sia soprattutto perché troppo spesso la Juve non riesce a chiudere la partita, o comunque a farla incanalare su binari di maggior sicurezza, e questo è un aspetto che va perfezionato al più presto, perché quando ci sarà un calo fisico e si attraverserà un momento meno brillante, sarà fondamentale concretizzare le occasioni da rete che si creano. Inoltre c’è da dire che in difesa si corre qualche pericolo di troppo, e quasi sempre per la sbavatura del singolo, più che per effettive difficoltà create dall’avversario di turno.
Ora la Juventus è attesa da una partita delicatissima e dovrà affrontarla senza uno degli uomini chiave della stagione, Claudio Marchisio. Speriamo che chi lo sostituirà sarà all’altezza della situazione.


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giovedì 24 novembre 2011

Villas Boas, Conte e la ricetta per vincere

La testa dell’allenatore è pronta per l’esecuzione, quando non ci sono i risultati”. Parole e musica (triste) di André Villas Boas, tecnico portoghese di quel Chelsea sconfitto a Leverkusen dai padroni di casa lo scorso mercoledì di Champions League col risultato finale di 1-2.

Su di lui i Blues in estate hanno deciso di puntare forte: 15 milioni di euro, per la precisione, vale a dire l’importo della clausola rescissoria che legava l’allenatore al Porto, il suo precedente club, con il quale la scorsa stagione ha fatto incetta di trofei nazionali ed europei. Roma, Juventus e Inter dovettero abbandonare anzitempo l’idea di accettare una scommessa troppo cara per un campionato come quello italiano che non può più permettersi certi lussi.

Devo tutto a Bobby Robson. Il divorzio da Mourinho? Dovevo seguire la mia ambizione”. Alla vigilia della finale dell’Europa League conquistata ai danni dello Sporting Braga si smarcò in questo modo, netto e deciso, dall’ombra dello “Special One”, lui che venne definito “Two”, il numero due, proprio perché stava dimostrando con i fatti di poter proseguire con le proprie gambe una carriera da predestinato. Da stretto collaboratore a suo avversario, il passo ormai era stato compiuto. Con il beneplacito del vecchio José, che poche ore prima aveva recapitato un messaggio di complimenti a Domingos Paciência, l’altro mister di quella sfida.

Un pensiero particolare va a Pep Guardiola. Lui per me è una continua fonte d’ispirazione, e lo sa. Per questo gli dedico questa vittoria”. Bastò poco a Villas Boas, nei momenti immediatamente successivi il trionfo di Dublino dello scorso 18 maggio, per chiudere momentaneamente la querelle con l’ex maestro.

Le difficoltà riscontrate anche in Premier League hanno fatto risuonare nuovamente le voci sul possibile ritorno al Chelsea di Guus Hiddink. Va ricordato che, per motivi differenti, non sono comunque mancate polemiche anche sul recente operato di altri suoi illustri colleghi: Arsène Wenger (Arsenal), Alex Ferguson (Manchester United) e Roberto Mancini (Manchester City).

Su quest’ultimo, poi, pesa come un macigno la frase pronunciata dal patron del Napoli De Laurentiis dopo la sconfitta subita dagli inglesi allo stadio “San Paolo”: “Visto? Non si fa tutto con i soldi”.
In quei casi, chi “paga” è sempre il tecnico. Che avrà comunque un’intera stagione per rifarsi, magari vincendo il campionato, sempre che i Citizens non riescano a rimanere in corsa anche nell’attuale edizione della Champions League.

Il calcio molte volte è imprevedibile, può bastare poco per cambiare il corso della storia: quella del Milan stellare di Arrigo Sacchi iniziò grazie alla nebbia calata su Belgrado nel corso di una partita che stava vedendo i rossoneri in svantaggio di un goal. La ripetizione della stessa consentì poi al Diavolo il passaggio del turno dopo la disputa della lotteria dei calci di rigore.

