domenica 30 ottobre 2011

Alla Juventus il derby dei veleni


Zitti, pedalare, lavorare”. Dentro le quattro mura degli spogliatoi di Madama e davanti ai taccuini e alle telecamere dei media è dalla scorsa estate che Antonio Conte ama ripetere sino alla noia queste parole, per poi variare il tema ricordando gli ultimi due settimi posti consecutivi conseguiti in campionato dal club nel momento stesso in cui qualcuno prova a parlare di “scudetto” o cerca di alzare troppo presto l’asticella della ambizioni della sua truppa.

Per una società dove “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, basta un semplice esercizio di memoria per dare uno schiaffo alle illusioni di un ambiente che non può permettersi di cullare sogni di gloria dopo aver disputato poco meno di un quarto delle gare previste dal calendario.

La Juventus torna dal “Meazza” con la certezza di poter rimanere da sola in testa alla classifica per altri sette giorni, e mentre il Milan (mantenuto a distanza di due punti dopo la vittoria ottenuta a Roma contro i giallorossi) e il Napoli (l’avversario di domenica prossima) si apprestano ad affrontare le gare infrasettimanali di Champions League, i bianconeri potranno preparare con calma la trasferta al “San Paolo” non avendo alcun impegno prima di quell’incontro.

Il 2-1 con il quale la Vecchia Signora ha regolato l’Inter a domicilio non è figlio unico: nelle ultime cinque precedenti occasioni in campionato era capitato ben due volte.

Nella più recente, datata 22 marzo 2008, le reti di Camoranesi e Trezeguet sigillarono la vittoria “dell’orgoglio”, nell’anno del ritorno in serie A di una società che cercava di tornare ai fasti del passato il più velocemente possibile ripartendo dalle macerie rimaste dopo lo scoppio di Calciopoli. Quella squadra, all’epoca, era guidata da Claudio Ranieri, l’attuale allenatore dei nerazzurri.

Il 12 febbraio 2006 furono invece Ibrahimovic e Del Piero a dare l’ennesimo scossone ad un campionato che ormai aveva una sola padrona (la Juventus, appunto) in grado di correre in solitudine creando un vuoto enorme dietro di sé.

Proprio sul piede di Del Piero è capitata l’occasione di chiudere definitivamente il match nel recente incontro con l’Inter, quando mancavano pochi minuti alla sua conclusione: avesse centrato il bersaglio, con ogni probabilità si sarebbe ripreso a parlare con insistenza delle polemiche successive alle recenti dichiarazioni di Andrea Agnelli in merito alla conferma del prossimo addio del numero dieci bianconero dalla Juventus.

Il suo abbraccio liberatorio con Antonio Conte dopo il fischio finale di Rizzoli rende perfettamente l’idea di un gruppo che sembra impermeabile alle inevitabili pressioni che ruotano intorno alla Vecchia Signora, e che ora dovrà – su richiesta del proprio tecnico – “sprovincializzarsi”, evitando di cadere nel tranello di considerarsi matura dopo aver superato un esame importante. Per sentirsi tale, prima della conclusione di questa stagione ne dovrà sostenere moltissimi altri ancora.

Vucinic e Marchisio affondano l’Inter come già era capitato loro di fare in passato; al centrocampista bianconero, oltretutto, è stato negata la possibilità di ottenere la concessione del primo rigore del campionato in corso per la propria squadra (con annessa espulsione di Castellazzi). In caso di mancata vittoria della Juventus l’episodio incriminato avrebbe scatenato un putiferio che si sarebbe sommato alle recenti proteste nerazzurre per i cinque penalty a sfavore accumulati nelle precedenti otto giornate disputate, contribuendo così a mantenere altissimo il livello di tensioni esistenti tra i due club.

