venerdì 30 novembre 2012

Juve, il derby prima della coppa

 
Quale Juventus accoglierà sabato prossimo il Torino per giocare la prima stracittadina della storia nella sua nuova casa?
Quella scintillante che ha annichilito il Chelsea nell'ultima gara disputata in Champions League oppure la sua versione più scialba, quella che a Milano si è poi limitata a timbrare il cartellino lasciando i tre punti all'ombra del Duomo?
 
I derby sfuggono al gioco dei pronostici. Anzi, spesso si divertono a ribaltarli. Per mantenere la vetta solitaria della classifica la squadra di Conte non potrà permettersi ulteriori passi falsi in serie A, visto che il Napoli si trova a due sole lunghezze da lei e che il prossimo impegno degli uomini di Mazzarri (in casa contro il Pescara, fanalino di coda) non sembra essere certo insormontabile.
 
Il ritmo tenuto da Madama in questa stagione ha costretto le dirette rivali a mantenere un'andatura elevata sin dal suo avvio. Le fatiche di coppa, oltretutto, non le hanno impedito di andare ancora più veloce rispetto ad un anno fa (trentadue punti contro trenta). Proprio in Champions League la Juventus dovrà procurarsi a Donetsk, mercoledì 5 dicembre, il lasciapassare per gli ottavi di finale della manifestazione.
 
Quanto influirà il pensiero di un impegno così delicato e ravvicinato al derby sulle teste dei bianconeri? Questa è una delle domande alle quali Conte dovrà trovare delle risposte prima della partita contro il Torino. Sino al 9 dicembre (in occasione della trasferta di Palermo) l'allenatore continuerà ad osservare i suoi uomini dalle tribune durante i novanta minuti di gioco. Da quella data in poi, invece, potrà riprendere a gestire la propria creatura impartendo gli ordini direttamente dalla panchina.
 
Il caso ha voluto che proprio i due prossimi impegni di Madama siano i più delicati degli ultimi tempi. Anche Giuseppe Marotta, pur concentrato sulla stracittadina, non ha nascosto l'importanza della gara in Ucraina: "Da parte nostra c’è la voglia e la volontà di superare il turno, vediamo lo striscione del traguardo ma ci sono ancora dei metri da percorrere e lo faremo col massimo impegno, pur sapendo che siamo una squadra ben quadrata per arrivare a questo obiettivo".
 
Dopo aver perso l'onore e l'onere di una lunghissima imbattibilità in campionato contro l'Inter (3 novembre), la Juventus ha saputo reagire subito con forza, determinazione e risultati. La sconfitta contro il Milan, influenzata dall'episodio del rigore decisivo fischiato per un fallo di Isla che non c'era, ha messo invece in mostra una formazione bianconera improvvisamente priva di energie (nel fisico) e svuotata di idee (nella testa). L'equilibrio che il doppio binario Italia-Europa richiede a chi vuole essere protagonista in entrambi i fronti non ammette debacle simili in momenti delicati come questi.
 
Buttando l'occhio dall'altra parte della città, mercoledì il Torino di Ventura ha affrontato la gara col Siena di coppa Italia (vittoria dei toscani per 2-0) in formazione largamente rimaneggiata. A causa di un impegno troppo vicino al derby, ovviamente, anche se il tecnico ha assicurato più volte che la Juventus sarebbe stata un pensiero ricorrente soltanto al rientro dalla Toscana.
Fermo restando che quasi tutti i titolari, in realtà, erano rimasti a casa.
 
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mercoledì 28 novembre 2012

Costantino Rozzi e l’Ascoli delle meraviglie


Suonava il violino per passione, si era diplomato geometra e da giovane, per non restare con le mani in mano durante il tempo libero, dava ripetizioni ai propri compagni di scuola. Gratuitamente, perché si trattava di una persona generosa. Costantino Rozzi era nato ad Ascoli Piceno l’11 gennaio 1929. Costruttore edile, proprietario di alberghi e produttore di vini, era diventato noto al grande pubblico nella figura di presidente dell’Ascoli Calcio.

Per raccontare il suo approccio con il mondo del pallone si può citare il famoso proverbio “chi disprezza compra”. Abitava vicino allo stadio della sua città ed era infastidito dall’incredibile aumento del traffico che si verificava in quella zona ogni fine settimana, tanto da domandarsi: “Ma chi sono quei pazzi che trascorrono la domenica pomeriggio dentro uno stadio per vedere la partita?”. Erano quei tifosi ai quali lui stesso avrebbe poi regalato anni di soddisfazioni.

Dopo essersi convinto grazie ad un’opera di persuasione messa in atto da alcuni amici, nel mese di giugno del 1968 aveva acquistato una quota di minoranza del club marchigiano, diventandone presidente trascorso poco tempo. L’intenzione era quella di prendersi un impegno di breve durata. Le prime parole da lui pronunciate dopo l’insediamento non avevano destato un’ottima impressione ai suoi più stretti collaboratori: “… Io so a malapena che in Italia il calcio si divide in tre categorie… Serie C, Serie B e Serie A. Noi adesso siamo in C. Ma chi ci vieta di arrivare sino alla A?… “.

In realtà rappresentavano lo specchio fedele di un uomo estremamente determinato. Da giovane desiderava laurearsi in ingegneria, ma visto che ad Ascoli non c’era quell’università e che avrebbe dovuto sostenere troppi esami integrativi per il proprio futuro scelse un’altra strada. Vinse un concorso al catasto e, dopo essere riuscito ad evitare il trasferimento a Firenze, si era licenziato terminata la prima ora di lavoro. Alla madre Lucia che reclamava delle spiegazioni rispose: “Mamma, per piacere levati dalla testa che io posso stare a scrivere seduto ad un tavolino. Quel lavoro non fa per me“. Aveva iniziato la propria carriera partendo dall’impresa edile ‘Zaccherini’, dove conobbe Franca Rosa, un’impiegata che nel 1957 diventò sua moglie e dalle quale ebbe quattro figli: Fabrizio, Anna Maria, Antonella ed Alessandra.

Alla quarta stagione al timone del club era riuscito finalmente a conquistare la serie B. Nei confronti di chi gli domandava maliziosamente “Adesso che siete in B cosa pensate di fare?”, rispondeva serafico: “Niente, niente, tanto è chiaro che più di un anno in B non facciamo… Cosa avete capito? Facciamo solo un anno in B perché ci attende la Serie A!”. Non si trattava di presunzione, ma di un presagio: il 9 giugno del 1974  il sogno di un’intera città era diventata realtà. Al fischio finale della gara decisiva disputata contro il Parma il campanone della Cattedrale aveva suonato per dieci minuti ininterrotti. Prima di allora era rimasto in silenzio sin dal lontano novembre del 1972, a seguito del terribile terremoto che aveva scosso Ascoli. Sulla panchina sedeva Carlo Mazzone, al quale Rozzi aveva affidato l’incarico con un discorso tanto breve quanto incisivo: “Senti un pò Mazzone… Ogni anno chiamo uno scienziato per cacciarlo a metà stagione. Visto che sei bravo a sostituirli, stavolta il campionato lo cominci direttamente tu, così non ci penso più…”.

Per motivi puramente campanilistici Rozzi si era adoperato per cambiare denominazione alla società: da “Del Duca Ascoli” (il nome del primo presidente mecenate) ad “Ascoli Calcio 1898″. Proprio “Del Duca” era il nome di quello stadio che aveva promesso di costruire in cento giorni, anticipando i soldi di tasca propria. Erano in pochi a credere in quell’impresa, eppure riuscì a mantenere l’impegno anticipando i tempi della consegna. In quell’impianto che poteva contenere sino 40.000 persone (per una città che aveva poco più di 50.000 abitanti) i campioni del mondo di Enzo Bearzot disputarono un’amichevole contro il Portogallo (3 aprile 1985).

