domenica 27 marzo 2011

Da una Juventus "brasiliana" ad una di qualità?



Krasic, Melo, Aquilani e Marchisio: ecco il quartetto bianconero di centrocampo che ha spinto la Juventus nei primi mesi della stagione verso le zone nobili della classifica. All’alba del confronto con il Parma (6 gennaio 2011) dopo le diciassette giornate disputate sino a quel momento la distanza che separava la Vecchia Signora da Napoli e Lazio, entrambe seconde a pari merito, era di soli due punti. Il Milan, in testa, aveva cinque lunghezze di vantaggio sui bianconeri.

L’Udinese, che Madama annientò con un secco 4-0 in trasferta alla terza gara di questo campionato (19 settembre 2010), aveva otto punti in meno della formazione allenata da Del Neri. Viene da piangere a pensare che attualmente le parti si sono invertite, con la squadra di Guidolin che si ritrova solitaria in quarta posizione ad undici punti di distacco dai torinesi.

In previsione della partita con i ducali Amauri si ripresentò agli ordini del tecnico di Aquileia per cercare di guadagnarsi nuovamente la sua fiducia e quella della società. Per riuscire nell’intento aveva a propria disposizione un mese intero: gennaio, quello della riapertura del calciomercato. Causa infortunio era rimasto lontano dai campi di gioco dal precedente 13 novembre (Juventus-Roma 1-1), quando subentrò a Marchisio ad un quarto d’ora circa dal termine dell’incontro. Del Neri era dubbioso se schierarlo sin dall’inizio: “Probabilmente farò una staffetta tra loro due (Del Piero, ndr). Io penso che Amauri abbia recuperato, l’ho visto dimagrito e in buone condizioni”. L’incidente al ginocchio occorso a Quagliarella dopo soli sei minuti impose al tecnico di rivedere i suoi piani, inserendo subito la punta al posto dell’attaccante di Castellammare di Stabia. La successiva espulsione di Melo aprì ufficialmente la crisi juventina, aggravata dai quattro goals con i quali gli ospiti uscirono vittoriosi dallo stadio “Olimpico”.

Amauri attualmente gioca proprio nel Parma, mentre il centrocampista brasiliano figura nella lista dei possibili partenti per la prossima stagione. Quella nella quale non saranno ammessi ulteriori fallimenti, dove i tifosi non accetteranno più di sentir parlare di fair play finanziario, etica, bilancio, quotazione in borsa, progetti, introiti provenienti dal nuovo stadio e via dicendo. Si discute molto - come sempre, d’altronde – “intorno” e “dentro” alla Vecchia Signora. Ma si è smesso di vincere. Da anni. Parole (troppe) mai accompagnate dai fatti.

Amauri Carvalho de Oliveira, Felipe Melo Vicente de Carvalho, Diego Ribas da Cunha: la colonia brasiliana della Juventus che iniziò l’avventura nello scorso campionato con Ciro Ferrara in panchina rischia ora di scomparire definitivamente. Prima di ottenere la cittadinanza italiana l’attaccante venne acquistato dalla Juventus nel 2008 per un corrispettivo di circa ventitré milioni di euro (al lordo delle cessioni al Palermo – definitive ed in comproprietà - di Nocerino e Lanzafame). Alessio Secco e Pantaleo Corvino si incontrarono l’estate successiva a Reggio Emilia per impostare la trattativa che portò Melo alla corte della Vecchia Signora: la cifra concordata fu di venticinque milioni di euro, leggermente abbassata dal successivo passaggio di Marco Marchionni ai viola. Non sembrò vero al direttore sportivo della Fiorentina di avere la possibilità di rivendere il centrocampista acquistato l’anno prima dall’Almeria per soli otto milioni. I bianconeri si ritrovarono così ad avere un mediano preso per fare il regista e pagato (poco) più di un trequartista. Altri ventiquattro milioni (più “spiccioli”) vennero versati nelle casse del Werder Brema per il passaggio di Diego dai tedeschi ai bianconeri. Trascorso un campionato il calciatore ha poi fatto ritorno in Germania, questa volta al Wolfsburg.

Più di settanta milioni di euro spesi in due anni per costruire una Juventus all’insegna del calcio spettacolo: una spina dorsale tutta italiana (la famosa “ItalJuve” ancora in voga) rinforzata da una colonia brasiliana come mai era accaduto in passato. Dal 1897 al 2008 soltanto tredici giocatori provenienti da quella nazione avevano indossato con alterne fortune la maglia bianconera: Pedro Sernagiotto, Leonardo Colella, Bruno Siciliano, Armando Miranda, Nenè, Dino Da Costa, Fernando Josè Puglia, Cinesinho, José Altafini, Julio Cesar, Gladstone, Athirson, Emerson. Poi, in due sessioni di calciomercato estivo ne arrivarono tre.

Del centrocampo titolare della Vecchia Signora di quest’anno Aquilani e lo stesso Melo sono quelli a cui il futuro potrebbe riservare un’esperienza lontana da Torino. L’ex giocatore del Liverpool, dopo un buon avvio di stagione, ha peggiorato il livello delle proprie prestazioni di pari passo con il crescere dei problemi del club di appartenenza. Con l’Italia di Cesare Prandelli, un po’ come capitato per alcuni compagni bianconeri convocati in nazionale, è accaduto il contrario. Intervistato sull’argomento ha risposto: “In azzurro c’è più serenità. E poi, quando giochi con gente di grande qualità, è più facile fare bene”.

Quando mancano i risultati è difficile che ci possa essere “serenità”, a maggior ragione in un ambiente che negli ultimi cinque anni ne ha dovuto sopportare di tutti i colori. Per quanto concerne la “qualità” bisogna chiedere informazioni a coloro i quali dovranno riportare al più presto la Juventus nelle posizioni che le competono. Nel loro taccuino figura il nome di Bastos, giocatore attualmente in forza al Lione. Un brasiliano, il possibile “diciassettesimo” pronto a trasferirsi sotto la Mole (oltre al sogno Neymar). Anche se non conta la nazionalità di chi vestirà nel prossimo futuro la maglia bianconera, quanto l’apporto di pura e vera classe che dovrà fornire alla Vecchia Signora. Perché d’ora in poi sarà vietato sbagliare. E parlare. Da parte di tutti, non solo degli allenatori. Conterà solo tornare a vincere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 24 marzo 2011

Del Piero e la Juve: dagli esordi al contratto in bianco

L’Avvocato Agnelli quel goal non l’aveva potuto vedere dal vivo. Domenica 19 settembre 1993 non ce l’aveva fatta a presenziare allo stadio "Delle Alpi" per assistere alla gara tra la sua Juventus e la Reggiana, perdendo la possibilità di ammirare da vicino la prima rete in maglia bianconera di Alessandro Del Piero.
C’era un impegno importante da rispettare: Raissa Gorbaciova, moglie dell’ex premio Nobel Mikhail, era andata a Torino appositamente per incontrarlo. Sfumata così quest’occasione ebbe comunque modo di rifarsi nel tempo, anche perchè l’allora "talentino" non smise più di segnare. Ancora oggi continua imperterrito a farlo, nonostante siano trascorsi quasi 18 anni da quell’ormai famoso pomeriggio.

