mercoledì 30 gennaio 2013

Dove è finita la Juventus di Antonio Conte?


Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma
Quest’oggi voglio scrivere della partita di ieri sera quando ancora il mio pessimo stato d’animo non si è evoluto in rassegnazione e voglio farlo perché da una parte ho tante cose da dire e dall’altra sono convinto che faccia bene sfogarsi un po’, convinto che tra fratelli bianconeri mi sarà riservata un po’ di umana comprensione. La domanda del titolo del post mi sorge del tutto spontanea dopo aver assistito ad una semifinale gettata al vento e persa contro una compagine, non me ne vogliano i tifosi laziali, inferiore alle Juventus, e che, seppur perfettamente organizzata in fase difensiva, offre un calcio assai poco spettacolare, nonostante il suo allenatore vada ripetendo continuamente che la sua squadra dovunque e contro chiunque impone il proprio gioco. 

Un grande ruolo in questo doppio confronto ha svolto il portiere dei biancocelesti, ma anche la dea bendata che, tra andata e ritorno è stata molto benevola nei confronti dei romani. Ma il ruolo più importante, e stavolta taccio degli arbitri anche se ce ne sarebbero di cose da dire, lo ha svolto proprio la Juventus, con la sua sterilità offensiva e soprattutto perché sembra proprio aver perso le caratteristiche principali che le hanno permesso di vincere uno scudetto da imbattuta: la concentrazione, la ferocia ed il furore agonistico. Quella di questo momento è una Juventus senza rabbia, senza la famelica voglia di vincere, con la testa fra le nuvole, supponente, lenta ed incapace di mettere veramente in difficoltà gli avversari pur tenendo sempre in mano il pallino del gioco. 

Non è assolutamente ammissibile per una squadra che ambisce a traguardi prestigiosi subire gol nemmeno un minuto dopo aver raggiunto il pareggio che le permetterebbe di arrivare a giocarsi i supplementari. Non è assolutamente ammissibile, ripeto. Ora non è nemmeno troppo complicato secondo me capire le ragioni di questo periodo estremamente negativo che rischia di prolungarsi ancora per diverso tempo, ma sarà molto arduo porvi rimedio. Di certo le assenze ci sono e sono importanti, più che altro direi sottovalutate non solo da noi ma dallo staff tecnico e dalla dirigenza. La mancanza di Asamoah e di Chiellini insieme ha praticamente lasciato la Vecchia Signora senza una valida corsia di sinistra, dove si alternano Peluso, De Ceglie, Padoin e Giaccherini, i quali nemmeno lontanamente possono paragonarsi ai due titolari. Ed è qui che si dimostra come la società ed il tecnico abbiano sottovalutato queste assenze. 

Occorreva prendere almeno un sostituto all’altezza e non Peluso, un giocatore mediocre che del resto fino all’età di 29 anni ha militato in squadre di livello inferiore, che ieri per l’ennesima volta è stato direttamente responsabile sulla prima rete laziale, e che soprattutto che si è dimostrato veramente insufficiente nel ruolo di terzo centrale nel 3-5-2. Si è sottovalutata anche l’assenza di Pepe, che nella scorsa stagione fu decisivo per tutto il girone di andata e che nello scacchiere tattico di Conte ha sempre ricoperto un doppio se non triplo ruolo, utilissimo in ogni zona del campo, realizzando in stagione diverse reti decisive. 

Potrei evitare di parlare dell’attacco ma non ce la faccio sinceramente. Ieri ne ho avuto la conferma: per me Giovinco non è un giocatore da Juve. Ogni volta parte con le intenzioni di fare sfracelli ed ogni volta finisce per perdersi il pallone tra i piedi o per farselo togliere dai difensori, e quando arriva al tiro è specializzato in mozzarelle. Sono veramente ma veramente deluso da lui e da Conte che non lo toglie mai. Passiamo a Vucinic. Io come tutti ne ammiro le grandi qualità tecniche (superiori a quelle di tutti gli altri compagni di reparto) e forse è un po’ penalizzato dal dover giocare sempre spalle alla porta, ma la sua mancanza totale di nerbo nei contrasti ed il suo eccessivo tenere palla a volte è veramente indisponente. Quagliarella poi…chi l’ha visto ieri? 

La difesa: in questo momento, e con questo forse mi attirerò le critiche di molti, siamo una delle poche squadre di serie A che ha due portieri che non riescono ad uscire e bloccare in presa i cross che arrivano in area, anche i più prevedibili. Storari ieri in entrambe le reti subite è rimasto inchiodato tra i pali, ma sabato scorso contro il Genoa, Buffon non ha fatto molto meglio andando a vuoto sul traversone di Kucka. Barzagli, Bonucci e Caceres (quando gioca) fanno il loro, ma in questo momento non basta. Ripeto con monotonia che almeno finché non rientra Chiellini occorre tornare al 4-3-3. 

Attribuisco il resto delle responsabilità a Conte e a Marotta. Mi spiego meglio. Conte a mio parere ha peccato un po’ di presunzione, ed è caduto nell’errore in cui in passato cadde anche Arrigo Sacchi e in cui cade sempre Zeman e cioè ha creduto che il modulo e gli schemi di gioco abbiano un’importanza superiore ai calciatori che lo mettono in pratica. Non è possibile pensare che Isla, Padoin, Marrone, Giaccherini e Peluso contemporaneamente possano sostituire Lichsteiner, Asamoah, Pirlo, Chiellini e Pepe. Lo spartito è lo stesso ma gli interpreti sono inevitabilmente diversi. 

Per quanto riguarda Marotta beh, quello che sta facendo in questo mercato di gennaio è sotto gli occhi di tutti, ed anche le ripetute allusioni di Conte stesso (per il mercato chiedete a Marotta) confermano ciò . Forse si poteva evitare a giugno di prendere Isla, la fotocopia sbiadita del giocatore dell’Udinese, e investire quei soldi per comprare un vero attaccante. Il cileno dovrà pure riprendersi dal grave infortunio ma per azzeccare un cross su venti non bisogna essere necessariamente al massimo della condizione. 

Forse sarò condizionato dalla rabbia e dalla delusione per l’eliminazione di ieri, ma io in questo momento non vedo più la Juventus di Antonio Conte, ma una squadra smarrita che, pur tenendo in mano il pallino della gara non punge, non colpisce, ma si fa colpire alla prima occasione da rete degli avversari e che poi, una volta subito gol non riesce a reagire come dovrebbe. Comincio ad essere seriamente preoccupato.

domenica 27 gennaio 2013

La Juventus e i messaggi sbagliati


C'era una volta il campionato di football più bello del mondo.
Veniva disputato in Italia, nel Belpaese, dove tutti i più grandi calciatori del pianeta venivano a tirare dei calci ad un pallone per guadagnare fama e soldi. A proposito di quelli: le cifre dei loro stipendi erano talmente elevate per quei tempi che un semplice sostenitore le trovava difficili da trascrivere su un foglio di carta.

Quanti zeri ci vogliono per scrivere sette miliardi di lire?” era una delle domande più gettonate dai ragazzini che, in procinto di scambiarsi le figurine, abbinavano il volto dei giocatori alle maglie che indossavano, alle caratteristiche tecniche, agli emolumenti che percepivano dalle rispettive società di appartenenza. Gli stadi erano pieni di tifosi caldi e appassionati, sembravano delle pentole in continua ebollizione. Le squadre italiane dettavano legge non appena varcavano i confini dello stivale, tanto da venire considerate un modello da imitare per i club stranieri più blasonati.

Questo, almeno, era quello che pensavano molti addetti ai lavori nostrani. C'era chi, invece, seguendo le imbeccate di qualche presidente lungimirante prestava attenzione anche ai campionati esteri, spinti dal timore che qualcuno stesse adottando gli accorgimenti necessari per effettuare un controsorpasso sulla serie A. Ponendo le basi solide per attirare, in un futuro ancora lontano, i soldi dei nuovi ricchi (russi e arabi). Il resto è storia nota e attuale.

I giornali sportivi di domenica 27 gennaio (“il giorno della Memoria”) hanno sbattuto in prima pagina le immagini di un Antonio Conte furioso contro l'arbitro e un giudice di porta della gara tra la Juventus e il Genoa disputata la sera precedente. In più, come se quelle non fossero bastate, ecco la nuova buccia di banana verbale sulla quale è scivolato Giuseppe Marotta, amministratore delegato bianconero: “L'arbitro Guida di Torre Annunziata, provincia di Napoli, evidentemente era in difficoltà. E' giovane, la Juve si sta giocando lo scudetto contro il Napoli...”.

Il destino della Vecchia Signora è sempre stato quello di trovarsi al centro dell'attenzione mediatica italiana. Senza nulla togliere al blasone di Milan e Inter, alle sette Coppe dei Campioni (Champions League) conquistate dai rossoneri e al Triplete nerazzurro, nonché al prestigio di altri club nostrani, è evidente come basta un colpo di vento che faccia cadere a terra il cappello di Madama per far sì che l'intero il paese si fermi per discutere animatamente, urlare, strepitare e scandalizzarsi per l'accaduto.

Lei, la Vecchia Signora, durante i suoi oltre cento anni di vita ha imparato a convivere con questa situazione. A volte beandosene, strizzando l'occhio a cotante attenzioni. In altre, invece, ha dovuto accettare e sopportare il fatto di venire tirata in ballo dentro polemiche infantili, nelle quali il suo nome è servito soltanto a catturare l'attenzione generale su qualche evento ignorato sino a quel momento. Visto e considerato che la situazione è questa, e fermo restando che la Juventus è effettivamente stata danneggiata dalle decisioni arbitrali più di quanto non sia capitato - nel singolo incontro - ai rossoblù, il mondo bianconero non aveva appena celebrato il decimo anniversario della scomparsa dell'Avvocato Agnelli?