Durante i suoi ventisei anni alla guida del club, interrotta soltanto dalla sua morte avvenuta il 18 novembre 1994, Rozzi era riuscito a mantenerlo in serie A per ben quattordici stagioni, alternate da retrocessioni e successivi ritorni nel massimo campionato. Quattordici, come il numero dei tecnici da lui esonerati. Aveva un sogno: “In coppa UEFA voglio arrivarci, prima o poi…”. Nel 1980 ci arrivò vicino per davvero: con la retrocessione del Milan a causa dello scandalo del Totonero, la sconfitta del Torino nella finale di coppa Italia contro la Roma gli aveva precluso la possibilità di realizzarlo. Rimase la soddisfazione per aver conseguito il quarto posto in classifica, alla quale si era aggiunta la conquista della Mitropa Cup nel novembre del 1986.

Stefano Pellei, nel suo libro “Costantino Rozzi – Una panchina nel cielo”, ha raccontato con dovizia di particolari l’amore di un uomo verso quello sport che aveva prima detestato e poi amato. Nel 1989, oltretutto,  era riuscito ad ottenere anche la laurea honoris causa in sociologia dall’Università di Urbino. Aveva battagliato per dare voce ai diritti delle squadre provinciali, quando sedeva in panchina si agitava indossando i calzini rossi per sfidare la sfortuna. Quelli che adesso, forse, conserva ancora. In attesa di sentire suonare nuovamente una campana.

Articolo pubblicato su Lettera43

lunedì 26 novembre 2012

A corrente alternata

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Purtroppo questa volta la risposta tanto attesa da tutti noi tifosi bianconeri non è arrivata. La conferma della Juve vista martedì scorso contro gli inglesi del Chelsea non si è avuta ed anzi, le mie orecchie hanno avvertito sinistri scricchiolii in quell’ingranaggio perfetto che la Vecchia Signora sembrava essere fino a qualche tempo fa. Per la verità non erano mancate altre battute d’arresto o passaggi a vuoto nel recente passato, alcuni dei quali preoccupanti, ma Madama si era sempre ripresa brillantemente. Nell'occasione della sfida di San Siro, invece, si sono notate diverse cose che, al momento, non sembrano funzionare affatto. 

Se torno a rileggere alcuni miei post di questa stagione spesso vi ho espresso dubbi relativamente all’approccio mentale degli uomini di Conte alla gara, approccio che troppo spesso non è stato quello giusto o almeno quello che siamo stati abituati a vedere per tutto l’arco dell’annata passata. Alcune volte la squadra è riuscita a rimediare pur essendo andata in svantaggio (vedi Genova per esempio) ma altre volte, due delle quali in Champions contro lo Shakhtar e contro il Nordsjelland, ma anche contro la Fiorentina, l’Inter, sebbene in quell’occasione si fosse partiti bene, e nel match appena concluso l’impresa di rimediare ad un pessimo inizio conquistando i tre punti non è riuscita. Onore, ad ogni modo, agli avversari che hanno interpretato decisamente meglio il match, con maggior rabbia agonistica e voglia di vincere ed anche con alcune ottime trovate tattiche di Allegri che, invece di pensare esclusivamente a far marcare Pirlo ha bloccato le iniziative della Juventus sulle fasce, lasciando ai bianconeri un'unica possibilità di penetrare nell'area rossonera, per vie centrali, ma allo stesso tempo marcando Vucinic in modo asfissiante e non permettendo a quest'ultimo di far inserire i centrocampisti con le triangolazioni.

Al di là dei meriti degli avversari però, la mia sensazione personale è che i ragazzi non abbiano più quella fame di cui tanto si parla e che ci ha reso imbattibili ed imbattuti per 50 partite o quanto meno che non riescano a metterla in campo per due incontri consecutivi come accaduto nella settimana appena trascorsa. Molta imprecisione nelle chiusure difensive, troppa superficialità nella costruzione del gioco, pochissima cattiveria agonistica nei contrasti, eccessivo pressapochismo nei cross e scarsa creatività dalla trequarti in su rappresentano un pericoloso campanello di allarme. Le motivazioni nello sport sono a volte più importanti di qualsiasi altra qualità e sono l’elemento fondamentale da cui è nato quel furore agonistico che ha permesso ai bianconeri di essere uno schiacciasassi per moltissimo tempo. Ebbene, quelle motivazioni sembrano non esserci più o, quantomeno, esistere solo a corrente alternata. 

L’aspetto psicologico non è l’unico sul quale mi vorrei soffermare. Forse sono semplicemente le circostanze che mi inducono a pensarlo, ma mi sembra che il Mister quest’anno stia sbagliando su diverse cosette. Non che la mia immensa stima per lui possa vacillare per questo, e nemmeno io posso ritenermi un allenatore, ma secondo me sta insistendo troppo su alcuni particolari che poi tanto particolari non sono. Innanzitutto abbiamo una rosa molto vasta, perché non utilizzare di più Marrone, Pogba, Lucio, Giaccherini, Pepe, Bendtner, Matri ecc? A maggior ragione dopo una partita impegnativa come quella di martedì scorso, c’era bisogno di far rifiatare qualcuno, ad esempio Vidal o Pirlo, entrambi poco lucidi ieri sera. Bisogna dare più fiducia alle seconde linee che poi tanto seconde non sono. Ruotare gli uomini nel modo giusto potrebbe rivelarsi decisivo ai fini della vittoria finale. 

Poi continuo a non capire il voler riproporre costantemente il 3-5-2. Nell’intervista via web concessa ai tifosi qualche giorno fa Antonio Conte ha confermato la volontà di continuare a giocare con questo modulo ritenendolo molto offensivo e quindi più adatto per mettere in pratica una filosofia di gioco votata all’attacco. E proprio questo, a mio modo di vedere, è il problema. E’ vero che la Juve ha sempre avuto la caratteristica di spingere in avanti e di schiacciare l’avversario costringendolo alle corde, sulla difensiva, ma se andiamo a vedere la vera forza di questa squadra era nel non subire praticamente mai goal. Il 4-3-3 forse, ma è da dimostrare, ci penalizzava leggermente in fase realizzativa, ma consentiva una copertura degli spazi nettamente superiore rendendo praticamente nulle le ripartenze degli avversari. Inoltre gli esterni erano sottoposti ad uno sforzo decisamente minore, prova ne è il differente rendimento di Lichsteiner di quest’anno rispetto alla stagione passata. 

Altro problema, al momento, sembrano essere alcuni singoli. Isla, il cui rendimento sembrava stesse tornando ai suoi standard abituali, sembra decisamente involuto dando l’impressione di non assomigliare nemmeno lontanamente allo splendido giocatore ammirato ad Udine. Ieri sera non ha mai, e sottolineo, mai superato l’avversario ed azzeccato un cross. Asamoah è fortissimo, ma è un interno di centrocampo, e se è vero che si è adattato benissimo in un ruolo non suo, non ha alcune caratteristiche che sarebbero necessarie per vincere nell’uno contro uno. Sinceramente non capisco, nel caso specifico, il mancato utilizzo di Pepe e Giaccherini, soprattutto quando vedo entrare in campo, al posto di Isla, Padoin, il quale certamente rispetto al compagno di squadra cileno non ha demeritato, ma non può essere l’uomo di fascia che cambia l’inerzia della gara. Vucinic sono ormai troppe le occasioni in cui si presenta svogliato, senza energie, piazzato spalle alla porta, alla ricerca costantemente della giocata ad effetto come il suo compagno di reparto Giovinco. A conferma di ciò abbiamo le cifre. Due sole reti fino ad ora in campionato, una delle quali su rigore. 

Insomma, era certo, e questo già lo sapevamo, che la Champions avrebbe risucchiato energie vitali preziose a questa squadra, così come sapevamo che non avere più la possibilità di preparare una sola partita a settimana avrebbe complicato decisamente la situazione, ma forse occorrerebbe una gestione diversa del materiale di cui si dispone. Mi chiedo e vi chiedo se questi alti e bassi, questa mancanza di continuità, almeno nell’atteggiamento mentale, possano essere dovuti solo ed esclusivamente al doppio impegno campionato-coppa o se invece c’è dell’altro. 