Quali furono le parole del giovane fantasista al termine di quella partita?
Ecco alcuni stralci delle sue risposte nelle interviste del dopo gara: "Sono un centrocampista, però posso anche fare l’attaccante. Qualcuno mi paragona a Paolo Rossi, qualcuno a Baggio: fate voi"; "All’inizio c’era incredulità per questa nuova avventura, ma adesso ho preso confidenza, sento attorno a me la fiducia. Ma devo imparare ad essere più cattivo".
Cosa provò nel vedere la palla terminare in rete dopo la sua conclusione? "In quell’istante mi è passata davanti tutta la mia carriera".
A onor del vero quella era appena iniziata, visto che si trattava del secondo incontro disputato in serie A dopo l’esordio a Foggia la settimana precedente, cui andavano aggiunti alcuni match giocati nella serie cadetta con la maglia del Padova.

Giuseppe Iachini, tecnico del Brescia, domenica scorsa ha dovuto inchinarsi di fronte alla classe dell’attaccante bianconero: "La partita l’ha vinta Del Piero".
Lui, soltanto lui. Nella gara dei grandi numeri la sua classe è risultata decisiva ancora una volta.
Le "rondinelle" erano arrivate a Torino prive (tra squalifiche e infortuni) di ben otto calciatori (Berardi, Hetemaj, Dallamano, Zebina, Caracciolo, Zanetti, Filippini e Bega) nel disperato tentativo di portare a casa almeno un punto per smuovere una classifica che la vedeva in penultima posizione. La stessa occupata attualmente. Per la cronaca (e la storia) giova ricordare che nelle ventidue precedenti occasioni in cui i lombardi avevano giocato contro la Juventus in trasferta non erano mai riusciti a vincere.

La scorsa stagione per Madama era diventata quella dei record negativi superati uno dietro l’altro; questa, iniziata con propositi ben diversi, sta seguendo il solco tracciato dalla precedente, pur con uomini diversi sia in campo che in società. Il rischio che anche il tabù delle disfatte interne con il Brescia venisse sfatato, nonostante le premesse sopra indicate, c’era. La Vecchia Signora veniva da quattro gare senza successi (tre sconfitte ed un pareggio): un’enormità, considerata la storia vincente del club. Ma la realtà attuale, purtroppo, è questa.

Senza l’iniezione di veri fuoriclasse, del calibro di molti tra quelli che hanno partecipato al derby torinese fra le vecchie glorie delle due squadre di Torino (in occasione del "1° Derby SLAncio di Vita"), il gap tecnico con le Juventus che furono rimane enorme. La mancanza di vittorie, così come gli andamenti negativi degli ultimi anni, ne sono la logica conseguenza. Mai striscione fu più azzeccato di quello esposto nelle gradinate dello stadio "Olimpico" nell’amichevole di ieri, rivolto agli ex-fuoriclasse bianconeri in campo: "Avete impegni per domenica?".

Nella formazione degli "over 35" avrebbe potuto giocare anche Del Piero, che di quei calciatori è stato pure compagno di squadra. Ma il suo posto è e continuerà ad essere tra gli atleti ancora in attività. Non è colpa sua se la società Juventus non è riuscita a trovare qualcuno in questi anni che potesse sostituirlo degnamente, né se chi ha provato a raccoglierne il testimone adesso continua a rivendicare le proprie qualità lontano da Torino ritrovandosi a giocare in formazioni in lotta per evitare la retrocessione. Di loro, sotto la Mole, restano soltanto le parole e i proclami.

Nel frattempo quel poco di buono che la Vecchia Signora riesce a combinare passa sempre attraverso i piedi del suo capitano di lungo corso. Nelle cinque gare consecutive nelle quali è rimasto in panchina al momento del fischio d’inizio dell’arbitro (da quella col Cagliari alla sfida contro il Milan), Madama ha collezionato due vittorie e tre sconfitte, realizzando soltanto quattro reti. Due di queste, con lui in campo. Difficile pensare ad un caso.
Un conto è lasciarlo ai margini per fare spazio a Ibrahimovic e Trezeguet; un altro, con tutto il dovuto rispetto, è prendere una decisione simile per puntare sugli attaccanti attualmente a disposizione di Del Neri. La prestazione offerta domenica scorsa non è quella di un giocatore "ritrovato", quanto quella di un uomo "utilizzato". Sono due cose diverse.
Quello a cui stanno assistendo i sostenitori bianconeri negli ultimi anni è - senza mezzi termini - un martirio.
Sarebbe opportuno evitare di complicarsi ulteriormente la vita almeno nel corso di queste ultime otto partite, cercando di sfruttare appieno l’unica vera risorsa attualmente a disposizione.
Che poi non ce ne siano altre, è un altro discorso. Di questo ne deve rispondere (e dovrà pensarci) la società.
Nel frattempo, per non saper né leggere né scrivere, gli si faccia firmare quel contratto in bianco: con questi chiari di luna non è difficile ipotizzare che anche nella prossima stagione ci sarà bisogno del suo apporto.

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martedì 22 marzo 2011

sabato 19 marzo 2011

La Juve tra Brescia, etica e fair play finanziario

Juventus e Brescia domani si affronteranno a Torino. Uno dei due club è reduce da un pareggio e tre sconfitte accumulate nelle ultime quattro gare di campionato. L’altro, considerando lo stesso arco temporale, da quattro pareggi in altrettante partite.
Per chi ama la Vecchia Signora del calcio italiano ed è cresciuto a pane e trionfi, pensare che appartiene proprio a Madama il percorso peggiore tra quelli (di per sé) negativi presi in esame non fa che allungare ed esasperare una sofferenza che sembra non avere mai fine. Ciononostante basta vedere come si riempiono gli stadi quando emigra in giro per l’Italia per capire quanto sia grande l’amore che tutti i suoi sostenitori le continuano a riversare addosso, spinti a seguirla sempre, comunque e dovunque. Nonostante tutto. E dentro la parola "tutto" è condensato quanto successo "dentro" e "intorno" alla stessa Juventus da cinque anni a questa parte.