Il pensiero di Conte corre veloce verso la prossima sfida: “Adesso ci aspetta la trasferta di Napoli, contro una squadra che può vincere lo scudetto”.
Dopo quella gara, forse, si potrà realmente capire se anche la sua Juventus fa parte del lotto di favorite per il successo finale.

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sabato 29 ottobre 2011

venerdì 28 ottobre 2011

La Juve al "Meazza" nel segno di Matri


Quando lo scorso 31 gennaio Alessandro Matri approdò a Torino, sponda bianconera, Andrea Agnelli spese per lui parole importanti: "Con l’arrivo di Matri abbiamo messo benzina nel motore, abbiamo fatto il pieno". Con nove goals all’attivo realizzati in quattro mesi l’attaccante di Sant’Angelo Lodigiano finì col confermarsi un ottimo carburante, aggiunto - però - in una macchina che a fine stagione avrebbe dovuto subire una nuova revisione. Non certo l’unica di questi ultimi cinque anni.

Nella Vecchia Signora guidata da Antonio Conte il suo nome è figurato tra gli undici titolari in occasione delle prime due gare disputate nel corso dell’attuale campionato, salvo poi uscirne fuori (esclusa la parentesi relativa alla trasferta di Catania) per scivolare lentamente in panchina. A partire dall’incontro col Genoa è tornato in campo sin dal fischio d’inizio dell’arbitro, rispondendo alla fiducia concessagli utilizzando la sua arma migliore: i goals.

E' stata opera sua anche quello decisivo nell’ultimo match interno disputato contro la Fiorentina e vinto dai bianconeri col risultato finale di 2-1. Per una Juventus che concretizza poco in relazione a quanto produce, Matri rappresenta il terminale del gioco di una squadra che continua ad acquisire fiducia nei propri mezzi e a recuperare quell’autostima minata (o, più semplicemente, persa) dopo gli ultimi due deludenti settimi posti consecutivi conseguiti in serie A.

Alla punta juventina appartiene anche la rete decisiva nell’ultimo confronto diretto in campionato con l’Inter, prossima avversaria dei torinesi nell’anticipo serale della decima giornata. Accadde lo scorso 13 febbraio, allo stadio "Olimpico" di Torino, nel corso della venticinquesima tappa di un percorso che sino a quel momento sembrava poter regalare ancora qualche soddisfazione a Madama.

Il danese Sorensen, giovane terzino di una difesa che allora come oggi proponeva una coppia centrale formata da Barzagli e Bonucci e sulla fascia sinistra Chiellini (all’epoca in forma smagliante), alla mezz’ora della prima frazione di gioco fu l’autore del cross per il colpo di testa vincente dello stesso Matri.

Regolati di misura i nerazzurri, per una Juventus che non si era ancora dimostrata capace di vincere due partite di fila arrivarono tre sconfitte consecutive (con Lecce, Bologna e Milan). In occasione della prima di queste, avvenuta allo stadio “Via del Mare” esattamente sette giorni dopo l’incontro disputato con l’Inter, il successivo commento del presidente Andrea Agnelli fu durissimo: “Dopo la gara i giocatori non si sono nemmeno dovuti fare la doccia”.

Anche il successo casalingo conseguito contro gli eterni rivali nerazzurri nel corso della stagione precedente (5 dicembre 2009, vittoria per 2-1) segnò paradossalmente l’inizio di una crisi, che maturò con l’eliminazione dalla Champions League patita pochi giorni dopo dagli uomini allora guidati da Ciro Ferrara (per mano del Bayern Monaco) per poi continuare con altre cadute rovinose in campionato (Bari e Catania). Di fatto, si trattò di tre partite che segnarono negativamente l’intera annata bianconera.

Ora che si trova sola in testa alla classifica in beata solitudine (non le accadeva dal 14 maggio 2006), a Madama il calendario riserva una sequenza di incontri non propriamente agevoli (dopo quella con l’Inter ci saranno le gare contro Napoli, Palermo e Lazio), al termine delle quali si potrà tracciare un primo veritiero bilancio sulle reali potenzialità della squadra e sulle prospettive che questa stagione le potrà riservare.