Due ultime considerazioni, una riferita a Quagliarella, del quale non ho approvato assolutamente la reazione al momento della sostituzione. Mi auguro che qualcuno gli faccia notare che alla Juve queste cose non si fanno. L’altra considerazione è riferita al calcio di rigore “regalato” al Milan. Come vedete ne parlo solo alla fine del mio post, perché da juventino, so riconoscere, come hanno già fatto Buffon e Marotta del resto, quando la Juve non vince per demeriti propri, ma è da ieri che io, come tutti quanti noi credo, mi sto ponendo questa domanda: se lo avessero concesso alla Juve quel rigore, che titoli leggeremmo oggi sui quotidiani e su tutti i principali si internet del paese?

domenica 25 novembre 2012

Intervista a Roberto Perrone

Roberto Perrone, noto giornalista del "Corriere della Sera" e scrittore, ha concesso un'intervista in esclusiva a "Pagina". 

Nei momenti successivi la vittoria dell'Inter allo "Juventus Stadium" (3 novembre) sul suo profilo twitter lei scrisse: “Ragioni della sconfitta? Cabala, karma, eccessiva sicurezza, bravura dell'Inter. Ma alla Juve questo stop potrebbe anche servire”. A distanza di tempo possiamo dire che aveva avuto ragione nel pensarla in quel modo? 

Sicuramente la sconfitta con l'Inter era quella che volevano di meno gli juventini, ma visto che prima o poi bisognava perdere va riconosciuto che è servita a svegliare un po’ la squadra. Infatti le successive gare col Pescara e la Lazio, non certo facili, la Juventus le ha affrontate con lo stesso spirito messo in mostra lo scorso anno. Così come poi è accaduto contro il Chelsea. Con l'Inter, invece, si è visto l'atteggiamento tipico di questa prima parte della stagione, che non le ha consentito di esprimere un gran gioco. Ritrovato quello, a lungo andare anche qualche mezzo passo falso come il pareggio interno con la Lazio può essere superato senza grosse conseguenze. Il gioco paga, sempre. 

Lo scorso 22 ottobre dalle pagine del "Corriere della Sera" aveva posto l'attenzione sulle molte energie spese dalla Juventus per cercare di sopperire ad una "doppia assenza": quella di Antonio Conte sulla panchina e di un vero e proprio goleador in squadra. Assodato che a breve il tecnico terminerà il suo esilio in tribuna, per il prossimo gennaio immagina l'arrivo a Torino di una punta di valore? 

Credo di no. Secondo me la Juve a gennaio non farà un grandissimo mercato. Naturalmente molto dipenderà dall'eventuale passaggio agli ottavi di finale in Champions League (attenzione al troppo entusiasmo, nulla è scontato), ma in quella sessione di calciomercato è veramente difficile comprare una punta che ti cambi la stagione. Anni fa proprio in quel periodo acquistò Henry, il quale impiegò del tempo per ambientarsi ed integrarsi nel gioco bianconero e venne ceduto dopo pochi mesi per svariati motivi. Penso che la società punti a fare spese la prossima estate, così come ha fatto nella scorsa: acquistando giocatori del calibro di Asamoah e Pogba, giusto per fare due esempi, ha sistemato il centrocampo anche in prospettiva futura. Adesso penso metterà da parte dei soldi nel salvadanaio per poi intervenire nel reparto offensivo. 

Osservando l'andamento di queste prime giornate di serie A si aspettava un ritorno così veloce della Fiorentina ad alti livelli? Secondo lei riuscirà a mantenere questa posizione sino alla fine del torneo? 

La Fiorentina non me l'aspettavo a questo livello di classifica. Sicuramente Montella è un grandissimo allenatore: è professionale, non dà in escandescenze, non fa 'le manette', non urla, non strepita. Insomma, è il genere di tecnico che piace a me. Come dicevo prima a proposito della Juventus, il gioco paga. Oltretutto loro hanno grande entusiasmo, anche se ho notato in alcune partite, come quella disputata contro l'Inter, qualche amnesia penso dovuta alla giovinezza. Possiedono diversi elementi che diventeranno obiettivi di mercato di qualche club, che l'anno prossimo si affretterà a comprarli a peso d'oro. Sbagliando, perché solo in quella squadra riescono a dare il massimo. Ritengo giusto, quindi, dare importanza al lavoro di Montella. Nell'attuale livello della serie A può arrivare in Europa League, difficilmente in Champions. 

Fiorentina a parte, mi potrebbe dire quali sono state - a suo modo di vedere - la sorpresa positiva e quellae negativa del campionato? 

Come sorpresa positiva dico Inter. Per lei immaginavo un campionato mediocre, invece sta facendo molto bene. A ben guardare non avrei dovuto sorprendermi più di tanto: con tre attaccanti del calibro di Cassano (in stato di grazia, almeno sino ad ora), Milito e Palacio ci si potevano aspettare buoni risultati. Proprio per quanto riguarda l'argentino va detto che i nerazzurri hanno comprato la scorsa estate la migliore punta sul mercato, tolto ovviamente Cavani che il Napoli non avrebbe certo dato via a cuor leggero. 

Per quanto riguarda quella negativa, invece? 

Tra quelle negative, ma non troppo, c'è il Genoa, una squadra mediocre. In serie A, secondo me, ce ne sono di peggiori, ma è certo che da un gruppo che può schierare giocatori del calibro di Borriello, Immobile e Jankovic non mi sarei aspettato l'attuale ultimo posto in classifica. 

Calciopoli, Juventus e Inter. A distanza di anni dai fatti del 2006 ogni qualvolta sorge una polemica tra i due club si finisce per toccare quell'argomento. Che idea si è fatto di quel periodo? Cosa ne pensa della volontà da parte bianconera di riappropriarsi dei due scudetti tolti dalla giustizia sportiva? 

In quel periodo vorrei entrarci meno possibile. Anzi, vorrei uscirne. Capisco che per i diretti interessati sia molto difficile farlo. Dico solo questo: mi sarebbe piaciuto che nel 2006, sul piatto, ci fossero state tutte le intercettazioni, non solo una parte, comprese quelle comparse a distanza di tempo grazie al lavoro di un consulente della difesa di Moggi. Se fossero uscite in contemporanea all'epoca di Calciopoli probabilmente la storia sarebbe stata diversa. 

Lo scorso 4 ottobre, intervenendo alla trasmissione televisiva "E' (sempre) Calciomercato" in merito al cammino della Juventus in Champions League aveva dichiarato: “Ora c’è da vincere le prossime tre gare in modo da evitare di giocarsi la qualificazione a Donetsk”. Proprio in Ucraina i bianconeri cercheranno l'ultimo punto indispensabile per la qualificazione agli ottavi di finale. Che tipo di gara si aspetta? Sente aria di "biscotto"? 

Il “biscotto” è un vecchio 'refrain' che noi italiani amiamo molto e che, detto in sincerità, anche gli altri hanno imparato ad apprezzare. Ricordo l'anno scorso un risultato scandaloso del Lione che avrebbe dovuto vincere a Zagabria con un numero esagerato di gol, che poi mise puntualmente a segno eliminando, di fatto, l'Ajax dalla Champions League. Senza dimenticare, ovviamente, il celebre 2-2 tra Danimarca e Svezia. A mio modo di vedere bisogna sempre pensare poco al risultato favorevole ed impegnarsi al massimo per fare la propria partita. Secondo me è la cosa migliore. 

Facciamo un salto veloce in Spagna: nel corso dell'anno solare 2012 Lionel Messi ha messo a segno la bellezza di 80 reti, ora gliene mancano soltanto 5 per eguagliare il record di Gerd Muller che risale al lontano 1972. Per essere considerato dall'opinione pubblica più grande di Maradona, cosa dovrebbe ancora fare? 

Vincere un mondiale da solo. Come ha fatto Maradona. 

Immaginavo una risposta simile... 

Di Maradona ce n'è stato uno. Messi, per quanto bravo, non è Maradona. Diego si è preso soltanto una vacanza: nella finalissima disputata a Città del Messico contro la Germania Ovest, nel 1986. In quel momento, forse, dopo aver condotto i compagni sino a quel punto deve averli guardati e detto dentro di sé: “Adesso ci pensate un po’ voi...”. Che Messi sia un grandissimo giocatore è fuori di dubbio, però la differenza tra i due si è vista nel 2010 in Sudafrica: inserito in una squadra scombinata ha fallito miseramente. 