Il punto ottenuto a Cesena ha interrotto un’emorragia di sconfitte che per la formazione allenata da Del Neri era ormai arrivata a tre disfatte prima dell’incontro del "Dino Manuzzi" dello scorso sabato. Simone Pepe, recentemente intervistato da Sky Sport (la trascrizione è presente anche nel sito ufficiale della società), ha dichiarato: "Nel calcio comunque i verdetti possono cambiare in un attimo, basta giocare le prossime partite alla grande. Questo ora è il nostro obiettivo".

Quindi adesso bisogna aggrapparsi a questo "obiettivo". Anche perché non è rimasto che quello, dato che gli altri - strada facendo - sono svaniti, uno dopo l’altro. Mancano nove gare sino alla conclusione della stagione: tutte finali, tutte da vincere nella speranza dei diretti interessati di non dover ripartire la prossima estate da una nuova rivoluzione. Che tanto, piaccia o non piaccia, ci dovrà comunque essere. Risultati alla mano, è un percorso che non prevede alternative. Il problema reale, poi, sarà vedere a quali risultati porterà. E quali saranno i campioni (o presunti tali) che arriveranno nella Torino bianconera.

Il 10 novembre scorso Brescia e Juventus si affrontarono allo stadio "Mario Rigamonti". In quel periodo vennero accostati moltissimi giocatori alla Vecchia Signora: da Rolando (difensore portoghese del Porto) a Forlan (Atletico Madrid), da Maxi Lopez (Catania) a Demichelis (Bayern Monaco, poi passato al Malaga), giusto per citarne qualcuno. A differenza di quanto accade nella stretta attualità, la squadra di Del Neri si era presentata alla trasferta lombarda forte di una sequenza di risultati incoraggianti: tre vittorie ed un pareggio nelle ultime quattro gare disputate, con la ciliegina sulla torta della vittoria esterna ottenuta a "San Siro" contro il Milan di Ibrahimovic. La squadra era in crescita, i punti arrivavano e tra gli infortuni di lungo corso figuravano soltanto i vari Martinez, De Ceglie e Buffon, con il numero uno bianconero che - alle prese con la riabilitazione dopo l’operazione estiva all’ernia del disco - ancora non si era fatto vedere in quel di Vinovo dall’inizio della stagione.

Prima dell’incontro del "Rigamonti" lo stesso tecnico di Aquileia, memore della sconfitta all’esordio in campionato a Bari e del pareggio esterno ottenuto a Bologna (due gare dalle quali l’ambiente bianconero si aspettava un esito sicuramente diverso) disse: "Brescia è una tappa importante, ci sono tre punti in palio come contro la Roma". La Vecchia Signora affrontò le "rondinelle" forte di un quarto posto in classifica a pari merito con il Napoli di Mazzarri, a sole quattro lunghezze dalla Lazio prima della classe.

Dopo l’1-1 finale (Quagliarella e Diamanti furono i marcatori della serata) Madama scivolò in quinta posizione, proprio nella giornata nella quale il Milan prese il comando solitario della vetta. I punti di distacco tra rossoneri e bianconeri, all’epoca, rimasero comunque quattro. A fine incontro del Neri disse: "Direi che il pari è giusto. Diamanti ha segnato un bel gol, per noi un punto fuori casa è meglio di nulla, un punto importante".

Con la teoria del "bicchiere mezzo pieno" e dei piccoli passi la Juventus ha raccolto meno di quanto poteva (e doveva) nel girone di andata, prima dell’infortunio occorso a Quagliarella, dell’espulsione di Melo e della goleada con la quale il Parma ha regolato la Vecchia Signora il giorno dell’Epifania. Il resto, quello che è accaduto dopo, è storia nota, attuale, reale.

Adesso, come detto, mancano nove gare alla conclusione del campionato: le si onori a dovere.
Lo si chiede sempre, ma in cambio non si ottiene molto. Anzi.
E si inizi a programmare bene la prossima stagione: quella del riscatto, che si giocherà nel nuovo stadio, con calciatori nuovi. Non sempre per acquistarne di valore bisogna spendere cifre folli: tanto per fare un esempio Luis Alberto Suarez, l’uruguaiano acquistato recentemente dal Liverpool e che in passato venne accostato più volte alla Juventus, ai Reds è costato 26,5 milioni di euro.
Meglio un giocatore come lui che due Martinez.
In barba all’etica e al fair play finanziario.

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venerdì 18 marzo 2011

Gioiello di Conte, Brescia surclassato

In una partita come quella disputata tra la Juventus e il Brescia il 21 settembre del 1997 allo stadio “Delle Alpi” di Torino dove le reti non mancarono certamente (finì 4-0 per i bianconeri), vedere uno dei goleador più apprezzati della recente storia del calcio italiano, Dario Hubner, terminarla nell'insolita veste di portiere non può non far pensare ad uno strano scherzo del destino.
Cinque goal realizzati dalla Vecchia Signora al Feyenoord nell'incontro infrasettimanale valido per la Champions League, altri quattro rifilati ai lombardi allenati da Giuseppe Materazzi nella gara di campionato immediatamente successiva: la Juventus "new look" smontata e rimontata in estate dalla Triade e poi consegnata alle sapienti mani di Marcello Lippi stava iniziando a prendere forma. E sostanza.
Filippo Inzaghi, fresco capocannoniere della serie A con la maglia dell'Atalanta, si era appena trasferito sotto la Mole per far compagnia ad Alessandro Del Piero nel reparto offensivo di Madama. I dubbi dei principali esperti nostrani del pallone erano legati alla bontà della scelta della dirigenza bianconera di optare per un attacco veloce ma più leggero, in termini di chilogrammi, rispetto al suo recente passato: a giudicare dai primi incontri della stagione, però, i risultati sembravano confermare la riuscita dell'operazione.

Alla terza giornata del campionato 1997/98 la Juventus affrontò il Brescia schierandosi sul prato verde del "Delle Alpi" con un classico 4-4-2, nonostante la presenza di Zinedine Zidane sulla linea mediana. Abituato a svolgere il ruolo di trequartista dietro le punte, al francese venne inizialmente demandato il compito di posizionarsi sulla corsia sinistra del centrocampo, a completamento di un pacchetto centrale composto da Di Livio, Antonio Conte e Deschamps.
In realtà il numero 21 bianconero, guidato dal proprio talento, lasciò ben presto quel settore per svariare in lungo e in largo per tutto il rettangolo di gioco sino ad arrivare a fermarsi sul lato opposto a quello di partenza, vale a dire il destro. Lì la coppia di laterali Birindelli-Di Livio aveva trovato subito vita facile, trasformandosi in una vera e propria spina nel fianco degli ospiti. Che, dal canto loro, si erano presentati a Torino in situazione di estrema emergenza, dato che ben cinque giocatori (Doni, Bizzarri, Neri, Zunico e De Paola) erano stati messi fuori rosa dalla società lombarda dopo aver richiesto di essere ceduti nella precedente sessione di calciomercato estivo.

