domenica 29 maggio 2011

venerdì 27 maggio 2011

I nuovi arrivi e il fascino della Vecchia Signora


La scorsa estate il primo acquisto della Juventus nuovamente targata Agnelli fu quello di Simone Pepe; a distanza di poco meno di un anno (e dopo una stagione disastrosa alle spalle), Madama è ripartita annunciando di aver trovato l’accordo con Andrea Pirlo. "Quantità" da una parte, "qualità" dall’altra.

L’approdo a Torino di Pepe gettò nello sconforto quei tifosi bianconeri che speravano nell’imminente arrivo di (almeno) un campione in grado di farli sognare ad occhi aperti: c’era ancora tutta una sessione di calciomercato estivo da affrontare, ma erano talmente alte le aspettative riposte nel nuovo corso juventino che la delusione finì col prendere il sopravvento sulla pazienza.

Il Dottor Umberto Agnelli, padre del giovane Andrea, nei suoi anni di presidenza al timone della Vecchia Signora decise di portare sotto la Mole due fuoriclasse del calibro di Omar Sivori e John Charles per invertire una rotta che vedeva Madama incapace di raggiungere lo scudetto da cinque campionati consecutivi.

Tramandata geneticamente la passione per la Juventus al figlio, era opinione di molti che una storia simile potesse venire riscritta usando la stessa traccia, anche a distanza di più di cinquant’anni. Per una Vecchia Signora debole tanto dentro quanto fuori dal campo, invece, il nuovo Presidente bianconero ha deciso di puntare per l’immediato su una trama diversa, anticipata ai sostenitori nell’ormai famosa lettera scritta loro il 18 giugno 2010 e pubblicata sul sito internet del club.

In quelle poche righe definì Giuseppe Marotta "l’acquisto più importante" di Madama, chiese a Del Neri l’arduo "compito di riportare cultura e disciplina sportiva nello spogliatoio" per poi ammettere che "la distanza dai rivali, che si è creata in questi anni, richiede un percorso complesso".

Si iniziò così a parlare di un "cantiere Juve", proprio quando dalle ceneri del vecchio "Delle Alpi" ne era già stato aperto uno per la costruzione della nuova casa bianconera. Senza dimenticare come i disastri compiuti da Jean Claude Blanc (in entrambi i settori, a quanto pare) lasciarono alla nuova gestione una pesante eredità, venne poi scelta la strada dell’evoluzione del parco giocatori (in pratica una "rivoluzione mascherata"), da guardare crescere pazientemente nel tempo sorseggiando ogni tanto un bicchiere "mezzo pieno".

Alla conclusione di un campionato che ha portato la Juventus a stabilizzarsi nuovamente al settimo posto, Simone Pepe è rimasto uno dei pochi a salvarsi dal grigiore generale. Attorno a lui e a qualche altro compagno verrà costruita ora una rosa di ventiquattro calciatori pronta per affrontare gli avversari nella prossima stagione, infortuni compresi.

Il tono delle dichiarazioni che stanno accompagnando le presentazioni dei nuovi arrivi (oltre a Pirlo c’è stata pure quella dello svizzero Ziegler) è diverso da quello ascoltato nel recente passato: adesso trapela una maggiore sicurezza nelle potenzialità in sede di mercato del club. Per verificarne la differenza basta fare un salto indietro nel tempo e fermarsi al 28 agosto 2010, quando Del Neri - nel vedere Quagliarella mostrare contento la sua nuova maglia bianconera numero diciotto accanto a Marotta e davanti ai giornalisti - ammise: "Non si poteva fare più in fretta: il mercato ha i suoi tempi e dirigenti sono stati bravissimi".

Proprio in quei giorni Giampiero Boniperti rilasciò un’intervista a Enrica Speroni, inviata della "Gazzetta dello Sport". Non volle esprimere giudizi sulla nuova Juventus per non interferire con chi stava cercando di ricostruirla, lasciandosi scappare soltanto qualche piccola confessione: "La Juve bisogna vederla in campo, ne parliamo tra sei mesi. Perché l’importante non è solo comprare, ma gestire".
Alla luce dell’andamento negativo dell’ultima stagione, adesso si può affermare come le radici del fallimento bianconero si sono possano trovare in entrambi gli aspetti sopraccitati.