Non dimenticando, inoltre, che a metà del cammino riaprirà i battenti il calciomercato (nella sua sessione invernale, dal 3 al 31 gennaio 2012), che qualche giocatore ancora poco utilizzato potrebbe essere inserito da Conte lungo il tragitto (Quagliarella su tutti) e che dopo questo ciclo di ferro ci sarà la gara col Cesena. Visto e considerato che é proprio contro avversari dello stesso rango dei romagnoli che la Juventus ha dilapidato le sue migliori occasioni negli ultimi anni, se vorrà riprendere a vincere un trofeo la Vecchia Signora dovrà fare attenzione a non limitarsi ad essere bella soltanto nelle serate di gala.

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sabato 22 ottobre 2011

Del Piero, la Juve e il primato in classifica


Tanto la Juventus quanto l’Udinese nell’ultima domenica di una serie A condita da tanti 0-0 hanno finito col racimolare entrambe un pareggio a reti inviolate, risultato che ha consentito loro di viaggiare a braccetto in testa alla classifica per (almeno) altri sei giorni. E pensare che proprio i due club bianconeri, gli unici ad essere ancora imbattuti nel campionato in corso, si sarebbero dovuti incontrare allo stadio "Friuli" nella prima giornata della manifestazione: a causa dello slittamento della stessa, l’appuntamento è stato rinviato al prossimo 21 dicembre.

Per trovare l’occasione più recente nella quale le attuali capoliste si sono affrontate in quella precisa data bisogna risalire al campionato 1980-81: la Vecchia Signora, nell’anno che la consacrò campione d’Italia per la diciannovesima volta, vinse al "Comunale" con un rotondo 4-0 (le reti furono messe a segno da Brady, Causio, Bettega e Marocchino). Quel risultato, curiosamente, appartiene anche all’ultimo successo dei torinesi nei confronti diretti (19 settembre 2010). Da qui allo scontro prenatalizio, comunque, ci saranno ancora da attendere due mesi e da disputare nove gare: troppi elementi per mettersi adesso a fare calcoli ed immaginare una partita che possa valere la leadership provvisoria della serie A.

Prime della classe in solitudine da quasi un mese, complice la sosta per gli impegni della nazionale azzurra di Cesare Prandelli, nel corso della giornata ormai alle porte il calendario riserverà loro due impegni casalinghi (il Genoa a Torino e il Novara a Udine) che potrebbero consente ad entrambe di allungare ancora un pò la felice in convivenza.

Prima o poi, oltretutto, le altre rivali la smetteranno di camminare ed inizieranno a correre, anche perché gli ingressi per accedere alla prossima edizione della Champions League si sono ormai ridotti da quattro a tre, e la lotta per accaparrarseli, mano a mano che le partite si ridurranno, finirà inevitabilmente col diventare sempre più accesa.

Le gare infrasettimanali della massima competizione europea hanno ridato fiducia alle squadre italiane coinvolte: passato il mal di pancia e smaltito lo stress (Ibrahimovic e Cassano), il Milan ha vinto contro il Bate Borisov dopo aver sculacciato il Palermo lo scorso sabato in campionato; il Napoli è riuscito a resistere all’urto provocato dal confronto col Bayern Monaco, riappropriandosi di quella porzione di autostima persa a seguito della sconfitta interna patita in campionato col Parma; Ranieri il "farmacista" sembra aver trovato la medicina giusta per guarire la sua Inter in Champions League, mentre è ancora alla ricerca della cura necessaria per risolverle i gravi problemi avvertiti in serie A.