Come riporta Franco Costa nel suo libro “L'Avvocato e Signora – 48 anni di amore tra Agnelli e la Juventus”, per lo stesso Gianni Agnellilamentarsi è da provinciale”. Una delle sue massime più conosciute, oltretutto, era legata al famoso stile Juve: “Di Stile Juve parlano gli altri, non noi”. Sarà, però bisogna riconoscere come quel modo di definire gli atteggiamenti di Madama, nel corso del tempo, abbia rappresentato un vanto per i suoi stessi sostenitori. Si può dire altrettanto per i comportamenti mostrati nell'immediato post-partita contro il Genoa?
Se la serie A del 2013 è retrocessa ulteriormente di livello, rispetto al ristorante di lusso che era stato e alla pizzeria citata da Galliani, la Vecchia Signora dovrà adeguarsi al nuovo standard oppure provare a distinguersi? Attualmente alla Juventus mancano due grandi figure: quella del fuoriclasse in attacco e della persona, fuori dal campo, in grado di comunicare con i media in situazioni delicate.

Persona che non può essere Conte e che, in alcune occasioni, non è stato Marotta. Michel de Montaigne, filosofo francese, sosteneva che “la parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che l'ascolta”.
Madama dovrebbe preoccuparsi di lavorare bene almeno sulla prima parte, quella che le compete, per evitare di continuare ad inviare messaggi giusti nella maniera sbagliata.

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venerdì 25 gennaio 2013

William Garbutt, il primo allenatore professionista in Italia

Nereo Rocco, l’indimenticato Paròn, al temerario che provava ad avvicinarsi a lui chiamandolo “mister” riservava sempre la stessa risposta: “Mister a chi, muso de mona? Mi son il signor Rocco”.
La parola “mister” è sbarcata nel nostro paese nell’estate del 1912, allorquando l’inglese William Garbutt – dopo aver sposato Anna Marie Stewart (29 novembre 1911) ed essere diventato padre del piccolo Stuart (15 aprile 1912) – raggiunse il porto di Genova. Si era trasferito sotto la Lanterna per guidare il Genoa Cricket and Athletic Club. La società ligure lo aveva ingaggiato quando ancora non esisteva il professionismo grazie ai sotterfugi messi in atto da George Davidson, un suo dirigente, per eludere le regole della federazione.

Nato il 9 gennaio 1883, Garbutt era stato costretto ad abbandonare l’attività agonistica a soli 29 anni a causa di un infortunio patito in una gara disputata dal suo Blackburn contro il Notts County. Nato in una famiglia numerosa aveva imparato a lottare da subito contro le avversità della vita: perse il padre e, poco dopo essersi arruolato nella Royal Artillery, anche la madre. Il successo nel calcio che conta sarebbe arrivato in un secondo momento.
Le squadre nelle quali aveva militato furono il Reading, l’Arsenal e, come detto, il Blackburn. Giocava come ala destra, vicino a quelle panchine sulle quali avrebbe costruito il proprio mito. Senza poter più contare sugli emolumenti che riceveva come calciatore aveva deciso di intraprendere la nuova carriera di tecnico all’estero, conscio della fatto che nel suo paese – in quel ruolo – non avrebbe potuto costruirsi un futuro.

A Genova aveva immediatamente gettato le basi di una squadra che avrebbe poi vinto tre scudetti, ma soprattutto era riuscito a trapiantare i semi della futura figura dell’allenatore. Contrariamente alle abitudini del tempo aveva infatti accentrato le scelte più varie sotto la propria responsabilità: dalla formazione da schierare sul campo ai suggerimenti al club per i nuovi acquisti, dalla cura della preparazione atletica e tattica all’introduzione di un dialogo continuo con i singoli atleti per curarne l’aspetto psicologico. Riusciva ad ottenere stima e affetto dai suoi calciatori senza avvertire la necessità di alzare la voce.

Lo scoppio del primo conflitto mondiale interruppe brutalmente l’avventura genovese. Prese la decisione di arruolarsi e combattere per il suo paese, tornando in Liguria al termine di quella drammatica esperienza. La sua fama di allenatore, intanto, continuava ad accrescere col trascorrere del tempo. La tappa successiva era stata Roma, dove aveva guidato la neonata società giallorossa alla vittoria della coppa CONI. Poi fu la volta del Napoli, dopodiché provò a misurarsi col campionato spagnolo, portando l’Athletic Bilbao a laurearsi campione al primo tentativo. La nostalgia dell’Italia lo aveva spinto a tentare nella stagione successiva l’avventura con il Milan. Seguendo le ragioni del cuore, infine, era rientrato al Genoa. In Inghilterra, intanto, i maestri del football continuavano ad ignorare quel figlio della loro terra che si stava comportando così bene all’estero.

Durante la seconda Guerra Mondiale aveva deciso di consegnarsi alle autorità fasciste. Era accaduto dopo che il Primo Ministro inglese Winston Churchill aveva ordinato che tutti gli italiani residenti in Gran Bretagna venissero arrestati e imprigionati con un “collare”. Il detenuto Garbutt si era così trovato rinchiuso nelle temute carceri di Marassi, a pochi metri da quello stadio che ne aveva consacrato la leggenda.
Gli sforzi diplomatici profusi dalla moglie Anna ed il timore dei dittatori di dover giustificare la morte di un prigioniero famoso permisero la sua liberazione. Le successive tappe del peregrinare dei due coniugi furono Acerno (in provincia di Salerno), Orsogna (Chieti) e Imola (Bologna), laddove Anna rimase vittima dei bombardamenti degli Alleati. William ricevette la notizia da Maria, una giovane adottata dalla coppia durante la loro permanenza a Napoli.

Tra coloro che liberarono l’Italia dall’occupazione nemica c’era anche il figlio Stuart, arruolato nell’Ottava Armata britannica. Garbutt fece poi ritorno in Inghilterra ma il Genoa, l’amore sportivo della sua vita, lo richiamò un’altra volta ancora. In quel momento il tecnico aveva sessantatré anni. Si trattò senza ombra di dubbio di un amore ricambiato, tanto è vero che il 24 giugno 1951, a pochi giorni dalla fine del campionato 1950-51, tre dirigenti del club rossoblù organizzarono un’amichevole di lusso tra alcuni ex-giocatori dei Grifoni e una selezione di stelle. Giocarono gratuitamente per lui, mentre si decise che l’incasso fosse devoluto a “mister Pipetta”.

Tutto quanto raccontato, e molto altro ancora, è stato descritto con minuzia di particolari da Paul Edgerton nella biografia “William Garbutt, Il padre del calcio italiano”. Vi si parla anche dello storico scudetto perso contro il Bologna nel 1925 e della collaborazione tecnica con Vittorio Pozzo.
Il quale, a sorpresa, gli aveva fatto pervenire una lettera di referenze nel momento in cui Garbutt stava per cominciare la propria avventura spagnola.
Si trattava dell’ennesimo gesto che confermava la stima reciproca tra due grandissimi allenatori.

Articolo pubblicato su Lettera43

giovedì 24 gennaio 2013

La Juve e il tabù della Lazio

 
Accolto con rammarico lo sfortunato pareggio racimolato nella gara di andata delle semifinali di Coppa Italia, Antonio Conte ha voluto togliersi un sassolino dalla scarpa: “La Lazio è una grande squadra, ma in campionato e questa volta è stata anche molto fortunata”. Dal 1995 ad oggi le due formazioni hanno incrociato le loro strade nella coppa nazionale in altre cinque occasioni. Soltanto nella prima di queste Madama è riuscita a passare il turno, mentre nelle altre quattro è stata eliminata o comunque sconfitta dai rivali: nei quarti di finale (2000), in semifinale (1998 e 2009) e nella doppia finale del 2004.
 
Considerando il successo dei biancazzurri nella Supercoppa Italiana del 1998 e lo scudetto conquistato in rimonta nel 2000 a scapito dei bianconeri, a questo punto ci sono più elementi validi che porterebbero a definire la Lazio come una vera e propria bestia nera della Juventus. La partita appena disputata rievoca alla Vecchia Signora il ricordo di un'altra gara del suo passato, giocata contro lo stesso avversario ma dal risultato finale diverso. Si tratta di un match di serie A svoltosi a Torino, al vecchio stadio “Delle Alpi”, il 7 maggio del 1995. Dopo aver schiacciato la Lazio nella propria metà campo per lunghi tratti dell'incontro, Madama era stata successivamente punita per ben tre volte: Di Matteo, Boksic e Venturin consentirono agli ospiti di ottenere una vittoria che aveva il sapore dell'incredibile.
 
A fine gara Gianluca Vialli non riusciva a darsi una spiegazione di quanto accaduto sul terreno di gioco: “Se non l'avessi giocata, questa partita, non riuscirei a credere che sia finita così”. Passando dal fioretto alla sciabola, furono certamente più incisive le polemiche sorte tra Umberto Agnelli e Zeman: all'osservazione maliziosa del primo (“Ma non era Zeman che ci chiamava fortunati?”), fece poi seguito la risposta piccata del secondo (“Sono contento che anche Agnelli si renda conto che non è solo una questione di palle: serve anche la fortuna...”). L'incontro successivo di quel campionato avrebbe poi portato Madama a esibirsi al “Luigi Ferraris” di Genova contro i rossoblù, curiosamente gli stessi avversari dei bianconeri nell'anticipo serale previsto per sabato prossimo a Torino.
 
All'ora dell'aperitivo, invece, la Lazio affronterà il Chievo. A questo proposito Conte si è lasciato andare ad un altro sfogo verbale nella pancia dello “Juventus Stadium”: “È la seconda volta che noi giochiamo a quell’ora, e la Lazio alle 18.00, e tutte e due abbiamo poi la Coppa Italia, in settimana. Io lo chiedo, ma nessuno mi risponde”. Prima della ripresa della serie A il mondo bianconero ha avuto modo di celebrare due eventi importanti che lo riguardano: il decennale della scomparsa di Gianni Agnelli (24 gennaio) ed il rinnovo contrattuale di Gianluigi Buffon.
 
Stuzzicato su alcuni temi di attualità, nel luglio del 2001 l'Avvocato – durante un viaggio di cortesia in Russia per salutare l'amico Juan Antonio Samaranch, prossimo a lasciare la presidenza del CIO – aveva risposto ai cronisti presenti sul posto parlando a ruota libera di calcio: “Zidane? Ci mancherà, non c'è ombra di dubbio, ma se dopo cinque anni, anche per fare piacere alla moglie, che è lecito, uno vuole cambiare... non mi piace trattenere chi se ne vuole andare. La Roma? Non credo vincerà uno scudetto sino al 2012. Il ciclo della Lazio, d'altronde, è durato 2-3 anni”. Zeman, oggi allenatore dei giallorossi, non ha avuto il tempo necessario a disposizione per smentire a posteriori la tesi sostenuta dall'Avvocato. Come detto in precedenza eravamo nel 2001, due settimane prima di quell'intervista Gianluigi Buffon si era trasferito dal Parma alla Juventus.
 