Pirlo, Ziegler, ma non solo: i nomi accostati alla Juventus tornano ad essere quelli di giocatori importanti, attenti al richiamo di Madama e consoni alle ambizioni di un club che deve riprendere a vincere non soltanto con le parole. A quelle si è aggrappato nella giornata di ieri Aurelio De Laurentiis, patron del Napoli, infastidito dall’inserimento del club torinese nella trattativa (aperta da mesi) con l’Udinese per il passaggio di Inler dai friulani ai partenopei: "La Juve? Ne ha bisogno. Con l’arrivo del nuovo allenatore dovrà cambiare 25 giocatori". Quando si dice il fascino di una Vecchia Signora: pensare che Mazzarri avrebbe fatto carte false pur di scegliersi quei venticinque elementi…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


lunedì 23 maggio 2011

Chiuso un capitolo, ora se ne apre un altro


Andrea Pirlo saluta il Milan con le lacrime agli occhi, e va ad abbracciare una Vecchia Signora che negli ultimi tempi ha fatto soltanto piangere i suoi tifosi.
Nella serata che avrebbe dovuto sancire il passaggio di consegne tra Del Neri e Mazzarri, in curva Scirea campeggiava lo striscione profetico "Antonio Conte il nostro allenatore".

Per il resto, Juventus - Napoli ha riproposto scenari visti più volte quest’anno: Del Piero che predica nel deserto, una marcatura ad opera di Matri, una squadra nuovamente incapace di non subire goals (soprattutto in casa: con trentuno reti al passivo è stata la peggior difesa del campionato tra le mura amiche), Chiellini che dimostra maggiore incisività in attacco rispetto ad alcune insicurezze in fase difensiva.

Va da sé che Buffon è riuscito a limitare i danni e che il Palermo, perdendo in casa contro il Chievo, non ha sfruttato l’occasione per superare i bianconeri in classifica: da settimi, così come si erano piazzati anche lo scorso anno, sarebbero scivolati in ottava posizione. Come dire: di male in peggio, senza che comunque ne potesse venire stravolto il senso della stagione.

E’ stata la settimana delle sfuriate dirigenziali in casa juventina, preannunciate domenica scorsa dopo la sconfitta di Parma, laddove Madama ha buttato al vento l’occasione di giocarsi (concretamente) sino all’ultima giornata la qualificazione alla prossima Europa League. Del Neri aveva già le valigie in mano prima ancora che l’arbitro fischiasse l’inizio di quella gara; alla sua conclusione, il bersaglio delle loro critiche si è poi spostato sui giocatori, così come era già accaduto in passato.

Dopo la disfatta di Lecce (20 febbraio), infatti, Andrea Agnelli aveva tuonato una prima volta contro i calciatori ("Dopo la gara non si sono nemmeno dovuti fare la doccia"); lunedì scorso ha quindi completato l’opera: "C’è tanta delusione perché alla fine di questo campionato è emerso che una serie di giocatori arrivati non hanno capito cos’è la Juventus e i giocatori che avevamo lo hanno dimenticato". Si tratta dello stesso concetto espresso poche ore prima (al "Salone Internazionale del Libro" di Torino) da Pavel Nedved, che nel frattempo promuoveva a pieni voti Antonio Conte nella sua nuova versione da allenatore.

E così, mentre ieri mattina lo stesso presidente bianconero puntava il mirino verso la Figc per la lentezza mostrata in merito all’esposto presentato più di un anno fa (10 maggio 2010) con la richiesta di revoca dello scudetto assegnato all’Inter nel 2006, in tarda serata Del Piero sintetizzava con poche parole, chiare, il perché di un’annata disastrosa: "Le difficoltà sono state superiori alle nostre capacità in campo".

La stagione è finita male, proprio così come era iniziata. La sconfitta patita a Bari portava con sé un presagio per nulla piacevole: soltanto nel lontano 1982 Madama aveva perso alla gara d’esordio in serie A. A partire dall'inizio del 2011 è riuscita ad abbattere i principali record negativi che le erano sfuggiti lo scorso campionato.

In quella Juventus di ventinove anni fa giocavano sei calciatori italiani che si erano appena laureati campioni del mondo in Spagna, oltre ai fuoriclasse Platini e Boniek. Quando si parla di "made in Italy" bisogna considerare anche la qualità, oltre alla carta d’identità. E gli stranieri, quando vengono chiamati ad integrare una rosa di giocatori nostrani, devono possedere quel qualcosa in più che giustifichi il loro arrivo sotto la Mole.