Insieme a Gianluigi Buffon ha scritto il libro "Numero uno". Più volte lei gli ha riconosciuto pubblicamente il pregio della sincerità. Pregio che però, in un mondo come quello del calcio, finisce col diventare un difetto. Da quando ha avuto modo di conoscerlo ritiene che sia cambiato in questo senso, anche alla luce di alcune esperienze negative, oppure che sia rimasta sempre la stessa persona? 

No, è lo stesso di sempre. Chiaramente è rimasto scottato da certe vicende, però apprezzo una cosa di lui: ci sono persone che quando vengono prese con le mani nella marmellata riescono a dire che se le stavano sciacquando e non che stavano mangiando di frodo, mentre altre quando fanno una cavolata vengono beccate, esposte al pubblico ludibrio e non cadono mai in piedi. Buffon è una di queste. Ha pagato sia per errori suoi, dovuti anche all'inesperienza, che per quelli di altri. Naturalmente, poi, sui suoi errori c'è chi ci ha marciato per ottenere un proprio tornaconto personale. Io e lui siamo simili, entrambi andiamo sino in fondo alle esperienze che viviamo, nel bene come nel male. Diversi da noi sono i 'furbi', quelli che riescono a nascondere bene le cose che fanno loro comodo. 

Il corso adiacente lo "Juventus Stadium" ha appena cambiato nome: da "Corso Grande Torino" a "Corso Gaetano Scirea". Che ricordo ha dell'indimenticato campione della Juventus? 

Un grandissimo campione, una persona molto semplice, elegante nel gioco. Smessi gli scarpini aveva dimostrato la sua umiltà cominciando dal basso, mettendosi in fila per aspettare il suo turno, mentre invece altri che vinsero molto meno di lui hanno avuto la strada spianata, grazie anche alle giuste raccomandazioni. Gaetano, per questo, è morto. Come ricorderai era stato spedito in Polonia come collaboratore di Zoff per osservare il prossimo avversario in coppa UEFA della Juventus, il Gornik Zabrze. Stiamo parlando degli ultimi giorni prima della caduta del Muro di Berlino e in Polonia, che adesso è un paese occidentale a tutti gli effetti, per affrontare i lunghi tragitti dovevi portarti dietro le taniche di benzina, non trovandola tanto facilmente. Quella trasferta, poi, la feci anch'io con la Juventus. 

L'ultima domanda è di tipo strettamente personale: c'è stato (o c'è tuttora) un giornalista o uno scrittore che ha rappresentato per lei un esempio da seguire? 

Io sono cresciuto al “Giornale” di Indro Montanelli e a livello di scrittura, di semplicità, di precisione nell'esposizione delle proprie idee lui era insuperabile. Da questo punto di vista l'ho sempre ammirato. Un’altra persona che apprezzo moltissimo è Giampaolo Pansa, uno di quei giornalisti che sa accettare anche chi non la pensa come lui. Questo a differenza di quanto accade in giro nella maggior parte delle situazioni, dove se io dico una cosa giusta e tu sei contro di me fai finta di niente, oppure continui a insistere nella tua posizione. 

Tra i giornalisti sportivi, invece? 

Cito quelli che leggevo da ragazzo: uno era Gianni Brera, mi piaceva molto per quella sua prosa immaginifica. Adesso ti racconto un aneddoto, relativo ad una grande lezione che mi diede il mio primo caporedattore. Una volta scrissi la 'Beneamata', lui mi chiamò e disse: “Beneamata da chi?”. Io rimasi un po' perplesso. Continuò: “Guarda che Beneamata è un termine che ha coniato Gianni Brera, che è un altro giornalista. Il tizio comune che la chiama così è un conto, se sei tu a farlo fai una brutta figura, perché non è un termine che ti appartiene”. Da quel momento in poi ho sempre cercato di usare pochissimo soprannomi dati da altri. Se tu ti vai a rileggere le raccolte del “Corriere della Sera” noterai che 'Pinturicchio' l'ho nominato soltanto la volta che l'Avvocato Agnelli lo tirò fuori, per spiegare al popolo chi fosse questo pittore. 

Prima mi ha parlato di giornalisti. Quindi ce n'è un altro? 

Nel 1978 compravo “Tuttosport” solo per leggere Vladimiro Caminiti. Il suo modo di scrivere mi piaceva moltissimo, è stato un grande giornalista. Ha avuto pure una carriera televisiva ma a me, da ragazzo, interessava leggere i suoi scritti.

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giovedì 22 novembre 2012

Juventus stellare anche in Europa

"A non passare il turno adesso proprio non ci penso, anche perché sono impegnato a preparare la partita di domani". Quella gara che una volta terminata gli è costata la panchina. Roberto Di Matteo, in cuor suo, era consapevole del fatto che la trasferta europea allo "Juventus Stadium" avrebbe rappresentato una tappa delicata della propria carriera. Il risultato negativo dell'incontro ha avuto per lui conseguenze dannose: dopo aver recentemente conquistato la Champions League (contro ogni pronostico) gli è stato impedito di portare a termine una nuova missione.

E' giusto ricordare come il Chelsea non sia ancora matematicamente fuori dai giochi: nel caso in cui la Juventus dovesse perdere dal già qualificato Shakhtar Donetsk (tra due settimane in Ucraina) agli inglesi basterebbe, infatti, una vittoria contro il Nordsjælland per accedere agli ottavi di finale del torneo. Si tratta di un'ipotesi difficile, ma non per questo irrealizzabile.

Passando dalla parte degli sconfitti a quella dei vincitori, finalmente l'Europa ha potuto ammirare la vera Juventus. La squadra del duo Alessio-Conte è riuscita a ripetere fuori dalla serie A una prestazione simile ad altre offerte sino ad oggi in campionato. Sono cambiati il palcoscenico e la qualità dell'avversario (una rosa simile a quella dei Blues, in Italia, oggi non la possiede nessun club), ma è rimasta intatta la determinazione con la quale la Vecchia Signora entra in campo per giocarsi la posta in palio.

In occasione della sconfitta patita contro l'Inter (3 novembre) gli avversari di Madama auspicavano un suo calo nel prosieguo della stagione: da quel momento in poi, invece, ha ripreso a correre ancora più forte di prima. Analizzando le partite successive a quell'incontro si può notare un curioso dato statistico: escluso il pareggio interno contro la Lazio (0-0) ci sono tre giocatori che hanno segnato in tutte le altre gare disputate (Nordsjælland, Pescara e Chelsea), vale a dire Giovinco, Vidal e Quagliarella. Fatta eccezione per Asamoah e Marchisio, è soprattutto a loro che va riconosciuto il merito di aver ulteriormente incrementato il numero delle marcature in casa bianconera.

Durante l'attesa per l'incontro con il Chelsea la Juventus è riuscita a svuotare la mente dalle questioni pendenti in campionato. Su questo punto, qualche ora prima del match, lo stesso Marchisio era stato profetico: "Polemiche arbitrali? Abbiamo una qualificazione cui pensare, che è molto più importante".

Adesso, invece, è arrivato il momento di dirottare l'attenzione nuovamente alla serie A, dove il Milan si appresta ad accogliere Madama nel posticipo serale della quattordicesima giornata. L'ultima volta nella quale le due squadre si sono incontrate a San Siro risale allo scorso 25 febbraio, nella partita passata alla storia come quella del "gol non assegnato a Muntari".

Nel corso di una stagione in cui il Diavolo sta recitando un ruolo da comprimario, Adriano Galliani non si lascia sfuggire le occasioni che gli si presentano per punzecchiare tanto la Juventus (sull'episodio in questione) quanto l'Inter: "Tagliavento è stato l'anno scorso l'arbitro della sfida scudetto Juventus-Milan e quest'anno ha diretto la probabile sfida scudetto tra Juventus e Inter. Il famoso gol di Muntari? Quello non l'ho mai dimenticato". Infilandosi in mezzo alle continue polemiche tra i due club si è beccato pure un "chissenefrega" da parte di Moratti, il quale - a sua volta - aveva appena ricevuto un "no comment" pubblicato sul sito della Juventus, con tanto di allegato contenente la celebre relazione del procuratore federale Stefano Palazzi datata 1° luglio 2011.

Su questi temi si potrebbe proseguire a lungo, tra "soldatini", "quaquaraqua", errori voluti, rigori non concessi e via discorrendo. Forse sarebbe più opportuno attendere la conclusione della prossima giornata di campionato per aggiungere qualcosa di nuovo: con ogni probabilità non mancheranno altri argomenti sui quali polemizzare.