Mentre gli eterni rivali “spagnoli” Guardiola (Barcellona) e Mourinho (Real Madrid) rischiano di fare incetta di titoli anche quest’anno (Bayern Monaco permettendo), sabato prossimo in Italia Edy Reja e Antonio Conte si affronteranno a viso scoperto per giocarsi la momentanea leadership della serie A.
Lo scorso 19 settembre l’allenatore dei biancocelesti arrivò a Formello per rassegnare le proprie dimissioni, salvo rinunciarvi su richiesta di Lotito e dei giocatori. Nell’arco di quasi due mesi si è ritrovato in vetta alla classifica, in compagnia di una Vecchia Signora che ha ripreso confidenza con l’alta quota.

Di mesi ne sono passati ventiquattro dal momento in cui Antonio Conte sfiorò la panchina della Juventus (dopo un incontro infruttuoso con Jean Claude Blanc), per poi aggiudicarsela a seguito dell’ennesima rivoluzione bianconera. Lui stesso, nel merito, era stato profetico i primi giorni di novembre del 2008: “Di sicuro, se entro 3 o 4 anni non sarò arrivato ad alti livelli, lascerò perdere”.
La sua ricetta per vincere è semplice: “Un grande allenatore lo fa una grande società e grandi giocatori, sono loro i protagonisti assoluti”.
Da quest’orecchio, però, i presidenti non ci sentono bene.
Oppure, semplicemente, fingono di non sentire.

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mercoledì 23 novembre 2011

Un bianconero a Roma: mi presento


Carissimi fratelli Bianconeri, anticipando la richiesta del creatore di questo splendido blog, avevo già optato per inserire nel presente post di prova l'immagine del mio avatar. Immagine che, scattata nel settore ospiti lo scorso anno allo Stadio Olimpico di Roma, in occasione della partita Roma - Juventus, racchiude e rappresenta in pieno la mia essenza di cittadino romano da diverse generazioni e, al tempo stesso, e forse ancor di più, di tifoso Juventino. Quando, durante la gara, nel bel mezzo di una ripresa panoramica dello stadio, l'ho vista, sono stato assalito da un vero colpo al cuore, da un'emozione profonda, perché per me è stato come vedere il mio volto su quello striscione scritto a mano, è stato come se io stesso gridassi a tutto il mondo quello che sono con l'orgoglio di un vero gobbo nell'anima, e per me era quasi uno sberleffo alla tifoseria avversaria con la quale combatto (dialetticamente, s'intende) e discuto da poco meno di quarant'anni, cioè da quando sono entrato in possesso dell'uso di quel poco di ragione che la natura mi ha concesso. Il giorno successivo alla gara mi sono messo a cercare questa foto dovunque sul web e, quando sono riuscito a trovarla, l'ho fatta mia ed ora me la tengo stretta e la mostro a voi come un vero biglietto da visita. Il biglietto da visita di un Bianconero a Roma.



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Conte e la ricerca dello spirito Juve

A differenza di altre occasioni, nella ripresa siamo entrati con il piede giusto e abbiamo chiuso la sfida in un quarto d’ora”. Sono bastate poche parole a Claudio Marchisio per descrivere ai cronisti presenti domenica pomeriggio nella pancia dello “Juventus Stadium” lo spirito con il quale la sua squadra si era appena divorato il Palermo.
A proposito di spirito, va ricordato come durante i primi giorni del ritiro precampionato di Bardonecchia Antonio Conte era stato chiarissimo: “Al di là dell'organizzazione tecnico-tattica, vogliamo trovare quanto prima lo spirito Juve: voglia di combattere e attaccamento alla maglia. Essere qui implica il dovere di vincere”.

Ritrovarsi dopo quattro mesi in vetta alla classifica in compagnia della Lazio (che, nel frattempo, ha disputato un incontro in più) potrebbe indurre a pensare che il nuovo allenatore bianconero abbia finalmente trovato – dopo anni di delusioni - il vestito ideale per la Vecchia Signora. Il diretto interessato, ovviamente, sposta il momento delle verità sempre più lontano nel tempo, giusto il necessario per non far perdere la fame di vittorie ai suoi uomini: “Alla fine del girone d’andata tireremo le somme e capiremo dove possiamo arrivare”.