Dove la classifica piange, i punti sono pochissimi, le sconfitte aumentano col passare del tempo e Massimo Moratti si lamenta pubblicamente dell’aria malsana che si respira intorno alla squadra: "Se devo pensare solo male, mi viene in mente che abbiamo avuto contro quattro rigori e tre erano inventati e due su tre sono stati decisivi. Non è una cosa piacevole e a questo punto speriamo si abbia la coscienza di capire che finora, nei confronti dell’Inter, è stato fatto qualcosa che non stento a definire esagerato".

Esagerato, sì, soprattutto se confrontato con quanto accaduto nel recente passato: a partire dal 2 marzo 2008, giorno in cui il napoletano (ed ex juventino) Zalayeta si fece parare un penalty da Julio Cesar allo stadio "San Paolo", al 20 settembre 2009, allorquando il Cagliari beneficiò allo stadio "Sant’Elia" di un tiro dagli undici metri in una partita contro i nerazzurri, all’Inter non vennero fischiati rigori contro per un totale di cinquantatré giornate di calendario.

Numeri importanti, ma non impressionanti: a tal proposito basta ricordare che il record in questo senso appartiene ancora all’Inter, quella di Angelo Moratti, dove l’astinenza di rigori a proprio sfavore raggiunse la ragguardevole cifra di cento gare di serie A, comprensive di novantanove in campionato (dal 29 marzo 1964 al 19 marzo 1967) e di una relativa allo spareggio decisivo per lo scudetto del campionato 1963/64.

A proposito di record: dopo averne battuti e abbattuti diversi nel corso della sua lunghissima militanza in maglia bianconera, ormai non ci sono più dubbi sull’addio di Alessandro Del Piero dalla Juventus al termine di questa annata calcistica. Tra i tanti, uno dei più simbolici è rappresentato dal fatto che il numero dieci di Madama è riuscito a giocare in quattro stadi nella sola città di Torino, compreso l’ultimo: il più bello, il più invidiato.

Verrà il momento in cui Del Piero in cui potrà esibirli tutti e parlare con orgoglio del proprio passato: adesso, però, dovrà ancora occuparsi di portare avanti la causa della Vecchia Signora. Così come ha dimostrato coi fatti nella recente gara di Verona contro il Chievo: nei venti minuti nei quali è stato messo in campo da Conte ha provato con la stessa determinazione tanto a condurre la sua squadra alla vittoria colpendo un palo di testa, quanto a proteggere coi denti il pareggio finale, salvando la propria porta essendosi trasformato nell’ultimo baluardo difensivo.

Come un vero leader, proprio lui che lo è stato e lo sarà ancora per qualche mese. Arriverà poi il giorno in cui la società dovrà trovare il sostituto: non per coprire il buco derivante dalla sua assenza, ma per colmare una voragine.
Non è proprio la stessa cosa.

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giovedì 20 ottobre 2011

Andrea Fortunato ed il suo goal segnato a Roma...

Accadde allo stadio "Olimpico" di Roma, il 12 dicembre 1993: con un violento sinistro scagliato a pochi metri di distanza dalla porta laziale difesa da Luca Marchegiani, Andrea Fortunato mise a segno il suo primo e unico goal con la maglia della Juventus.
La Vecchia Signora, a digiuno di scudetti ormai da sette stagioni, in quella quindicesima giornata di campionato si presentò nella capitale falcidiata nella propria rosa dalla contemporanea assenza di più elementi importanti nello scacchiere tattico di Giovanni Trapattoni.

Nonostante ciò i torinesi iniziarono la gara col piede giusto: ben sistemati sul campo e pronti a bloccare con tempestività i rifornimenti a Signori e Boksic (il duo d’attacco dei padroni di casa), non si lasciarono sfuggire le occasioni di riproporsi velocemente in fase di contropiede guidati dall’intraprendenza di Antonio Conte, il più abile tra i presenti nel trasformare le azioni juventine da difensive ad offensive.