Allontanati Camoranesi, Diego, Giovinco e Trezeguet, è venuta poi a mancare quella tecnica all’interno della rosa a disposizione di Del Neri andata perduta con le loro partenze.
"I grandi giocatori vengono sostituiti con grandi giocatori, al Milan è sempre così", diceva sabato scorso Allegri, rispondendo ai dubbi dei tifosi milanisti sulla prossima campagna acquisti della società rossonera.
Accadeva anche alla Juventus una cosa simile, sino al 2006.

La Vecchia Signora è rimasta nuovamente fuori dai margini del calcio che conta e adesso, dopo l’ennesimo fallimento, vede aumentare il gap che la distanzia dagli altri club italiani.
Poco importa il margine da recuperare verso quelli europei, dato che il prossimo anno potrà misurarsi con quelle realtà soltanto attraverso la disputa di qualche amichevole.

Svuotato il sacco delle cose negative, adesso è arrivato il momento di riprovare a "costruire". Andrea Pirlo sarà il primo mattone della nuova casa bianconera: sul talento non si discute, così come sulla personalità.
Il campo dirà se l’opportunità di prenderlo a costo zero e puntare (anche) su di lui per il nuovo centrocampo juventino si sarà rivelato un affare.
Dato il benvenuto all’ex rossonero, si attende ora l’arrivo dei fuoriclasse promessi dal club ai suoi sostenitori. Di Pazienza, ora, è rimasto solo il nome dell’altro (probabile) nuovo acquisto juventino.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Ecco le parole di Andrea Agnelli, intervenuto al convegno "la Juventus ieri, oggi e domani" (Torino, 22 maggio 2011). Il video è stato realizzato dagli amici del sito "www.ju29ro.com".

venerdì 20 maggio 2011

José Altafini "core 'ngrato" e la vittoria scudetto sul Napoli



Quando sono entrato in campo, mi hanno fischiato. Li ho puniti”. Era il 6 aprile 1975 quando José Altafini, attaccante della Juventus di origini brasiliane poi naturalizzato italiano, realizzò il goal decisivo a pochi minuti dalla conclusione della partita tra la Vecchia Signora e il Napoli, sua ex squadra di appartenenza, incontro valevole per la decima giornata del girone di ritorno del campionato di serie A. Intervistato alla fine della gara, così rispose davanti ai taccuini dei giornalisti presenti allo stadio “Comunale” di Torino in merito alla contestazione subita dai numerosi sostenitori partenopei accorsi in massa nel capoluogo piemontese per assistere all'evento.

Il Napoli di Luis Vinicio, che aveva perso il precedente incontro disputato con i bianconeri al “San Paolo” il 15 dicembre 1974 per 6-2, arrivò sotto la Mole con la speranza di prendersi una rivincita proprio nel momento decisivo della stagione. Il clima dei giorni precedenti la sfida era stato carico di tensioni e di aspettative, come si poteva facilmente intuire da quanto affermato in quegli istanti da Carlo Parola, il tecnico di Madama: “La Juventus è abituata a giocare per vincere. Ogni domenica scende in campo con questo obiettivo. Da sei mesi è in testa alla classifica, è la squadra guida. Non dimentichiamo che i due punti di vantaggio li abbiamo noi sul Napoli”.

L’allenatore dei padroni di casa decise di tenere fuori dall’undici titolare Spinosi per inserire Cuccureddu, proponendo in questo modo una formazione con due laterali difensivi (lo stesso terzino e Gentile) abili all’occorrenza a proporsi in efficaci sortite offensive, fermo restando il loro compito di sorvegliare Braglia e Massa. A Francesco Morini venne affidato l’onere di seguire Clerici, la punta degli ospiti che aveva realizzato le loro uniche due reti nella gara disputata a Napoli. Gaetano Scirea era l’ultimo baluardo bianconero di fronte a Dino Zoff.

L’avvio della Juventus fu spumeggiante: Furino, nonostante dovesse tallonare Juliano nella zona nevralgica del campo, riuscì a non far mancare il suo solito apporto di corsa e sostanza ai compagni di reparto, mentre la lucida regia di Capello guidava le azioni dei bianconeri. Al 19’ arrivò, come naturale conseguenza di quanto stava accadendo in quei primi minuti sul rettangolo di gioco, la rete del vantaggio per i padroni di casa: Damiani rubò a Pogliana un pallone sulla fascia per poi consegnarlo a Causio, il quale entrò nell’area di rigore avversaria e fece partire un tiro violentissimo che si insaccò all’incrocio dei pali alla sinistra di Carmignani.