Nelle ore precedenti la partita col Palermo, lo stesso Conte l'aveva definita “una finale di coppa del mondo”. A deciderla a favore dei padroni di casa sono stati tre giocatori protagonisti di storie diverse tra loro: quella di Pepe, che in estate si era trovato sulla lista dei partenti salvo restare a Torino per volontà del tecnico; quella di Marchisio, cui in molti attribuirono ad inizio stagione un ruolo di panchinaro di lusso nonostante il tecnico (ancora lui) continuasse a dimostrargli ripetutamente (e pubblicamente) la propria fiducia; quella di Alessandro Matri, il goleador, la soluzione ai problemi offensivi di Madama, il quale ha saputo ritagliarsi poco alla volta uno spazio importante all'interno del gruppo.

Raggiunte le tre vittorie consecutive (l’ultimo precedente risale allo scorso campionato, in concomitanza del trittico di gare del girone di ritorno con Brescia, Roma e Genoa), la Juventus adesso punta dritta al big match di sabato prossimo contro la Lazio per continuare la sequenza di successi. Dovesse riuscire nell’intento, ripeterebbe quanto fatto due stagione or sono dalla squadra allora guidata da Ciro Ferrara, che si fermò a quota quattro nelle prime partite della stagione 2009/10.

Fedele alla propria tradizione, quella formazione era stata concepita con un'ossatura tutta italiana sulla quale, però, in controtendenza rispetto al passato vennero inseriti tre brasiliani: Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha e Amauri Carvalho de Oliveira. Quest'ultimo, al secondo anno in bianconero, era in attesa di ottenere la cittadinanza del nostro paese.

Per un club come quello torinese che dal 1897 sino a quel momento aveva acquistato soltanto tredici calciatori provenienti da quella nazione, si poteva tranquillamente parlare di una scommessa.
Persa, vista poi la penuria di risultati conseguiti. Di quel trio, ad oggi, è rimasto il solo Amauri, diventato italiano a tutti gli effetti e retrocesso ad allenarsi con la formazione Primavera in attesa di essere ceduto nella prossima sessione invernale di calciomercato.

Lo scorso gennaio finì al Parma, andandosene da Torino con un dubbio: "Ora vedremo se il colpevole sono io". Rientrato alla base, la musica non è cambiata: "Sono arrivato carico e dopo due giorni sono tornato all’incubo di nuovo. Cosa è successo in quei due giorni? Me lo domando anch’io. Comunque se c’è una cosa che mi ha fatto male sono stati i cori dei tifosi", ha confessato in una recente intervista concessa in esclusiva a "Sky Sport 24".
Finito nel gruppo di quei tesserati dei quali la società si sarebbe liberata volentieri mesi fa per motivi sia tecnici che economici, il successivo scontro frontale (e verbale) col club ha prodotto il risultato di creare un danno ad entrambe le parti in causa.

Innamorato della propria creatura prima ancora di averla plasmata sul campo, sempre a Bardonecchia Conte lanciò un messaggio esplicito, nel merito: "Per me, i giocatori che sono qui sono i migliori del mondo". Nella sua lista personale erano presenti Pepe, Marchisio e Matri, non Amauri.
Bastava credergli sulla parola per capirne le reali intenzioni.

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venerdì 18 novembre 2011

Diavolo d'un Trap


Lo scorso 17 marzo sono stati celebrati i festeggiamenti per ricordare i 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia. Nello stesso giorno uno dei figli del nostro paese più conosciuti ed apprezzati in ambito sportivo, vale a dire Giovanni Trapattoni, ne compiva 72.
Le pagine dei quotidiani, a distanza di quarant’otto ore dall’evento, davano ancora risalto alla notizia dell’ultima vittoria in Champions League dell’Inter allenata dal brasiliano Leonardo, ottenuta contro i tedeschi del Bayern Monaco allo stadio “Allianz Arena” col risultato finale di 3-2.

Ideatore del famoso schema “4-2-fantasia”, guidato dal proprio spirito di vita “Toda joia toda beleza” e con l’eterno sorriso stampato sul volto, Leonardo Nascimento de Araújo era riuscito nell’intento di catturare le simpatie dell’ambiente nerazzurro. Non si poteva certo considerare un’impresa facile, la sua, ripensando agli avvenimenti del recente passato: dopo aver trascorso tredici anni al Milan (da giocatore, dirigente e tecnico) il passaggio all’altra sponda del Naviglio non venne visto con occhio benevolo da nessuna delle due parti in causa.
Terminata la stagione all’Inter consegnò a Massimo Moratti una squadra senza un tecnico: partì - infatti - per Parigi, nuova tappa di un “giramondo” del pallone poco propenso a legare la propria carriera ad una singola società, figurarsi ad una panchina. Ad oggi non sono molti i tifosi della Milano calcistica che ancora lo rimpiangono.