Il centrocampista bianconero, dirimpettaio del laziale Di Matteo sulla linea mediana, si alternò con Dino Baggio nella custodia del talentuoso e bizzoso Paul Gascoigne, al rientro sui terreni di gioco dopo un’assenza forzata durata quasi due mesi a causa di un infortunio derivante da una tendinite alla gamba sinistra.

Terminata in parità la prima frazione di gioco, nella ripresa l’autorete dello juventino Kohler spezzò l’equilibrio dell’incontro per qualche minuto. Giusto il tempo necessario a Madama per conquistare una punizione in prossimità dell’area di rigore avversaria: l’altro Baggio, Roberto, centrò in pieno la traversa; il pallone s’impennò verso l'alto, salvo poi ricadere a pochi passi di distanza dalla porta avversaria, dove Kohler (ancora lui) lo porse di testa all’indisturbato Fortunato pronto a dirottarlo con forza in rete.

Nessuno, all’epoca dei fatti, avrebbe mai potuto immaginare che a quel ragazzo la vita non avrebbe concesso molte altre opportunità di poter vivere simili momenti di gioia. La sua corsa piena di felicità nel prato verde dello stadio "Olimpico", con i capelli al vento ed il dito indice della mano sinistra alzato in segno di gioia, è rimasta impressa nella testa e nel cuore di milioni di tifosi della Vecchia Signora, che ancora oggi lo ricordano con affetto.

Di tutti gli avversari che aveva affrontato lungo le sue scorribande sulla fascia, ne trovò uno insuperabile: una forma di leucemia acuta linfoide che ne minò il fisico sino a renderlo talmente debole da non disporre più delle forze necessarie per poter lottare per la sopravvivenza.

Pochi giorni prima della morte confessò in una toccante intervista le emozioni provate nell’uscire dall’ospedale di Perugia dopo il secondo trapianto subito dall’inizio della sua lotta contro la malattia (allorquando gli vennero infuse le cellule sane del midollo del padre): "Non immaginavo quanto potesse essere meravigliosa anche una semplice passeggiata".

Il pensiero correva alle sfumature di una vita ormai stravolta: "Capisci che l’amicizia è la prima cosa; io, per esempio, ho un fratello in più, Fabrizio Ravanelli. È stato incredibile, mi ha messo a disposizione una parte della sua vita, non solo la sua famiglia e la sua casa di Perugia; non si può descrivere con le parole. Il giorno più bello, in questi mesi di malattia, l’ho vissuto quando lui ha segnato 5 goal al Cska, in Coppa; quella sera ho capito davvero che cosa è la felicità; ed è stato altrettanto bello, vedere Fabrizio esordire in Nazionale, proprio a Salerno, la mia città".

Ravanelli, che in quella domenica di dicembre del 1993 si ritrovò solo al centro dell’attacco bianconero (Gianluca Vialli era infortunato, e caso vuole che qualche mese prima proprio allo stadio "Olimpico" si fece male nella gara contro la Roma) non riuscì a portare la Juventus alla vittoria sulla Lazio: Madama, infatti, affondò sotto i colpi di Boksic e Gascoigne.

L’appuntamento per lo scudetto slittò di una stagione: in quella successiva arrivò a Torino il tricolore numero ventitré. Il 25 aprile 1995, poco tempo prima della certezza matematica del successo finale, Fortunato partì per un viaggio dal quale non avrebbe mai fatto ritorno. Il sabato seguente, nella difficile trasferta di Firenze, Ravanelli e Vialli con le loro reti furono tra i principali protagonisti del trionfo bianconero contro gli eterni rivali viola, conclusosi col risultato di 4-1 per gli uomini di Marcello Lippi.

Vialli, il capitano alla guida di un gruppo che aveva perso uno dei suoi giocatori più promettenti, durante la cerimonia funebre lesse un ultimo saluto al giovane terzino "a nome di tutta la squadra", concluso con un pensiero commovente: "Onore a te, fratello Andrea Fortunato".
Sarebbe stata dura per chiunque scegliere parole migliori di quelle.