Ora che ha appena allungato il suo matrimonio con la Vecchia Signora (fino a giugno del 2015) il portiere della nazionale si è lasciato andare ad una confessione riguardo il suo passato: “Quando arrivai alla Juve la mia prima preoccupazione era capire se ero adeguato a questo livello”. Ripensando è tutto quello che è accaduto in questi anni le sue parole riescono a strappare un sorriso.
 
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mercoledì 23 gennaio 2013

Che rabbia!!

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Questa mattina, dando uno sguardo ai vari siti sportivi in rete e leggendo alcune prime pagine dei quotidiani non posso nascondere di essere rimasto a bocca aperta a causa di ciò che ho letto, Devo dire che già ieri sera, ascoltando i commenti del post partita sulla RAI, ho creduto di aver visto tutta un’altra partita rispetto a quella che qualcuno voleva raccontarci. L’allenatore della Lazio sosteneva che il pareggio dei biancocelesti era meritato e che la sua squadra aveva fatto più della Juventus nei novanta minuti, oltre ad affermare con decisione l’irregolarità della rete di Peluso. Tutto questo mentre prima ancora i commentatori RAI, sulla cui telecronaca e sulle cui opinioni ritorneremo dopo, esaltavano la prestazione della squadra di Lotito, che aveva messo in seria difficoltà i Campioni d’Italia. 

Esaminiamo una questione alla volta partendo da quello che riguarda la nostra squadra: considerando che gli uomini di Conte erano decisamente in una situazione di emergenza, a causa delle numerose assenze forzate dovute ad infortuni più o meno seri, oltre a quella di Asamoah, impegnato in Coppa d’Africa, possiamo affermare tranquillamente e senza tema di smentita che la Juventus meritava la vittoria, vittoria che non è arrivata un po’ per la solita incapacità di chiudere le partite alla quale, come detto, senza l’acquisto di un vero attaccante, non si potrà porre rimedio, un po’ per una notevole dose di fortuna che accompagna la Lazio fin dall’inizio di questa stagione, un po’per le splendide parate di Marchetti (il quale si esalta quando vede bianconero), un pò per l'ottima organizzazione difensiva dei romani, un po’, da ultimo, per la mancanza di concentrazione nel finale che, attraverso gli errori di De Ceglie e Storari, ha permesso a Mauri di segnare la rete del pareggio. 

Proprio su Mauri vorrei sorvolare ma non posso fare a meno di sottolineare che, seppur nella presunzione di innocenza dovuta ad ognuno, ma dando per scontato il suo deferimento, avrebbe comunque dovuto subire da tempo un processo sportivo, come già accaduto ad altri, con chissà quali conseguenze, ma a quanto pare, fino ad ora la doppia velocità della giustizia sportiva non ne ha avuto il tempo. Tutti contenti ovviamente, per non correre il rischio di falsare i tornei in corso, così si dice, come se invece squalificare per 4 mesi l’allenatore della squadra Campione d’Italia non contribuisse a falsare l’andamento delle varie competizioni (vedi ad esempio la finale di Supercoppa o la Serie A stessa). Ma supponiamo che prima o poi il capitano della Lazio venga processato (sempre dal punto di vista sportivo, visto che in sede penale la sua posizione è stata archiviata) e squalificato dalla commissione disciplinare (cosa che, chissà per quale motivo, credo non accadrà), averlo fatto scendere in campo ieri sera, non ha falsato il regolare svolgimento della semifinale di Coppa Italia? 

Prima di tornare a parlare di fatti strettamente calcistici e tecnici, vorrei soffermarmi un attimo sul commento e sulla telecronaca RAI di ieri sera. Forse qualcuno penserà che il mio è un discorso da tifoso di basso livello, ma ciò che ho visto ed ascoltato ieri sera è, a mio modo di vedere, non degno di una tv di stato, e come tale pertanto diretta a tutti e verso tutti nella stessa maniera. Io dico che ci vorrebbe più omogeneità di giudizio sugli episodi ma soprattutto meno doppiopesismo nel mostrarli. Non si può passare più volte il replay della rete di Peluso, sostenendo continuamente che era irregolare e pertanto da annullare, far vedere poi una sola volta il replay del possibile fallo da rigore su Vucinic rimanendo tutti in silenzio per non prendere posizione, e infine non facendo mai rivedere fino all’ultima sequenza le immagini del salvataggio di Marchetti sul colpo di testa di Vidal. Io non voglio sostenere che il fallo di Biava su Vucinic doveva essere rigore per forza (anche se per me era netto) e quasi certamente il pallone bloccato da Marchetti sul colpo di testa del Cileno non aveva affatto varcato la linea di porta, ma l’onestà e l’obiettività, nonché l’uniformità di comportamento sta nel farli rivedere diverse volte tutti e nel prendere almeno in considerazione l’episodio, mentre ciò non è accaduto affatto. 

Ora torniamo alla Juventus e, nello specifico, a parlare di alcuni singoli, anche perchè per ciò che concerne il gioco di squadra, considerando la totale emergenza, credo si sia fatto il massimo ed i motivi della mancata vittoria li ho elencati in precedenza. Sinceramente, nonostante abbia segnato il gol del momentaneo vantaggio, io non sono affatto soddisfatto del rendimento di Federico Peluso. Certo, deve ancora inserirsi in questa squadra e soprattutto calarsi in una realtà, quella di un Top Club, completamente nuova per lui, ma lo trovo un po’ lento, privo di grandi qualità per fare l’esterno. Forse un po’ meglio nella fase difensiva ma, tutto sommato, non è molto diverso da De Ceglie, il quale a 26 anni non è ancora riuscito a mostrare quei grandi miglioramenti che tutti noi ci aspettavamo da lui sia sotto l’aspetto tecnico che della concentrazione. Sulla fascia sinistra, con le assenze di Asamoah e Chiellini, non siamo messi affatto bene. 

Ennesima prova incolore di Matri (è riuscito a sbagliare un gol praticamente fatto davanti al portiere avversario) il quale ha perso quasi tutti i palloni che ha ricevuto tra i piedi. Marchisio, ieri al rientro dopo l’infortunio al ginocchio, impiegato come seconda punta purtroppo non poteva fare più di tanto. Per il resto più o meno tutti hanno fatto benino, offrendo una prestazione che, come detto, meritava la vittoria. Per il match di ritorno occorrerà recuperare qualche infortunato, nella speranza che non se ne aggiungano altri nel frattempo, ma soprattutto ritrovare un po’ di fortuna e magari un minimo di precisione sotto rete. Il discorso qualificazione è ancora aperto, ma sarà molto dura.

domenica 20 gennaio 2013

La Juve di Pogba e quella dell'Avvocato

 
La Juventus che schianta l'Udinese nell'anticipo serale della ventunesima giornata del campionato di serie A assomiglia a quella Signora che nell'intento di entrare in una stanza chiusa a chiave per riprendersi ciò che è stato suo (i tre punti non ancora conquistati nel 2013), suona il campanello e attende pazientemente un segnale di risposta. Trascorsi una quarantina di minuti e dopo aver constatato che nessuno si è fatto vivo, allora prova a bussare.
 
Stanca di aspettare decide di allontanarsi, prendere un pallone, farlo rimbalzare a terra per poi calciarlo di controbalzo con violenza inaudita. Sfondata la porta d'ingresso, entra nel salotto dei vincenti annunciando il suo arrivo. Era dallo scorso dicembre che da quelle parti avevano perso le sue tracce.
Recuperato ciò che cercava esce, saluta la compagnia e, per essere sicura che il messaggio alle avversarie nella corsa allo scudetto sia stato recepito, si gira su se stessa, prende la mira e sfonda con un'altra pallonata quel poco che era rimasto della porta. 
 
Paul Pogba, il francesino strappato dalle sapienti mani di Sir Alex Ferguson, con due siluri da 101 e 97 km/h ha spaccato l'equilibrio di una partita che Madama non stava riuscendo ad incanalare verso la vittoria. Le reti degli attaccanti anche stavolta sono arrivate quando i giochi, ormai, erano fatti: i gol di Vucinic (il decimo in carriera segnato ai friulani) e Matri (l'anno scorso aveva realizzato la doppietta nel 2-1 finale, 28 gennaio 2012) hanno chiuso la contesa e dato inizio alla festa juventina.
 
In una serie A che perde appeal e fuoriclasse anno dopo anno l'esplosione di talenti del calibro dello stesso Pogba e del rossonero El Shaarawy, giusto per fare due nomi, sono l'immagine di un movimento che cerca di rialzare la cresta (è il caso di dirlo) dopo i disastri che ha provocato con le proprie mani. Inutile aggrapparsi alla crisi economica mondiale: quando in Italia si spendeva allegramente gettando i soldi dalla finestra, in altri paesi europei i dirigenti di club più o meno blasonati programmavano il loro futuro. Con i giovani, i progetti fondati su idee concrete e gli investimenti mirati.
 
Ora, come è giusto che sia, stanno raccogliendo i frutti del proprio lavoro: Guardiola che sceglie Monaco di Baviera come base operativa del suo lavoro, rinunciando a offerte faraoniche provenienti da altri lidi, è la prova concreta che la serietà e la buona programmazione alla lunga pagano. Tornando al campionato di serie A, superata la pratica casalinga Madama aspetta l'arrivo della Lazio a Torino - previsto per martedì prossimo - per la disputa della gara di andata delle semifinali di Coppa Italia. I biancazzurri, fermati a Palermo per 2-2, si allontanano in classifica dagli uomini di Conte quando ormai erano comparsi nei loro specchietti retrovisori.
 
Due giorni dopo, il 24 gennaio, ci saranno le commemorazioni per il decimo anniversario della scomparsa dell'Avvocato Gianni Agnelli. Ripensando alla gara giocata contro l'Udinese è bello immaginare quale soprannome avrebbe affibbiato a Pogba: quella cresta bionda spuntata sulla testa di un ragazzo di colore che studia per diventare un uomo avrebbe potuto rappresentare un terreno fertile per la sua fantasia.
 