"Pronti-via" e la Juventus si ritrovò immediatamente in vantaggio: al 7' una punizione calciata da Zidane e deviata da Antonio Filippini battè l'incolpevole Cervone. L'atteggiamento di Madama nei confronti del malcapitato Brescia diventò poco alla volta sempre più aggressivo, ed i continui spostamenti su tutto il fronte offensivo del suo fuoriclasse francese la portarono a disporsi sul campo con un vero e proprio 4-3-3.
Al 35' della prima frazione di gioco un gioiello di Antonio Conte illuminò il "Delle Alpi". Accadde che un cross di Angelo Di Livio ispirò al centrocampista bianconero l'idea di provare una favolosa sforbiciata volante: il risultato fu un goal spettacolare, così bello da indurre alcuni avversari a fargli i complimenti. Della sua prodezza dirà, a fine gara: "Probabilmente, la rete più bella della mia carriera, anche se mi ricordo con grande piacere pure quella realizzata a Dortmund nella Coppa Campioni ‘95-‘96. In allenamento, ogni tanto, mi riescono prodezze del genere. Ovviamente, sono felice d'esserci riuscito anche in partita".
Soltanto tre minuti dopo Inzaghi, di testa su traversone di Birindelli, avrebbe portato a tre le marcature per i padroni di casa, mentre a Del Piero sarebbe toccato il compito di chiudere la gara sul 4-0 quando ormai si era giunti all'11' della ripresa. Prima e dopo, ancora tanta Juventus: una traversa centrata dal numero nove bianconero, altre occasioni da lui fallite in ripetizione ed un rigore sbagliato (il primo in partite ufficiali) per il fantasista suo compagno di reparto. Il Brescia diede l'unico segnale di vita con un innocuo tentativo di Hubner al 17' del primo tempo.

A fine incontro Cervone perse il controllo dei nervi: a seguito dell'assegnazione di un calcio d'angolo a favore della Vecchia Signora su segnalazione all’arbitro da parte di uno dei due guardalinee, in disaccordo con lo stesso, tirò la palla nella sua direzione, mancandolo. Ovviamente ammonito, continuò a protestare sino ad ottenere il secondo giallo, con la conseguente espulsione dal terreno di gioco. A questo punto gli ospiti, che avevano terminato i cambi, dovettero chiedere – come detto - a Hubner di indossare i guanti per svolgere l'inedito ruolo di portiere.
Solo in quel momento si placò la furia offensiva della Juventus.
Era il 46' del secondo tempo.

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domenica 13 marzo 2011

Marotta, non ci parli delle indicazioni positive...

Ad essere sinceri non si può non dire che i segnali per un’altra serata negativa per la Vecchia Signora non ci fossero tutti. Un esempio preso a caso? Gli ultras del Cesena che, prima dell’incontro del "Dino Manuzzi", hanno esposto uno striscione beneaugurante durante l’ultimo allenamento dei padroni di casa con la scritta: "La strada è quella giusta: asfaltiamoli". Ecco il segno dei tempi andati: una volta la preghiere erano rivolte a chi fosse in grado di fermare quelle furie bianconere di Torino perché non impallinassero la provinciale di turno; adesso c’è la forte convinzione in loro di riuscire non soltanto a batterle, ma di stravincere. E se Giaccherini non avesse graziato un grande Buffon (oltre a quanto farà poi "l’ottimo" Bergonzi) sbagliando un goal ormai fatto, la partita avrebbe potuto prendere una piega diversa, magari in una direzione non troppo lontana da quella indicata nel messaggio scritto dai sostenitori romagnoli.

Per dirla alla Del Neri, la gara di ieri sera doveva essere la prima delle "dieci finali da non fallire, per sperare nel traguardo oggi massimo, per chiudere con dignità". D’altronde, sempre per sua ammissione, il "gruppo ha reagito bene in settimana, l’ho visto peggio dopo la sconfitta di Lecce". Questa è la teoria del "bicchiere mezzo pieno", di quel refrain che da inizio anno calcistico viene ripetuto alla conclusione di ogni incontro di Madama. Chiedere di portare pazienza ad un tifoso juventino dopo tutto quello che ha dovuto patire dal 2006 ad oggi è un compito arduo; viceversa, per chi è costretto a dover sentir parlare in continuazione di "progetti", "rivoluzioni", "evoluzioni", "transizioni" e poi scoprire amaramente che nella Torino bianconera sono tutti sinonimi della parola "fallimento", adesso la misura è davvero colma.

C’è modo e modo di vincere, di perdere, ma anche di affrontare le gare ed analizzarle nei momenti immediatamente successivi. Non si può limitare il resoconto di una partita negativa restringendolo al concetto "in campo ci sono anche gli avversari": è sconfiggendo tutti quelli che ha trovato sulla strada nel corso della propria storia ultracentenaria che la Juventus ha costruito negli anni la sua leggenda.

In un contesto diverso, in un campionato vissuto e combattuto nelle zone più nobili della classifica, un pareggio come quello ottenuto al "Dino Manuzzi" ci poteva anche stare. Ma non ora, in una situazione così disastrosa, con una squadra reduce da tre sconfitte consecutive che non segnava reti da più di 330 minuti prima dell’incontro col Cesena, capace di peggiorare il disastro combinato nel campionato passato (ad oggi ha accumulato tre punti in meno a parità di incontri disputati) e ormai lanciata verso tutti i record negativi accumulati nella stagione 1961-62, allorquando la Vecchia Signora riuscì a perdere tutte le ultime sette gare della stagione.

Una Juventus costruita attraverso una programmazione estiva "incompleta", nella quale sono state gettate le basi per la creazione di uno "zoccolo duro", rileggendo i concetti ribaditi recentemente da Giuseppe Marotta, suo amministratore delegato. Lo spirito da imitare, nel percorso di un campionato che si sapeva sarebbe stato difficile, era quello della Juventus "trapattoniana" degli anni settanta, una formazione "made in Italy" capace di vincere sia nel nostro paese che in Europa. Gente che non mollava mai, che univa la classe alla grinta.
Se venisse posta la domanda a qualche campione di quella squadra sulle difficoltà che può incontrare un giocatore bianconero in preda ad un "blocco psicologico", probabilmente risponderebbero soltanto per un mero fatto di educazione.
I vari Furino, Benetti e Tardelli sul campo non avevano il tempo di pensare a queste cose.