Giovanni Trapattoni, dopo aver trascorso una vita da mediano nel Milan e studiato da apprendista allenatore in casa del Diavolo, contribuì alle fortune della Vecchia Signora portandola sulla vetta del mondo, proprio lei che prima del suo arrivo a Torino non era mai riuscita a vincere nessun trofeo oltre i confini della nostra penisola. Conclusa l’esperienza bianconera passò all’Inter, dove continuò a mietere successi per poi tornare alla Juventus in compagnia di Giampiero Boniperti, nella speranza di spezzare l’egemonia del Milan berlusconiano. Il tentativo fallì, ma nel frattempo aveva comunque riaperto la bacheca di Madama per inserirvi dentro un’altra Coppa UEFA.
Iniziò poi una sequenza (quasi) infinita di avventure, senza perdere la confidenza con le vittorie. In ordine sparso: Germania, Austria, Portogallo, Cagliari, Firenze, la nazionale azzurra e – adesso – quella irlandese.
Per conto della quale lo scorso martedì è riuscito a riparare alla beffa della mancata qualificazione al mondiale disputato in Sudafrica nel 2010 (clamoroso fallo di mano non visto del francese Henry) consentendo ai verdi di staccare il biglietto per le fasi finali del prossimo Europeo che si svolgeranno sia in Polonia che in Ucraina.

Laddove sarà il tecnico più anziano tra i presenti, fatto che – ovviamente – non lo preoccupa assolutamente: “Sono come il vino: più invecchia più diventa buono. E poi ho l’esperienza per affrontare qualsiasi situazione: più boschi giri, più lupi trovi”. Ecco, le sue battute: da “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” a “non compriamo uno qualunque per fare del qualunquismo”, passando per “quando ti abitui allo zucchero non accetti più il sale”. Non sono certo le uniche, queste: all’elenco ne mancano tantissime altre ancora. Senza dimenticare i monologhi, il più famoso dei quali – quello che ebbe come sfortunato protagonista il giocatore tedesco Strunz – è passato alla storia del giornalismo, non solo sportivo.

C’è un filo conduttore che lega tutte le esperienze di Trapattoni: il rispetto che è riuscito ad ottenere in ogni luogo dove ha lavorato. E’ un privilegio riservato a poche persone, che non cade direttamente dal cielo dato che lo si può ottenere soltanto attraverso la serietà e l’applicazione quotidiana nei propri compiti.

Nel 2006, durante il periodo in cui prestò la propria attività da allenatore e direttore tecnico dei Red Bull Salisburgo, nel merito rilasciò una dichiarazione illuminante: “A qualsiasi livello, bisogna sempre insegnare. Non mi sento svalutato, qui. Tutto ciò che ho sempre conquistato, l’ho costruito con l’umiltà del lavoro. La soddisfazione è enorme se il mio disegno diventa di successo. Non sento differenze nel vincere davanti a 80 mila spettatori a Milano o a Lisbona, oppure con i 5 mila di Ried. Sono felice quando vedo che la fatica di ogni giorno contribuisce a centrare il traguardo. Sempre e ovunque”.
Diavolo d’un Trap: se a fine carriera tornerà a Milano per allenare i ragazzini rossoneri, come confidò lui stesso tempo fa, verrà sicuramente accolto a braccia aperte nonostante la moltitudine di altre esperienze vissute dal momento del suo addio a Milanello negli anni settanta. Esistono successi simili che non si possono rinchiudere dentro una bacheca, ma non per questo sono meno importanti.

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domenica 13 novembre 2011

La lunga sosta nuoce alla Juventus


Quando lo scorso 27 luglio si procedette al sorteggio del calendario dell’attuale edizione della serie A, nel menù delle partite tra un’abbuffata e l’altra vennero fissate cinque soste: tre di queste legate agli impegni della nazionale azzurra (4 settembre, 9 ottobre e 13 novembre), le altre due alla pausa invernale del campionato.