Rovistando tra le sue frasi celebri ce n'è una che può benissimo adattarsi all'ultima prestazione offerta dal francese: “Nei momenti difficili di una partita c'è sempre nel mio subconscio qualcosa a cui mi appello, a quella capacità di non arrendersi mai. E questo è il motivo per cui la Juventus vince anche quando non te l'aspetti”.
 
Rovesciata come un calzino da Conte a causa delle assenze di questo periodo, minata in classifica dal pericoloso avvicinarsi delle rivali e ancora a secco di vittorie in campionato nel 2013, alla Vecchia Signora serviva una prova d'orgoglio per rialzarsi.
Dietro ai siluri scagliati da Pogba c'è tutto questo.
E tanto altro ancora.
 
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venerdì 18 gennaio 2013

Juve a caccia dei primi 3 punti del 2013

 
La coppa Italia 2012-13 prosegue il suo cammino verso la finalissima all'insegna della tradizione. Nelle semifinali della manifestazione, le cui gare di andata sono previste per la prossima settimana, si incroceranno infatti Juventus, Lazio, Roma e Inter. Scorrendo l'albo d'oro del torneo e contando il numero dei trofei conquistati da ogni singolo club, nella speciale classifica delle società più titolate primeggiano Juventus e Roma con nove successi, l'Inter è ferma a quota sette, la Fiorentina (eliminata nei quarti dai giallorossi) a sei, la Lazio a cinque (a pari merito con Milan e Torino). Nell'attuale edizione, quindi, sono rimaste in lizza quasi tutte le squadre che ne hanno fatto la storia.
 
Anche quella recente, considerando che l'Inter ha trionfato cinque volte negli ultimi otto anni mentre due sono le coppe vinte dalla Roma ed una dalla Lazio. Nel periodo citato l'unico "intruso" è il Napoli, che lo scorso 20 maggio ha sconfitto la Juventus in finale per 2-0. Per concludere l'argomento non va dimenticato che - sempre dal 2005 in avanti - sono state ben cinque le occasioni nelle quali nerazzurri e giallorossi si sono trovati gli uni di fronte agli altri nell'appuntamento decisivo di questa competizione.
 
Prima dell'inizio delle semifinali, però, ci sarà una nuova giornata di campionato, la ventunesima del calendario. In vetta alla serie A la Juventus ospiterà a Torino l'Udinese del "vecchio" Di Natale e del "giovane" Muriel, alla ricerca di quei tre punti che nel 2013 non è ancora riuscita a conquistare. Su un totale di sei a disposizione, la Vecchia Signora ne ha lasciati ben cinque per strada, consentendo a Lazio e Napoli di avvicinarsi pericolosamente a lei in classifica. Dato che gli uomini di Petkovic giocheranno a Palermo nell'anticipo pomeridiano di sabato prossimo, la squadra di Conte affronterà in serata i friulani conoscendo l'esito dell'incontro dei biancazzurri, beneficiando - quindi - di un piccolo vantaggio a suo favore.
 
Nelle sole tre partite disputate dall'inizio del nuovo anno Madama ha offerto due versioni di sé: una è quella che in campionato si è fatta rimontare dopo essere passata in vantaggio, che si è scoperta debole sul suo fianco sinistro (dove si avvertono chiaramente le assenze di Chiellini e Asamoah) e che segna soltanto su calci piazzati; l'altra è quella “di Coppa Italia”, in grado di ribaltare il risultato anche se colpita a freddo, di realizzare gol pure su azione mostrando, però, lacune sul versante destro della propria linea difensiva.
 
Non ci troviamo di fronte al classico esempio dei tre indizi che fanno una prova, quanto ad una realtà che vede la Juventus ancora in rodaggio dopo i pesanti carichi di lavoro svolti durante la sosta natalizia. Attualmente sembra essere la brutta copia di quella macchina da punti che era diventata verso la fine 2012. Il calendario della serie A le prospetta un doppio impegno casalingo consecutivo non proibitivo (dopo gli uomini di Guidolin sarà la volta dei rossoblù genoani), ma comunque impegnativo.
 
Dal canto suo l'Udinese è diventata una realtà consolidata del calcio italiano. Ad ulteriore riprova di questo basti considerare che la maggior parte delle sue vittorie a Torino (sei, in totale) sono maturate soltanto negli ultimi anni: dopo le prime ottenute nel 1956 e nel 1962 sono infatti arrivate quelle del 1997 (che battezzò la nascita del 3-4-3 di Alberto Zaccheroni), 2000, 2007 e 2011.
 
Non riuscì nell'impresa, invece, durante il periodo storico in cui i friulani finirono al centro delle cronache mondiali per aver tesserato Zico, il fuoriclasse proveniente dal Flamengo: in entrambe le gare l'Udinese venne sconfitta per 3-2. Le doppiette messe a segno da Vignola (21 aprile 1984) e Boniek (14 aprile 1985) resero infatti vane le reti del “Galinho”.
In quei tempi, in mezzo al campo, negli scontri tra le due formazioni giocavano campioni del calibro dello stesso brasiliano e di Platini. Al giorno d'oggi, visti i suoi problemi offensivi, alla Juventus sarebbe utile anche un “semplice” Vignola.
 
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mercoledì 16 gennaio 2013

La Juventus rallenta


La Juventus che torna da Parma dopo aver mancato la vittoria di un soffio conferma la tesi del suo allenatore: non è una squadra di marziani. Viceversa, chi aveva pensato che i bianconeri avessero già vinto il campionato a fine dicembre probabilmente si era fatto condizionare dall'enorme distacco accumulato in quel periodo sulle dirette rivali nella corsa allo scudetto (otto punti). Se proprio si vuol discutere di formazioni che giocano a calcio come solo gli extraterrestri saprebbero fare allora bisogna guardare al campionato spagnolo, dove il Barcellona continua ad incantare e schiantare gli avversari uno dopo l'altro. I suoi successi ormai non fanno più notizia, così come i Palloni d'Oro conquistati da Lionel Messi e le reti che l'argentino segna a ripetizione.

Tornando in Italia, ha suscitato clamore il rallentamento della Juventus in vetta alla serie A. Lo scorso anno, di questi tempi, Madama aveva un punto in meno in classifica, guardava le partite della Champions League in televisione e non doveva riempire i suoi serbatoi di benzina sino al limite della loro capienza per far fronte agli impegni infrasettimanali. Per misurare la differenza con l'attuale situazione basti pensare che mercoledì 9 gennaio la Vecchia Signora ha cominciato un ciclo di incontri che la porterà a giocare ben otto volte in soli trenta giorni.

Un ciclo iniziato con una gara lunghissima, quella disputata in Coppa Italia contro il Milan e durata la bellezza di centoventi minuti. Non dev'essere un caso se domenica a Genova, contro la Sampdoria, il rossonero El Shaarawy si è reso protagonista di una delle rarissime prove incolori di questa prima metà di campionato. Le scorie di partite così tirate difficilmente si riescono ad eliminare in un breve arco di tempo. 

Giuseppe Marotta ha recentemente paragonato la serie A ad una corsa a tappe ("E' come il Giro d’Italia, non come la Milano-Sanremo"), centrando il punto della situazione: in questo genere di competizioni gli allunghi si "pagano", in termini di fatiche accumulate, esattamente come le rincorse. Partita a razzo in campionato, Madama ha incontrato delle difficoltà nelle prime gare disputate in Champions League; una volta messo il piede sull'acceleratore in Europa, invece, ha poi frenato in Italia salvo riprendersi in concomitanza con il ritorno di Conte sulla sua panchina.

La forbice tra gli alti e i bassi, fisiologici, che caratterizzano un'intera stagione sarebbero meno evidenti se Madama disponesse di qualcuno in grado di spezzare gli equilibri degli incontri nei quali non riesce a prevalere con il proprio gioco corale. Visto e considerato che, come sostiene lo stesso Conte, "trovare adesso dei giocatori che possano far fare il salto di qualità non è facilissimo, perché chi ce li ha se li tiene", non è da escludere che intorno alla Vecchia Signora si siano create, nel corso del tempo, delle aspettative molto elevate. Forse troppo.

Rosa bianconera alla mano, era evidente sin dalla scorsa estate che il gigante Bendtner ed il piccolo Giovinco non avrebbero risolto i suoi cronici problemi offensivi. Il ruolo di favorita le impone di vincere il campionato, non di ucciderlo. Le due squadre che la tallonano da vicino, Lazio e Napoli, nelle ultime quattro gare hanno accumulato la bellezza - rispettivamente - di dodici e nove punti, in concomitanza con il periodo di flessione bianconera. Tornando sul tema degli allunghi e delle rincorse, non è da escludere che a breve anche le dirette concorrenti possano rallentare il passo, magari nel momento stesso in cui riprenderà a segnare la cosiddetta "cooperativa del gol" juventina.

L'esito del campionato, comunque sia, non è così scontato come a molti era apparso lo scorso dicembre. L'incidenza degli infortuni, delle coppe europee e italiana (il Napoli ne è fuori, ma a breve Juventus e Lazio si troveranno una di fronte all'altra) si faranno sentire moltissimo nel prosieguo del torneo. A meno che qualche eventuale acquisto concretizzato in questo mese di gennaio riesca a modificare gli equilibri della serie A. E' difficile immaginare un'ipotesi simile, anche perché l'attuale sessione di calciomercato resta sempre la versione più moderna del vecchio mercato di "riparazione". Nel caso della Juventus, però, là davanti c'è da "costruire", non da mettere a posto qualcosa.

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lunedì 14 gennaio 2013

Un momento difficile

Questo articolo è di Danny67. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Un Bianconero a Roma

Ormai non ci sono dubbi. Quello che la Juventus di Antonio Conte sta affrontando in questo inizio di 2013 è sicuramente un momento molto delicato, per quanto riguarda i risultati, ma anche e soprattutto per ciò che concerne il gioco espresso in campo. Di certo nel pomeriggio di ieri la Vecchia Signora avrebbe meritato la vittoria, e questo lo dicono le impressioni ma anche i numeri; possesso palla, tiri verso la porta avversaria, palloni riconquistati, passaggi riusciti, tutti elementi che dimostrano una abbastanza netta supremazia degli uomini ieri in maglia nera. Ma quello che da un po’ di tempo non si riesce più a vedere è lo strapotere atletico e il deciso dominio dell’avversario, caratteristiche tipiche della Juventus di Antonio Conte e che le hanno permesso di vincere uno scudetto da imbattuti. 