Per tutto l’arco del primo tempo Zoff rimase inoperoso, mentre sul versante juventino Bettega (che ancora risentiva dei postumi di uno scontro subito in una recente gara della nazionale azzurra) e Anastasi non stavano vivendo una delle loro migliori giornate. Alla ripresa delle ostilità, invece, il portiere bianconero venne chiamato a fare gli straordinari, dato che il Napoli rientrò dagli spogliatoi trasformato, tanto da imporre alla Juventus un ritmo di gioco così elevato da costringerla ad assumere un atteggiamento difensivo.

Mentre la linea mediana bianconera iniziava a mostrare chiari segnali di sofferenza, salirono sugli scudi i dirimpettai napoletani, guidati da uno straordinario Juliano. Trascorsi due minuti lo stesso centrocampista lanciò sul lato sinistro Massa, che si incuneò nella difesa juventina scavalcando con un pallonetto Zoff in uscita, con la sfera che terminò sul fondo, non lontano dalla porta rimasta sguarnita. Nell'azione immediatamente successiva, a seguito di un’iniziativa nata da una combinazione tra Clerici e Braglia i due si trovarono nuovamente uno di fronte all’altro, con l’ala destra che si vide ribattere la sua conclusione dal numero uno bianconero. Un timido tentativo di Anastasi precedette una bellissima punizione calciata da Capello (per un fallo subito da Bettega): il pallone colpì la traversa, per poi venire allontanato definitivamente fuori area da Burgnich.

Da un goal mancato ad uno subito: al 14’ Massa tagliò in due la difesa bianconera evitando un nugolo di avversari e servì al centro Clerici che – allargando le gambe – fece arrivare l’assist a Juliano, il quale di esterno destro trafisse Zoff. Una Juventus stanca per una stagione tirata tanto in campo nazionale quanto in quello internazionale (tre giorni dopo avrebbe dovuto disputare l’andata delle semifinali della coppa UEFA contro gli olandesi del Twente) provò a reagire con rabbia alla rete realizzata dagli ospiti, senza però risultare incisiva.
Trascorsi pochi minuti gli uomini di Vinicio ripresero infatti il controllo del gioco.

Giampiero Boniperti, il presidente bianconero famoso (anche) per avere l'abitudine di abbandonare la tribuna in larghissimo anticipo rispetto alla conclusione degli incontri, decise di rimanere seduto nella sua postazione sino al termine dei novanta minuti di gioco. Era già accaduto una volta, il 20 maggio 1973, allo stadio “Olimpico” di Roma, quando una rete realizzata da Cuccureddu contro i giallorossi a soli tre minuti dal fischio finale dell’arbitro aveva consegnato il quindicesimo scudetto alla Vecchia Signora. A distanza di due anni, a Torino, si ripetè un episodio simile. Giunti al 30’ della ripresa Parola decise di far entrare in campo Altafini al posto di Damiani, irrobustendo così il reparto offensivo di Madama. Al 43’ un calcio d’angolo battuto da Causio portò il pallone sui piedi di Cuccureddu, dopo un’uscita a vuoto di Carmignani e l’allontanamento della sfera da parte di alcuni compagni appostati a protezione della porta: il tiro del difensore sardo terminò prima sul palo, per poi dirigersi verso lo stesso Altafini, abile a deviarlo in rete.

Grazie a quel goal la Juventus vinse l’incontro e si portò a quattro punti di vantaggio in classifica sul Napoli, un margine che sarebbe riuscita a gestire sino alla conclusione del torneo e che le avrebbe consentito di aggiudicarsi il sedicesimo tricolore della sua storia.
Una curiosità: la settimana precedente quella partita Madama aveva perso il derby contro il Torino a due minuti dalla fine (30 marzo 1975, 2-3) per colpa di una rete segnata da Zaccarelli dopo una ribattuta del palo su tiro scagliato da Graziani. Una sconfitta subita a causa di una marcatura simile a quella messa a segno da Altafini contro il Napoli.
Nei giorni immediatamente successivi alla partita vinta dai bianconeri comparve su un cancello di accesso del “San Paolo” la scritta “José core ‘ngrato”.
In una delle numerose interviste rilasciate nei momenti successivi alla sfida, l'attaccante dichiarò: "Con II Napoli non ho avuto nemmeno il tempo di scaldarmi, ma non era un problema grazie al clima primaverile. In tutto ho toccato cinque palloni: due li ho persi, due li ho passati e uno l'ho depositato in rete".
L'ultimo era stato sicuramente il più importante di tutti.