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mercoledì 21 novembre 2012

Che emozioni!!

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma


Le sensazioni ed il sapore che le serate come quella di ieri ci lasciano dentro sono indimenticabili e ci riportano alla mente emozioni già vissute più volte precedentemente da noi tifosi juventini, ma è come se adesso avessero un gusto tutto nuovo, con sfumature diverse dal passato, come se rappresentassero un qualcosa di mai provato prima. Forse perché nelle precedenti sfide di coppa, escludendo il match di Torino contro i Danesi- avversario di certo non insuperabile -, non si era vista una Juventus così brillante, arrembante e con la voglia di superare a tutti i costi l’ostacolo nell’occasione rappresentato dai Campioni d’Europa in carica. 

Quello che voglio dire è che la Vecchia Signora ha ripescato dal passato qualcosa che sembrava aver smarrito, ossia quella mentalità vincente, quella rabbia e quelle motivazioni che Sir Alex Ferguson portava come esempio nelle riunioni tattiche del suo Manchester United e che, a suo dire, era l’unica cosa che mancava ai propri calciatori, al di là della tecnica e della tattica che essi stessi possedevano in abbondanza. Non voglio parlare di quanto accaduto in campo perché credo che lo abbiano visto tutti. Se si esclude una parte della prima frazione di gioco in cui gli inglesi sono effettivamente stati pericolosi, in campo c’era una squadra sola che cercava la vittoria e che ha schiacciato l’avversario nella propria metà campo, seppur correndo ogni tanto qualche rischio, ma causato più da errori nell’impostazione che dall’effettiva pericolosità dei Blues. 

Non voglio nemmeno dare voti, fare pagelle o giudicare chi è stato il migliore, chi il meno bravo (perché di peggiori io non ne ho visti), anche perché sarebbe ingiusto, poiché tutti i ragazzi che indossavano nell’occasione la gloriosa casacca a strisce bianconere hanno dato tutto quello che avevano dentro e anche qualcosa di più per raggiungere l’obiettivo finale. Questa è la Juve che a noi piace, questa è la Juve che nei nostri sogni desideravamo vedere in Champions, questa è la Juve che, se si esprime a tali livelli, può dire la sua anche in Europa. 

Ma questo è anche l’atteggiamento che si dovrà tenere a Donetsk, se si vuole passare il turno. La Juventus di Antonio Conte rende al massimo quando non fa calcoli, quando insegue il risultato pieno con la bava alla bocca, quando su ogni pallone si gioca il tutto per tutto, quando interpreta ogni contrasto come se fosse quello decisivo, quando vuole solamente, esclusivamente e disperatamente la vittoria. E’ paradossale ma, nonostante l’impresa di ieri, niente ancora è stato fatto e tutto invece si deve fare. 

A parte gli avvenimenti di campo, io, personalmente sono rimasto molto colpito quando ho sentito i tifosi di uno Juventus Stadium stracolmo cantare l’inno di Mameli. La mia prima reazione è stata di sorpresa ed un po’ di rabbia ed ho pensato: ma guarda se adesso dobbiamo cantare l’inno di un paese che ci odia, che fa di tutto per abbatterci come società di calcio ma anche per distruggere tutto quello che di grande abbiamo fatto, che è sempre pronto a sputare veleno sui nostri colori, a gettare fango sulla nostra immagine ed ad insinuare vergognosi dubbi ed ombre sui nostri successi, un paese la cui federazione ci offende con il suo doppiopesismo, in cui i giornalisti esultano in casa nostra ad una rete dei nostri avversari, una nazione che mai e sottolineo mai, è così unita come quando si tratta di parlare male della Vecchia Signora. 

Ma poi invece ho pensato che quello di cantare l’inno nazionale è stato un gesto bellissimo e che io ho interpretato come un messaggio molto diretto proprio a chi ci attacca continuamente, facendo presente a tutta l’Italia che se c’è una società che in Europa e nel Mondo difende l’onore di questo paese , non solo fornendo alla Nazionale gli elementi che le hanno permesso di vincere diversi titoli mondiali, ma anche esportandone i valori sportivi più grandi attraverso partite come questa, beh, quella è proprio la Juventus.

lunedì 19 novembre 2012

Niente di nuovo sotto il sole

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Non c’è moltissimo da dire sul pareggio casalingo ottenuto dalla Juventus nell’anticipo di sabato pomeriggio contro la Lazio, soprattutto perché non c’è nulla di nuovo sotto il sole, se non, da una parte la conferma di una ritrovata Juve nel gioco e nelle motivazioni, una Juve che ha dominato la partita in lungo e in largo, senza mai concedere nemmeno un tiro in porta all’avversario, dall’altra l’ennesima riprova dei limiti degli attaccanti bianconeri, i quali sembrano davvero avere difficoltà insormontabili nel concretizzare l’imponente mole di gioco creata dalla squadra. 

Per la verità di commenti ne ho sentiti tanti e di diversa specie. Secondo alcuni la Vecchia Signora manca di qualità sugli esterni, secondo altri invece tale qualità è un problema attribuibile solo ed esclusivamente agli attaccanti. Ma andiamo con ordine: innanzitutto, a mio parere, Paul Pogba, più che il sostituto naturale di Pirlo è una mezzala, e questa osservazione sembra aver avuto conferma nella parte finale del secondo tempo del match di sabato, dove Vidal è stato spostato in cabina di regia mentre il giovane talento francese è stato schierato proprio nella posizione di interno destro di centrocampo dove può sfruttare meglio le sue doti atletiche. In realtà Pogba è ormai chiaro che sia un potenziale campione, ma non ha, nelle sue caratteristiche la regia, almeno non nell’interpretazione a cui ci ha abituati Andrea Pirlo e che fa del centrocampista bresciano uno dei migliori interpreti del ruolo nel mondo. 

Per quanto riguarda gli esterni, secondo me Isla deve solamente tornare ai livelli in cui lo abbiamo visto esprimersi nell’Udinese, dove spesso riusciva a saltare l’avversario, cosa che, al momento, nella Juve non riesce a fare. Asamoah invece è un grandissimo giocatore, ma forse è più un interno anche lui e, per quanto svolga il suo compito con grandissimo impegno, con velocità e discreti risultati, qualcosa gli manca nell’uno contro uno. A questo proposito è importante, se non fondamentale, il recupero di Pepe che nella scorsa stagione fu decisivo nella posizione di esterno sia a destra che a sinistra. 

Ed ora arriviamo agli attaccanti. Abbiamo avuto l’ennesima conferma dell’inadeguatezza di Giovinco. Si batte, si impegna, addirittura si costruisce delle grandi occasioni ma poi sempre, e sottolineo, sempre, sbaglia sul più bello. Forse Antonio Conte, in questo caso, sta insistendo un po’ troppo su di lui. E’ vero che, in quanto ad alternative, non siamo messi benissimo. Matri, nel quale io continuo in assoluto a credere, credo che ormai abbia perso fiducia in se stesso e che difficilmente si ritroverà a meno di accadimenti clamorosi. Quagliarella, forse il compagno ideale per Vucinic continua ad alternare prestazioni strepitose a gare anonime, e non mi riferisco ai goal, ma proprio alle prestazioni in se stesse. Quello visto sabato è stato inconcludente e confusionario e non è mai entrato veramente in partita. Non parliamo di Bendtner, il quale, stando ai rumors, ha già in mente di tornare in Premier League. Troppo macchinoso, troppo lento. Sabato, nei minuti giocati, mi sembra abbia toccato il pallone una sola volta. 

Morale della favola, qui l’unico attaccante di livello superiore sembra essere Vucinic, ma nemmeno lui, nonostante sia tecnicamente un fenomeno, ha il vizio del goal. Certo, è comunque insostituibile e c’è da sperare che domani sera ce la faccia a recuperare dall’ennesima influenza che lo ha colpito, altrimenti sarà ancora più dura di quanto già non sia. 