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giovedì 13 ottobre 2011

Tardelli e quel fallo su Rivera che passò alla storia...


"Rivera è un grandissimo professionista soprattutto con la lingua; e mente. L’ho colpito in una zona alta del corpo senza cattivi propositi. Se avessi voluto spaccargli una gamba avrei mirato più in basso. Ed io, giuro, non avevo alcuna intenzione di arrecargli del male. Il mio è stato un fallo per foga, ma non cattivo. Io gioco, prendo botte e sto zitto; mi hanno sputato in faccia ed ora non sto qui a rivelare il nome dell’autore. Per quanto concerne la partita, la Juve è tornata quella di un tempo. Io credo di essere riuscito a rendermi utile, ma dovete giudicarmi voi".

Con queste parole Marco Tardelli commentò a caldo l’episodio che lo vide protagonista allo stadio "Comunale" di Torino il 5 novembre del 1978, allorquando si rese protagonista di una durissima entrata sul milanista Gianni Rivera trascorsi soltanto tre secondi dal fischio d’inizio della partita tra la sua Juventus e i rossoneri.

Campione d’Italia in carica da due stagioni consecutive, alla Vecchia Signora spettava il compito di frenare il cammino spedito del Diavolo in campionato: dopo cinque giornate - infatti - si trovava solo in testa alla classifica con nove punti (all’epoca ne venivano assegnati due per ogni vittoria), frutti di quattro successi ed un pareggio.

Dopo aver fornito nove elementi all’undici titolare della splendida nazionale azzurra di Enzo Bearzot che aveva appena disputato il mondiale di calcio svoltosi in Argentina (vinto, poi, dai padroni di casa), Madama faticò ad ingranare la marcia giusta nella successiva edizione della serie A. La migliore occasione per una pronta ripresa, quindi, le veniva fornita proprio dall’incontro con i (nuovi) primi della classe.

La voglia di lasciarsi alle spalle una partenza difficile trovò immediatamente la sua migliore espressione nella foga con la quale "Schizzo" Tardelli si avventò su Rivera all’inizio della contesa. L’arbitro D’Elia tra i due cartellini a sua disposizione scelse quello giallo: ammonizione. Al centrocampista juventino venne così concessa la possibilità di continuare la partita, durante la quale - secondo le marcature scelte da Giovanni Trapattoni - seguì come un’ombra i passi del rossonero Alberto Bigon.

Un goal di Bettega dopo soli due minuti di gioco (nato da un’azione sviluppata dai bianconeri in seguito ad un calcio d’angolo) bastò alla Vecchia Signora per aggiudicarsi l’incontro ed accorciare la classifica.

A Gianni Rivera non rimase che la rabbia accumulata nel corso del pomeriggio torinese: "A San Siro abbiamo rispettato la Juventus con le regole del calcio. Qui invece è stato permesso ai bianconeri di usare una violenza che non ha nulla a che fare con l’agonismo. Oltretutto questa cattiveria non era giustificata. Se noi del Milan avessimo risposto, ci sarebbe scappato il morto. La verità è che negli ultimi tempi chi ha cercato di giocare sul serio ha trovato invariabilmente una resistenza assurda. Abbiamo perso ma ci siamo dimostrati più forti della Juventus sul piano dei nervi, questo moralmente ci premia come vincitori. L’uno a zero subito in questa maniera ci fa onore e non ci ridimensiona. Semmai ha dimostrato che la Juventus per vincere deve ricorrere a sistemi che non le fanno onore".

Che quella non sarebbe stata la sua giornata fortunata lo si capì anche dalla disposizione tattica di Madama sul rettangolo di gioco: assente per squalifica Morini, Trapattoni scelse di dirottare Claudio Gentile sulla linea mediana con il compito di guardare il "Golden boy" a vista. Gli altri accoppiamenti indovinati dall’allenatore juventino furono Cuccureddu-Chiodi e Furino-Novellino.