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giovedì 19 maggio 2011

Con te?



…l’unico acquisto che pretendo per questa squadra.
Non sarebbe un nuovo acquisto ma solo un gradito, graditissimo, ritorno.
Sto parlando della grinta.
E per far capire ai nuovi (e pure ai vecchi) giocatori di cosa sto parlando, non vado neppure tanto in là con gli anni e faccio solo un esempio : 2 settembre 2007, Cagliari-Juventus: 2-3.
Non mi importa che il risultato ci premi ogni volta, ma io pretendo dalla squadra quella voglia di giocarsela sempre, fino all’ultimo minuto. E anche oltre.

Questo è quello che scrivevo il 7 giugno 2010.
E potrei anche non aggiungere altro.

Ed invece, qualche parola vorrei spenderla.
Esattamente come lo scorso anno siamo qui a ricominciare tutto da capo, nuovo allenatore, nuovi giocatori, e speriamo anche nuova (anzi vecchissima) mentalità.
Nel momento in cui scrivo non è stato ufficializzato ancora il nome del nuovo allenatore, anche se quello di Antonio Conte sembra quello più probabile.
Solo pochi giorni fa dicevo che non avevo un “favorito” per la panchina della Juve. E, quindi, non sto facendo il tifo né per Conte né per Mazzari o Benitez o Villas Boas. Il mio allenatore sarà quello che la società sceglierà e lo appoggerò per tutta la stagione.
E chiunque egli sia, spero soprattutto che quest’anno possa lavorare con giocatori, sia tecnicamente che mentalmente (vedi la mia richiesta dello scorso anno), all’altezza della maglia della Juventus.
Visto che però Conte è gettonatissimo voglio parlare di lui. E vorrei guardare alla sua scelta da due diverse prospettive, quella della Società e quella di tifosi&stampa.

Partiamo dalla Società. La panchina di Gigi Delneri, si sa, traballa ormai da parecchio tempo, ed i dirigenti hanno iniziato a pensare ad un sostituto già da mesi. Si sono fatti molti nomi: Spalletti, Mancini, Van Gaal, anche Lippi e Capello e poi, con la consapevolezza di non poterli raggiungere, il cerchio si è stretto intorno al nuovo astro nascente Villas Boas e a Mazzarri. Le difficoltà trovate anche per questi ultimi due - dall’altissima clausola rescissoria al non voler contrasti con il presidente di una squadra alleata nella battaglia per i diritti tv – ha fatto ricadere la scelta sull’ultimo rimasto.
In poche parole, quello che temo è che il Presidente non sia sicuro, assumendo Conte, della scelta fatta.
E se così fosse (se veramente la società non credesse ciecamente di aver affidato la squadra alla persona giusta, se non fosse certa fin dall’inizio di aver fatto la mossa migliore, ma di essersi solo accontentata dell’ultimo nome possibile) se anche la prossima stagione dovessero esserci delle battute d’arresto, come si comporterà la dirigenza bianconera? Sarà in grado di difendere il tecnico dagli attacchi esterni? O piuttosto, come quest’anno, a parte le spente dichiarazioni di facciata, scaricherà tutte le colpe sull’allenatore?
Questo deve essere veramente l’anno 0.
Questa sarà la prima stagione senza Blanc, la prima stagione in cui Andrea Agnelli può prendere le decisioni sin dall’inizio, la prima stagione con un CDA con almeno un paio di persone che sanno qualcosa di calcio. Quindi non hanno più alibi, devono prima di tutto fornire al tecnico una “rosa realmente competitiva” e poi sostenerlo in tutte le occasioni.

Dall’altra parte. Il nome di Conte è quello che sale dalle curve da mesi, i siti dei tifosi lo reclamano da tempo e Tuttosport lo ha definito “il predestinato” e lo ha sponsorizzato a lungo. Eppure non mi sento tranquilla.
Non lo sono perché sono già iniziati gli articoli su vari siti che lo paragonano a Ferrara. Qualcuno lo ha già definito la scommessa, il giovane con poca esperienza, etc. e fioccano anche i sondaggi per conoscere se la tifoseria è contenta o meno del suo arrivo
Se, come ad Arezzo e a Bergamo, il leccese avesse necessità di un po’ di tempo prima che la squadra risponda totalmente alle sue richieste, dopo averlo chiamato a gran voce, saremmo in grado tutti di aspettarlo? Oppure c’è già qualcuno, prima ancora di iniziare la stagione, che - invece di tifare - è pronto, sui siti e sulla stampa, a caricare il fucile ed a prendere la mira per sparare il classico “l’avevo detto io!”?