"La Champions League? Vediamo cosa succede. Ci sono ancora trenta punti in palio e una serie di scontri diretti sparsi qua e là". Così Del Neri nella conferenza stampa dell’immediata vigilia dell’incontro pareggiato a Cesena. E’ lecito domandarsi se la risposta fosse connessa realmente a quella domanda oppure a quali "scontri diretti" si riferisse il tecnico di Aquileia.
Anche perché è fin troppo facile stilare un resoconto del comportamento della sua formazione in questo 2011: ha perso sette partite sulle undici disputate prima di Cesena (vincendone soltanto tre); nel periodo considerato è stata umiliata da Parma, Bologna, Udinese, Napoli e Lecce; si è potuta aggrappare all’arbitraggio di Morganti per giustificare la disfatta col Palermo al "Renzo Barbera" (a conti fatti immeritata); ha perso un incontro casalingo contro un Milan non certo irresistibile grazie ad una "ciofeca" di Gattuso (che non segnava da tre anni), "accompagnata" in porta da Buffon, senza che l’altro portiere in campo (Abbiati) avesse dovuto compiere un intervento solo in 90 minuti di gioco.

"Di solito parlo dopo le sconfitte, ma questo pareggio ci lascia indicazioni positive". Con queste parole è intervenuto Marotta al termine della gara di ieri sera.
Il pareggio ottenuto al "Dino Manuzzi", per i motivi sopracitati e per l’andamento della partita (la Juventus si trovava in vantaggio di due reti), in realtà equivale ad una sconfitta. Quindi, i motivi del suo intervento sono più che giustificabili, se quella è la linea scelta dalla società.
Per ciò che concerne le "indicazioni positive", la speranza è che non vengano mai rese note ai sostenitori juventini.
Sarebbe davvero troppo…

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sabato 12 marzo 2011

Adesso vinceremo le prossime nove partite...

Il pareggio al "Dino Manuzzi" della Juve mundial

"E' necessario cercare il risultato pieno. Sarebbe importantissimo anche sotto l'aspetto psicologico. Una vittoria consentirebbe alla squadra di sbloccarsi e di uscire da questo momento di impasse. La condizione non ci manca, però finora inspiegabilmente non siamo riusciti a tradurla in risultati. Purtroppo Cesena è un campo difficile. Giocheremo contro una formazione temibile, che 'morde' e sa farsi valere agonisticamente". Trapattoni espresse con queste parole le sue preoccupazioni circa l'esito dell'imminente partita della sua Juventus contro i romagnoli, prevista allo stadio "Dino Manuzzi" il 23 gennaio 1983.
Ormai distante dalla Roma in classifica, da quel club che poi si sarebbe aggiudicato a fine stagione il secondo tricolore della sua storia, la Vecchia Signora era incappata in un periodo negativo dal quale faceva fatica ad uscire. Tre pareggi ed una sconfitta nelle ultime quattro gare di serie A rappresentavano un qualcosa di più di un semplice campanello d'allarme. Soprattutto se ad accumulare questi risultati era una formazione che tra le proprie fila poteva annoverare ben sei campioni del mondo in carica (i reduci dalla vincente spedizione spagnola della nazionale azzurra guidata da Enzo Bearzot), oltre a Michel Platini e Zbigniew Boniek, i due fuoriclasse stranieri arrivati a Torino l'estate precedente.
Ancora alla ricerca della giusta quadratura in campo della sua squadra nonostante il campionato fosse ormai arrivato alla diciassettesima giornata, Trapattoni lasciò in panchina Furino e Bettega per dare spazio a Bonini (a centrocampo) ed avanzare il neoacquisto polacco in una posizione maggiormente offensiva rispetto al solito, tra le reticenze dello stesso giocatore che si sentiva più a proprio agio nel ruolo di playmaker. L'intento del tecnico bianconero era chiaro: al fine di invertire la rotta per allontanarsi dal momento di crisi, aveva deciso di proporre un undici di base più attendista del recente passato, ma allo stesso tempo pronto a ripartire velocemente in attacco una volta entrato in possesso del pallone. "Il Cesena è pericoloso. In particolare, il contropiede di Schachner e Carlini, due attaccanti veloci. In passato abbiamo sofferto contro squadre che praticano questo tipo di gioco, quindi occorre stare molto attenti a non scoprirsi", affermò l'allenatore pochi istanti prima dell'incontro. A Sergio Brio venne affidata la marcatura della punta austriaca, mentre Claudio Gentile si prese cura del suo compagno di reparto.

Le difficoltà mostrate dalla Juventus durante i primi istanti dell'incontro non fecero altro che dare ragione alle critiche dell'opinione pubblica in merito alle sue ultime prestazioni. Schachner realizzò due reti in soli 27': la prima (al 17') bruciando Brio sullo scatto e colpendo il pallone in controbalzo di destro per trafiggere un incolpevole Zoff; la seconda, invece, originata da un errato di disimpegno di Scirea, che permise a Piraccini di lanciare a rete l'attaccante abile a liberarsi ancora del suo marcatore diretto, a resistere all'intervento di Gentile e ad anticipare quello di Cabrini, per poi dribblare il numero uno bianconero e batterlo nuovamente.
Il raddoppio del Cesena scatenò le vivacissime proteste di tutti i giocatori juventini, i quali accorsero in gruppo verso il guardalinee reo di non aver alzato la bandierina per segnalare una chiara situazione di fuorigioco. In quei concitati momenti Tardelli venne sfiorato da una radiolina piovuta dagli spalti, nel contesto di un ambiente divenuto tutto ad un tratto ostile nei confronti di Madama. Un'atmosfera difficile da immaginare ad inizio gara, prova ne sia che lo speaker del "Dino Manuzzi" aveva accompagnato l'ingresso in campo delle due formazioni al grido di "Viva la Romagna, viva la Juventus". La netta sensazione di aver subito un torto fece scuotere la Vecchia Signora dal suo torpore, provocando una feroce reazione degli uomini di Trapattoni. Brio dimezzò il distacco dopo due soli minuti (al 29'): un assist di testa di Boniek (a seguito di un traversone proveniente da una punizione calciata da Cabrini) fece arrivare il pallone al difensore che - all'interno dell'area di rigore - lo controllò col petto ed evitò un avversario per poi realizzare il primo goal della giornata per gli ospiti.
Le squadre andarono al riposo con i padroni di casa in vantaggio per 2-1. Boniperti, che come sua abitudine consolidata aveva abbandonato lo stadio dopo i primi 45' di gioco, fu abile ad evitare un tentativo di aggressione di un anziano tifoso romagnolo che aveva provato a colpirlo con un pugno. Alla ripresa del gioco, Trapattoni mischiò le carte a sua disposizione, togliendo dal campo un evanescente Marocchino per inserire Bettega e presentare una formazione a trazione anteriore, data la contemporanea presenza - oltre all'attaccante - di Platini, Boniek e Paolo Rossi. Nell’intenzione di non lasciare troppo scoperta la difesa, poi, le sistemò davanti i due soli uomini rimasti a vigilare sulla linea mediana: Bonini e Tardelli.
La Juventus s’impossessò del predominio dell’incontro, pressando gli avversari soprattutto sulla fascia laterale destra, dove Gentile spinse come un forsennato per tutta la restante parte di gara. L'ingresso di Bettega consentì alla Vecchia Signora di avere un punto di riferimento importante nel reparto offensivo. Fu lo stesso attaccante a consentirle di pervenire a pareggio al 16', stoppando di petto e girando violentemente di destro a rete un pallone recapitatogli da Platini con un delizioso lancio. Nonostante il forcing finale di Madama, il risultato non cambiò più. La partita terminò 2-2, ma continuarono le polemiche, che indussero il club torinese al silenzio stampa in merito all'episodio che aveva portato alla seconda rete dei romagnoli.

