Nereo Rocco, l’indimenticato Paròn, al temerario che provava ad avvicinarsi a lui chiamandolo “mister” riservava sempre la stessa risposta: “Mister a chi, muso de mona? Mi son il signor Rocco”.
La parola “mister” è sbarcata nel nostro paese nell’estate del 1912, allorquando l’inglese William Garbutt – dopo aver sposato Anna Marie Stewart (29 novembre 1911) ed essere diventato padre del piccolo Stuart (15 aprile 1912) – raggiunse il porto di Genova. Si era trasferito sotto la Lanterna per guidare il Genoa Cricket and Athletic Club. La società ligure lo aveva ingaggiato quando ancora non esisteva il professionismo grazie ai sotterfugi messi in atto da George Davidson, un suo dirigente, per eludere le regole della federazione.
Nato il 9 gennaio 1883, Garbutt era stato costretto ad abbandonare l’attività agonistica a soli 29 anni a causa di un infortunio patito in una gara disputata dal suo Blackburn contro il Notts County. Nato in una famiglia numerosa aveva imparato a lottare da subito contro le avversità della vita: perse il padre e, poco dopo essersi arruolato nella Royal Artillery, anche la madre. Il successo nel calcio che conta sarebbe arrivato in un secondo momento.
Le squadre nelle quali aveva militato furono il Reading, l’Arsenal e, come detto, il Blackburn. Giocava come ala destra, vicino a quelle panchine sulle quali avrebbe costruito il proprio mito. Senza poter più contare sugli emolumenti che riceveva come calciatore aveva deciso di intraprendere la nuova carriera di tecnico all’estero, conscio della fatto che nel suo paese – in quel ruolo – non avrebbe potuto costruirsi un futuro.
A Genova aveva immediatamente gettato le basi di una squadra che avrebbe poi vinto tre scudetti, ma soprattutto era riuscito a trapiantare i semi della futura figura dell’allenatore. Contrariamente alle abitudini del tempo aveva infatti accentrato le scelte più varie sotto la propria responsabilità: dalla formazione da schierare sul campo ai suggerimenti al club per i nuovi acquisti, dalla cura della preparazione atletica e tattica all’introduzione di un dialogo continuo con i singoli atleti per curarne l’aspetto psicologico. Riusciva ad ottenere stima e affetto dai suoi calciatori senza avvertire la necessità di alzare la voce.
La parola “mister” è sbarcata nel nostro paese nell’estate del 1912, allorquando l’inglese William Garbutt – dopo aver sposato Anna Marie Stewart (29 novembre 1911) ed essere diventato padre del piccolo Stuart (15 aprile 1912) – raggiunse il porto di Genova. Si era trasferito sotto la Lanterna per guidare il Genoa Cricket and Athletic Club. La società ligure lo aveva ingaggiato quando ancora non esisteva il professionismo grazie ai sotterfugi messi in atto da George Davidson, un suo dirigente, per eludere le regole della federazione.
Nato il 9 gennaio 1883, Garbutt era stato costretto ad abbandonare l’attività agonistica a soli 29 anni a causa di un infortunio patito in una gara disputata dal suo Blackburn contro il Notts County. Nato in una famiglia numerosa aveva imparato a lottare da subito contro le avversità della vita: perse il padre e, poco dopo essersi arruolato nella Royal Artillery, anche la madre. Il successo nel calcio che conta sarebbe arrivato in un secondo momento.
Le squadre nelle quali aveva militato furono il Reading, l’Arsenal e, come detto, il Blackburn. Giocava come ala destra, vicino a quelle panchine sulle quali avrebbe costruito il proprio mito. Senza poter più contare sugli emolumenti che riceveva come calciatore aveva deciso di intraprendere la nuova carriera di tecnico all’estero, conscio della fatto che nel suo paese – in quel ruolo – non avrebbe potuto costruirsi un futuro.
A Genova aveva immediatamente gettato le basi di una squadra che avrebbe poi vinto tre scudetti, ma soprattutto era riuscito a trapiantare i semi della futura figura dell’allenatore. Contrariamente alle abitudini del tempo aveva infatti accentrato le scelte più varie sotto la propria responsabilità: dalla formazione da schierare sul campo ai suggerimenti al club per i nuovi acquisti, dalla cura della preparazione atletica e tattica all’introduzione di un dialogo continuo con i singoli atleti per curarne l’aspetto psicologico. Riusciva ad ottenere stima e affetto dai suoi calciatori senza avvertire la necessità di alzare la voce.