Articolo pubblicato su Juvenews.net

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

mercoledì 18 maggio 2011

Altro che ricusazione! "Organizziamoci" pretende giustizia.



Tutto sembra indicare che il processo di Napoli, nato e sviluppatosi come una squallida farsa, debba giungere alla giusta conclusione, con un verdetto assolutorio per gli imputati.
Ma in modo indecente in tanti non ci stanno, e sono gli stessi che sin dall´inizio hanno temuto quest´epilogo, consapevoli dell´inconsistenza di un teorema accusatorio che definire ridicolo è a dir poco.
Così si spiega il colpevole disinteresse di quasi tutti i media per un processo il cui oggetto è quello che loro stessi avevano definito il più grave scandalo che abbia colpito il calcio italiano.
Trova altresì giustificazione il percorso a ostacoli cui è stata costretta la Dott.ssa Casoria, che ha il torto di voler compiere il suo dovere, e proprio domani dovrà affrontare l´ultima trappola posta sul suo cammino, che indirettamente riguarda il nostro futuro, con il giudizio sull´istanza di ricusazione promossa disperatamente dall´accusa. E´ opportuno, quindi, fare un breve riepilogo di quanto capitato partendo dalla fine.
Domani, infatti, si terrà innanzi alla Corte d´Appello di Napoli l´udienza per decidere sulla richiesta di ricusazione dei PM Narducci e Capuano nei confronti del Presidente del collegio giudicante nel processo " Calciopoli ".
Com´è noto, siamo alla presenza della terza iniziativa di questo genere e nonostante le prime due, quella delle parti civili e un´altra, sempre, promossa dai Pubblici Ministeri, abbiano avuto esito negativo per gli istanti, l´accusa ci riprova, e caso unico nella storia della Giustizia Italiana, per la seconda volta chiede la sostituzione del giudice.
Questi sono i passi ufficiali, ma sin dall´inizio come si è poi saputo, la Dott.ssa Casoria ha subito notevoli pressioni allo scopo di farla rinunciare. Cerchiamo, comunque, di comprendere da cosa sia scaturita questa nuova istanza.
Come tutti saprete, il CSM ha adottato nei confronti della Giudice, la sanzione disciplinare della censura, per le espressioni non proprio ortodosse adoperate dalla stessa nei confronti di alcuni suoi colleghi della nona sezione penale del Tribunale di Napoli, di cui la Casoria era Presidente.
In occasione del procedimento, la Procura Generale che ha sostenuto l´accusa davanti al CSM, ha chiamato come testi quattro giudici tra cui spiccano le due giudici a latere nel processo di calciopoli e i due PM Narducci e Capuano dello stesso procedimento che da questa circostanza hanno tratto spunto per richiedere nuovamente la ricusazione.
Da più parti si manifestato il forte dubbio che il provvedimento adottato dal CSM, potrebbe condizionare, in maniera negativa per la Signora Casoria e indirettamente per i colori bianconeri, la decisione della Corte d´Appello chiamata a pronunciarsi, sulla richiesta di ricusazione dei PM.
Noi siamo convinti, al contrario, che il procedimento disciplinare concluso con la censura non abbia alcuna attinenza, né potrà mai influenzare il giudizio della Corte d´Appello, chiamata a vagliare l´istanza, domani 20 maggio.
Le nostre certezze non si poggiano sulla fede sportiva, bensì sul Diritto e per fare chiarezza riportiamo gli articoli 36 e 37 del CPP

Art. 36 Astensione
1. Il giudice ha l`obbligo di astenersi:
a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore Ë debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;
b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti Ë prossimo congiunto (c.p 307-4.) di lui o del coniuge;
c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull`oggetto del procedimento fuori dell`esercizio delle funzioni giudiziarie;
d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto (c.p 3074.) e una delle parti private;
e) se alcuno dei prossimi congiunti (c.p 307-4.) di lui o del coniuge Ë offeso o danneggiato dal reato o parte privata;
f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;
g) se si trova in taluna delle situazioni d´incompatibilità stabilite dagli artt. 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario ;
h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza.