Tutto questo si traduce, alla fine, in una differenza di rendimento clamorosamente in calo se si vanno ad analizzare i punti ottenuti da Madama nelle prime dieci giornate di campionato, ben 28, e quelli realizzati nelle ultime dieci, appena 17. Forse rispetto alla sconfitta casalinga di domenica scorsa ma anche rispetto al match di Coppa Italia contro il Milan, un leggero miglioramento si è anche intravisto, ma ciò non è sufficiente per mettere al riparo i bianconeri da brutte sorprese, visto che gli inseguitori, il Napoli meritatamente, la Lazio un po’ meno, visti i favori arbitrali ricevuti nelle ultime due gare casalinghe con Cagliari e Atalanta, nell’omertoso e colpevole silenzio generale dei media, si stanno avvicinando a passo decisamente spedito. 

Purtroppo, per la seconda volta, devo segnalare quelli che per me sono errori commessi dal nostro Mister, e non mi riferisco al suggerimento sbagliato gridato a Vucinic che ha permesso a Paletta di avviare il contropiede del pareggio (cose che possono capitare in una giornata sfortunata), ma piuttosto alla sua ostinazione nel proporre un modulo di gioco, il 3-5-2 senza avere, in questo momento, gli interpreti per attuarlo. Direi che è evidente che senza Chiellini, che da solo riesce a coprire una zona immensa di campo, non è possibile giocare con la difesa a tre, inserendo poi al suo posto Perluso (la scorsa settimana) o Caceres (ieri), il primo ancora privo del necessario affiatamento con i compagni, ma a mio parere nemmeno all’altezza di ricoprire quel ruolo, il secondo, un destro naturale, eccellente nel ruolo di esterno destro o di centrale in una difesa a quattro, ma decisamente un pesce fuor d’acqua come centrale di sinistra in una difesa a tre. 

A mio modo di vedere, fin quando Giorgione non sarà in grado di rientrare, sarebbe il caso di tornare al 4-3-3, utilizzando come centrali Barzagli e Bonucci e alternando come esterni di difesa a destra Lichtsteiner e Caceres, a sinistra De Ceglie e Peluso. Centrocampo con i soliti Pirlo, Marchisio (speriamo rientri sabato prossimo) e Vidal, da alternare con Pogba, e davanti un tridente con Giaccherini, Matri (finché Vucinic non si riprenderà del tutto), e Giovinco. Forse la squadra al momento sarebbe più equilibrata e rischierebbe di meno in difesa dove, da un po’ di tempo si corrono troppi pericoli. 

Mi sbaglierò ma io ho la sensazione che Antonio Conte non stia passando un momento felice e che la squalifica e le nuove notizie provenienti da Bari, messe in giro ad arte da chi sta spingendo per un nuovo procedimento a carico del tecnico salentino, in qualche modo lo abbiano segnato più di quanto si potesse immaginare e forse abbiano ingenerato in lui un pò di insicurezze, o quantomeno, minato la sua capacità di concentrazione sugli obiettivi. Detto questo ci tengo a precisare che la mia stima, la mia fiducia ed il mio amore per lui sono sempre e comunque totali e che lo ritengo il miglior tecnico in circolazione attualmente in Italia.

Tornando a parlare di calcio le assenze certamente pesano, ed anche molto, su questo brutto momento della Juventus, così come la condizione atletica tutt’altro che brillante, ma la cosa che continua a pesare di più è il fatto di non avere un attaccante che le faccia vincere le partite in cui gioca male o quantomeno al di sotto delle sue reali potenzialità . Non c’è niente da fare, questa è una realtà ormai chiara come il sole, ovvia, persino scontata, ma a quanto pare, e ciò sembra essere confermato anche dalle parole di Marotta di questa mattina, è una pecca alla quale non si porrà rimedio nemmeno a gennaio.

venerdì 11 gennaio 2013

Juventus, l'importanza di Vucinic

Dopo aver sconfitto il Milan nella recente gara secca disputata a Torino, la Juventus ha raggiunto le semifinali della Coppa Italia per la sesta volta consecutiva. Nelle precedenti cinque edizioni il suo cammino si era fermato per tre volte ai quarti, una in semifinale (eliminata dalla Lazio) ed una in finale (nella quale aveva perso il trofeo per mano del Napoli).

Sulla propria strada Madama troverà nuovamente la Lazio allenata da quel Petkovic che, dipinto come un oggetto misterioso al momento del suo arrivo in Italia, col passare del tempo è riuscito a farsi apprezzare sia per le sue qualità professionali che per quelle umane. Con l'avanzare del torneo il tabellone della Coppa Italia ha finito col riproporre quasi tutte le squadre attualmente al vertice della serie A: escluso il Bologna, unico "intruso" capace di eliminare il Napoli (terzo), in attesa della disputa degli ultimi quarti di finale restano infatti in lizza tutti i club che si trovano tra il primo ed il sesto posto in classifica (Juventus, Lazio, Fiorentina, Inter e Roma).

Il trofeo che sino a qualche anno fa veniva snobbato dalle più prestigiose società italiane, al punto da schierare spesso e volentieri le riserve delle riserve, ora ha acquisito una maggiore considerazione. Il caso del Milan, in questo senso, è emblematico: settimo in campionato e prossimo avversario del Barcellona in Champions League, a causa dell'estromissione dalla coppa nazionale rischia seriamente di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano già a metà marzo. Proprio lui che non ha smesso di frequentare i salotti buoni dell'Europa che conta anche nel periodo post-Calciopoli, e che si era aggrappato con la forza della disperazione alla gara di Torino nel tentativo di dare un senso alla propria stagione.

La Juventus, dal canto suo, procede a vele spiegate sulla rotta verso la semifinale con i biancazzurri. La Coppa Italia, oltretutto, è l'unica manifestazione giocata quest'anno nella quale Conte è riuscito a guidare la propria formazione sin dalla prima gara disputata, visto che la squalifica che gli era stata comminata in estate era già scaduta all'epoca del confronto con il Cagliari (12 dicembre 2012).

Il tabellino della gara tra i bianconeri e i rossoneri ha riportato i nomi dei tre attaccanti più talentuosi scesi sul campo dello "Juventus Stadium": El Shaarawy, Giovinco e Vucinic. Prima dell'incontro Conte aveva spiegato ai cronisti come avrebbe dosato l'impiego dello stesso montenegrino: "Stiamo cercando di recuperarlo per portarlo a fare una partita tutta intera. E non rischiare, soprattutto, che dopo una partita di 95 minuti si fermi per un mese, un mese e mezzo: sarebbe un disastro, sotto tutti i punti di vista".

Un disastro, è vero. Anche perché, a costo di essere monotoni e ripetitivi, va ricordato come la consistenza dell'attacco bianconero senza Vucinic sia facilmente immaginabile...

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Dieci anni di vita

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Dieci anni di vita sono quelli che ho perso ieri sera nel finale della sfida dei quarti di Coppa Italia che ha visto la Juventus trionfare ai danni del Milan ed accedere alle semifinali dove il 22 ed il 29 gennaio affronterà la Lazio, grazie alla rete di Mirko Vucinic che, replicando l’impresa dello scorso anno regala agli uomini di Conte la qualificazione. Un finale in cui si è rischiato più volte di subire il gol che avrebbe costretto la Vecchia Signora ai calci di rigore. E’ stato un match veramente duro, non spettacolare e nemmeno giocato benissimo dalle due grandi rivali, ma comunque molto emozionante e teso, dove l’agonismo è stato superiore alla tattica ed alla tecnica. 

La Juventus non ha disputato una bella gara, faticando moltissimo contro un Milan tutt’altro che irresistibile in un inizio da incubo, riprendendosi poi piano piano durante la partita, ma finendo in debito di ossigeno, sovrastata, negli ultimi minuti, fisicamente dai rossoneri che sembravano decisamente più freschi, nonostante ciò gettando al vento più volte, in contropiede, le occasioni per chiudere ogni discorso. In realtà non c’è molto da dire. I difetti della Juventus sono i soliti, su tutti, e mi sono anche stancato di ripeterlo, la mancanza di precisione in zona gol, ai quali però si aggiungono le assenze importanti (e non mi riferisco a quelle effettuate per scelta tecnica ma ai vari Chiellini, Asamoah, Marchisio e Pepe), una certa sufficienza, in alcuni frangenti, nella gestione della palla (troppi passaggi sbagliati) ed una condizione atletica al momento abbastanza scadente (ma questo probabilmente è l’effetto delle doppie sedute di allenamento effettuate durante la sosta natalizia con l’intento di andare più forte a marzo). 

Se andiamo a parlare dei singoli il primo grosso interrogativo che mi viene in mente, e non credo di essere il solo, è relativo a Mauricio Isla. Al di là del grave infortunio subito nella scorsa stagione e dal quale sembra ancora non essersi ripreso sembra veramente la copia sbiadita dello splendido calciatore ammirato nell’Udinese. Da l’impressione di non essere affatto a proprio agio ne nella posizione di esterno destro ne, tantomeno, come dimostrato ieri sera, nella posizione di esterno sinistro. Forse è andato un po’ meglio nei supplementari quando è stato schierato da interno ma per adesso appare come un pesce fuor d’acqua, senza grinta e capace anche di fallire un gol praticamente fatto tirando addosso ad Amelia da pochi passi. 

Matri ancora una volta non ha saputo ripetere la prestazione del Tardini contro il Cagliari e, nonostante si sia sacrificato moltissimo, tanto da finire senza energie, non è riuscito a rendersi pericoloso in quasi nessuna occasione. Vucinic stavolta ha cambiato l’inerzia della gara, entrando in campo con il piglio giusto, non solo segnando il gol vittoria, ma sacrificandosi perfino in copertura, andando a recuperare diversi palloni e avendo il merito di avviare egli stesso la ripartenza da cui si è sviluppata l’azione della segnatura vincente. Ad ogni modo io credo che l’arrivo di un grosso attaccante (Drogba) sia assolutamente necessario se si vuole andare avanti in Champions ma anche per essere più forti in Italia. 