Sì, lo scudetto ce lo giochiamo alla penultima giornata”, dissero in coro Ariedo Braida (Milan) ed Ernesto Paolillo (Inter), i rappresentanti delle squadre milanesi presenti alla cerimonia, vale a dire i due club che si sono aggiudicati (sul campo e fuori) gli ultimi sei scudetti in ballo.

In simili occasioni può capitare di avvertire le medesime sensazioni tipiche dell’approccio alla lettura di un libro giallo: da una parte c’è la volontà di gustarselo dall’inizio alla fine, dall’altra quella di dare un’occhiata alle pagine conclusive per scoprire con largo anticipo l’identità dell’assassino.

Nello scorrere velocemente le partite programmate nell’ultima giornata della manifestazione era, quindi, difficile non fermarsi di fronte a Lazio-Inter per tornare poi con la mente a quel famoso 5 maggio 2002 che tutt’ora conserva un posto di rilievo nell’album dei ricordi juventini.

La fuga improvvisa per protesta del patron del Napoli Aurelio De Laurentiis a bordo di uno scooter guidato da uno sconosciuto distolse l’attenzione generale dalle disamine tecniche successive al sorteggio.

Massimiliano Allegri, tecnico del Milan campione in carica, predicò ai suoi uomini la massima concentrazione “fin dall’inizio, perché gli scontri diretti importanti arrivano già nei primi turni”. Dopo aver perso con Juventus e Napoli, pareggiato in casa contro la Lazio e vinto soltanto con la Roma, non si può certo dire che le raccomandazioni fatte all’epoca siano state seguite alla lettera.

Aver racimolato molti punti con le squadre cosiddette “medio-piccole”, però, ha consentito ai rossoneri di sistemarsi attualmente in seconda posizione in classifica, in attesa del recupero della gara tra il Napoli e la Juventus che - in caso di successo esterno dei bianconeri al “San Paolo” – potrebbe comunque consentire a Madama di riportarsi solitaria in cima alla vetta.

Sempre in quei momenti Antonio Conte confessò di temere il blocco di incontri previsti tra la nona e la tredicesima giornata (nell’ordine: Fiorentina, Inter, Napoli, Palermo e Lazio). Dopo lo slittamento della prima partita dell’attuale stagione, che ha consentito alla Vecchia Signora di spostare a dicembre inoltrato il duro ostacolo rappresentato dalla trasferta di Udine, la decisione del rinvio della gara col Napoli fissata per il 6 novembre rischia ora di complicare ulteriormente il percorso dei bianconeri in quel tratto di campionato.

L’ultimo incontro ufficiale disputata dalla Juventus risale al 30 ottobre (vittoria interna contro l’Inter): da quel momento sino al suo ritorno sui campi di gioco, previsto per domenica 20 novembre, passeranno tre settimane. Si tratta di un’attesa estremamente lunga, mitigata dagli impegni dei nazionali bianconeri sparsi in giro per il mondo con le rispettive rappresentative: per la maggior parte dei convocati non verrà a mancare l’abitudine a disputare partite importanti; quello che potrebbe venire meno è la capacità nell’immergersi immediatamente nella realtà del campionato con la stessa determinazione mostrata nel match contro i nerazzurri.

Domenica prossima Madama affronterà nella sua nuova casa il Palermo: tranne la roboante vittoria nella stagione del ritorno in serie A (25 novembre 2007, 5-0 per i bianconeri), i siciliani hanno poi vinto nelle tre gare successive giocate a Torino.
Per una Juventus reduce da due settimi posti consecutivi, capace di riprendersi quel primo posto in classifica che le mancava dal lontano 14 maggio del 2006 per poi perderlo solo a causa dell’alluvione abbattutasi nella mattinata del 6 novembre su Napoli, ecco un altro (nuovo) piccolo tabù da sfatare.