Con il suo consueto stile Nils Liedholm, il tecnico del Milan, non si scompose più di tanto nel commentare il fatto eclatante della domenica: "Entrare alle spalle di un avversario e scalciarlo, ieri come oggi, stando al regolamento, è un fallo che va punito con l’espulsione. Eravamo però all’inizio della partita e comprendo perché l’arbitro abbia soltanto ammonito il giovane bianconero. Questi, ad ogni modo, ha dato un’interpretazione piuttosto personale e discutibile al termine pressing: il significato della parola è di affrontare l’avversario viso a viso, di contrastarlo per impedirgli di giocare o smistare la palla ma non vuol dire sicuramente mandarlo a gambe all’aria".

Per spiegare meglio il proprio pensiero, aggiunse: "Sarebbe necessario aver praticato in gioventù l’hockey su ghiaccio come ha fatto il sottoscritto. Vi assicuro che poi un calciatore si rivelerebbe temprato per qualsiasi tackle più o meno regolare".

Non tutti i mali, però, vengono per nuocere: secondo lo svedese i suoi giocatori avrebbero dovuto "capire che per vincere uno scudetto non occorre soltanto giocare per divertimento, ma è necessaria anche una dose di cattiveria".
La lezione fu utile: una volta imparata, a fine stagione per il Diavolo arrivò il tricolore. Il decimo, quello della stella.

L’episodio incriminato di quel lontano novembre del 1978 è stato recentemente (e nuovamente) commentato da Marco Tardelli (4 marzo 2011): "Sin da ragazzino era uno dei miei eroi (Rivera, ndr). Ho commesso una sciocchezza".
Un eroe, sì: incontrato qualche volta sul campo con addosso una maglietta diversa dalla sua…

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domenica 2 ottobre 2011

sabato 1 ottobre 2011

Juventus e Milan: la storia infinita


Il Milan che mercoledì scorso ha affrontato in Champions League il Viktoria Plzen aveva, oltre al successo, un obiettivo suggestivo da centrare: raggiungere il goal numero 2000 dell’era Berlusconi. Ne mancavano soltanto due: Ibrahimovic prima e Cassano poi gli hanno consentito di tagliare quel suggestivo traguardo. Il secco 2-0 con il quale il Diavolo ha liquidato la squadra campione della Repubblica Ceca ha permesso alla formazione allenata da Allegri di portarsi in testa alla classifica del gruppo H della massima competizione europea, a pari punti con il Barcellona (quattro, frutto di un pareggio e di una vittoria).

Sistemata momentaneamente la situazione al di fuori dei confini italici adesso i rossoneri si concentreranno sul campionato di serie A, pronti a misurarsi contro l’avversaria di una vita: la Juventus, guidata attualmente da Antonio Conte, uno dei suoi ex giocatori più rappresentativi.

Sono innumerevoli gli episodi che legano a doppio filo le storie dei due club, nati entrambi prima che iniziasse il ventesimo secolo e protagonisti a più riprese di cicli vittoriosi passati ormai alla leggenda di questo sport. A riprova di ciò basta considerare il fatto che in alcune occasioni la rinascita di uno dei due, avvenuta dopo inevitabili periodi di flessione, sia coincisa con duelli all’ultimo goal con l’altro contendente.

Una di queste accadde, ad esempio, nella stagione 1949-50: all’epoca la Juventus era ancora ferma ai successi del quinquennio d’oro degli anni trenta, dato che dal lontano 1935 non era stata più in grado di conquistare uno scudetto (si aggiudicò, invece, due coppe Italia). Soltanto la tragedia di Superga (4 maggio 1949) riuscì a fermare il Grande Torino dominatore degli ultimi campionati: proprio alla Vecchia Signora e al Milan spettò - quindi - il compito di giocarsi quel tricolore.