Buone le prove di Giaccherini, Caceres, Bonucci (grave errore però farsi sfuggire Boateng) e Barzagli e, a mio avviso, anche di Vidal il quale, seppur non al meglio della forma ha lottato come un leone vincendo tantissimi contrasti. Marrone non è partito benissimo, troppo timoroso inizialmente, si è ripreso col passare dei minuti. 

Al di là di tutto era importante passare il turno, ma credo che nessuno di noi sia particolarmente soddisfatto della prestazione dei bianconeri. Occorrerà ben altra Juventus per superare la Lazio in semifinale ed anche per affrontare la difficilissima trasferta di domenica prossima a Parma.

martedì 8 gennaio 2013

Juve, il Milan per dimenticare la Samp

 
Un famoso detto recita che "chi ben comincia è a metà dell'opera". Al giro di boa della serie A la Juventus di Antonio Conte effettivamente è a metà dell'opera, anche se non si può certo affermare che abbia cominciato bene il 2013. Dopo essersi laureata in anticipo campione d'inverno ha infatti concluso nel peggiore dei modi un girone di andata che, comunque, le ha riservato più gioie che dolori. Pur subendo contro la Sampdoria la seconda sconfitta casalinga in poco meno di due mesi, i numeri sono ancora dalla parte di Madama.
 
A questo proposito si possono citare due esempi: sono cinque i punti di vantaggio sulla seconda in classifica (la Lazio) e tre quelli in più rispetto a quanti ne aveva accumulati nella scorsa stagione. Quella in cui la Vecchia Signora, libera da impegni europei infrasettimanali, era riuscita a conservare l'imbattibilità per tutto il campionato. A conti fatti non è poco. Le vittorie esterne della Sampdoria contro la Juventus da trent'anni a questa parte si possono contare sulle dita di una mano. Prima della doppietta del giovane Icardi l'ultimo successo ligure risaliva al 2 febbraio 2005: la rete realizzata da Diana aveva piegato i bianconeri allora guidati da Fabio Capello per 1-0. Il caso ha voluto che alla vigilia della recente partita tra le due formazioni Antonio Conte abbia risposto per le rime ad un'osservazione fatta dallo stesso Capello sui meriti (e i record) dell'attuale Juventus rapportati a quella da lui allenata nel biennio 2004-2006.
 
Per trovare un'altra vittoria della Sampdoria per 2-1 bisogna invece tornare indietro nel tempo sino al 30 ottobre 1983, quando i blucerchiati, sotto di un gol (Paolo Rossi) dopo la prima frazione di gioco, nella ripresa ribaltarono il risultato grazie alle marcature di Brady e Galia. A questo proposito vanno segnalate due curiosità: l'andamento di quella gara era stato lo stesso della recente partita disputata allo "Juventus Stadium" e i due goleador della formazione di Renzo Ulivieri nella loro carriera hanno indossato anche la casacca bianconera.
 
Antonio Conte ha precisato che la Juventus non è composta da marziani ma da essere umani che, come tali, possono sbagliare. Ed è esattamente quanto è accaduto contro la Sampdoria. Dalla panchina al portiere, passando per i vari reparti della squadra, ogni elemento dello staff juventino ha sulla propria coscienza alcuni errori. Senza nulla togliere ai blucerchiati, che hanno vinto con pieno merito, sin dal prossimo incontro la Vecchia Signora dovrà togliersi di dosso quell'abito da presuntuosa con la quale ha iniziato a giocare il secondo tempo.
 
Le critiche a Peluso per il suo infelice debutto in maglia bianconera sono giuste, mentre la bocciatura inflitta al suo acquisto sarebbe quantomeno prematura. Andando a rivedere il cammino percorso dai vari Bonucci e Chiellini nello scorso campionato si possono facilmente trovare delle prestazioni negative, anche peggiori di quella offerta dall'ex atalantino.
 
Il calcio è uno sport in cui non sempre vince il più forte. Così come non esiste l'elisir di lunga vita non esiste neanche quello dell'imbattibilità. Da tempo immemore, poi, la prima giornata di campionato disputata dopo le festività natalizie regala delle sorprese. Quanto accaduto a Firenze (vittoria del Pescara) e Udine (brutto capitombolo dell'Inter) sono solo delle conferme a questa tesi. Quando la macchina da gioco plasmata da Conte non ingrana non c'è nessuno che riesca a togliere il tecnico dai guai. Sino al momento in cui il club non acquisterà (almeno) un fuoriclasse in grado di risolvere da solo le partite questa resterà la "Juventus di Conte".
 
Il menù infrasettimanale le presenta adesso un piatto gustoso: il Milan, da affrontare mercoledì nella gara secca valevole per il quarto di finale di Coppa Italia. Non ci sarà Icardi, il giustiziere della Vecchia Signora nella scorsa domenica. Al suo posto, però, troverà El Shaarawy, l'attuale vice-capocannoniere della serie A. Per evitare altre brutte sorprese le converrà prestare la massima attenzione.
 
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Un mese difficile

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Attendere un giorno e mezzo prima di pubblicare il commento relativo alla sconfitta della Juventus (la terza della stagione) maturata nella sfida casalinga contro una Sampdoria mai doma è stato molto positivo per il mio stato d’animo che, seppur ancora molto scosso, mi permette di analizzare con un po’ più di lucidità la batosta che ci è arrivata sulla testa nel giorno dell’Epifania. Con più lucidità certamente, ma anche con una certa apprensione che comincia a serpeggiare dentro di me nel vedere che questa squadra, pur avendo totalizzato un numero di punti superiore rispetto a quelli ottenuti nel campionato scorso alla stessa giornata, pur avendo giocato a tratti un calcio entusiasmante, non sembra trasmettere più quella sensazione di inaffondabilità (concedetemi il termine) che ci faceva assistere a partite nelle quali l’avversario della Vecchia Signora non arrivava praticamente mai ad impensierire neanche lontanamente la porta difesa da Buffon, partite in cui ci si doveva preoccupare solamente di mettere dentro il pallone per non finire la gara sullo zero a zero (vedi i match con il Siena o con il Genoa a Marassi). 

Dei gol (molto pochi per la verità) si subivano ma sembravano essere veramente il frutto della casualità o magari di rarissime incertezze difensive (vedi gara casalinga con il Lecce). Quest’anno troppo spesso si vedono gli attaccanti avversari arrivare nei pressi della nostra area di rigore e rendersi pericolosi. E qui arriviamo alla gara persa con la Samp. Forse c’è un problema di concentrazione? Forse c’è una certa presunzione da parte di tutti (allenatore compreso)? Manca quella ferocia ossessiva con cui si distruggeva chiunque? Forse c’è un problema di modulo? C’è un certo logorio fisico e mentale dovuto agli aumentati impegni settimanali? O un semplice appannamento Natalizio? Di certo l’atteggiamento tenuto dalla squadra ieri non mi è piaciuto. Oltre ai soliti e ormai cronici errori sotto rete, ai quali credo, a meno di miracoli, non si riuscirà a porre rimedio nemmeno nella finestra di mercato di gennaio, secondo me ieri qualcuno (ma più probabilmente tutti) ha creduto di aver già portato a casa la vittoria dopo aver ottenuto il vantaggio e la superiorità numerica. Inutile negarlo, nel corso della stagione in corso si è vista più di una volta una certa arroganza, un eccesso di sicurezza ed una buona dose di superficialità, perfino da parte di uomini come Pirlo o Barzagli che, di solito, non sbagliano mai. 

Nel caso specifico di ieri i primi errori, a mio parere, li ha commessi Antonio Conte, probabilmente convinto, a dispetto delle dichiarazioni pre-gara, di vincere abbastanza agevolmente, tanto da ricorrere ad un largo turn over (anche se in parte costretto da defezioni varie) e da proporre Federico Peluso non solo titolare, nonostante la sua sana abitudine di inserire molto gradualmente ogni nuovo arrivato nei meccanismi di gioco della squadra, ma anche come terzo centrale al posto di Chiellini, quando forse sarebbe stato più opportuno, eventualmente, metterlo come esterno. Se si guarda bene il suo movimento sul raddoppio di Icardi ci si rende perfettamente conto di come il ventottenne difensore romano commetta un errore dovuto proprio alla mancanza di abitudine agli schemi ed ai movimenti della difesa bianconera andando prima verso il centro per poi, dopo essersi reso conto di aver sbagliato, tornare sui suoi passi per inseguire l’attaccante argentino che ormai gli è troppo davanti e che può quindi concludere in tutta tranquillità.

Perché non preferirgli Caceres o Marrone spostando a sinistra Barzagli come già avvenuto in passato? Perché non tornare, viste le assenze ad una difesa a quattro? Comprensibile l’esclusione di Vidal, non brillantissimo nelle ultime prestazioni e ieri sacrificabile in vista della sfida di Coppa Italia con il Milan, così come è risultato comprensibile l’innesto di Pogba che non ha però dato gli esiti sperati. A proposito di quest’ultimo, tutti conosciamo le sue grandi doti e probabilmente nel finale sarebbe stato meglio sostituire Marchisio, già non al massimo, piuttosto che lui, ma quando Alessio disse che spesso era troppo lezioso non aveva torto. Il ragazzo deve imparare ad essere più cattivo agonisticamente badando meno all’eleganza e più alla concretezza. Inoltre, non vorrei sembrare un po’esagerato, ma a me quella cresta bionda ricorda troppo Balotelli e la cosa non mi piace. 

Giovinco, dopo aver impressionato positivamente nelle ultime gare del 2012 ieri è sembrato tornare di nuovo ad essere l’incompiuto di inizio stagione. Sbaglia praticamente due rigori in movimento, uno nel primo e l’altro nel secondo tempo. Segna quello dal dischetto, ma rispetto alla quantità di errori commessi nell’arco dei novanta minuti questo può considerarsi un dettaglio, seppur non trascurabile vista la percentuale di errore dei bianconeri nei tiri dagli undici metri. Vucinic, acciaccato e messo dentro per disperazione, fallisce anch’egli due occasioni clamorose, entrambe da pochi passi, una sparando un bolide sulla traversa, quando sarebbe bastato un tocchetto per battere Romero, l’altra non arrivando, in scivolata, a deviare la palla in rete per una questione di centimetri Anche per Matri un passo indietro rispetto alla prestazione col Cagliari, ma chissà perché deve essere sempre lui, tra tutti gli attaccanti, ad uscire per primo.