Lo scoppio del primo conflitto mondiale interruppe brutalmente l’avventura genovese. Prese la decisione di arruolarsi e combattere per il suo paese, tornando in Liguria al termine di quella drammatica esperienza. La sua fama di allenatore, intanto, continuava ad accrescere col trascorrere del tempo. La tappa successiva era stata Roma, dove aveva guidato la neonata società giallorossa alla vittoria della coppa CONI. Poi fu la volta del Napoli, dopodiché provò a misurarsi col campionato spagnolo, portando l’Athletic Bilbao a laurearsi campione al primo tentativo. La nostalgia dell’Italia lo aveva spinto a tentare nella stagione successiva l’avventura con il Milan. Seguendo le ragioni del cuore, infine, era rientrato al Genoa. In Inghilterra, intanto, i maestri del football continuavano ad ignorare quel figlio della loro terra che si stava comportando così bene all’estero.
Durante la seconda Guerra Mondiale aveva deciso di consegnarsi alle autorità fasciste. Era accaduto dopo che il Primo Ministro inglese Winston Churchill aveva ordinato che tutti gli italiani residenti in Gran Bretagna venissero arrestati e imprigionati con un “collare”. Il detenuto Garbutt si era così trovato rinchiuso nelle temute carceri di Marassi, a pochi metri da quello stadio che ne aveva consacrato la leggenda.
Gli sforzi diplomatici profusi dalla moglie Anna ed il timore dei dittatori di dover giustificare la morte di un prigioniero famoso permisero la sua liberazione. Le successive tappe del peregrinare dei due coniugi furono Acerno (in provincia di Salerno), Orsogna (Chieti) e Imola (Bologna), laddove Anna rimase vittima dei bombardamenti degli Alleati. William ricevette la notizia da Maria, una giovane adottata dalla coppia durante la loro permanenza a Napoli.
Durante la seconda Guerra Mondiale aveva deciso di consegnarsi alle autorità fasciste. Era accaduto dopo che il Primo Ministro inglese Winston Churchill aveva ordinato che tutti gli italiani residenti in Gran Bretagna venissero arrestati e imprigionati con un “collare”. Il detenuto Garbutt si era così trovato rinchiuso nelle temute carceri di Marassi, a pochi metri da quello stadio che ne aveva consacrato la leggenda.
Gli sforzi diplomatici profusi dalla moglie Anna ed il timore dei dittatori di dover giustificare la morte di un prigioniero famoso permisero la sua liberazione. Le successive tappe del peregrinare dei due coniugi furono Acerno (in provincia di Salerno), Orsogna (Chieti) e Imola (Bologna), laddove Anna rimase vittima dei bombardamenti degli Alleati. William ricevette la notizia da Maria, una giovane adottata dalla coppia durante la loro permanenza a Napoli.
Tra coloro che liberarono l’Italia dall’occupazione nemica c’era anche il figlio Stuart, arruolato nell’Ottava Armata britannica. Garbutt fece poi ritorno in Inghilterra ma il Genoa, l’amore sportivo della sua vita, lo richiamò un’altra volta ancora. In quel momento il tecnico aveva sessantatré anni. Si trattò senza ombra di dubbio di un amore ricambiato, tanto è vero che il 24 giugno 1951, a pochi giorni dalla fine del campionato 1950-51, tre dirigenti del club rossoblù organizzarono un’amichevole di lusso tra alcuni ex-giocatori dei Grifoni e una selezione di stelle. Giocarono gratuitamente per lui, mentre si decise che l’incasso fosse devoluto a “mister Pipetta”.
Tutto quanto raccontato, e molto altro ancora, è stato descritto con minuzia di particolari da Paul Edgerton nella biografia “William Garbutt, Il padre del calcio italiano”. Vi si parla anche dello storico scudetto perso contro il Bologna nel 1925 e della collaborazione tecnica con Vittorio Pozzo.
Il quale, a sorpresa, gli aveva fatto pervenire una lettera di referenze nel momento in cui Garbutt stava per cominciare la propria avventura spagnola.
Si trattava dell’ennesimo gesto che confermava la stima reciproca tra due grandissimi allenatori.
Tutto quanto raccontato, e molto altro ancora, è stato descritto con minuzia di particolari da Paul Edgerton nella biografia “William Garbutt, Il padre del calcio italiano”. Vi si parla anche dello storico scudetto perso contro il Bologna nel 1925 e della collaborazione tecnica con Vittorio Pozzo.
Il quale, a sorpresa, gli aveva fatto pervenire una lettera di referenze nel momento in cui Garbutt stava per cominciare la propria avventura spagnola.
Si trattava dell’ennesimo gesto che confermava la stima reciproca tra due grandissimi allenatori.
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2 commenti:
di Garbutt so pochissimo...
:-)
ben vengano i post come questi
Grazie mille, Giuliano!
Poco alla volta arriveranno...
La prossima volta dovrei "pescare" di nuovo in Inghilterra.
Un abbraccio ;-)
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