Taccio sulle ennesime polemiche tirate fuori dal presidente dell’Inter ma stavolta dichiaro di approvare in pieno la reazione della Juventus, che, seppur non nominata direttamente è stata chiaramente chiamata in causa dal patron nerazzurro. La pubblicazione sul sito ufficiale della società bianconera di un “no comment” con l’aggiunta del file scaricabile della relazione di Palazzi che accusava i nerazzurri di illecito sportivo, cosa che le sarebbe costata la retrocessione qualora non fosse (casualmente) sopravvenuta la prescrizione, mi è sembrata la risposta adeguata a chi ancora continua ad accusare nonostante il suo smoking non sia da un pezzo più così candido come si voleva far credere.

giovedì 15 novembre 2012

Juventus e Inter: chi si ferma e’ perduto


Dell'attuale Juventus ormai si conosce tutto: pregi, difetti, schema prediletto e prospettive di crescita legate anche (e soprattutto) al ritorno di Antonio Conte sulla sua panchina una volta scontata la squalifica.
Quello che ancora non è noto, nel contesto della serie A, è il nome della principale antagonista della Vecchia Signora nella corsa allo scudetto. Ammesso, naturalmente, che possa trattarsi di una squadra soltanto.

Ad inizio campionato quel ruolo era stato attribuito dagli addetti ai lavori al Napoli di Walter Mazzarri: la recente vittoria ottenuta in coppa Italia (proprio ai danni della Juventus) ed il successivo impoverimento tecnico del Milan e dell'Udinese avevano costretto il club campano ad uscire allo scoperto. Tenuto Cavani e ceduto Lavezzi (sostituito a tempo pieno da Pandev), il suo valore sembrava essere una spanna sopra le altre avversarie di Madama, comprese la Roma del "vecchio" Zeman e l'Inter del "giovane" Stramaccioni. Fiorentina e Lazio, almeno per questa stagione, per motivi diversi non parevano attrezzate per puntare al tricolore.

Dopo lo scontro diretto vinto dai bianconeri (20 ottobre) è poi emersa l'Inter, diventata la candidata “numero due” alla vittoria finale. Eppure l'avvio della squadra nerazzurra non era stato dei migliori: espugnata Pescara era successivamente caduta in casa per mano della Roma, salvo riprendersi immediatamente grazie al successo esterno maturato a Torino contro i granata.

Subito dopo quella gara Stramaccioni si era apertamente sfogato nei confronti dei media più critici: "Inter provinciale? Bisogna sciacquarsi la bocca e contare sino a 10: l'Inter è venuta qui a fare la propria partita: se lo fanno gli altri bene, se lo facciamo noi siamo provinciali. Ci vuole rispetto per il mio club. Resta il fatto che avere Wes e Antonio (Sneijder e Cassano, ndr.) in squadra rende tutto più facile". Trascorso qualche giorno aveva poi leggermente corretto il tiro delle proprie dichiarazioni: "Se dicono che vinciamo da provinciali, facendo sottintendere che per vincere dovremo avviarci a una dimensione di quel tipo, non ci sto".

In quella stessa giornata di campionato la Juventus aveva sbancato la Genova rossoblù vincendo 3-1 grazie all'apporto decisivo fornito da Mirko Vucinic, subentrato a partita in corso dopo essere stato escluso dall'undici iniziale. In merito a questa decisione Carrera era stato chiaro: "E' partito dalla panchina perché deve dimostrare in allenamento di meritare il posto". Di rimando, l'attaccante montenegrino aveva dimostrato di aver appreso appieno la lezione: "Qui non esiste un leader solo, esiste un gruppo eccezionale".

Tornando ai nerazzurri, l'ironia della sorte ha voluto che venissero poi sconfitti in casa dal Siena, guarda caso una provinciale. Da quel momento ha conseguito sette vittorie su altrettante gare, l'ultima delle quali nella tana della Juventus, sua rivale storica, interrompendone la serie di quarantanove risultati utili consecutivi in serie A.
Qui le due strade si sono quasi incrociate, nel senso che la distanza minima in classifica tra i club, un punto soltanto, aveva contribuito ad accendere le speranze di sorpasso dell'Inter. Trascorsa una settimana, la sconfitta patita dalla Benamata a Bergamo contro un'altra provinciale (l'Atalanta) ha riportato la squadra di Stramaccioni a quattro lunghezze dai bianconeri. Il Napoli, nel frattempo, si è nuovamente fatto vivo nelle zone nobili del campionato.

Nei confronti di chi vede esclusivamente un duello tra Juventus e Inter per la conquista del tricolore suonano dolci le parole pronunciate da Javier Zanetti nei momenti successivi la caduta di Bergamo: "Mancano ancora tante partite e si sapeva che poteva capitare, ora dipenderà da noi". Sul fronte opposto Mirko Vucinic si è detto pronto a rientrare sui campi da gioco dopo aver superato i noti problemi fisici: "Ora sto bene, e in vista di questa settimana non dobbiamo abbassare la guardia. Lazio, Chelsea e Milan: tre partite che possono decidere il destino della nostra stagione, tra scudetto e Champions League".
In sintesi, l’attaccante montenegrino sembra aver fatto suo il famoso proverbio “chi si ferma è perduto”. Limitatamente al campionato, più che perduto potrebbe essere sorpassato dall’acerrima rivale.


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lunedì 12 novembre 2012

Altra risposta

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La Juventus risponde ancora, dopo la vittoria in Champions contro i danesi del Nordsjaelland, a chi la dava per cotta e stanca dopo la sconfitta casalinga contro l’Inter ed offre una prestazione spettacolare a Pescara, vincendo addirittura per 6 a 1, distruggendo completamente la formazione allenata da Stroppa, al quale va riconosciuto di aver messo in campo una squadra votata al gioco e non chiusa nella propria metà campo dietro la linea del pallone, atteggiamento a cui invece ci hanno abituato quasi tutte le avversarie di livello inferiore quando affrontano i Campioni d’Italia. 

La gara ha visto un Quagliarella in grande serata, che pertanto si candida come titolare anche nelle prossime sfide, un Giovinco molto più convinto e concreto del solito, oltre all’ormai consacrato Vidal (autore di 8 reti stagionali fino ad ora) ed alle colonne del centrocampo bianconero Marchisio e Pirlo. Discreta anche la prova di Isla. La Vecchia Signora ha messo in mostra un gioco arrembante, con scambi in velocità, pressing alto oltre a numerose occasioni da rete, questa volta, eccezionalmente, quasi tutte sfruttate. La serata però, non è stata tutta rose e fiori. Forse questo significa cercare il pelo nell’uovo ma, anche se singolarmente non ci sono elementi che hanno giocato male, la difesa, a parer mio, ha corso troppi rischi. I minuti successivi al raddoppio di Quagliarella hanno visto diversi pericoli creati dai biancazzurri pescaresi, compreso il goal del pareggio di Cascione. 

Distrazioni? Eccesso di sicurezza? Rilassamento dopo il doppio vantaggio? Qualcuno ha scritto che Antonio Conte non è stato felicissimo di quei minuti di confusione che, se si fossero verificati con un avversario di altra caratura avrebbero potuto riaprire concretamente un match che doveva invece essere avviato verso una chiusura anticipata. Al di là di questo che forse è un dettaglio, ma è proprio sui dettagli che spesso si costruiscono le grandi vittorie, siamo stati comunque tutti felicissimi per l’esito finale dell’incontro. 

Ora ci sarà di nuovo la Nazionale e Cesare Prandelli ha convocato ben otto bianconeri. Viste anche le convocazioni di Vidal, Lichtsteiner, Caceres e Bendtner, nelle loro rispettive nazionali e di Pogba e Marrone nelle under 21, Antonio Conte non potrà preparare al meglio la sfida di sabato prossimo contro una Lazio che ieri ha trionfato nel derby capitolino. Questa amichevole con la Francia, che sarebbe forse stato meglio disputare in un altro momento, sarà una ulteriore fatica per i nostri ragazzi che già la settimana scorsa sono dovuto scendere in campo anche il mercoledì per la sfida di Coppa. E non dimentichiamoci che martedì prossimo ci sarà il Chelsea per quella che è la sfida decisiva ai fini della qualificazione al secondo turno di Champions League. 