Quagliarella ai più non è sembrato nemmeno essere sceso in campo. Non se ne ricorda un’iniziativa degna di nota. Una volta subito il pareggio, nato da un passaggio completamente sbagliato da Pirlo, ma fondamentalmente frutto di una vera e propria “papera” di Buffon, secondo me incerto anche sulla seconda rete blucerchiata, i ragazzi, invece di sfruttare al meglio i tanti minuti rimasti, si sono gettati in avanti a testa bassa senza la lucidità necessaria per vincere la gara ma esponendosi troppo alle ripartenze degli avversari. Da una di queste, come raccontato prima, è nato il raddoppio di Icardi. 

C’è da segnalare, inoltre, il fatto che nella seconda frazione di gioco la squadra di Conte è sembrata fisicamente pesante, quasi imballata. Ricordo che nemmeno l’anno scorso la ripresa del campionato dopo la sosta natalizia fu brillantissima, con 3 vittorie e 6 pareggi. Una delle partite vinte fu giocata a Lecce dove però la Juventus portò a casa i tre punti grazie alla rete di Matri giocando in maniera tutt’altro che convincente. Migliorò decisamente nella sfida del 21 gennaio a Bergamo contro l’Atalanta, che la vide laurearsi campione d’inverno, ma data anche la quantità di impegni ravvicinati, anche a causa dei recuperi per maltempo, tutto il mese di gennaio non fu proprio felice dal punto di vista del gioco espresso. Forse anche quest’anno durante la pausa la squadra ha svolto un intenso lavoro atletico che, momentaneamente la sta appannando, ma che, ci auguriamo, tra un po’ di tempo porterà i suoi frutti, regalandoci un finale di stagione pazzesco come quello passato. 

Vorrei ricordare, senza che ovviamente questo possa essere considerato lontanamente la causa della sconfitta, che oltre a quello assegnato a favore c’erano un altro paio di rigori per la Juventus, uno dei quali prevedeva anche l’espulsione di Palombo, reo di aver atterrato Matri solo davanti a Romero. Questo solo per far notare, come è parso evidente a chi ha seguito attentamente il match, quanto l’atteggiamento di Valeri, dopo il primo rigore e l’espulsione di Berardi sia cambiato totalmente, in modo repentino, come se quasi si sentisse in colpa per aver dato alla Juve solo ciò che le spettava. E’ fin troppo evidente che gli arbitri, se concedono qualcosa ai bianconeri, anche se questo qualcosa è sacrosanto, subito dopo temono di finire nell’occhio del ciclone delle polemiche e quindi cercano, dal loro punto di vista, di non esagerare, come se poi dare ciò che è semplicemente dovuto, fosse una colpa. Purtroppo è così e non c’è nulla da fare. 

Da più parti si è parlato di grandi meriti della Sampdoria e questo è sicuramente vero se si considera che gli uomini di Delio Rossi ci hanno sempre creduto e non hanno mai mollato, ma è altrettanto vero che la Juventus ha dato loro coraggio non chiudendo il match e che una partita contro questa Sampdoria, in vantaggio per uno a zero ed in superiorità numerica una squadra che ambisce a conquistare ancora il campionato la deve vincere, non ci sono altre possibilità. I tempi ed i modi di riprendere la marcia ci sono eccome ma, occorrerà il massimo apporto da parte di ognuno nel prossimo mese e mezzo, come sottolineato dallo stesso Conte, perché ci saranno molteplici e decisivi impegni, proprio nello stesso periodo in cui la Juventus sarà costretta, per motivi vari, a fare a meno di elementi fondamentali. Perciò bando alle chiacchiere ed alla superficialità e fuori gli attributi, che di sicuro, in questa squadra non mancano, e noi lo sappiamo bene!! Forza ragazzi!!!

domenica 6 gennaio 2013

Intervista a Roberto Beccantini


Roberto Beccantini, giornalista sportivo, ha risposto per «Pagina» ad alcune domande inerenti sia la Juventus sia il calcio in generale. 

Il tuo amore per la Juventus è legato alla passione per Omar Sivori, iniziata nel 1957 dopo un'amichevole precampionato disputata a Bologna, la tua città, tra rossoblù e bianconeri. La Vecchia Signora perse 6-1 ma tuo padre, che assistette alla partita, ti raccontò di essere rimasto favorevolmente colpito dal fuoriclasse argentino. Quali emozioni hai provato la prima volta che lo incontrasti dal vivo?
L'emozione di trovarmi di fronte a un genio, a un calciatore diverso, per il gioco e per il look: chioma selvaggia, calzettoni giù, quel sinistro affilato come un bisturi. Menato, menava: e spesso, per paura o per calcolo, cominciava lui. Un "granfigliodi", Omar. Allora, da ragazzo, non è che avessi molti termini di paragone. Negli anni Cinquanta la televisione italiana era appena nata, quindi dovevo navigare a vista: di più, "a carta" (di giornale). Quella che provai fu l'emozione di aver scoperto, in ambito sportivo e calcistico, un alieno di fronte al quale anche i tifosi delle altre squadre provavano un sentimento che andava oltre il rispetto e il dispetto. 

In quel momento avevi i calzini abbassati?
No, no, in quel momento no. Scherzo. Li abbassavo soltanto da ragazzino, sul campetto di San Cristoforo, la mia parrocchia, il mio oratorio. Giocavo in quella maniera per moda, per la proprietà transitiva del sivorismo, calzettoni alle caviglie e numero dieci stampato sulla schiena. E come Omar, naturalmente, mancino. 

Potendo scegliere tra le decine di Juventus che hai ammirato dal vivo, a quale formazione bianconera sei rimasto maggiormente affezionato?
Sono rimasto affezionato a tutte le grandi Juventus che ho conosciuto e frequentato. Nato il 20 dicembre 1950, tanto per cominciare, ho perso la grande Signora del quinquennio, Edoardo Agnelli presidente, Renato Cesarini, "Mumo" Orsi e via discorrendo. La prima che ricordo con affetto è quella del trio Boniperti, Charles, Sivori: ha accompagnato la rinascita dell'Italia. Stiamo parlando degli anni del "boom" economico, nei quali la Juventus vinse tre scudetti in quattro stagioni nel periodo compreso tra il 1957 ed il 1961. Era una squadra assolutamente e rigorosamente bianconera, per via della televisione che all'epoca faceva vedere ancora poco calcio. Pensa che poteva permettersi il lusso, senza essere investita di contumelie, di collegarsi con lo stadio "Santiago Bernabéu" soltanto per il secondo tempo di Real Madrid-Juventus, quarto di finale della Coppa dei Campioni 1961/62. La Juve aveva perso all'andata per 1-0 a causa di un gol realizzato da Di Stefano in un pomeriggio, e sottolineo pomeriggio, nel quale l'inviato di «France Football» aveva consegnato il Pallone d'Oro a Omar Sivori di fronte a un Umberto Agnelli in cappotto, infreddolito e sognante. Ecco, poteva permettersi un lusso per il quale oggi l'avremmo "massacrata". Collegandosi all'inizio della ripresa, ci perdemmo la diretta della rete dello stesso Sivori, che ci consentì di andare allo spareggio, poi perso, di Parigi. 

Quella, quindi, è stata la prima delle Juventus alle quali è legato un pezzo del tuo cuore. La seconda?

Direi la Juventus con la quale ho cominciato il mio lavoro a "Tuttosport". I primi anni nei quali arrivai a Torino li dedicai al basket, per passare successivamente al calcio. Quindi parlo delle formazioni di Parola prima e Trapattoni poi. Guidata dal Trap la Vecchia Signora prese parte al braccio di ferro entusiasmante con il Torino nel campionato dei record del 1976/77, in una gara ai punti vinta di misura dai bianconeri per 51 a 50. In quella stagione arrivò pure la vittoria in Coppa Uefa, unico trofeo internazionale alzato da una squadra italiana composta di soli italiani. Era una formazione senza regista, senza "un" Pirlo. Disponeva di un centrocampo che sembrava un muro, composto da Tardelli, Furino, Benetti con l'estro di Franco Causio parcheggiato in corsia, preferibilmente a destra. Senza dimenticare, poi, la classe chirurgica di Bettega, numero nove o numero dieci a seconda delle esigenze. Con meno fisico, un po' come l'Ibrahimovic di oggi. 

Ci sono altre Juventus, oltre a queste?
La Juventus di Platini, Boniek, Paolo Rossi e dei sei campioni del mondo in Spagna: se avesse vinto ad Atene, avrebbe allargato e allungato il ciclo internazionale. Se non la più forte, di sicuro la più bella. Dall’era Platini all’epoca di Marcello Lippi e della Triade. La Juventus di Zinedine Zidane e poi di Pavel Nedved, con Alessandro Del Piero filo d’Arianna. Poi, con l’asterisco dovuto a Calciopoli, la Juventus di Fabio Capello: non ricordo una coppia d’attacco meglio assortita del tandem Ibrahimovic-Trezeguet. Come riserva, avevano un "certo" Del Piero, fai un po’ tu... Spero di poter incollare all’album anche quella di Antonio Conte, protagonista del primo scudetto dopo Calciopoli. Tranne Buffon e Pirlo, non ha fuoriclasse in grado di competere con le rose precedenti, ma nonostante ciò è riuscito a darle un gioco di stampo europeo. Più orchestra che solisti. Giù il cappello. 

Sfogliando l'album dei ricordi c'è una partita giocata dalla Vecchia Signora che vorresti rivivere dal primo minuto per raccontarla nuovamente ai tuoi lettori?
Queste domande, solitamente, le definisco "pallottole a bruciapelo". Su due piedi è difficile rispondere in maniera esaustiva. Sfugge sempre qualcosa, sempre qualcuno. Fammi pensare... La partita che vorrei rigiocare per un motivo opposto, immagino, allo spirito della tua domanda, è la finale di Atene. Il 25 maggio cadrà il trentesimo anniversario: 1983-2013. La cito per lo sviluppo incredibile che ebbe: la Juventus più forte, la Juventus più bella, imbattuta in Coppa dei Campioni sino a quel momento, contro l’Amburgo che accettava il pronostico sfavorevole. Trap aveva fiutato il pericolo. Il popolo juventino si sentiva già campione. I tedeschi, viceversa, non muoiono mai. Lo ribadirono quella sera. Gran parte del merito lo attribuisco ad Ernst Happel, che incartò tatticamente Trapattoni. Ad Atene, i panzer amburghesi furono gli indiani, i Sioux; la Juventus, viceversa, i soldati del generale Custer che, invece di stanarli, si fecero circondare e caddero in trappola. Mi sorprese la consecutio degli eventi: colpo di testa di Bettega dopo sette minuti, grande parata di Stein e poi il buio. Il buio totale. Solo Magath. Solo Amburgo. 