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mercoledì 9 novembre 2011

Del Piero, un'icona del calcio del cuore


Trentasette anni compiuti oggi e non sentirli. Oppure: sapere che ci sono tutti, ma che in corpo è rimasta ancora tanta energia da spendere sui campi di pallone.
Ne aveva diciannove Alessandro Del Piero, nel settembre del 1993, quando debuttò nella Juventus. Col passare del tempo di quella squadra ne è diventato il capitano, un’icona, una delle immagini positive da esportare in giro per il mondo. Di lui si parla e si disquisisce sempre con la stessa frequenza, indipendentemente dal fatto che metta o meno i piedi dentro il rettangolo di gioco durante i fatidici novanta minuti.

Le sue gesta sono state vissute e godute dal vivo da più generazioni di tifosi alla ricerca di qualcuno in grado di dare un volto all’amore verso il proprio club, all’interno di un calcio sempre più business e meno cuore.
Nel corso della carriera ha calcato i campi di quattro stadi di quella Torino che è finita col diventare - per lui, veneto di Conegliano - la città della vita, sia sportiva che personale.
Nell’ultimo di questi, lo “Juventus Stadium”, non è ancora riuscito a segnare un goal, ma è comunque entrato nella sua storia tanto per la stella a lui dedicata e presente nell’impianto quanto per quella chiacchierata avuta con Giampiero Boniperti durante la cerimonia di inaugurazione (8 settembre 2011), mentre si trovavano seduti sulla stessa panchina dove un gruppo di studenti del Liceo classico “Massimo d’Azeglio” decise di fondare la società nell’ormai lontanissimo 1897.

Questo è lo stadio che ci meritiamo”, disse Alex. “Lo ribadisco. Alla Juventus vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, proseguì Boniperti. Fu proprio lui a decidere di portarlo sotto la Mole ed a vestirlo di bianconero. Al resto, ha pensato il numero dieci: ha accumulato record uno dietro l’altro abbattendo i precedenti, vinto coppe, scudetti, sconfitto avversari visibili e nemici invisibili, è caduto più volte per poi rialzarsi, come fanno i veri campioni, quelli che lui amava e studiava da piccolo.
Un giorno, pochi mesi dopo che l’Italia calcistica aveva iniziato ad accorgersi di quel ragazzino sorridente che possedeva i segni distintivi del fuoriclasse, gli chiesero di parlare di Platini: “Il mio idolo di sempre, certo. Ma fra i grandi campioni non voglio assomigliare a nessuno: voglio essere Del Piero, per sempre”. Era il suo destino, forse: quello che è certo è che lui ha contribuito a scriverlo, tanto quanto lo stesso fato.

E’ esistita una Juventus “prima” e “dopo” Calciopoli: la seconda non è ancora tornata al medesimo livello della precedente. Così come è successo per il suo club, c’è stato un Del Piero “prima” e “dopo” l’incidente subito al ginocchio sinistro sul campo di Udine l’8 novembre 1998, esattamente un giorno prima del suo ventiquattresimo compleanno. Lui, però, è rimasto un vincente.
Nel cuore dell’Avvocato Agnelli passa da “Pinturicchio” a “Godot”, sino a quando il 18 febbraio 2001, cinque giorni dopo la morte del padre, segna un bellissimo goal a Bari ed esplode in un urlo liberatorio che ha il sapore di una rinascita. Il 5 maggio 2002, sempre a Udine, riprende confidenza con la vittoria in uno dei giorni più dolci dell’intero album dei ricordi bianconeri.

Nella Juventus “capelliana” resta spesso e malvolentieri in panchina, ma nei momenti clou degli ultimi due scudetti bianconeri sono ancora le sue prodezze a finire in copertina: nel ventottesimo passa alla storia la stupenda rovesciata con la quale confeziona l’assist per la rete decisiva di Trezeguet in occasione dello scontro diretto col Milan allo stadio “San Siro” (8 maggio 2005); nel ventinovesimo segna a Bari l’ultimo goal della Vecchia Signora tricolore prima del terremoto calcistico del 2006.
Tocca la vetta del mondo con la nazionale dopo averlo fatto con Madama, per poi scendere direttamente con quest’ultima negli inferi della serie B. Si vede cancellare gli ultimi successi conquistati sul campo, reagisce vincendo per due stagioni consecutive la classifica marcatori. Continua ad essere determinante in una società che soltanto adesso, a distanza di cinque anni, comincia vagamente ad assomigliare a quella gloriosa del passato.