A fine stagione la bacheca della società torinese si arricchì soltanto di una coppa Italia, a causa del secondo posto ottenuto in campionato alle spalle dei giallorossi e della finale di coppa dei Campioni persa ad Atene contro i tedeschi dell'Amburgo. La strada, però, era ormai tracciata: stava nascendo quella grandissima squadra che già a partire dall’anno successivo avrebbe ripreso a vincere trofei prestigiosi, sedendosi - di volta in volta - sui troni di Italia, d'Europa e del mondo.

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venerdì 11 marzo 2011

Appanicati anonimi

E siamo ancora qui!
E’ passato circa un anno e ci ritroviamo nuovamente a parlare di traghettatori o comunque di un nuovo tecnico per la prossima stagione.
Al di la della lista dei nomi dei papabili, quello che mi spaventa – e che pochi giorni fa in un commento ho definito “Sindrome di Vinovo” – è proprio questa strana situazione per cui, per tutti, siano sufficienti pochi giorni nel centro sportivo bianconero per perdere capacità, freschezza e salute.
Non ho idea di quale possa essere la medicina, sia in termini di azioni che di uomini.
E, sinceramente, non saprei indicare un nome che mi dia veramente la tranquillità di dire “Non potremmo scegliere di meglio!”. Non con l’aria che tira a Vinovo, quantomeno.
A parte tutta una serie di nomi che potrebbero alimentare molti dubbi (Mancini, Casiraghi, Vialli) o qualche speranza (Conte, Gentile, Spalletti, Villas Boas), anche i grandi nomi lasciano un po’ perplessi.
Forse solo Hiddink (inutilmente atteso già lo scorso anno) e Wenger (che non avrebbe alcuna utilità a lasciare la Premier – dove un manager può lavorare tranquillamente per anni – per approdare alla scadutissima Serie A, dove alla seconda sconfitta ti ritrovi con la valigia in mano) sono fuori da ogni discussione, ma anche inavvicinabili. Per me, anche gli altri “grandi” non convincono del tutto. Mi riferisco ovviamente a Lippi e Capello – sempre che se la sentano, dopo tanti anni, di tornare ad allenare un club (e rinunciare a molti soldi).
Fra le altre cose, con il primo forse correremmo il rischio di trovarci in rosa anche Zaccardo, Oddo e Barone. E per ciò che riguarda il secondo, temo che questa volta non ci sarà Moggi ad impedirgli di tirarsi dietro Baldini.
In ogni caso il Presidente deve decidere ora l’uomo che siederà sulla panchina il prossimo anno, per prendere, fin da subito, le decisioni che porteranno a formare la squadra della prossima stagione.
Nel frattempo, visto quanto sia già compressa questa annata e considerato che non dovremmo rischiare la retrocessione, non so se possa servire ora un traghettatore.
Qualcosa, però, nel frattempo potrebbe essere utile…tutti i giorni dopo l’allenamento, i giocatori potrebbero incontrarsi e – affiancati da un buon terapeuta – parlare tra loro : “Ciao, mi chiamo Alessandro e sono caduto nel tunnel della squadra da bassa classifica”, “Ciao, mi chiamo Gigi, e anch’io sono caduto nel tunnel della squadra di bassa classifica”, “Ciao, mi chiamo Felipe e anch’io sono caduto nel tunnel della squadra di bassa classifica” ……
Hai visto mai che serva a qualcosa?

Articolo pubblicato su Juvenews.net

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

domenica 6 marzo 2011

Metamorfosi

La cosa che più mi è dispiaciuta ieri non è stata la sconfitta.
Non è stato neppure il “come si è perso”, senza un tiro in porta ed un’azione degna di questo nome.
Non è stata l’incomprensibile lentezza di questa squadra, che riesce a stare in 11 dietro la linea della palla, ma che mai riesce a ripartire in velocità. Si aspetta sempre l’avanzamento di tutti, passando la palla indietro od orizzontalmente, lasciando tutto il tempo agli avversarsi di riposizionarsi.
Non sono stati i sorrisi e gli abbracci con gli avversarsi alla fine, che va bene l’educazione ed il rispetto, ma quasi sembravano contenti di aver perso, o comunque che non gli importasse della sconfitta.
Non è stato il comprendere come si possa avere una squadra di serie A dove nessun terzino e nessuna ala, una volta arrivato vicino al fondo, sia in grado di fare un cross in area.
Non è stato constatare che da 3 partite non facciamo un gol. Eppure ora il centravanti ce lo abbiamo (cit.)!
Non è stata la consapevolezza che questa squadra è incapace di vincere 3 partite di seguito, ma è bravissima a perderne 3 consecutivamente.
Non è stato il prendere atto come questo gruppo non sia in grado quasi di competere neppure per un posto in EL, pur non avendo una rosa inferiore a molte delle squadre che la precedono in classifica.
Ciò che mi è dispiaciuto di più ieri sera sono state le dichiarazioni a fine partita.
Praticamente tutti hanno ripetuto, molto serenamente, la stessa cosa : “Ma che potevamo fare? Abbiamo perso contro la prima in classifica, ci sta!”. Alla Juve, ci sta un corno! (e scusate l’espressione).
Più di qualche volta nelle pagine di questo blog, abbiamo ricordato come la vera Juve vinceva le partite già all’ingresso del tunnel, prima di entrare in campo. Il carattere, la voglia di vincere, la consapevolezza della propria superiorità si respiravano nell’aria prima ancora del fischio d’inizio. Ora siamo diventati “l’altra squadra”, quella che nel tunnel vede l’avversario quotato e si cala le braghe prima ancora di cominciare la partita, tanto perdere con i primi ci sta!
Il processo di provincializzazione si è completato.
Ed è palese anche dal fatto che nessun giornalista ha pensato che la panchina di Delneri fosse in pericolo sabato notte, era tutta la settimana che si ripeteva che il lavoro del friulano non poteva essere giudicato dopo la partita con il Milan, perché perdere con la prima in classifica, ci sta! Considerazioni tipiche per le squadre di media/bassa classifica.
Non è bastato, come molti tifosi si auspicavano (me compresa!) l’arrivo, dietro le scrivanie, di Andrea Agnelli e di Nedved a ricordare di che pasta è fatta la Juve. Anche loro sono stati travolti dalla “mediocrizazzione” della società?
Comunque Moggi e Lippi o Capello mai, al termine di una partita avrebbero detto con quella seraficità: “Ma che potevamo fare? Abbiamo perso contro la prima in classifica, ci sta!”. E sentirlo, invece, pronunciare da Marotta o Delneri dispiace ma non spaventa, perché in fondo loro lo hanno detto per tutta la loro vita professionale.
E’ sentirlo dire da Del Piero che terrorizza, perché 4 anni fa lui non l’avrebbe detto!