Art. 37 Ricusazione
1. Il giudice può essere ricusato dalle parti:
a) nei casi previsti dall`art. 36 comma 1 lett. a), b), c), d), e), f), g);
b) se nell`esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell`imputazione.
2. Il giudice ricusato non può pronunciare nè concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l`ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (41).
Queste norme contengono le ipotesi tassative, in presenza delle quali, può essere richiesta la ricusazione di un giudice.
E´, pertanto fondamentale capire quali motivi siano stati addotti dai pm napoletani a corredo di questa seconda istanza di ricusazione.
La motivazione della richiesta di ricusazione sarebbe che la circostanza del procedimento disciplinare innanzi al CSM con testimoni d´accusa I PM e due giudici a latere nel processo su calciopoli condizionerebbe la Dott.ssa Casoria fino al punto di avere un interesse "diretto" nel procedimento penale in corso, che potrebbe pregiudicare il suo ruolo di soggetto terzo ed imparziale.
In altre parole la richiesta di ricusazione troverebbe fondamento normativo nell´art. 36 lettera a) C.P.P.:Se il giudice ha interesse nel procedimento;
Non si comprende, però, quale interesse la Casoria possa avere nel procedimento contro Moggi e altri: forse quello di assolvere gli imputati solo per ripicca nei confronti dei PM che hanno sostenuto l´accusa nel procedimento disciplinare dinanzi al CSM?
Procedimento disciplinare che, si badi bene, non ha alcuna attinenza con il processo penale su calciopoli e con il suo esito, come sottolineato anche dal Giudice Alemi, Presidente del Tribunale di Napoli, commentando le decisioni del CSM
Al più si può dedurre che tra i componenti del collegio giudicante nel processo di calciopoli, così come tra la Dott.ssa Casoria ei pm rappresentanti la pubblica accusa nello stesso processo,non corre buon sangue , ma tale condizione non rientra in alcuna delle ipotesi previste dagli articoli 36 e 37 del C.P.P., ipotesi , ribadiamo , tassative , cioè non se ne possono inventare di sana pianta altre come i pm vorrebbero....
Eventualmente, si potrebbe addurre una certa mancanza di serenità da parte della Giudice , ma nulla di più, e dato che la stessa non ha mai dichiarato di volersi astenere, non vediamo come possa essere ricusata dalla Corte D´Appello.
A questo punto tutti i cittadini, non solo i tifosi, dovrebbero chiedere: ma perché tutto questo?

La verità è una sola: quella che la "gazza ladra" aveva, in coincidenza della sua nomina, definita un Magistrato al di sopra delle parti, salvo poi a cambiare opinione, lo è veramente.
Inoltre per l´accusa questa SIGNORA ha un vizio d´origine, non le interessa il calcio e pertanto non assimilabile a quel "sentimento popolare", che per loro vuol dire, essere antijuventini sempre e comunque , e in nome del quale si è perpetrato lo stupro del 2006.
Dopo la farsa e la corsa ad ostacoli, il processo ci sta, quindi, offrendo l´esibizione di Narducci e Capuano in uno di quegli sport estremi, tanto di moda: "L´arrampicata su specchi", resi sempre più scivolosi, oltre che dalle difese, dai loro stessi testimoni che non hanno esitato a definire, mendaci, durante la requisitoria.
E´, perciò, evidente che la richiesta di ricusazione, è solo l´ultimo "mezzuccio" dei PM, per arrivare alla prescrizione, evitando così una sentenza che per quanto emerso non può che essere d´assoluzione. Il che avrebbe serie ripercussioni proprio su chi, ostinatamente, ha voluto un processo, fondato sulle chiacchiere, e rappresentando in modo penoso, un apparato dello Stato con notevole spreco di denaro pubblico.
Domani sarà, pertanto, un giorno cruciale per il futuro della Juve, perché un eventuale accoglimento della ricusazione azzererebbe, di fatto, il procedimento, facendo scivolare tutto verso la prescrizione.
Noi, invece, pretendiamo che il processo prosegua e giunga alla naturale conclusione con una giusta sentenza che è il passaggio fondamentale per riappropriarci della dignità scippata. E se la società decidesse, anche alla presenza di un´assoluzione, di non intraprendere le doverose azioni per riottenere quanto, truffaldinamente, ci è stato tolto, andremo, comunque, avanti per la nostra strada, facendo sentire la nostra voce in tutte le sedi, convinti della bontà di una lotta, iniziata cinque anni fa e che non può certo fermarsi in vista del traguardo.