 Un vero tour de force per gli uomini di Antonio Conte che ha saggiamente deciso per quest’anno di evitare le consuete tournee natalizie nei paesi caldi con l’intento di far lavorare i ragazzi a Vinovo, preparandoli al meglio per la seconda parte della stagione che si preannuncia molto dura e densa di impegni.

sabato 10 novembre 2012

Italia – Brasile, 5 luglio 1982: dietro le quinte di una gara leggendaria

E' passata alla storia come una delle più grandi imprese compiute dalla nazionale italiana di calcio, ma chi ha avuto la fortuna di seguire in diretta i campionati mondiali disputati in Spagna nel 1982 non può aver dimenticato come gli azzurri quel 5 luglio, allo stadio "Sarrià" di Barcellona, sembrava fossero destinati ad abbandonare la manifestazione.


Per accedere alla semifinale, infatti, occorreva loro una vittoria a tutti i costi contro il fortissimo Brasile. Superato con enormi difficoltà il turno iniziale, nella seconda fase l'Italia si era ritrovata in un gruppo composto dai verdeoro e dai campioni in carica dell'Argentina, sconfitti nelle prime due gare sia dagli uomini di Bearzot (1-2) che da quelli di Telê Santana (1-3). La differenza reti, però, premiava questi ultimi.

Terminato l'incontro con gli argentini, Enzo Bearzot aveva successivamente imposto ai suoi ragazzi di seguirlo allo stadio per assistere alla partita tra le due nazionali sudamericane. Il motivo non era legato alla volontà di trascorrere qualche ora insieme per fare "gruppo", un concetto caro al commissario tecnico, quanto all'opportunità di osservare dal vivo la disposizione sul campo dei brasiliani sfruttando l'ampia visuale che soltanto gli spalti di uno stadio potevano offrire. Le immagini televisive, in effetti, non avrebbero consentito ai giocatori di monitorare costantemente gli spostamenti dei futuri avversari nelle zone solitamente di loro competenza.

Bearzot, in cuor suo, conosceva già la strategia da adottare: aveva osservato attentamente i brasiliani nel corso della prima gara disputata contro l'Urss, notando alcuni punti deboli mascherati dalla vittoria ottenuta (2-1). Disponevano, infatti, di un centrocampo stellare nel quale, però, il solo Toninho Cerezo alternava la fase offensiva a quella difensiva preoccupandosi anche di proteggere il reparto arretrato.

Si era inoltre accorto che il giocatore meno talentuoso, l'attaccante Serginho, rappresentava l'ideale innesco per l'esplosione dei fuoriclasse presenti in squadra. Svolgeva, infatti, un ruolo da boa per favorire gli inserimenti dei compagni all’interno delle retrovie avversarie. A quel punto non restava che trovare la persona che si sarebbe dovuta occupare di lui.

Nei due giorni successivi a quella gara gli azzurri passarono ore a discutere su quanto avevano visto, cercando di trovare insieme le migliori soluzioni da adottare nel successivo incontro. L'unica marcatura decisa in partenza era stata quella su Zico: fu Claudio Gentile, direttamente dagli spalti del "Sarrià", a proporre con decisione la propria candidature direttamente a Bearzot. Al resto si arrivò poco alla volta.

Alla fine Serginho venne affidato alle cure di Fulvio Collovati. Durante la partita, però, trascorsi solo trentaquattro minuti dal fischio d'inizio il difensore aveva dovuto abbandonare il terreno di gioco. Al suo posto era entrato un ottimo (e giovanissimo) Giuseppe Bergomi, che aveva seguito come un'ombra tanto il possente attaccante quanto Socrates, nel momento in cui Telê Santana lo aveva tolto dal campo per far spazio a Paulo Isidoro.
Soltanto anni dopo Dino Zoff ha raccontato come il tiro vincente del momentaneo 2-2, scagliato dal brasiliano Falcao, fosse stato deviato in maniera quasi impercettibile proprio da Bergomi. Le immagini riproposte dalle telecamere posizionate dietro la sua porta gli diedero ragione.

Antonio Cabrini, invece, ha recentemente ricordato l’errore compiuto dagli avversari in quei momenti: “A quel punto il Brasile era qualificato, avrebbe potuto amministrare la partita con grande tranquillità. Ha voluto stravincere, e questo suo voler  far vedere al mondo che comunque erano i più forti, invece, gli si rivoltò contro”.
Quel 5 luglio, dopo soli cinque minuti, Paolo Rossi diventò improvvisamente Pablito, trascinatore della nazionale sino al trionfo nella finalissima di Madrid… e scommessa vinta da Enzo Bearzot.

Contro tutto e tutti, compresi quelli che avevano sparato a zero sull'Italia sino a quel momento.
Gianni Brera, maestro di giornalismo sportivo e intenditore di football, aveva intuito che la musica sarebbe cambiata quando ancora gli azzurri di trovavano in mezzo alla bufera, prima della vittoria conseguita contro l'Argentina. Incontrando il commissario tecnico nell'aeroporto di Vigo, prima di prendere il volo per Barcellona, mise un atto con lui un divertente siparietto, concluso con una battuta: “Siamo qua per servirvi”.
Al servizio, quindi, dei futuri campioni del mondo.
 
Articolo pubblicato su Lettera43

giovedì 8 novembre 2012

La Juve risponde alle critiche


Angelo Alessio lo aveva promesso nel corso della conferenza stampa che ha preceduto la gara tra Juventus e Nordsjælland: “Andremo in campo determinati, cattivi. Non dobbiamo pensare a niente, contano i tre punti e basta”. Visto il tabellino a fine incontro, si può tranquillamente affermare come la missione dei bianconeri sia stata portata a compimento.

Madama vince per quattro reti a zero, grazie alle marcature realizzate da due centrocampisti (Marchisio e Vidal) ed altrettanti attaccanti (Giovinco e Quagliarella). Rimandato, se non bocciato, Matri, sostenuto a più riprese dal pubblico nella speranza di aiutarlo a superare le evidenti difficoltà incontrate in questo periodo nel violare le porte avversarie.

Per la punta di Sant’Angelo Lodigiano la gara contro i danesi rappresentava la classica occasione da cogliere al volo per scalare la gerarchia delle preferenze del duo Conte-Alessio per quanto concerne il reparto offensivo della Vecchia Signora. Limitatamente a questo incontro, oltretutto, sempre lo stesso Alessio era stato chiaro: “Antonio (Conte, ndr.) sceglie i giocatori d’attacco di volta in volta, per questa partita ha pensato di fare giocare Matri, nessuna preclusione verso gli altri”.

Consapevole di avere qualche limite di natura strutturale, la Juventus è riuscita finalmente a mostrare pure in Europa quanto di buono è stata in grado di realizzare in Italia sin dall’inizio della scorsa stagione. Ha preso per il bavero il malcapitato Nordsjælland e non l’ha più mollato per quasi tutta la durata dell’incontro, colpendolo ripetutamente sino a trovarsi già al 37’ della prima frazione di gioco sul risultato di 3-0.

Eppure qualche insidia la nascondeva anche questa partita: c’era il rischio di farsi distrarre dalle recenti polemiche scoppiate dopo la sconfitta in campionato contro l’Inter, di tendere le orecchie verso Londra per conoscere l’andamento della gara tra Chelsea e Shakhtar Donetsk o di subire un contraccolpo psicologico dovuto alla perdita della prolungata imbattibilità in serie A. Non è accaduto niente di tutto questo, e verrebbe da dire che la Juventus è riuscita a cancellare anche il passo falso di Copenhagen (23 ottobre) se non fosse che questo successo non restituisce ai bianconeri i due punti lasciati in Danimarca. La vittoria ottenuta nei secondi finali da parte dei Blues (3-2), poi, impone a Madama l’obbligo di racimolarne quattro nelle ultime due gare del gruppo “E”.

La prima delle quali, oltretutto, si disputerà proprio contro gli inglesi il prossimo 20 novembre. A fine partita Claudio Marchisio ha riassunto l’attuale situazione bianconera in poche parole: “A noi serviva la vittoria aldilà di quello che sarebbe successo a Londra. Era meglio il 2-2, ma questo non cambia la nostra ambizione. La prossima partita avremo i Campioni d'Europa qui a Torino e vogliamo vincere per passare il turno. Prima di fare tutti i calcoli bisogna battere il Chelsea”.