Articolo pubblicato su Juvenews.net

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

Altro giro, altro regalo...


Aggiornamento del (primo) pomeriggio, giusto per ridere un pò insieme. Ringrazio Diego per avermelo inviato.
Guardate come esultano i giocatori della squadra islandese dello Stjarnan dopo aver realizzato un goal...



Ulteriore aggiornamento del (tardo) pomeriggio (grazie Roberta)


sabato 5 marzo 2011

Quando un'autorete di Chamot lanciò la Juve verso il tricolore

"La mia non è una polemica con Carletto, che reputo una persona per bene, quanto piuttosto una difesa dell'onestà di giudizio. Perché sono mesi, ormai, che viene messa in parallelo la mia ultima stagione alla Juventus con le due di Ancelotti. L'accostamento andrebbe fatto su sei stagioni...". Da quando in estate Marcello Lippi era rientrato alla corte della Vecchia Signora per prendere il posto occupato sino a quel momento da Carlo Ancelotti, così come era accaduto a parti invertite nel febbraio del 1999, i media avevano ripetutamente paragonato il percorso della nuova creatura del tecnico viareggino con quella guidata in precedenza dall'allenatore di Reggiolo. Per il quale, terminata l’esperienza bianconera con due secondi posti in altrettanti campionati interi da lui disputati su quella panchina, il destino riservò un ritorno al Milan dopo la felice esperienza da calciatore.
"Strano, no? Io ne ho fatti 144 in due anni e non sono bastati". Con questa chiara allusione ai punti accumulati da Madama durante il suo periodo trascorso a Torino (71 punti il primo anno e 73 nel secondo) il mister rossonero si presentò allo stadio "Delle Alpi" il 14 aprile 2002 nel tentativo di fare bottino pieno, per continuare la rincorsa a quel quarto posto in classifica indispensabile per disputare i preliminari per l'ammissione alla successiva edizione della Champions League. La Juventus, dal canto suo, a quattro giornate dalla conclusione del campionato si trovava a tre sole lunghezze di distanza dall'Inter capolista.

Privo di due pezzi da novanta del calibro di Montero e Nedved, Lippi fu costretto a mettere mano alla formazione titolare per trovare una valida soluzione da contrapporre agli ospiti. Alla fine optò per il classico 4-4-2, abbandonando così l’idea di cercare un'alternativa al forte calciatore ceco da inserire nella posizione di trequartista dietro le punte Del Piero e Trezeguet. Zambrotta venne spostato avanti di qualche metro rispetto all’abituale posizione di terzino sinistro e sistemato all’altezza della linea mediana del campo, con il conseguente inserimento di Pessotto come suo sostituto in difesa. Nell'altro versante mise Zenoni davanti a Thuram, laterale destro di un reparto arretrato che aveva come coppia centrale il duo Ferrara-Iuliano. Antonio Conte e Davids vennero inseriti nel cuore del centrocampo bianconero, pronti a battagliare con Ambrosini e Gattuso, i loro dirimpettai in maglia rossonera.
Anche Ancelotti, che a sua volta dovette fare a meno di Rui Costa, decise di adottare lo stesso modulo scelto dal tecnico viareggino, rinunciando a priori alla regia di Albertini e Pirlo per puntare su un assetto di sostanza e corsa, quella che Contra e Serginho avrebbero dovuto garantire al Milan lungo le corsie laterali. La dinamica dell'incontro, però, non potè che risentire degli effetti di due formazioni schierate sul campo in maniera così speculare.
La partita offrì pochi spunti di cronaca per quasi tutta la sua durata, riservando il meglio di sé per i minuti finali. Il solo Davids riuscì ad effettuare una conclusione degna di nota per i padroni di casa al 38' della prima frazione di gioco (rasoterra innocuo di sinistro). Per il resto, come se Madama fosse ipnotizzata dal pensiero di dover vincere a tutti costi per mantenere il passo dell’Inter, fu il Milan a dimostrare sul campo una maggior determinazione nel voler prevalere sull'avversario. Shevchenko e Inzaghi, costantemente messi in fuorigioco dall'eccellente applicazione dei movimenti in tal senso da parte di Ferrara e Iuliano (per ben quattordici volte vennero fermati in offside dai guardalinee), provarono invano ad impensierire Buffon in due occasioni con tiri al limite della pericolosità.
Al termine del primo tempo Ancelotti aveva già dovuto effettuare due sostituzioni a causa degli infortuni occorsi a Contra e Serginho, al posto dei quali subentrarono Albertini e Pirlo. La squadra ospite passò così da un 4-4-2 naturale ad uno “mascherato”, con la contemporanea presenza di quattro centrocampisti centrali poco inclini per le loro caratteristiche a muoversi sulle fasce. Altri due tentativi falliti da parte di Shevchenko e dello stesso Pirlo (che costrinse Buffon ad un difficile intervento recuperando una sua ribattuta a seguito di un cross velenoso di Kaladze) sembravano condurre la gara ad un inevitabile pareggio, quando - al 33' della ripresa - accadde quello che nessuno si aspettava: una punizione calciata in area di rigore rossonera da Del Piero venne involontariamente deviata nella propria porta da Chamot. Il Milan, rimasto qualche attimo prima in dieci uomini per un altro infortunio patito da Albertini a cambi ormai esauriti per l'ingresso di Roque Junior per Helveg (al 27'), si trovò nella condizione di cercare un disperato recupero in inferiorità numerica. Lippi, dal canto suo, aveva già provveduto a togliere un evanescente Zenoni per inserire Zalayeta, con il conseguente arretramento dello stesso Del Piero nella posizione di trequartista.