Te ne viene in mente qualcun'altra?
Mi viene in mente la vittoria di San Siro contro il Milan del Sacchi-bis, 6-1 nel 1997, partita durante la quale Franco Baresi capì che sarebbe stato meglio, probabilmente, farla finita; e difatti, a fine stagione, si ritirò. Ricordo con piacere anche il successo per 3-2 contro la Fiorentina, in rimonta da 0-2, con il gol più straordinario di tutta la collezione Del Piero. Poi, l’impresa di Birmingham, nel 1983, contro i campioni in carica dell'Aston Villa. E poi le due finali intercontinentali, quella decisa da Platini ai rigori, contro l’Argentinos Juniors, e l’altra risolta da Del Piero contro il River Plate. Chiudo, per ora, con il 3-0 al Chelsea. 

Che idea ti sei fatto di Andrea Agnelli? Nel suo modo di gestire la società bianconera noti qualche analogia col padre Umberto?
Guarda, dal mio punto di vista più che con il padre vedo molte analogie con colui che il padre impose: Antonio Giraudo. Se posso fare un altro esempio allora cito Giampiero Boniperti, pure lui presidente operativo. Non siamo di fronte a un dirigente "messo lì" per ricoprire una carica formale, ancorché suggestiva, come in epoche diverse toccò all'avvocato Vittorio Chiusano, a Franzo Grande Stevens e Giovanni Cobolli Gigli. Siamo di fronte a un ruolo esecutivo, non esecutore. La gestione del caso Del Piero, in questo senso, è stata illuminante: polso fermo, taglio netto. E rimorsi, zero. A essere sinceri, di Andrea mi stupì il silenzio nel 2006, all’alba di Calciopoli, quando si limitò a un giro di campo con la Triade nel pomeriggio di Juventus-Palermo. Improvvisamente, dopo tutto quello che si era scritto sulle faide familiari degli Agnelli, me lo ritrovo presidente "sotto" John Elkann. Andrea è un giraudiano che parla alla pancia dei tifosi e di Abete. Deve gestire le scorie velenose e sommarie delle sentenze di Calciopoli, ha ricostruito la Juventus, ha sacrificato le due stelle paterne ai trenta (scudetti) sul campo (sbagliando, secondo me), ha fatto causa alla Figc: non è antipatico per caso, è antipatico per scelta. Ha 37 anni, uno in meno di Del Piero: mi piacerebbe che, in futuro, si parlasse di lui come di un dirigente capace di governare la "res publica" e non solo la "res privata". In attesa di limare i difetti, ha un vantaggio: la mediocrità della concorrenza. 

Nel tuo libro "Juve ti amo lo stesso" hai scritto che la "Juventus non mi ha cambiato la vita. Me l'ha riempita". Quanto è difficile essere obiettivi nel tuo mestiere di giornalista quando il cuore ti spinge nella direzione contraria?
E' difficile, molto difficile. Innanzitutto va detto che la realtà giornalistica è stata profondamente modificata dalla rivoluzione tecnologica: prima le televisioni, poi internet, quindi i telefonini e chissà cosa ci serba quel diavolo di futuro. Prima di questo scenario il garante del lettore era l'inviato, una sorta di "polpastrello della realtà". Adesso invece bisogna far fronte alle migliaia di inviati, con e senza virgolette, che seduti davanti a uno schermo o a un pc o a un tablet possono vedere la partita. Tornando alla tua domanda, essere obiettivi è molto difficile. Nel mio piccolo ho cercato di essere sincero così come ha insegnato Alberto Cavallari nella sua opera "La fabbrica del presente". La consiglio ai giovani che sognano di diventare giornalisti. L'importante è essere credibili attraverso la sincerità e la competenza. Senza dimenticare che l’ultima e decisiva parola tocca al lettore. 

Nell'opera appena citata hai scritto: "Il calcio che lascio alle nuove generazioni è conciato peggio, molto peggio di quello che ho ereditato dalla vecchia". C'è un paese straniero da prendere come esempio nel tentativo di migliorare la nostra cultura sportiva?
Il paese al quale mi rifaccio sempre non è abitato da eroi o santi, ma è quello che ha inventato il calcio, vale a dire la Gran Bretagna. Tanto per riassumere: in Italia l'arbitro fa parte dei giochi, in Inghilterra fa parte del gioco. Prendendo spunto dalle due grandi tragedie nelle quali furono protagonisti, all’Heysel nel 1985 e a Hillsborough, Sheffield, nel 1989 (incluse le novità emerse negli ultimi tempi), hanno ripulito gli stadi e creato un nuovo modo di vivere il calcio. Penso al comportamento del Liverpool nel caso di Luis Suarez, reo di aver rivolto insulti razzisti a Patrice Evra del Manchester United e, per questo, squalificato per otto turni: bene, il club di Anfield rinunziò all’appello. In Italia sarebbe successo il finimondo. Citando un esempio di strettissima attualità, la partita sospesa tra Pro Patria e Milan offre un segnale forte. Speriamo sia forte davvero: in un Paese normale, se ti ritiri in un'amichevole dovresti poi ritirarti, a maggior ragione, anche a livello ufficiale. Ecco perché nutro molti dubbi. 

Qualche mese fa il "Guerin Sportivo" ha pubblicato un tuo editoriale in cui hai affrontato l'argomento della squadra più forte della storia. Citando l'esempio dell'attuale Barcellona hai affermato come per valutare nel complesso la grandezza di una formazione bisogna aspettare che esca dalla cronaca per entrare nella storia. Esclusi i catalani, a tuo modo di vedere qual è stato l'undici più forte di tutti i tempi?
In attesa di poter fissare il Barcellona nella scala gerarchica assoluta, l'undici più forte è stato il Real Madrid. E' vero che si trattava di un altro calcio e che per arrivare in finale bastavano pochissime partite, a differenza di quanto capitò - ad esempio - al Milan nel 2003, quando in totale ne giocò la bellezza di diciannove (in pratica un girone di andata di un campionato a venti squadre). Però... su Alfredo Di Stefano posso solo ricordare che, a distanza di un secolo, si parla ancora di "giocare alla Di Stefano"; Francisco Gento, ala sinistra, è stato il "nonno" di Cristiano Ronaldo; Ferenc Puskás ha preparato la pappa a tutti i Maradona e i Messi del pianeta. Quella macchina era talmente forte da oscurare il nome dell'allenatore. Oltretutto in cinque anni ne ha avuti ben tre: José Villalonga, Luis Carniglia e Miguel Muñoz. Nella memoria ho ancora impressa la vittoria di Glasgow contro l'Eintracht Francoforte del 1960: 7-3, con quaterna dell'ungherese Puskás e tripletta di Di Stefano. Il Real come giocatori. Come gioco, viceversa, l'Ajax del calcio totale. Anni Settanta. L’Ajax e l’Olanda di Rinus Michels e Johan Cruijff. 

In diverse occasioni hai avuto modo di affrontare il tema della regola del fuorigioco e delle continue modifiche alle quali è stata sottoposta nel corso del tempo. Enzo Bearzot, che avrebbe voluto eliminarla, era dell'idea di limitarla alle sole aree di rigore. Sei d'accordo con lui?
Il fuorigioco è stato modificato troppe volte nel corso del tempo, a partire soprattutto dagli anni Trenta. Affrontando questo argomento mi è capitato di usare persino il termine "stuprato", volutamente forte, per mettere in evidenza - e alla berlina - le deroghe, le eccezioni, le picconate allo spirito della regola. Per Joseph Blatter, presidente della Fifa, più gol ci sono più ci sarà spettacolo. Di qui, la deriva liberista e liberticida, off-side compreso. Ovviamente, come avrai capito, non sono d’accordo. Nello stesso tempo, credo che il calcio senza fuorigioco sarebbe un altro sport. Di limitarlo nelle sole aree di rigore se n'è parlato spesso, non fu soltanto Enzo Bearzot a gettare il sasso. Perché no, visto che si è provato di tutto: proviamo pure quello. La strada da percorrere, però, penso che sia quella di tornare allo spirito del fuorigioco senza cavalcarne gli eccessi contrari: o troppo repressivi, come in passato, o troppo permissivi, come nel terzo millennio. 

All'epoca in cui eri giurato del Pallone d’oro di «France Football» ti è mai capitato di assistere alla conquista di quel trofeo da parte di un giocatore che non avresti mai votato, oppure che non avresti mai immaginato come vincitore?
Il problema principale del Pallone d'Oro è sempre stato l'escluso, mai l'intruso. Sino al 1995 non si potevano votare i giocatori extra-europei: nel 1986, tanto per fare un esempio, avrebbe stravinto Diego Armando Maradona. Non nascondo che il successo di Matthias Sammer nel 1996 abbia fatto discutere, così come è dura accettare che campioni del calibro di Paolo Maldini, Franco Baresi, Gaetano Scirea o Marco Tardelli non l'abbiano mai vinto. E’ il sale di tutti i premi. 

C'è un collega in particolare, da scegliere anche tra quelli che oggi non sono più tra di noi, con il quale avresti piacere di conversare liberamente di calcio per più di novanta minuti?
Citavo prima il trentennale della finale di Atene: il 2013 sarà anche il ventennale della scomparsa di Vladimiro Caminiti. Ecco, mi piacerebbe conversare con Vladimiro. Un giornalista che secondo me ha avuto meno di quanto meritasse. Nella scia di Gianni Brera, è stato uno dei pochi capaci di "fondare" un linguaggio. Ci lasciò il 5 settembre 1993. Siculo fino al midollo. Grande, indimenticabile Camin.


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