Nel frattempo la Juventus si tufferà nuovamente in campionato, così come ha ricordato Bonucci: “Ora bisognerà rimanere concentrati prima con il Pescara e poi avanti con la Champions. La Juve è stata la stessa dell'anno scorso. Si è rivista la vera Juve”.
Quella squadra che adesso, però, dovrà dividere equamente le energie in entrambe le competizioni.

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L’impresa è ardua, ma occorre provarci!!

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

La Juventus torna alla vittoria dopo la sconfitta di sabato sera in casa contro l’Inter, e soprattutto lo fa in modo estremamente convincente, respingendo al mittente le opinioni espresse da molti tecnici ed esperti che la davano ormai per cotta ed in crisi solo per una sconfitta che, sebbene figlia di diversi problemi strutturali e psicologici che per primi noi Juventini abbiamo riconosciuto e sottolineato, sebbene fosse anche preventivabile vista la qualità dell’avversario e la lunga striscia di imbattibilità che ormai durava da 49 gare, per i soliti soloni dell’ambiente calcistico sembrava rappresentare chissà quale cataclisma. 

Certo, l’avversario battuto non era particolarmente forte, ma era quella stessa compagine che in Danimarca aveva fatto soffrire la Vecchia Signora più del dovuto, e che diventa facilmente battibile quando la si affronta con il piglio e la spinta emotiva giusta, con la mentalità vincente che una grande squadra come la Juve deve sempre mostrare in partite come queste. Se i bianconeri avessero avuto lo stesso approccio nel match di andata, probabilmente adesso staremmo parlando di una qualificazione quasi certa perché la Juventus sarebbe prima nel girone con 8 punti, che, pur non mettendola al riparo da brutte sorprese, l’avrebbero posta in una posizione di sicuro vantaggio rispetto ai concorrenti del girone. Ma ormai è andata ed occorre guardare avanti. L’impresa è molto difficile, ma bisogna assolutamente provarci. 

Chi più chi meno tutti hanno disputato una ottima gara, qualcuno addirittura eccellente, come Marchisio (migliore in campo), Vidal e Pirlo, Bonucci e pure Giovinco, anche se la sua bella rete è arrivata quando già si era sul risultato di due a zero. Dispiace per Matri, che si è impegnato tantissimo, del quale io apprezzo molto il sacrificio, che si è divorato una clamorosa occasione nella seconda frazione di gioco, ma che ha anche colpito una traversa e spizzato con la testa il corner di Pirlo che ha permesso a Quagliarella di insaccare nella porta avversaria. 

La gara non è mai stata in discussione e nella parte finale del secondo tempo si attendeva solamente il triplice fischio, anche perché da Londra arrivavano notizie molto interessanti. Ma purtroppo la squadra di Di Matteo, su un calcio d’angolo battuto qualche secondo oltre il terzo minuto di recupero, agguantava, con il colpo di testa di Moses, la vittoria contro lo Shakhtar, riuscendo nell’impresa di portare a casa tre punti ormai insperati, ma soprattutto in quella di complicare il futuro cammino nella massima competizione europea della Juventus.

Taccio sull'episodio accaduto nella sala stampa dello Juventus Stadium che ha visto qualche giornalista esultare alla rete degli inglesi e che ha provocato le ire di Antonio Conte che proprio in quell'istante si trovava a passare di lì, anche perchè ogni commento è superfluo.

Ora la classifica del girone mette la Juventus nella posizione di dover conquistare almeno 4 punti nei prossimi due impegni di Champions, il primo dei quali, proprio contro il Chelsea, impone un obbligo, quello di vincere!!!

martedì 6 novembre 2012

La Juve in Champions non può più fallire



Il recente successo ottenuto dall’Inter contro la Juventus certifica ulteriormente il ruolo di protagonista in questo campionato della squadra di Stramaccioni. Prima di quella partita i nerazzurri, unici in serie A, si erano dimostrati incapaci di pareggiare: su dieci incontri disputati ne avevano vinti otto e persi due. Dall’altra parte del campo, invece, i bianconeri potevano fregiarsi dell’impressionante numero di risultati utili consecutivi: quarantanove.

Il record di imbattibilità del Milan di Fabio Capello (cinquantotto gare senza sconfitte) può attendere: la Beneamata è uscita dallo “Juventus Stadium” con un successo meritato, reso ancora più netto dagli errori arbitrali che ne hanno complicato la strada verso la vittoria.

A detta di Diego Milito, eroe della serata con una doppietta, i nerazzurri probabilmente erano entrati in campo senza la giusta cattiveria agonistica: storditi dal goal lampo di Vidal e furiosi per gli abbagli del duo Tagliavento – Preti (rispettivamente direttore di gara e guardalinee), piuttosto di sprecare energie in inutili proteste hanno riversato la loro rabbia sul campo.

Considerando proprio questi elementi risultano poco comprensibili i successivi sfoghi di Stramaccioni (nei confronti di Marotta) e di Massimo Moratti, il quale ha cominciato subito dopo il novantesimo minuto a picchiare duro: “Ah, beh, quell’inizio combacia in maniera perfetta con la storia delle due società, potrei definirlo lo specchio o il riassunto esatto dei due club…”. L’oggetto della diatriba tra l’allenatore interista e lo stesso Marotta, invece, lo si poteva trovare in un commento di quest'ultimo in merito alla scelta del tecnico di presentare a Torino una squadra con tre punte. “Spensierato”, ha detto il bianconero. “Un complimento? Riguardatevi le immagini, era ironia”, ha riposto l’altro.

Passando a quanto successo sul rettangolo di gioco, Angelo Alessio ha ammesso di non essere rimasto sorpreso dalle mosse del collega. Il goal del 3-1 finale ad opera di Palacio, oltretutto, ha avvalorato la bontà della sua intuizione. L'Inter ha colto il successo esterno sfruttando appieno un'arma che la Juventus di oggi non possiede: l'attacco. Al momento è stata disegnata per sfruttare al meglio il proprio reparto avanzato, protetto e valorizzato dal resto della squadra: non è un caso e non potrebbe essere tale, visti i numeri, che i milanesi abbiano vinto sei gare in trasferta su sei.

Adesso per la Beneamata arriva il momento più difficile: quello della conferma. Non potrà più nascondersi dietro al Napoli, che ha superato in classifica, e dovrà necessariamente cercare di imporre il proprio gioco in casa laddove - ad oggi - ha mostrato di avere ancora qualche problema. Il rientro di Sneijder, poi, se da un lato contribuirà inevitabilmente ad alzare il tasso tecnico della formazione dall'altro andrà "gestito" in termini di spogliatoio. Per fargli posto qualcuno dovrà sedersi in panchina, e i mal di pancia di Cassano sono sempre dietro l'angolo.

Nonostante la sconfitta interna la Juventus resta comunque al comando in campionato, grazie al ritmo impressionante mantenuto sino allo scorso sabato ed alla zuccata vincente di Pogba nei minuti di recupero della gara disputata contro il Bologna. Il ricorso ai goals di più elementi della squadra può rappresentare una validissima alternativa all'astinenza degli attaccanti, a patto che non diventi la regola: un Marchisio o un Vidal, anche solo per i chilometri che macinano durante i novanta minuti di gioco, non avranno mai la stessa prolificità (e precisione sotto rete) dei vari Cavani, Milito o Klose.

A chi pronosticava con troppa sicurezza un monologo juventino in serie A dev'essere apparso strano vedere la Vecchia Signora perdere l'imbattibilità contro la seconda forza del campionato. La corazzata bianconera, ancor oggi la favorita numero uno del torneo, deve ancora riprendere la confidenza con la concomitanza degli impegni europei e adesso si trova - proprio in quella manifestazione - a vivere un clima da "ultima spiaggia": contro i danesi del Nordsjælland, mercoledì, non potrà fallire nuovamente l'appuntamento con la vittoria.

E' un concetto ormai ripetuto sino allo sfinimento, che non passa mai di moda: senza attaccanti di valore assoluto la Juventus difficilmente riuscirà a ripetere in Europa quanto messo in mostra in Italia dall'inizio della scorsa stagione. E neanche il ritorno sulla panchina di Antonio Conte riuscirà a sopperire a questa lacuna. 

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