Ora che Andrea Agnelli ha confermato che sono finiti i fogli bianchi sui quali firmare i rinnovi contrattuali, si sa già che questa sarà la sua ultima stagione con la maglia bianconera addosso. Proseguirà l’attività di calciatore lontano da Torino, confermando quanto sostenne tempo fa in merito alle due sole che avrebbero potuto fermarlo: “Il fisico e il cuore. Il primo risponde benissimo, il secondo è felice e ricco, molto ricco”.
Allora è proprio il caso di dirlo: tanti auguri di buon compleanno, Alex.
Di cuore.

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martedì 8 novembre 2011

"Beck is Back", il nuovo blog di Roberto Beccantini



Consigli per la lettura: il popolare giornalista bianconero Roberto Beccantini ha aperto da pochissimo un proprio blog, dopo aver chiuso il precedente ospitato dal quotidiano "La Stampa" (Il sassolino nella scarpa)

L'indirizzo dove trovarlo è questo: Beck is Back

Buona lettura

sabato 5 novembre 2011

Juventus-Napoli, quanti conti da regolare


Al tramonto dello scorso campionato la classifica finale consegnata all’albo d’oro della serie A recitava, nelle prime sei posizioni, in rigoroso ordine d’arrivo, i nomi di queste società: Milan, Inter, Napoli, Udinese, Lazio e Roma.
Per il secondo anno consecutivo la Juventus, nonostante fosse tornata nuovamente in mano ad un Agnelli (Andrea, l’attuale presidente), si confermava settima, perdendo pure il pass per giocare in Europa così come non le accadeva (sul campo) dal lontano 1991.

A distanza di poco più di cinque mesi Madama sembra aver ritrovato la strada maestra: sola in testa da due giornate consecutive, ha già avuto modo di regolare i conti in questo girone d’andata tanto con il Milan campione d’Italia quanto con quell’Inter che a maggio finì col piazzarsi seconda alle spalle dei rossoneri.
Slittato l’appuntamento per la gara contro l’Udinese al prossimo 21 dicembre, e con gli impegni con le romane ancora lontani, domenica sera arriverà per la Juventus l’appuntamento con la terza classificata nell’ultima edizione del torneo, il Napoli, allo stadio “San Paolo”.

Tornate entrambe in serie A nel giugno del 2007 dopo aver superato i momenti più duri della loro storia, mentre il patron De Laurentiis sta provando a dare al club campano una dimensione europea, per la Vecchia Signora il percorso da compiere in tal senso è ancora lungo.

Proprio a De Laurentiis appartiene il ruolo di mattatore del calcio italiano nel lungo periodo di inattività delle squadre sui campi da gioco, a partire dai momenti successivi all’ultima gara della scorsa stagione sino al sorteggio del calendario della nuova, allorquando lasciò all’improvviso tutti gli invitati alla cerimonia ufficiale per fuggire in sella al motorino di un passante dopo aver manifestato più volte (ed in maniera plateale) la propria rabbia per un presunto trattamento di sfavore ricevuto dalla sua squadra.

Quando a primavera inoltrata la voce di un Milan fortemente interessato ad Hamsik iniziava a farsi sempre più forte, si scagliò prima contro Berlusconi (“Se il Milan vuole un giocatore del Napoli, allora mi chiami lui. Anche il capo del governo deve rispettare il fair play finanziario”), poi contro Andrea Monti, il direttore della “Gazzetta dello Sport” (“La Gazzetta è guidata da uno juventino, il giornalista che ci segue è un tifoso della Juve ed è strano che non abbia messo Hamsik in seno alla Juve”).

Naturalmente anche a Madama, all’epoca dei fatti entrata prepotentemente in corsa col Napoli per l’acquisto dello svizzero Inler, non vennero risparmiate alcune frecciate: “La Juve? Ne ha bisogno. Con l’arrivo del nuovo allenatore dovrà cambiare 25 giocatori”.