Trovato fortunosamente il goal, la Juventus si sbloccò, attaccando con decisione la porta difesa da Abbiati. Trezeguet (due volte) e lo stesso numero dieci bianconero tentarono di arrivare al raddoppio prima della fine dell'incontro, con il solo Inzaghi, per gli ospiti, che al 39' gettò al vento un'ottima occasione per raddrizzare le sorti della gara. Per Moggi il successo appena ottenuto si poteva riassumere nelle parole "carattere e fortuna", mentre Lippi dichiarò: "Sarò sincero: prima che le partite cominciassero, avrei messo la firma su una situazione del genere. In fondo, eravamo noi ad avere l'impegno più difficile. Quindi, non aver perso contatto dalle prime è un ottimo risultato. Sarà domenica prossima il giorno in cui potremo recuperare qualche punto: ci sarà un bel Milan-Roma, un bel Chievo-Inter, qualcosa potrebbe di nuovo succedere. Anche se noi a Piacenza incontreremo delle difficoltà". Ad aiutare a superarle ci avrebbe pensato Pavel Nedved, mentre per quanto riguarda il match dei nerazzurri l'allenatore viareggino si dimostrò un buon profeta (finì 2-2).
Il campionato terminò il 5 maggio 2002 con uno degli scudetti più belli e sofferti di Madama, che concluse la stagione con 71 punti.
Quell'anno furono sufficienti per vincere il tricolore...

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venerdì 4 marzo 2011

Juve-Milan tra rispetto e onore

"La partita di sabato sarà decisiva per scongiurare una stagione come quella precedente. Il Milan può essere il grimaldello per cambiare rotta e inanellare risultati positivi". Così si è espresso Gianluigi Buffon il 28 febbraio (mentre presenziava al "7° torneo Amici dei Bambini", tenutosi a Milano) in riferimento alla gara che domani sera vedrà contrapposta la sua Juventus ai rossoneri.
Dopo aver collezionato record negativi in serie nello scorso campionato, per Madama questo doveva essere l’anno in cui si sarebbero dovute gettare le basi per un futuro più consono alla propria storia, al suo blasone, a quel nome così importante quanto quella maglia bianconera sotto il cui peso alcuni giocatori rimangono inesorabilmente schiacciati.

La Juventus ripartiva da "-27", dal freddo numero dei punti che indicava il distacco accumulato nei confronti dell’Inter vincitrice dell’ultimo tricolore, con l’obiettivo dichiarato di ridurlo alla conclusione di questa stagione. Ma i risultati, strada facendo, non sono stati in linea con le aspettative. Adesso il gap si è semplicemente accorciato a "-17", quando ancora si devono disputare undici partite e con il rischio concreto di arrivare a "-20" già da domani sera, visto che proprio i rossoneri sono attualmente i primi della classe.

Per diversi mesi si è fatto un gran discutere sull’incapacità della Vecchia Signora di riuscire ad ottenere tre vittorie consecutive in serie A, dato che la benzina nella macchina di Del Neri puntualmente finiva al raggiungimento di due successi di fila. Rimanendo nella stretta attualità e guardando il bicchiere mezzo vuoto cresce, viceversa, la preoccupazione per l’arrivo di un’altra disfatta dopo le ultime capitate contro Lecce e Bologna, che comporterebbe il verificarsi di un imbarazzante filotto di tre sconfitte in altrettante gare.

Si tratterebbe, nel caso, di un altro evento negativo che farebbe somigliare sempre di più l’attuale Juventus a quella della passata stagione. Al giro di boa di quel campionato fu proprio la vittoria del Milan contro i bianconeri allo stadio "Olimpico" di Torino il 10 gennaio 2010 (3-0 grazie alla doppietta messa a segno da Ronaldinho e alla rete realizzata da Nesta) che diede il via ad una sequenza di sconfitte che continuò nella successiva trasferta a Verona contro il Chievo e nella partita interna contro la Roma di Ranieri, capolinea della prima esperienza di Ciro Ferrara in serie A. Un pareggio ottenuto dal "traghettatore" Zaccheroni al suo esordio davanti ai sostenitori juventini fermò quell’emorragia di risultati negativi.

La marcia della Vecchia Signora di quest’anno ha un ritmo ancora più lento di quella che l’ha preceduta (tre punti in meno in classifica). La formazione allenata dal duo Ferrara-Zaccheroni terminò il campionato in settima posizione, la stessa occupata attualmente dalla squadra diretta da Del Neri. A fine stagione Madama si ritrovò davanti a sè più o meno gli stessi club che l’hanno superata adesso, fatta eccezione per Udinese e Lazio che hanno preso il posto della Sampdoria di Marotta e del Palermo di Maurizio Zamparini. Al patron dei rosanero in questo momento potrebbe servire quel lacrimatoio che avrebbe voluto regalare alla Juventus circa un mese fa "per riversare tutti i pianti per le ingiustizie subite dagli arbitri": esonerare 28 allenatori in 24 anni di presidenza (tra Venezia e Palermo) non è certo un risultato da mostrare con orgoglio, con l’aggravante che l’ultimo di questi è scaturito a seguito di una tremenda umiliazione casalinga con un passivo di sette reti.

Fu proprio la squadra siciliana ad interrompere l’unica serie positiva della Juventus negli ultimi due anni (quattro vittorie consecutive, oltre a due pareggi, ad inizio della scorsa stagione) il 4 ottobre 2009 allo stadio "Renzo Barbera", superando i bianconeri con il risultato di 2-0. Se anche la formazione diretta da Del Neri dovesse riuscire a ripetere una simile sequenza di risultati difficilmente si modificherebbe il destino del tecnico di Aquileia, che pare ormai già segnato.
Viceversa, una nuova sconfitta contro il Milan potrebbe portare a scenari impensabili sulla panchina juventina sino a poche settimane fa.

Milan e Juventus si fronteggiarono allo stadio "San Siro" nel corso del girone di andata il 30 ottobre 2010. Vinse Madama per 2-1, grazie ad un bellissimo goal di testa di Quagliarella su un cross di De Ceglie ed alla rete numero 179 in campionato con la maglia della Vecchia Signora di Alessandro Del Piero, abile a concludere un’azione maldestramente portata avanti prima di lui da Sissoko.
Dei quattro giocatori citati nessuno prenderà parte all’incontro di domani, fatto salvo il numero dieci bianconero che con ogni probabilità inizierà la gara seduto tra le riserve.

Alla fine di quella partita, comprensibilmente euforico per il successo appena conseguito dai suoi uomini, Del Neri dichiarò: "Abbiamo lo spirito per stare lassù sino a maggio e poi vedremo cosa succede". Lo seguì a ruota libera Felipe Melo: "Sappiamo che Inter e Milan hanno più qualità di noi, ma la Juve dà il massimo. Se lavoriamo bene, ce la giochiamo con tutti e adesso i tifosi possono sognare lo scudetto".
Più che sognare il tricolore, quei sostenitori adesso chiedono rispetto. Per loro stessi, e per una maglia bianconera da onorare.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Un pò di vera Juventus "made in Italy"