Alla quarta giornata del girone di ritorno le due squadre vennero a trovarsi di fronte allo stadio "Comunale", teatro dei futuri trionfi di Madama (5 febbraio 1950). Guidati da un giovane Boniperti e dal duo danese formato da Karl Aage Præst e John Hansen i bianconeri passarono in vantaggio con una rete di quest’ultimo, salvo poi subirne sette dagli scatenati rossoneri, la cui ossatura di squadra - di stampo svedese - era invece composta dal trio Gren, Nordahl e Liedholm (il famoso "Gre-No-Li").

Proprio Nils Liedholm, soprannominato "il Barone", fu avversario più volte della Juventus negli anni a venire tanto sui campi da gioco quanto seduto (a più riprese) sulle panchine del suo amato Milan, della Fiorentina e della Roma. Centrocampista (mediano e interno) e all’occorrenza difensore, dotato di una grandissima facilità di corsa, Liedholm sviluppò la sensibilità nel tocco al pallone in maniera originale: "Mi allenavo scartando due cani: bisogna essere rapidissimi, perché loro guardano la palla, non abboccano alle finte!". A chi gli domandò il perché smise di farlo, rispose con il suo proverbiale stile: "Non è per l’età, è che sono morti i cani".

Avversari con le scarpette ai piedi, lui e Boniperti avrebbero potuto lavorare insieme per riempire di trofei la bacheca di Madama, visto che il Presidentissimo lo avrebbe voluto alla guida della sua squadra. La trattativa non andò a buon fine, e lo svedese si limitò a descriverla con l’uso di semplici parole: "Non vado a Torino per lealtà verso il campionato. La Juve e io, insieme, lo uccideremmo". Curiosamente capitò poi a Giovanni Trapattoni l’occasione di scrivere la storia di un milanista vincente sul campo che poi avrebbe continuato a mietere successi da tecnico della Juventus.
In precedenza, nel corso della stagione 1969-70, lo stesso Liedholm aveva allenato il Varese in serie B portandolo alla promozione grazie anche ai goals realizzati da un giovane attaccante di razza da lui svezzato, arrivato in prestito dalla Vecchia Signora ed in grado di laurearsi capocannoniere con tredici reti in trenta presenze all’attivo: Roberto Bettega.

"Nei momenti difficili di una partita, c’è sempre nel mio subconscio qualcosa a cui mi appello, a quella capacità di non arrendersi mai. E questo è il motivo per cui la Juventus vince anche quando non te l’aspetti". All’Avvocato Agnelli gli spunti per pronunciare frasi simili venivano dati da avvenimenti realmente accaduti: persa per 1-7 la gara interna contro i rossoneri, la Vecchia Signora si dimostrò in grado di vincere le otto partite successive, accumulando un vantaggio in classifica tale da consentirle di conquistare lo scudetto nella stagione 1949-50. L’ottavo della propria storia.

Una storia che ultimamente è piena di pagine vuote, senza trionfi da raccontare e con qualche macchia. Fatto lo stadio, nuovo bellissimo, teatro degli scontri che verranno, ora bisogna metterci dentro la Juventus. La prima sfida di prestigio nella sua nuova casa Madama la sosterrà proprio contro il Milan: il caso vuole che l’arma in più dei rossoneri sia quello Zlatan Ibrahimovic (uno svedese, oltretutto) che mise la propria firma nelle ultime vittorie bianconere, mentre sulla sponda juventina la scorsa estate è approdato Andrea Pirlo, un altro ex dell’incontro, che si è immediatamente impadronito delle redini del gioco di Madama.

Il derby d’Italia, quindi, è servito. Chi vincerà? "Mi chiedete: Vinca la Juve o vinca il migliore? Vi rispondo: sono fortunato, spesso le due cose coincidono", amava ripetere l’Avvocato.
Si spera sia arrivata l’ora in cui queste coincidenze possano fare il proprio rientro a casa.

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