Nuovo allenatore che avrebbe potuto essere Walter Mazzarri, se poi non fosse stato scelto al suo posto Antonio Conte, portando quindi ad una fumata bianca il flirt tra la Vecchia Signora e il tecnico di origine livornese. Risale allo scorso 23 maggio la giornata convulsa che vide – nel giro di sole quattro ore – De Laurentiis cercare attraverso l’aiuto dei propri legali la via per arrivare alla risoluzione del contratto col tecnico per giusta causa (niente esonero e – quindi – niente stipendio per le altre due annualità), per riuscire in un secondo momento nell’intento di smontare le richieste sportive ed economiche dello stesso Mazzarri, dopo un lungo faccia a faccia alla presenza di Riccardo Bigon nei locali della Filmauro.

Due giorni dopo, il 25 maggio, il nuovo arrivo bianconero Andrea Pirlo veniva presentato alla stampa. Tra le varie domande, risposte, ammissioni e confessioni che si susseguirono in quel pomeriggio, in merito alla scelta del suo nuovo numero di maglia si lasciò volutamente scappare una battuta ad effetto: “Ciò che più mi piacerebbe è festeggiare a fine stagione con il numero 30 sulle spalle”.

Anche la strada per il recupero dei due titoli tolti a Madama per effetto di Calciopoli passa per Napoli, laddove non manca molto tempo alla lettura della sentenza del processo penale che vede coinvolto (tra gli altri) Luciano Moggi.
Nel frattempo, si ripartirà sul campo dal 3-0 (tripletta di Cavani) con il quale la squadra di Mazzarri schiantò tra le mura amiche quella di Del Neri lo scorso 9 gennaio 2011. Un altro conto da regolare per la Vecchia Signora.

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giovedì 3 novembre 2011

Mal di pancia

I non più giovanissimi ricorderanno uno spot di una marca di elettrodomestici, interpretato dall’indimenticato Giampiero Albertini che si intitolava “Gli incontentabili”. Ora io mi sento un po’ così….”incontentabile”.
Mi chiederete perché? La squadra sta giocando bene, ottiene buoni risultati, è prima in classifica, cosa posso volere di più?

E avete ragione ma, innanzitutto, preferirei che segnassimo qualche rete in più, viste le numerosi occasioni che siamo in grado di creare. Non fosse altro per preservare le mie coronarie, sottoposte a stress fino al 95’ di ogni partita.
E poi, nonostante consideri comunque importante la presenza di un’ossatura precisa nella formazione che poi scende in campo, credo che il calcio moderno non permetta di utilizzare sempre gli stessi 11 giocatori domenica dopo domenica, senza il rischio di logorarli un po’ troppo. E da qui nasce il mio secondo brontolio, visto soprattutto in chiave futura. Futuro prossimo (il prosieguo del campionato) e futuro remoto (la prossima stagione, quando – presumibilmente – dovremo giocare anche in Europa).

Mi riferisco a quelli che la stampa chiama “mal di pancia”. Sempre che esistano realmente e che non siano invenzioni della stampa, è ovvio! Per “mal di pancia”, come tutti sapete, si intendono i mugugni di quei giocatori poco utilizzati, che scalpitano per essere schierati oppure ceduti nella prima finestra di mercato utile.
I pochi minuti giocati sinora da Fabio Quagliarella sono, infatti, argomento quotidiano per chi si occupa di calciomercato ed ogni giorno il suo nome è accostato a molte trattative. Ultima quella che riguarda il suo passaggio al Milan per sostituire Cassano (a proposito, in bocca al lupo, Antonio!).

Personalmente ritengo l’eventuale cessione dello stabiese un gravissimo errore. Privarsi di un ottimo attaccante, e rafforzare una rivale, credo sia una mossa sbagliata e, ripeto, anche in prospettiva futura. Se, come si spera, il prossimo anno saremo impegnati non solo in campionato – e sicuramente non potremo più contare su Del Piero e Toni – non solo Quagliarella sarà fondamentale, ma il reparto dovrà anche essere rafforzato con un paio di elementi.
Il mister ha recentemente ribadito che conta molto su di lui, speriamo che anche Fabio voglia continuare a far parte di questa squadra e non faccia venire a noi il mal di pancia.

Articolo pubblicato su Juvenews.net

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero