venerdì 29 aprile 2011

La doppietta di Del Piero nella quaterna rifilata a Zeman


"Ci ho provato, per certi goal occorre anche fortuna". Sarà stato merito anche della dea bendata, ma ormai era già apparso chiaro a tutti come Alessandro Del Piero fosse qualcosa di più di una semplice promessa. Vent'anni compiuti da poco, la classe cristallina e la sua capacità di imprimere il proprio marchio sulle partite erano quelle tipiche dei campioni di razza.
Capitò di averne una riprova anche a Roma, allo stadio "Olimpico", l’11 dicembre 1994: nel posticipo serale della tredicesima giornata del campionato di serie A la Vecchia Signora fece visita alla Lazio guidata da Zdenek Zeman.
La squadra allenata da Marcello Lippi era reduce dalla trionfale rimonta operata sulla Fiorentina nel precedente incontro casalingo al "Delle Alpi": sotto di due reti era stata in grado di ribaltare il risultato ed ottenere la vittoria grazie alla doppietta realizzata da Gianluca Vialli ed alla gemma finale - manco a dirlo - di Del Piero. Piena d'entusiasmo, arrivò però nella capitale priva di diversi titolari, tra i quali lo stesso numero nove bianconero e Di Livio. Se già in passato aveva dimostrato di poter reggere il peso dell'assenza di Roberto Baggio sorretta dalle prodezze della sua nuova stella, la forzata rinuncia a Vialli (squalificato) veniva ritenuta particolarmente delicata per lo straordinario apporto di grinta che il centravanti era stato in grado di fornire sino a quel momento.

Lippi decise comunque di non rinunciare in partenza all'idea del tridente offensivo, creandone per l'occasione uno atipico: al talento di Conegliano e a Ravanelli venne infatti affiancato Marocchi, centrocampista di copertura più che d'attacco. In realtà il tecnico di Viareggio con questa decisione volle lanciare un messaggio ai propri uomini e agli avversari: a Roma la Juventus andava per vincere. Fedele al 4-3-3, Zeman preparò la sua Lazio per un gara d'assalto, quella che - in effetti - si concretizzò nei primi minuti dell'incontro. Favalli, Winter e Signori trovarono lungo la corsia sinistra gli spazi necessari per scardinare la difesa bianconera, anche perché Tacchinardi, nell’insolita veste di esterno destro di una linea mediana completata da Paulo Sousa e Conte, soffriva non poco la pressione dei padroni di casa nella zona di sua competenza.

Casiraghi impegnò severamente Peruzzi di testa su un traversone di Fuser, poi – proprio dal lato mancino – al 20’ arrivò la rete del vantaggio laziale: Signori riuscì a liberarsi dalla guardia di Kohler e mise rasoterra a centro area un pallone deviato dal numero uno bianconero verso l’accorrente Rambaudi, che siglò con un piatto destro l’1-0. Quattro minuti dopo Del Piero non riuscì a pareggiare, pur essendosi venuto a trovare solo davanti a Marchegiani grazie ad un ottimo assist di Ravanelli: un attimo di esitazione gli fu fatale, consentendo a Negro un recupero decisivo che impedì al giovane attaccante di piazzare la stoccata vincente.

Ancora Casiraghi, ben servito da Favalli, fallì il raddoppio, prima che Cravero compisse un gesto tanto plateale quanto inutile e ingenuo: già ammonito fermò con la mano sinistra il pallone a centrocampo, meritandosi una sacrosanta espulsione. Zeman dovette correre ai ripari, sacrificando Signori per coprire con l’inserimento di Bergodi il buco venutosi a creare in difesa. Nel momento in cui apprese di dover abbandonare il campo la punta mandò a quel paese il boemo in mondovisione, mentre Lippi attese qualche minuto per effettuare la contromossa: fuori Carrera, un difensore, dentro un attaccante, il giovanissimo Corrado Grabbi, nipote di Giuseppe, centrocampista della Juventus negli anni venti, con Marocchi riportato nella sua naturale posizione e Tacchinardi arretrato davanti a Peruzzi.
Ricostruito un tridente offensivo di nome e di fatto, Madama trovò il goal del pareggio al 37’: Del Piero anticipò Winter nel raccogliere un pallone lanciato da Orlando nell’area di rigore laziale e, dopo un corpo a corpo con l’olandese, riuscì a toccare la sfera con la punta del piede in scivolata davanti a Marchegiani, quando ormai sembrava averla persa.
Nella ripresa, dopo solo 8’, la Vecchia Signora si portò in vantaggio: ancora in scivolata, Marocchi, ricevuto un assist d’oro di Conte dalla fascia destra, beffò la retroguardia laziale infilando il pallone sotto la traversa.

Lippi a questo punto mescolò nuovamente le carte, togliendo lo stesso Conte per irrobustire la difesa con l’innesto di Porrini, prima che Del Piero, sempre lui, illuminasse lo stadio “Olimpico” con una perla di rara bellezza: giunto al limite dell’area di rigore biancoceleste, vicino al punto in cui Signori in precedenza aveva confezionato l’assist per la rete di Rambaudi, si bevve in un colpo solo Negro e Venturin, per poi battere Marchegiani colpendo la sfera con l’interno destro e piazzandola laddove il numero uno biancoceleste non poté intervenire.
Non contento pochi minuti dopo lanciò Grabbi in contropiede, consentendogli di percorrere una quarantina di metri in perfetta solitudine e di trafiggere l’estremo difensore della Lazio per la quarta volta.
Un calo di concentrazione dei bianconeri permise ai padroni di casa di segnare – con Casiraghi e Fuser - due reti quando ormai l’incontro non aveva più nulla da dire.

A fine stagione la Vecchia Signora riuscì, dopo otto lunghi anni di attesa, a vincere il ventitreesimo scudetto della sua storia. Ventitré, come il numero degli anni di Andrea Fortunato, il terzino sinistro bianconero che in quei giorni lottava contro la leucemia. Roberto Bettega andò a fargli visita al Policlinico di Perugia, per festeggiare insieme a lui il successo bianconero ottenuto a Roma: “L’ho rivisto dopo alcuni mesi, durante i quali ci siamo sentiti spesso, e adesso l’ho trovato bene. Mi sono complimentato con il padre, hanno dato ad Andrea un’educazione che lo ha aiutato in questa battaglia, insieme con la sua innata tenacia”.
Fortunato avrebbe smesso di lottare qualche mese dopo, il 25 aprile. A lui la Juventus dedicò il tricolore.
Durante quella visita i due discussero anche delle prodezze del ragazzino ventenne con la maglia numero dieci sulle spalle.
Che, intervistato al termine della gara allo stadio "Olimpico", dichiarò: “Goal alla Baggio? Lui rimane il più grande, ma questo è un gol alla Del Piero”.
Senza saperlo era riuscito a prevedere un pezzo del suo futuro.

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mercoledì 27 aprile 2011

E così la Juve è tornata a punto di partenza...



Lo scorso campionato era capitato in prossimità di Natale, in questo alla vigilia di Pasqua: per due volte, a distanza di poco tempo, il Catania si è presentato allo stadio "Olimpico" di Torino per incontrare la Juventus nelle immediate vicinanze di una delle festività proprie della religione cristiana, ed in entrambe le occasioni non è accaduto che tornasse in Sicilia a mani vuote.

Domenica 20 dicembre 2009 vinse con il risultato di 2-1, proprio come nel film "Al bar dello sport", girato nel 1983 con Lino Banfi nelle vesti di protagonista principale. Nella finzione cinematografica il goal decisivo di Aldo Cantarutti regalò un inaspettato tredici miliardario (c’erano ancora le vecchie lire) all’attore di origine pugliese, che non credeva ad una possibile vittoria esterna del Catania contro la Vecchia Signora dato che mise "2" in schedina su quella partita soltanto per aver seguito l’imbeccata di un altro giocatore incallito, interpretato da Jerry Calà. Nella realtà dei fatti, invece, fu l’argentino Izco a consentire ai siciliani di ottenere un successo che sotto la Mole mancava dal lontano 1963. Uno dei tanti tabù sfatati dalla Juventus nel corso degli ultimi cinque anni.

Martinez, quando ancora non vestiva la maglia bianconera, portò in vantaggio gli ospiti su calcio di rigore, Salihamidzic siglò il momentaneo pareggio nella ripresa e Izco - come detto - chiuse il conto a tre minuti dalla fine dell’incontro. Il Catania si presentò a Torino da ultimo in classifica, avendo totalizzato la miseria di nove punti in sedici giornate di campionato. Arrivava, oltretutto, da tre sconfitte consecutive.
Quella gara certificò il fallimento di un’intera stagione quando ancora mancavano cinque mesi alla sua conclusione. La Juventus aveva dato il meglio di sé nel recente incontro casalingo contro l’Inter (2-1, del 5 dicembre), in compenso aveva perso le altre cinque partite disputate in quel periodo: Bordeaux e Bayern Monaco in Champions League (con la conseguente eliminazione dal torneo), Cagliari, Bari e - appunto - Catania in serie A. Come obiettivi le restavano ancora la coppa Italia e l’Europa League, ma ciò non bastò per placare l’ira di buona parte del pubblico bianconero presente allo stadio "Olimpico".

Fuori dall’impianto torinese il pullman della squadra venne accolto con un fitto lancio di palle di neve e uova; al suo interno i sostenitori intonarono cori in favore dell’arrivo di Andrea Agnelli, schierandosi apertamente contro la dirigenza ed alcuni giocatori.
Il giorno che precedette la gara Ciro Ferrara, al momento ancora allenatore della Juventus, dichiarò: "Non è una conferenza stampa d’addio, anche perché, se in campionato abbiamo fatto degli errori, non siamo stati gli unici e siamo ancora in gioco. Ma dobbiamo sbagliare meno, in generale e soprattutto rispetto a chi ci precede".

Trascorso poco più di un anno, due allenatori e dopo molte altre sconfitte, la musica non è cambiata. Il pareggio ottenuto domenica scorsa ha tolto a Madama le residue speranze di raggiungere un quarto posto in classifica che - visto l’andamento della stagione - avrebbe avuto il sapore di un’impresa. Il campionato ha emesso il primo verdetto definitivo: la retrocessione del Bari, ultimo con sole quattro vittorie racimolate in otto mesi. Una di queste, ovviamente, con la Vecchia Signora, abile a rendere felici, prima o poi, tutti quelli che hanno la fortuna di incontrarla sulla propria strada.
Tutti, tranne i suoi sostenitori.

La nuova Juventus ha aperto il suo cantiere in estate con l’obbligo morale di lasciarsi alle spalle i ventisette punti di distacco accumulati al termine della scorsa stagione dall’Inter vincitrice del tricolore; attualmente sono ventuno quelli che la separano dal Milan prossimo alla conquista dello scudetto. Mancano ancora quattro giornate al termine della manifestazione, e se i rossoneri non dovessero rallentare il loro ritmo sino all’ultima partita non è da escludere che la classifica finale possa diventare per i bianconeri una copia esatta di quella precedente.

Nella sostanza dei fatti cambierebbe poco o nulla, così come si rasenterebbe il ridicolo se l’eventuale raggiungimento di una sesta (o di una quinta) posizione venisse spacciato come un piccolo passo in avanti rispetto al recente passato.

Nelle considerazioni estive della nuova dirigenza quello che sta per avviarsi alla sua conclusione doveva essere un anno di transizione, i tifosi avrebbero dovuto capirlo e portare pazienza dato che il raggiungimento di traguardi importanti sarebbe potuto avvenire solamente per gradi, considerando le difficoltà nell’operare sulle macerie rimaste dopo quattro anni di gestione della società ad opera di Jean Claude Blanc.
Senza dimenticare i reali valori espressi sul campo, era quindi difficile ipotizzare un balzo dal settimo posto al primo, motivo per il quale - a malincuore - il raggiungimento di un piazzamento che consentisse alla Juventus la possibilità di partecipare alla prossima edizione della Champions League poteva considerarsi l’obiettivo maggiormente alla portata del club.

Ricacciata da dove era partita, Madama potrà ricominciare la prossima stagione senza l’assillo di dover promettere qualcosa a qualcuno: alle sue parole, ormai, non crede più nessuno.
Cerchi anzitutto di arrivare al giro di boa del campionato senza aver mollato le redini: rispetto agli ultimi anni sarebbe già un risultato importante.
E si tenga stretto Del Piero: a quanto pare non dovrà continuare a spiegare soltanto ai suoi compagni di squadra cos’è la Juventus…

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venerdì 22 aprile 2011

La prima tripletta di Bettega nella cinquina inflitta al Catania



L'obiettivo che Boniperti si prefiggeva per la stagione 1970-71 era quello di gettare le basi per la nascita di una Juventus vincente dopo le delusioni dell’ultimo decennio (in cui aveva racimolato due soli tricolori), conscio del fatto che per raccogliere i frutti del suo operato avrebbe dovuto necessariamente attendere diverso tempo. Dopo aver abbassato l'età media della rosa bianconera grazie all'innesto di ragazzi di sicuro valore, il dirigente juventino decise di affidarla ad Armando Picchi, trentacinquenne allenatore ed ex calciatore dell'Inter di Helenio Herrera degli anni sessanta, il più giovane tra i tecnici allora presenti in serie A.

Al giro di boa del campionato Madama ospitò il Catania allo stadio "Comunale" domenica 31 gennaio 1971: fuori dal giro scudetto, la Vecchia Signora ne approfittò per provare nuove soluzioni nel solco tracciato dalla programmazione del proprio futuro pianificata in estate. Avrebbe ammesso lo stesso Picchi, a fine gara: "Gli esperimenti non indeboliscono la formazione. Con il Catania se n'è fatto uno solo, quello di Savoldi. Bettega ha giocato come nelle ultime gare. Novellini, smanioso di ben figurare, ha lasciato spesso la zona con un gioco di movimento".

Quest'ultimo sostituiva per l'occasione Pietro Anastasi, l'attaccante titolare che seguì dalla tribuna l'incontro in seguito alla decisione della società di farlo riposare per un breve periodo di tempo, utile a consentirgli la ripresa di una buona condizione fisica dopo gli impegni dei mesi precedenti. Accanto a lui nel reparto offensivo di Madama venne confermato Roberto Bettega, giovane punta rientrata alla base dopo la breve esperienza nella serie cadetta a Varese sotto la guida di Nils Liedholm. Cresciuto a pane e Juventus, aveva messo a frutto il periodo di lontananza da Torino contribuendo alla promozione della società lombarda nella massima divisione con i suoi 13 goals, grazie ai quali - oltretutto - si era laureato capocannoniere.

In una domenica caratterizzata dal maltempo il "Comunale" presentava molti spazi vuoti sugli spalti, riempiti soltanto da dodicimila spettatori paganti. Il campo era ridotto ad una vera e propria palude, ed i giocatori si resero conto ben presto che disputare una normale partita di calcio in condizioni simili sarebbe stato impossibile. L’unica soluzione plausibile per provare a governare la sfera era quella di spostarsi nella direzione delle bandierine del calcio d'angolo, intorno alle quali si poteva provare ad effettuare qualche cross per consentire agli attaccanti di disporre di palloni giocabili all'interno delle aree di rigore avversarie.

Sotto un nubifragio che durò per tutti i novanta minuti dell’incontro la Juventus passò subito in vantaggio: Helmut Haller corresse in rete un traversone proveniente - guarda caso - da fondo campo ad opera di Novellini, abile a liberarsi, in un fazzoletto di terreno, del suo marcatore diretto per confezionare l’assist al centrocampista tedesco. Erano trascorsi soltanto cinquanta secondi dal fischio d'inizio del signor Michelotti, l’arbitro della partita. Haller, che faceva parte dell'undici titolare nonostante una caviglia dolorante a causa di un contrasto di gioco subito nella precedente gara infrasettimanale di Coppa delle Fiere contro il Twente, impresse subito il proprio marchio di fabbrica sull’incontro, trascinando i compagni più giovani verso una facile vittoria casalinga. La sua presenza era rimasta in dubbio sino all’ultimo momento: “Abbiamo deciso soltanto poche ore prima della partita. Eravamo intesi per un tempo, ma nell'intervallo ho chiesto di giocare anche qualche minuto della ripresa. Su questi terreni io mi trovo bene, come Corso. La tecnica ha la sua importanza”.

In effetti nel fango del “Comunale” il tedesco dimostrò di trovarsi a proprio agio, risultando spesso imprendibile per i giocatori ospiti. Sfruttando il moto perpetuo di Novellini e la saggezza tattica di Fabio Capello sulla linea mediana, la Vecchia Signora si impadronì del centrocampo, mettendo in soggezione il Catania e colpendolo ripetutamente grazie alla splendida giornata vissuta da Bettega. Furono opera sua le due successive marcature avvenute nel corso dell’ultimo minuto della prima frazione di gioco e nel primo della seconda. Da un veloce scambio tra Haller, Novellini e la punta bianconera nacque il due a zero; la terza rete arrivò da uno spiovente calciato da Capello, sul quale Bobby-gol si avventò con un colpo di testa vincente simile a molti di quelli che avrebbero caratterizzato in futuro la sua carriera.

Uno strano rimpallo del pallone in un campo ormai ridotto ai limiti dell’agibilità consentì a Causio, subentrato ad Haller, di portare a quattro le marcature per Madama. Ancora Bettega, al 90’, chiuse la partita sul risultato di cinque a zero. Si trattò della sua prima tripletta in serie A, che capitò – curiosamente – nella gara contro la squadra alla quale aveva segnato, nel giorno del debutto nel campionato (27 settembre 1970), il goal decisivo per la vittoria della Vecchia Signora. A fine incontro espresse così tutta la sua gioia: “Tre gol in una sola partita equivalgono ad un sogno. Debbo ringraziare i miei compagni che mi hanno messo in condizione di realizzarli. Per me il più bello è stato quello di testa, il 3-0, all'inizio della ripresa. Sono i gol che piacciono a me. Questa era la partita che avrebbe potuto guarire Anastasi, perché sono convinto che avrebbe segnato anche lui”.
Il presidente Catella, nell’esprimere il suo parere post-gara, si dimostrò al contempo realista e lungimirante: “Lasciamo perdere le ambizioni di scudetto, quest'anno non dobbiamo illuderci, ciò che conta è costruire le basi per il futuro. Siamo sulla strada buona”.

Già a partire dal campionato successivo, infatti, Madama sarebbe riuscita nell'impresa di tornare subito al successo, inaugurando un ciclo ricco di trionfi destinato a durare per ben quindici anni (sino al 1986). Armando Picchi non potè purtroppo portare a compimento il suo lavoro: sarebbe infatti morto pochi mesi dopo la gara disputata contro il Catania, lasciando la squadra in mano a Cestmír Vycpalek.
Quello scudetto, però, in parte fu anche suo.


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mercoledì 20 aprile 2011

La Juventus e la mentalità vincente perduta



"La differenza tra Milan e Juve? Ibrahimovic". Si erano lasciati così, viola e bianconeri, al termine della partita disputata allo stadio "Olimpico" di Torino nel corso del girone d’andata. Le parole di Sinisa Mihajlovic, tecnico della Fiorentina, furono un vero e proprio attestato di stima nei confronti della formazione allenata da Del Neri. Era il 27 novembre del 2010. Sono trascorsi quasi cinque mesi da allora, ma sembra sia passata un’eternità.
La Vecchia Signora, dopo un avvio di stagione in sordina a causa degli effetti dell’ennesima rivoluzione estiva attuata in estate, aveva ottenuto il decimo risultato utile consecutivo in questo campionato e iniziava a mostrarsi sempre più ambiziosa. Al termine di quella giornata si ritrovò terza, a soli sei punti di distanza dai rossoneri in vetta alla classifica.

Passata in svantaggio a causa di un’autorete di Motta, riuscì a raggiungere i gigliati grazie al goal di Pepe su punizione nella seconda frazione di gioco. L’aspetto positivo di quella serata, esito finale a parte (l’incontro terminò col risultato di 1-1), fu rappresentato dalle dichiarazioni rilasciate nel dopo gara da parte di alcuni tra i protagonisti bianconeri. Si passò dal rammarico dello stesso Pepe per il mancato successo ("Stavolta ci serviva una vittoria con la Fiorentina per avvicinarci al Milan. Quando ho visto che il pallone entrava mi sono detto "sbrighiamoci a esultare e andiamo a vincere". E' ancora presto per parlare di scudetto, ma dobbiamo pensare in grande") al dispiacere del tecnico di Aquileia per aver sciupato una ghiotta occasione per avvicinarsi alla formazione di Allegri, fermata anch’essa a Genova dalla Sampdoria: "Per come abbiamo giocato sono due punti persi. La classifica in questo momento non ci interessa, ci deve interessare la prestazione. La classifica la guardiamo a maggio". Queste erano parole di chi non si accontentava di un pareggio, di un misero punticino.
Mihajlovic, conscio dei pericoli che Krasic avrebbe potuto creare alla sua squadra, chiese ai suoi uomini di sbarrargli la strada per tutti i novanta minuti di gioco, limitandogli notevolmente il raggio d’azione. Pasqual lo ammise ad incontro concluso: "Sapevamo che la Juve spinge a destra, abbiamo raddoppiato le marcature e limitato i danni".

Fiorentina e Juventus si sono ritrovate domenica scorsa dopo essersi rese protagoniste - nel frattempo - di un’altra annata fallimentare: i viola, ad oggi, hanno accumulato tre punti in meno rispetto a quanto fatto nel campionato precedente; i bianconeri, dal canto loro, uno soltanto in più. Le parole di Pepe, a gara terminata, questa volta avevano un sapore completamente diverso dal passato e rendevano omaggio ad una Vecchia Signora dall’atteggiamento eccessivamente prudente in una giornata nella quale il successo andava cercato a tutti i costi: "Un pò di rammarico c’è, ma con zero punti sarebbe stato peggio". Questa è la famosa teoria del bicchiere "mezzo pieno": quella con la quale si cammina, ma non si correrà mai.
Sotto la Mole passano i giocatori, i dirigenti, le persone, il club - invece - rimane. Così come la sua storia, le tradizioni e quella mentalità vincente alla base di tutti i propri trionfi. Essere riusciti a disperderla nel corso delle ultime stagioni rappresenta uno dei delitti più grandi da imputare alla proprietà del club. A Torino sono transitati negli anni campioni che non hanno avuto difficoltà nel riconoscere quanto appreso durante la loro militanza in bianconero: da Zinedine Zidane ("La mentalità vincente l’ho imparata alla Juve") a Pavel Nedved ("La Juventus mi ha dato tutto. Qui ho acquistato la mia mentalità vincente, quella che ti fa dire che ogni partita è una battaglia"), la lista è lunghissima.

In passato è capitato spesso che la formazione bianconera ad inizio campionato non presentasse in assoluto il miglior parco giocatori tra le squadre presenti ai nastri di partenza: in quei casi più volte sono subentrati aspetti umani e psicologici che le hanno consentito di colmare - o limitare - le lacune esistenti rispetto alle avversarie.

Non si potrebbe spiegare altrimenti come la Juventus allenata da Dino Zoff nella stagione 1989-90 riuscì nell’impresa di conquistare coppa UEFA, coppa Italia e di arrivare terza in classifica (a pari punti con l’Inter dei tedeschi di Trapattoni) dietro al Milan olandese di Sacchi e al Napoli di Maradona vincitore dello scudetto. Tricella, Nicolò Napoli, Galia, Angelo Alessio, Zavarov, Alejnikov, Marocchi, Dario Bonetti e Rui Barros: nessuno di loro era un fuoriclasse. Al tecnico bastarono pochi calciatori di valore in grado di giocare per mesi su altissimi livelli (come Schillaci, ad esempio) per costruire una squadra di successo. L’anno precedente, con una formazione tecnicamente più debole, si piazzò comunque quarta. Con avversarie, per inciso, di un livello tecnico nettamente superiore a molte di quelle con le quali deve confrontarsi la Juventus attuale.
Anche quando il vestito non era dei più belli, e la qualità scarseggiava, la Vecchia Signora non si faceva molti problemi: si sedeva comunque al tavolo dei vincitori e prendeva tutto quanto le era possibile racimolare in quel momento, non vergognandosi di raccogliere anche le briciole.

In un’intervista rilasciata a "La Repubblica" nel mese di ottobre del 1985, nel corso dell’ultima stagione trascorsa a Torino prima del suo approdo all’Inter, Giovanni Trapattoni raccontò alcuni aneddoti della sua esperienza nel mondo del pallone, sia come calciatore che da allenatore. Si scoprì così che aveva l’abitudine di portare avanti una tradizione che gli insegnò Nereo Rocco, ai tempi della sua permanenza al Milan: uscito Boniperti dagli spogliatoi, dopo aver provveduto a distribuire le magliette era solito mettere la mano sulla parete urlando "Ragazzi, siamo qui, ma dobbiamo arrivare quassù!", colpendo poi - con una manata - un punto superiore rispetto al precedente di una trentina di centimetri.

Alla Juventus attuale, ancor più che in passato, serve una robusta iniezione di uomini vincenti come lo furono loro, per ricreare nel tempo quella mentalità che le è sempre stata propria e che adesso è andata persa.
Ora non si cerchino più scuse: durerebbero soltanto qualche mese.
Il campo, d’altronde, non mente mai.

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lunedì 18 aprile 2011

Tranquilli: siamo ancora in corsa per l'Europa. League...

Ecco due foto che testimoniano il fine settimana appena trascorso a Torino (ospite di Massimiliano), scattate dal mio telefono. Nella prima i soggetti sono alcune magliette storiche della Vecchia Signora riprese dallo "Juventus store" di via Garibaldi (una di queste sarà mia a breve...)

Il giorno successivo siamo andati a fare una visita al nuovo stadio... (io sono quello a destra, l'altro è Giovanni).
Ps: visto da fuori è bellissimo

venerdì 15 aprile 2011

Quando Camoranesi le suonò alla Fiorentina



"Siamo proprio forti". Abituato a guidare squadre prestigiose per poi consegnarle alla storia del calcio insieme ai trofei conquistati, Fabio Capello non riuscì a trattenere queste parole di ammirazione verso la sua Juventus. Era il 4 dicembre 2005 e Madama aveva appena sbancato Firenze con un 2-1 guadagnato nei minuti finali grazie alla rete decisiva realizzata da Mauro German Camoranesi. La Vecchia Signora si era presentata allo stadio "Artemio Franchi" con un curriculum stagionale impressionante: dodici vittorie su tredici gare disputate sino a quel momento, ventotto goals all'attivo contro i sette al passivo, dei quali tre subiti nell'unica partita persa dall'inizio del campionato (1-3 contro il Milan a "San Siro").

La formazione di casa, spinta da una tifoseria caricata dall'accesa rivalità esistente con la Juventus, tentò di arginare lo strapotere bianconero erigendo un muro difensivo di fronte a Sebastian Frey. Cesare Prandelli, infatti, schierò i suoi uomini sul campo con un prudente 4-4-1-1 che prevedeva il solo Fiore alle spalle di Luca Toni. Al bomber viola, a segno da sei incontri consecutivi, venne demandato il compito di provare a far male alla Vecchia Signora rimasta fedele al collaudato 4-4-2. Trascorsi pochi istanti dall'inizio delle ostilità proprio Toni, raccogliendo un pallone proveniente da una punizione calciata da Pasqual, con un colpo di testa centrò in pieno la traversa.

Madama reagì immediatamente e alla prima sortita offensiva passò in vantaggio: Ibrahimovic eluse la tattica del fuorigioco messa in atto dalla retroguardia dei padroni di casa ed entrò in area di rigore per poi confezionare a Trezeguet un assist che chiedeva soltanto di essere spinto in porta. Erano passati appena otto minuti di gioco, c'era ancora tutta una gara da affrontare, ma la rete appena subita costrinse Prandelli ad accantonare la tattica attendista preparata in partenza. Il successivo infortunio occorso a Jorgensen al 19' paradossalmente semplificò le scelte del tecnico, il quale decise di dare spazio alla seconda punta Pazzini arretrando Fiore sulla linea mediana del campo. La Fiorentina iniziò a macinare gioco, costringendo la Juventus sulla difensiva: il nuovo duo d'attacco, inoltre, andò a pressare con sempre maggiore insistenza Thuram e Cannavaro, i baluardi difensivi di Madama, creando diversi grattacapi agli uomini di Capello. Anche se il susseguente pericolo per Abbiati arrivò da lontano: Ujfalusi centrò l'incrocio dei pali con un tiro scoccato da una ventina di metri, a portiere battuto.

Le azioni di entrambe le squadre si svilupparono per vie centrali e lungo una soltanto delle due fasce laterali, quella di competenza di Camoranesi (per i bianconeri) e Pasqual (per i viola), entrambi tra i migliori in campo a fine incontro. Proprio da una sortita offensiva del terzino sinistro dei gigliati nacque la rete del pareggio della Fiorentina: al 40' il cross che indirizzò in area di rigore juventina venne raccolto di testa da Pazzini, che bruciò sul tempo Cannavaro e trafisse Abbiati. Per la giovane punta si trattò del secondo goal realizzato alla Vecchia Signora nell'arco di pochi giorni: il giovedì precedente, infatti, le due formazioni si erano incontrate nello stesso stadio per disputare la gara d'andata degli ottavi di finale della coppa Italia, terminata col risultato di 2-2. La partita era ormai decollata, diventando piacevole e continuando a riservare emozioni: Brocchi impegnò seriamente il numero uno bianconero con una forte conclusione centrale, mentre Ibrahimovic costrinse Frey ad un difficile intervento. Si chiuse così il primo tempo.

Alla ripresa delle ostilità Abbiati fu bravissimo a negare il goal a Pazzini. Prandelli provò allora a mescolare nuovamente le carte inserendo sulla fascia destra Maggio al posto di Fiore, nel tentativo di attaccare Madama colpendola ai fianchi per conquistare una vittoria che adesso sembrava essere alla portata dei viola. Nella zona centrale, nel frattempo, stava giganteggiando Emerson: complice una giornata opaca di Vieira, il brasiliano si eresse ad assoluto protagonista dell'incontro per gli ospiti, lottando per due sulla linea mediana del campo. Alla mezz'ora ancora Pazzini smarcò Toni solo davanti al numero uno bianconero: l'attaccante riuscì a calciare il pallone oltre Abbiati, con la sfera che interruppe la propria corsa sul palo.

In credito con la fortuna la Vecchia Signora tirò fuori il cinismo delle grandi occasioni, sferrando il colpo del kappaò quando ormai mancavano soltanto due minuti al termine dell'incontro. Da un ribaltamento di fronte il pallone giunse a centrocampo ad Ibrahimovic, che lo lanciò a campanile poco oltre il limite dell'area di rigore dei viola: Pancaro (subentrato a Brocchi) si fece anticipare in maniera ingenua da Trezeguet, che lo porse all'accorrente Camoranesi per la rete del successo finale. Nel festeggiare il goal appena realizzato il centrocampista corse verso la bandierina del calcio d'angolo e la prese in mano per poi impugnarla come se si fosse trattato del suo basso elettrico, lo strumento col quale si dilettava per passione nel tempo libero. Quella finì col diventare l'immagine più rappresentativa dell'intera partita, emblema di una squadra formidabile capace di non crollare di fronte alle difficoltà e di uscirne fuori con classe e determinazione. Ne sapevano qualcosa i tifosi viola: nella precedente gara di coppa Italia la Fiorentina era stata in vantaggio di due reti, prima che Madama si svegliasse...

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giovedì 14 aprile 2011

Avanti così, Juve. Poi si dovrà comunque cambiare



Per uno strano scherzo del destino alla fine è stato Luca Toni il giocatore che, grazie alla rete segnata domenica, ha chiuso il confronto tra la Juventus e il Genoa, proprio lui che nel corso della gara disputata nel girone di andata tra le due formazioni al "Luigi Ferraris" realizzò un goal a Storari quando ancora vestiva la maglia rossoblù. Con l’aiuto di una mano, però: infatti venne (giustamente) annullata.

Non l’avrà certamente presa bene il presidente dei grifoni Preziosi, che nel dicembre del 2010 diede un bel "tre" in pagella all’attuale punta bianconera in merito al rendimento da lui offerto alla causa genoana dal momento del suo arrivo sotto la Lanterna. La successiva partenza verso Torino non avrà lasciato particolari rimpianti tra i liguri, però ha dato la possibilità allo stesso Toni di prendersi una piccola rivincita. Se poi si considera il fatto che uno dei principali obiettivi per l’attacco del Genoa nella sessione invernale del calciomercato era Alessandro Matri…

La Juventus compie due piccoli passi di avvicinamento al quarto posto utile per accedere alla Champions League dalla porta di servizio grazie alla sconfitta dell’Udinese in casa contro la Roma ed al sorpasso che l’altra squadra della capitale, la Lazio, ha effettuato sui friulani per effetto della vittoria interna con il Parma degli ex juventini Mirante, Candreva, Bojinov, Amauri e Giovinco.

Il terzo successo consecutivo in campionato della Vecchia Signora è finalmente arrivato, e l’attesa che l’ha accompagnato per mesi rende l’idea del percorso che la società torinese dovrà ancora compiere per tornare ad essere vicina parente di quella che ha scritto pagine leggendarie di questo sport sino al 2006. Ad oggi sono frequenti i paragoni con quanto le è accaduto nel corso della passata stagione: quella doveva essere un’annata da dimenticare, mentre adesso sembra sia finita col diventare uno dei punti più bassi della propria storia con il quale confrontarsi in continuazione.

Nel corso della tredicesima giornata di quel campionato Madama perse ad Udine contro i friulani allora guidati da Marino. Tra le proprie fila annoverava Simone Pepe, uno dei migliori tra gli uomini di Del Neri contro il Genoa. Quel 3 aprile 2010 il centrocampista segnò la seconda delle tre reti con le quali i padroni di casa piegarono la Juventus del "traghettatore" Zaccheroni. A fine gara, aggiungendole a quelle già incassate dalla retroguardia dei torinesi, portarono il passivo a quota quarantasette goals subiti in trentadue gare disputate. Attualmente la Vecchia Signora è ferma a quaranta. Il Milan, primo in classifica, a ventitré…

Rispetto alla gara disputata domenica allo stadio "Olimpico" contro i rossoblù - data l’indisponibilità di Del Piero - soltanto due giocatori erano presenti anche al "Friuli": Marchisio e Felipe Melo. Escluso Manninger (nonostante le reti) l’unico juventino che diede segnali di vita e di reale insofferenza a quell’andazzo fu Del Piero. Guarda caso… Era chiaro che di quel passo la Vecchia Signora, anche allora settima in classifica, si sarebbe scordata il quarto posto. Che all’epoca era lontano soltanto di tre lunghezze.

Non mancavano i buoni propositi per una rimonta juventina prima della conclusione del campionato, come ebbe a dire Zaccheroni nel corso di un’intervista precedente l’incontro di Udine: "Dobbiamo fare risultato, Le partite si riducono, dobbiamo cambiare marcia, altrimenti rischia di essere troppo tardi. le mie squadre hanno avuto spesso dei grandi finali, ma per farlo sarà fondamentale la condizione fisica. Questa settimana abbiamo potuto lavorare bene e mi aspetto dei miglioramenti cercando di mantenere quella compattezza che ci ha permesso di battere l' Atalanta". Al termine di quella partita il club decise di optare per il silenzio stampa, comunicandolo attraverso le pagine del proprio sito ufficiale: "Dopo la sconfitta di Udine, Società, allenatore e giocatori si scusano con tutti i tifosi e decidono il silenzio stampa".

In mezzo alle tempeste di questa stagione la dirigenza ha evitato di abbandonare Del Neri al proprio triste destino, preferendo, in più di una occasione, scegliere la strada di una maggiore responsabilizzazione dei giocatori di fronte alle sconfitte accumulate cammin facendo. Nessun "traghettatore", anzi: ora sembra che il tecnico di Aquileia sia riuscito a guadagnarsi qualche possibilità di permanenza sotto la Mole per il prossimo anno. Reale o virtuale, lo si potrà vedere soltanto a campionato concluso.

Quando a Torino arriveranno (dovranno arrivare) quei campioni che da anni i tifosi bianconeri stanno aspettando di poter ammirare, ricordando che alla Juventus arrivare secondi in classifica a fine stagione, e non quarti, è una sconfitta. Da qualsiasi angolazione la si voglia vedere.

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sabato 9 aprile 2011

Buffon e il suo addio alla Juventus



"Se c’è un rischio anche minimo, Milos non gioca. E in questo caso andrebbe in panchina". Alla vigilia dell’incontro del girone di andata tra Genoa e Juventus, Luigi Del Neri spiegò in maniera chiara il criterio con il quale avrebbe deciso se impiegare o meno Krasic nell’imminente partita contro i rossoblù.

La gara si disputò all’ora di pranzo: era la prima volta per la Vecchia Signora nel corso di questo campionato, mentre ne erano già state giocate nove dall’inizio della stagione in serie A considerando gli scontri delle altre squadre. Il giorno precedente il Milan aveva battuto a "San Siro" di misura la Fiorentina con una rete del solito Ibrahimovic, mentre Menez guidò la Roma nel successo casalingo per 2-0 contro l’Udinese (il secondo goal venne realizzato da Borriello).

I rossoneri staccarono momentaneamente la Juventus di nove punti in classifica, salvo poi ritrovarsela a sei lunghezze di distanza dopo la vittoria ottenuta al "Luigi Ferraris" dalla formazione guidata dal tecnico di Aquileia. Che, a fine incontro, dichiarò: "Inseguiamo la Champions. Prima non sapevamo per cosa avremmo lottato, adesso abbiamo quest’obiettivo, poi vediamo cosa succederà". Il protagonista della partita fu, manco a dirlo, Milos Krasic. "E’ il nostro Ibra", disse di lui Felipe Melo. Un goal, dribbling in continuazione sugli avversari, accelerazioni devastanti: costretto a rimanere fermo ai box per una quindicina di giorni a causa di uno stiramento di primo grado all’adduttore, il serbo dimostrò sul campo di essere guarito. Criscito, il terzino genoano che se lo vide sbucare da ogni direzione per un’ora abbondante di gioco (poi uscì precauzionalmente prima della fine del match) lo poté testimoniare in prima persona. Il biondo centrocampista bianconero incantò tutti, anche Storari: "E’ semplicemente devastante".

Il portiere juventino, autore di un’ottima prestazione, al termine dei novanta minuti di gioco era raggiante: "Credo di aver dimostrato di essere un portiere da grande squadra. Buffon? Sono stato preso per non farlo rimpiangere, è questo il mio dovere, cerco di farlo al meglio, senza pensare ad altro". Il momento del rientro sui campi di calcio dell’estremo difensore della nazionale era ancora lontano: nel frattempo Madama era stata brava a reperire un validissimo sostituto cui affidarsi nell’attesa del suo ritorno. Che sarebbe arrivato, prima o poi, così come era palese che il passaggio del testimone tra i due numeri uno non sarebbe potuto avvenire senza strascichi polemici.

Il momento di convivenza più difficile, curiosamente, è capitato nella settimana che precede la gara di ritorno tra la Juventus e il Genoa, che si disputerà nuovamente all’ora di pranzo. Senza Gianluigi, così come era accaduto nel girone di andata. Questa, più di altre, era la "sua" partita: tifoso rossoblù (sin) da ragazzo e amante della Vecchia Signora da professionista.

Come tutte le storie sportive anche quella tra Buffon e la Vecchia Signora sembra stia per giungere al capolinea. Venne prelevato dal Parma nell’estate del 2001 per una cifra monstre di 105 miliardi di lire (comprensiva del cartellino del bianconero Jonathan Bachini). La Triade scelse di fare un investimento del genere su di lui per il semplice fatto che nel suo ruolo era il più forte giocatore del mondo.

Quando nel 2006 scoppiò il terremoto che si abbatté sul club, azzerandone la dirigenza, privandolo delle ultime vittorie ottenute sul campo e facendolo retrocedere nell’inferno della serie B, non abbandonò la barca che stava affondando, a differenza di molti altri compagni di squadra dell’epoca. Nonostante si fosse appena laureato campione del mondo con la nazionale di Marcello Lippi. Durante gli incontri disputati l’anno successivo i sostenitori juventini presenti allo stadio "Olimpico" gli chiesero a più riprese di saltellare con loro implorandolo di non trasferirsi all’Inter o al Milan. L’intero mondo bianconero attendeva la conferma della permanenza del portiere come un segnale di speranza per un futuro della società degno del suo passato. L’incubo svanì i primi giorni del mese di giugno del 2007, quando Buffon firmò il prolungamento del contratto con Madama sino al 2012. "Perché sono rimasto? Ho pensato che le vittorie non sono tutte uguali. Io ne ho tante, a Parma, in bianconero, in nazionale. E non sono più famelico come prima, ma posso puntare al valore. Uno scudetto, ora, sarebbe qualcosa di inestimabile, non sarebbe uguale in nessun altro posto. Come il primo nella storia della Juve. Non ho preteso garanzie, ma era un’esigenza legittima vedere come questa squadra sarebbe diventata competitiva". Il resto della storia è noto a tutti.

Alla Juventus conta soltanto vincere. Neanche il tempo di alzare la Champions League da protagonisti, che Vialli e Ravanelli dovettero abbandonare Torino: squadra che vince si cambia. Per migliorarla. Roberto Baggio lasciò Madama quando in casa bianconera si accorsero che era sbocciato un nuovo fenomeno di nome Del Piero. Passano i calciatori, ma il club rimane. Non tutti sono uguali, però: c’è chi, nel periodo di militanza sotto la Mole, dimostra di possedere qualità umane che vanno di pari passo con quelle sportive. In alcuni casi, anche "oltre".
Buffon è uno di quelli.
Se, come sembra, a fine stagione lascerà la Vecchia Signora al termine di un’annata che definire difficile è dire poco, l’augurio è che ciò possa avvenire nella maniera meno traumatica possibile. Nel calcio moderno i tifosi sono ormai abituati ad ogni tipo di situazione, compresi gli addii più duri da digerire. Non è il caso di montare teatrini per difendere le rispettive posizioni contrattuali: non porta benefici a nessuno e inasprisce un bellissimo rapporto tra giocatore e sostenitori. Con i tempi che corrono è una merce sempre più rara. Il momento per dirsi "ciao e grazie di tutto" arriverà, prima o poi. Forse a breve.
E Gianluigi, nel caso, meriterà il giusto tributo da parte di quello che per dieci anni è stato il suo popolo.

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venerdì 8 aprile 2011

"Le Roi" Platini e il poker al Genoa di Briaschi



“Una macchina da gol”. Tra le tante definizioni che si possono scegliere per descrivere la Juventus che vinse il ventunesimo scudetto della sua storia nel corso della stagione 1983-84, questa è quella che con ogni probabilità più le si addice: 57 reti realizzate su 30 gare affrontate in quel campionato, una media vicina a due marcature per ogni incontro disputato. Dopo i risultati negativi conseguiti l’anno precedente, con il tricolore perso dopo un avvincente duello con la Roma di Falcao e la coppa dei Campioni sfuggita ad Atene per opera dell’Amburgo, la Vecchia Signora si era immediatamente ripresa lo scettro della più bella del reame.

In una squadra infarcita di fuoriclasse e all’apparenza priva di punti deboli splendeva la stella di Michel Platini: fresco vincitore della classifica capocannonieri al primo tentativo dopo il suo arrivo in Italia, non smise più di segnare, confermandosi il vero trascinatore di una straordinaria rosa di giocatori creata da Boniperti (dietro la scrivania) e plasmata sul campo da Trapattoni. Al giro di boa del campionato la Juventus affrontò il Genoa guidato da Luigi Simoni, ospite allo stadio “Comunale” di Torino l’8 gennaio 1984. Il fuoriclasse francese sino a quel momento aveva messo il proprio nome nel tabellino dei marcatori ininterrottamente da sei gare: per non perdere il vizio del gol, anche con i rossoblù appose la sua firma nella rete del vantaggio iniziale della Vecchia Signora.

Al 23’ Madama beneficiò di un calcio di punizione vicino al limite dell’area di rigore avversaria, dal lato opposto rispetto alla zona prediletta dal suo numero dieci: Tardelli toccò la palla verso il centro, scartando l’opzione di passarla a Cabrini e Penzo appostati accanto a lui, con Platini che riuscì a cogliere di sorpresa Martina tirando improvvisamente verso la porta dei rossoblù. Trascorsi soltanto sei minuti, Massimo Briaschi (attaccante dei liguri prossimo a trasferirsi sotto la Mole alla corte della Vecchia Signora) siglò il pareggio approfittando di una dormita generale della difesa juventina, eludendo l’intervento di Brio e battendo Bodini con una conclusione di sinistro non certo irresistibile. Invece di demoralizzarsi Madama trovò subito (al 33’) la forza di segnare nuovamente: Rossi crossò al centro per Cabrini che di testa anticipò Bergamaschi e l’estremo difensore genoano. Sul 2-1 per i padroni di casa si chiuse la prima frazione di gioco.

Trascorso un quarto d’ora dall’inizio della ripresa, i liguri riuscirono nuovamente ad agguantare la Juventus: Paolo Benedetti, anche lui con un colpo di testa, bruciò sul tempo Scirea sfruttando alla perfezione un traversone di Policano. Le continue disattenzioni del pacchetto arretrato della Vecchia Signora (dieci reti subite nel corso delle ultime sei gare) irritarono Umberto Agnelli, che a fine incontro dichiarò: “Troppe distrazioni difensive: speriamo che d'ora in poi la Juventus possa essere più attenta”. Tre minuti di attesa e la macchina da gol bianconera si rimise nuovamente in moto: Platini subì un fallo a seguito di un contrasto con Eloi, nella successiva punizione Penzo – ricevuto il pallone da Cabrini – infilò Martina con un tiro che andò a infilarsi direttamente nel “sette”. Per dare maggiore vivacità alla manovra ed evitare ulteriori cali di concentrazione Trapattoni decise di sostituire Boniek con Vignola: il pubblico presente al “Comunale” lo stava richiedendo con forza da diversi minuti, e proprio per non demoralizzare ulteriormente il polacco (che da tempo viveva una situazione di difficoltà) il tecnico era rimasto dubbioso sino all'ultimo istante se procedere o meno al cambio. Così come accaduto in alcune gare precedenti la mossa portò subito beneficio: Platini avanzò di qualche metro il raggio d'azione avvicinandosi alla porta avversaria, e la squadra macinò gioco senza più interruzioni.

Lo stesso francese al 75' conquistò un penalty dopo essere venuto a contatto con Faccenda, cadendo insieme a lui in area di rigore nel tentativo di raggiungere un pallone lanciato da Rossi. La concessione della massima punizione fece arrabbiare gli ospiti, tanto che Luigi Simoni, alla fine delle ostilità, ebbe a dichiarare: "Dopo il nostro secondo pareggio la Juventus è tornata subito in vantaggio. Ma la partita era ancora aperta come ha lasciato intravedere la palla del tre a tre capitata a Policano. E invece ecco il rigore per un fallo che voglio proprio rivedere in quanto a me non è sembrato tale". A suo modo di vedere, comunque, la Vecchia Signora era la principale candidata alla vittoria dello scudetto: "Può sempre trovare il gol in mille maniere". E con diversi giocatori: dopo essersi procurato il rigore il francese lasciò l'incombenza a Rossi, nella giornata in cui Zico, il brasiliano acquistato dall'Udinese, lo raggiungeva nella classifica marcatori. Questo non gli sarebbe bastato per superare il fuoriclasse bianconero a fine stagione: con venti realizzazioni su ventotto partite da lui disputate arrivò primo nella speciale graduatoria davanti all'asso dei friulani, fermo a quota diciannove. Con il successo sui grifoni Madama chiuse il girone d'andata in vantaggio di due punti sui cugini granata, per poi conquistare il tricolore in primavera mantenendo lo stesso vantaggio in classifica sulla Roma.

Nei giorni immediatamente successivi l'incontro con i grifoni tenne banco il dualismo tra Boniek e Vignola, tanto che iniziarono a farsi sempre più insistenti le voci che volevano la Juventus interessata a Karl-Heinz Rummenigge e Bryan Robson per colmare la casella del secondo straniero utilizzabile in caso di rinuncia al polacco. A fine anno Madama sarebbe riuscita a trionfare anche nella coppa delle Coppe, sollevata a Basilea dove vinse la finalissima disputata contro il Porto (16 maggio 1984). Le reti con le quali la formazione bianconera piegò gli avversari furono segnate proprio da Boniek e Vignola, che quella sera Trapattoni schierò entrambi sin dall'inizio della gara nella formazione titolare.

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mercoledì 6 aprile 2011

Dall'appello ai tifosi di Marotta alla Juve che verrà



Ad osservare l’andamento delle ultime gare della Juventus verrebbe spontaneo dire "non c’è due senza tre". Il problema è che nell’arco dell’intero campionato non è mai capitato che Madama vincesse tre partite consecutivamente: dopo Brescia e Roma adesso non resta che attendere la prossima giornata per capire se una volta per tutte la squadra di Del Neri riuscirà a sfatare questo tabù.

Prima dell’incontro disputato domenica scorsa nella capitale era idea diffusa che nell’appuntamento conclusivo del week end pallonaro alla Vecchia Signora spettasse il ruolo della vittima sacrificale. Oltre ai problemi maturati dall’inizio del 2011 anche i precedenti negli scontri diretti con i giallorossi in questa stagione, entrambi giocati a Torino, non erano confortanti: un pareggio in serie A (1-1, il 13 novembre 2010) e una sconfitta in coppa Italia, con la conseguente eliminazione dalla manifestazione (0-2, 27 gennaio 2011).

Proprio in quella partita la Juventus diede il peggio di sé: soltanto un tiro in porta di Del Piero in novanta minuti di gioco e la mancata assegnazione di un calcio di rigore per fallo di Mexes sullo stesso numero dieci bianconero furono gli unici spunti degni di nota che giustificarono la presenza sul campo della formazione guidata dal tecnico di Aquileia. Per quanto riguarda il resto, si trattò di un vero e proprio incubo: dalla curva che inneggiava Trezeguet non potendone più di Amauri, agli ospiti che passeggiarono sulle macerie di una squadra che stava vedendo svanire l’unico obiettivo per il quale poteva ancora considerarsi in corsa. A complicare la situazione si misero di mezzo anche gli infortuni, quelli che in una sola serata la privarono di tre calciatori: lo stesso Amauri (ormai prossimo a trasferirsi al Parma), Pepe e Motta.

Curiosamente al laterale difensivo destro di Madama è toccata un’identica sorte durante la recente gara di Roma, con la conseguenza che Del Neri ha dovuto fare a meno di un altro giocatore dopo le conclamate indisposizioni dei giorni precedenti l’incontro di molti elementi della rosa, tra i quali figuravano i nomi di alcuni pezzi da novanta dello scacchiere bianconero (Buffon, Chiellini e Del Piero su tutti). Quello che una volta veniva considerato l’appuntamento tra le regine del calcio italiano attualmente si è trasformato in una semplice contesa tra la sesta e la settima in classifica, tra due ambienti con uno stato d’animo ben diverso: pieno d’entusiasmo per un cambio di proprietà in dirittura d’arrivo dalla parte dei padroni di casa, deluso e arrabbiato per un’altra stagione buttata al vento per i torinesi.

Poi è accaduto che la Juventus per una sera è tornata la Vecchia Signora, ed il 2-0 è stato restituito al domicilio dei diretti interessati. Nelle parole di Del Neri del dopo gara, intervistato in merito ad un eventuale raggiungimento del quarto posto prima della conclusione del torneo, c’è la sintesi del comportamento della sua formazione nel corso dell’anno: "Non so se arriviamo a recuperare tanti punti, perché ne abbiamo persi parecchi, ma la squadra ha dimostrato di essere capace di tutto: di battere le grandi e di avere difficoltà con le piccole".

Dato che la storia della serie A insegna che i campionati si vincono (anche e soprattutto) racimolando il maggior numero possibile di punti contro i club considerati medio-piccoli, il problema evidenziato dal tecnico non lo si può ovviamente liquidare con una semplice battuta nella speranza che le cose possano cambiare da un momento all’altro.

L’appello ai tifosi di Giuseppe Marotta dei giorni scorsi ("Domenica spero lo stadio sia tutto con noi, vorrei un pubblico fantastico come quello che ci ha incitato dal primo all’ultimo secondo contro i giallorossi") è condivisibile, così come è comprensibile l’atteggiamento tenuto dagli stessi sostenitori bianconeri nel corso dell’ultima gara casalinga contro il Brescia.

In quell’occasione, al verificarsi del momentaneo vantaggio siglato da Krasic cantarono: "Vinceremo il tricolor". Subito dopo il pareggio realizzato delle "rondinelle" esposero uno striscione ironico: "Del Neri, anche oggi miglioramenti?". I fischi furono la colonna sonora di buona parte della partita, interrotti dai cori a favore di Del Piero: soltanto lui diede la possibilità alla Juventus di piegare una formazione penultima in classifica e priva di otto calciatori tra infortuni e squalifiche.

Il pubblico di fede bianconera non ha mai abbandonato la sua Signora, ma di fronte a certe prestazioni - al netto dei limiti tecnici della rosa - come si può non esprimere il proprio dissenso? Nel giorno immediatamente successivo la disfatta a Lecce, quando Madama rimediò una figuraccia, non fu il suo Presidente (e primo tifoso) Andrea Agnelli a pronunciare la fatidica frase "Dopo la gara i giocatori non si sono nemmeno dovuti fare la doccia"?

La "vera" Juventus non guardava al blasone dell’avversario di turno o alle prospettive di classifica: pensava soltanto a vincere. Domenica prossima giocherà contro il Genoa conoscendo il risultato dell’incontro tra Udinese e Roma: l’esito di quella gara potrebbe diventare un ulteriore stimolo per raggiungere questa benedetta terza vittoria consecutiva. Nel frattempo, incapaci di capire un "progetto" (per quello parlano i risultati degli ultimi anni), i sostenitori bianconeri sono in attesa di conoscere i nomi dei campioni che arriveranno a Torino la prossima estate: ad oggi, dopo decenni di vittorie, sono ancora in grado di distinguere un fuoriclasse da un discreto giocatore.
Lì non si possono fare giri di parole.

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sabato 2 aprile 2011

Juve e Roma tra passato, presente e futuro

"L’Olimpico non gratifica affatto la passione dei romanisti, le tribune sono troppo lontane dal campo, il rumore con la distanza si perde. Anche per questo ci vorrà uno stadio nuovo, e diverso: un impianto all’inglese, che abbia effetti positivi sui calciatori". Neanche il tempo di sbarcare a Roma che Thomas DiBenedetto - nel corso di un’intervista rilasciata in esclusiva alla "Gazzetta dello sport" (28 marzo) - ha esposto in maniera diretta ed esplicita le proprie idee in merito ai progetti che intende realizzare per il club giallorosso una volta che sarà riuscito ad acquisirlo a tutti gli effetti.

Ovviamente non poteva mancare la risposta del proprietario di quella struttura, vale a dire il Coni, attraverso il suo presidente Gianni Petrucci: "DiBenedetto non è partito col piede giusto. Le sue battute sullo stadio Olimpico non mi sono piaciute affatto. Gli stadi di proprietà sono la strada giusta, purchè li facciano però. Nell’attesa rispettino l’Olimpico". E così, mentre la normativa su questi impianti sportivi in Italia continua a rimanere un’utopia, Jean Claude Blanc ha rotto il silenzio per ribadire con orgoglio la nascita della nuova casa bianconera: "Siamo riusciti a fare tutto senza la legge sugli stadi". Sì, anche a rovinare la Juventus.

Dalla stagione 2006-07 la Vecchia Signora disputa le gare casalinghe a Torino in uno stadio denominato pure lui "Olimpico", sorto dalle ceneri del vecchio "Comunale", laddove Madama ha costruito gran parte della propria leggenda. Lo lascerà a breve per trasferirsi (nuovamente) nella zona in cui venne edificato il "Delle Alpi", raso al suolo per gli stessi motivi per i quali a DiBenedetto non piace l’attuale impianto della capitale. Per promuoverne la nascita attraverso la realizzazione di uno spot pubblicitario nei mesi scorsi è stato deciso di prendere in prestito proprio dalla storia di Roma uno dei suoi principali protagonisti, Giulio Cesare, trasformandolo per l’occasione in sostenitore bianconero doc, con tanto di sciarpa. Pietro Sermonti, attore e tifoso di Madama, si è calato nella parte interpretando il celebre personaggio attraverso l’utilizzo di un inconfondibile accento romano.

Quando la Vecchia Signora e i giallorossi incrociano le proprie strade la memoria degli appassionati torna a quegli scontri pieni di fascino dei primi anni ottanta, all’epoca in cui erano le regine incontrastate del calcio nostrano. Terminato il periodo d’oro di Trapattoni (1986) la Juventus ha ripreso a vincere scudetti e a riempire la bacheca di trofei prestigiosi soltanto con l’avvento della Triade (1994-95), per concludere (forzatamente) il suo percorso nel 2006. I due club, nel frattempo, si sono ritrovati a contendersi un tricolore nel 2001, con il successo dei capitolini allora allenati da Fabio Capello (che successivamente si trasferì a Torino). L’anno successivo le parti si invertirono, con i bianconeri vittoriosi in un campionato passato alla storia come quello del "5 maggio 2002", grazie al suicidio sportivo dell’Inter finita poi terza in classifica alla conclusione di un’incredibile giornata.

Dopo il terremoto calcistico del 2006 la Roma ha collezionato secondi posti (per tre volte) dietro l’Inter. In una stagione soltanto (2008-09) è arrivata sesta: in quell’occasione la piazza d’onore andò alla Juventus di Claudio Ranieri. Il tecnico romano fu il prescelto per riprendere il cammino in serie A di Madama, diventata - nel frattempo - più "Vecchia" che "Signora". Quando mancavano due gare alla conclusione del suo secondo anno a Torino, venne esonerato e gli subentrò Ciro Ferrara.

La stagione successiva, alla guida della Roma, si prese la sua personale rivincita battendo i bianconeri a domicilio per 2-1 (23 gennaio 2010): il progetto del "signorino" Jean Claude Blanc (così come lo definì successivamente) aveva iniziato a mostrare le sue enormi lacune. Quella, inoltre, fu l’ultima gara di Ferrara in serie A da allenatore. Ranieri era subentrato a Luciano Spalletti al termine della seconda giornata di campionato allorquando i capitolini persero in casa proprio contro la Juventus per 3-1 (30 agosto 2009), ed esordì a Siena con una vittoria esterna (2-1). Ironia della sorte: proprio nella città toscana Madama giocò la prima gara senza di lui in panchina la stagione precedente, da lì ripartì - pochi mesi dopo - la sua carriera di tecnico. Prima delle dimissioni alla guida dei giallorossi vinse a Torino per 2-0 il 27 gennaio scorso (Vucinic e Taddei i marcatori), eliminando la sua ex società dalla coppa Italia.

Emigrato in Russia alla guida dello Zenit San Pietroburgo, adesso Spalletti è diventato uno dei principali candidati alla guida della Juventus del prossimo anno, quello dell’ennesima rivoluzione. Della quale potrebbe non farne parte Gianluigi Buffon, oggetto dei desideri della nuova Roma in versione "americana" in caso di partenza da Torino (Arsenal permettendo). I giallorossi la scorsa estate riuscirono ad evitare il trasferimento di Burdisso e Borriello a Torino, mentre ora potrebbero cedere proprio ai bianconeri Menez per poi battagliare con loro sul mercato per uno o più nomi "importanti". Tra i più "gettonati", al di là delle smentite, c’è quello di Mascherano.

A Torino gioca Aquilani, romano e romanista dal futuro incerto: tra le varie ipotesi non manca quella di un ritorno nella capitale. Laddove giocò anche Guardiola: notizie fresche parlano di una possibile separazione dal Barcellona. Su di lui si dice potrebbero fare un pensierino (o qualcosa di più) in futuro alcune società italiane. Quali? Roma e Juventus. Gli incroci e gli aneddoti tra le due società non finiscono a quelli appena elencati. Ce ne sarebbero altri. In un "presente" ancora molto lontano per entrambe dal loro "passato", si incastra il confronto di campionato previsto per domani sera. Nell’attesa di un "futuro" che, ad oggi, vede un club che avrà a breve una pesante iniezione di denaro liquido per potersi rinforzare ed un altro che ne ha sperperato moltissimo nelle ultime stagioni. Ci sa dire dei due qual è la Juventus, monsieur Blanc?

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venerdì 1 aprile 2011

Platini, Brio e la rimonta vincente sulla Roma



"Saranno loro a doversi preoccupare e non certo noi, anche perdendo avremmo sempre tre punti di vantaggio. Mercoledì è stato per la Roma solo un episodio negativo che tuttavia va ridimensionato, considerando che abbiamo incontrato una delle formazioni più forti d'Europa. La Juve sappia che il campionato è tutt'altra cosa". Con queste parole Franco Tancredi, portiere dei giallorossi, mise in guardia la Vecchia Signora in vista dell'imminente incontro che avrebbe opposto le due squadre allo stadio "Olimpico" domenica 6 marzo 1983. Reduce dalla sconfitta infrasettimanale contro il Benfica nella gara valida per i quarti di finale della coppa UEFA, la squadra di Nils Liedholm era finita nel mirino della critica. Al contrario di quanto era accaduto a Madama, vincente e convincente nella trasferta inglese in Coppa dei Campioni contro l'Aston Villa.

La Juventus, con nove gare ancora da disputare prima della conclusione del campionato, si trovava a cinque lunghezze di distanza dalla Roma prima della classe, all'epoca in cui per ogni successo venivano assegnati due punti. Un margine, questo, che consentiva al club giallorosso di conservare una relativa tranquillità in previsione del match clou della ventiduesima giornata. La capitale era pronta ad ospitare la sfida tra le due regine incontrastate del calcio italiano dei primi anni ottanta del vecchio secolo, una vera e propria sfilata di fuoriclasse ed un “duello nel duello” che stuzzicava la fantasia delle rispettive tifoserie: quello tra il brasiliano Falcao da una parte ed il francese Platini dall'altra. Il pareggio ottenuto in rimonta nella trasferta a Cesena all'inizio del girone di ritorno (dopo essersi trovata in svantaggio di due reti) dava alla Vecchia Signora la piena consapevolezza delle sue enormi potenzialità. Trapattoni si era convinto di poter schierare contemporaneamente Bettega, Paolo Rossi, Boniek e lo stesso Platini senza che ne risentisse l'equilibrio in campo della squadra. Il compito di proteggere la difesa, che poi era anche quella titolare della Nazionale azzurra fresca campione del mondo con la sola esclusione di Sergio Brio, era demandato a Tardelli e Bonini.

L’incontro si mostrò subito avaro di spunti degni di nota, fatta eccezione per una conclusione di Bruno Conti da fuori area, con Zoff a deviare in calcio d'angolo spingendo il pallone oltre la traversa. Per riassumere in poche parole la totale mancanza di emozioni che caratterizzò i primi quarantacinque minuti della partita può bastare la dichiarazione che Enzo Bearzot, c.t. dell'Italia Mundial, rilasciò durante l'intervallo ad un cronista: "Speriamo che la gara si accenda. Capisco che l'importanza della posta in palio è molto alta. Vedo che c'è molta volontà a centrocampo, buona anche qualche triangolazione. Però nessuna delle due squadre affonda con convinzione". Alla ripresa delle ostilità la Juventus rientrò sul campo con un atteggiamento decisamente più aggressivo, tanto che Platini al 13' finì per mettere involontariamente fuori causa Pruzzo a seguito di un duro contrasto di gioco. Al posto del bomber giallorosso entrò Iorio, cui Gentile diede subito il “benvenuto” con un rude intervento dopo pochi istanti dal suo ingresso. In occasione del conseguente calcio di punizione, mentre Madama preparava il cambio tra Boniek e Marocchino, un attimo di esitazione di Barbaresco, il direttore di gara, costò caro alla Vecchia Signora: dubbioso se procedere immediatamente alla sostituzione, diede il tempo a Conti di agire di sorpresa, calciando il pallone nella direzione di Falcao che di testa battè l'incredulo Zoff.

Passata in svantaggio in maniera rocambolesca, la Juventus scaricò tutta la rabbia accumulata riversandosi nella metà campo giallorossa: a Paolo Rossi e Platini vennero negati due possibili calci di rigore, mentre Tardelli e Scirea sfiorarono il goal dell’1-1. Sull'altro versante Iorio, servito da Ancelotti, venutosi a trovare a tu per tu con Zoff in posizione defilata, calciò a botta sicura, con la sfera che sfilò davanti a tutta la linea della porta senza entrare. Al 38' Platini impresse il suo marchio di fabbrica sulla partita. A seguito di un contrasto con Falcao e Conti ottenne la concessione di un calcio di punizione a ridosso dell'area di rigore dei padroni di casa: dalla sua zona prediletta disegnò un capolavoro che portò il pallone ad oltrepassare la barriera e ad infilarsi sotto l'angolo opposto a quello difeso da Tancredi. Ottenuto il pareggio, Madama non si accontentò: ancora il francese, elusa la tattica del fuorigioco messa in atto dagli uomini di Liedholm, si girò su se stesso a pochi metri dal numero uno giallorosso per crossare a centro area, dove Brio riusciva a spingere di testa il pallone in rete per l'incredibile vittoria in rimonta della Vecchia Signora. Sullo stadio calò il gelo: bissando il successo ottenuto al “Comunale” nel girone d’andata con lo stesso risultato, la Juventus era riuscita ad avvicinarsi in classifica a soli tre punti di distanza dalla Roma. Questo non servì ad impedire che lo scudetto si trasferisse nella capitale a fine campionato, salvo poi tornare nel capoluogo piemontese la stagione immediatamente successiva.

L'ultima annotazione della giornata riguardò l'autore del goal decisivo: a gara conclusa, mentre si dirigeva verso gli spogliatoi, Brio venne azzannato ad una coscia da un cane al guinzaglio di un agente del servizio d’ordine posizionato oltre i tabelloni pubblicitari. L'episodio gli provocò - fortunatamente - soltanto una ferita superficiale. Nelle interviste del dopo partita, stuzzicato su un possibile errore dell’arbitro in occasione del momentaneo pareggio bianconero, il presidente dei giallorossi Dino Viola chiuse con eleganza la questione: “No, non direi, anche se onestamente nessuno ha visto il fallo che ha portato alla punizione vincente di Platini. Tuttavia non intendo prendermela con nessuno. Si parla troppo di potere della Juventus e si dimentica una cosa importantissima: che la Juventus il potere ce l'ha qui, nella testa”.
Quella di una squadra vincente.

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