Seconda tappa dell'iniziativa organizzata dagli amici del sito “Juvenews.net”.
Cliccando sul banner qui sotto potete raggiungerlo direttamente.
Chiunque abbia il piacere di aderire, può tranquillamente copiare questo pezzo.

Thomas e Roberta

Juvenews.net

martedì 17 maggio 2011

Adesso si cambia di nuovo, alla ricerca della vecchia Juve



Adesso è quasi certo: la Vecchia Signora nella prossima stagione non giocherà in Europa. Neanche in quella minore, la famosa Europa League diventata lo scorso anno l’obiettivo principale della società nel momento stesso in cui le erano scivolati via dalle mani tutti gli altri.
Ora non le resta che una flebile speranza, legata al verificarsi di una sua vittoria nella prossima partita contro il Napoli unita ad un contemporaneo successo della Sampdoria a Roma contro i giallorossi. Ad oggi, capire quale dei due eventi abbia la maggiore possibilità di verificarsi è realmente difficile. Proprio nel giorno in cui Madama si è lasciata sfuggire l’ultimo treno per dare un significato a questa stagione (e mentre a Catania la squadra di Montella perdeva…), i liguri allenati lo scorso campionato da Luigi Del Neri retrocedevano matematicamente in serie B dopo essere stati superati in casa dal Palermo.

Tralasciando le sconfitte a tavolino, l’ultima volta nella quale la Juventus fallì l’obiettivo minimo di guadagnare l’accesso ad una manifestazione europea capitò nel 1991, vent’anni fa. Proprio allo stadio “Luigi Ferraris” le reti realizzate da Branco e Skuhravy impedirono ai bianconeri la possibilità di raggiungere la qualificazione alla coppa UEFA, a favore di Parma e Torino che – dal canto loro - pareggiarono 0-0 le gare che le vedevano come protagoniste. Era il 26 maggio, si trattava della domenica in cui Enrico Ameri fece la sua ultima radiocronaca raccontando agli ascoltatori il successo del Genoa, la squadra del cuore, sulla Vecchia Signora.

Una settimana prima la Sampdoria di Vialli e Mancini si era aggiudicata lo scudetto su quello stesso terreno di gioco battendo il Lecce con il risultato di 3-0, condannandolo così alla discesa nella serie cadetta. Caso vuole che gli stessi salentini, vincendo domenica scorsa il derby contro il Bari, sono riusciti adesso a salvarsi e a rimanere in serie A proprio a scapito dei blucerchiati.

Le parole che Stefano Tacconi pronunciò a suo tempo nell’immediato dopo gara contro i grifoni sono simili a quelle espresse nelle dichiarazioni rese dai giocatori bianconeri più volte nel corso di questa stagione: “Il sorriso bisogna meritarselo. Oggi tocca al Genoa e a chi ha finito il campionato davanti a noi. E’ inutile rimpiangere ora le occasioni sciupate. Anche il rigore non segnato a Firenze potrebbe essere un alibi, ma sarebbe assurdo legarsi ad episodi. Anche perché perfino a Genova un pari ci sarebbe bastato, visti i risultati di Parma e Torino. Ma abbiamo sbagliato tutto. Il secondo gol ci ha tagliato le gambe, è stata la sintesi di una stagione storta. Per strada abbiamo perso troppi punti e siamo arrivati al finale che non ci aspettavamo”.

In tribuna a Marassi, seduto con un amico, Arthur Antunes Coimbra, meglio conosciuto come Zico, quel pomeriggio osservava sconsolato la prestazione della Vecchia Signora. Quando l’incontro stava volgendo al termine, domandò alla persona accanto a lui: “Ma questa è la Juve o l’Ascoli?”.
A distanza di tanti anni, con ogni probabilità potrà ora festeggiare da ex giocatore dell’Udinese il raggiungimento del quarto posto nella classifica finale dei friulani. Un solo punto li separa, infatti, dall’ottenere il pass per l’Europa che conta, quello che all’inizio di questa stagione era l’obiettivo della squadra bianconera italiana per antonomasia: la Juventus.

Nel caso ipotetico (e utopistico) in cui la formazione allenata da Guidolin dovesse perdere contro il Milan e gli uomini di Del Neri subire l’undicesima sconfitta contro il Napoli, ecco che la distanza in classifica tra la Vecchia Signora ed il club rossonero vincitore dello scudetto raggiungerebbe i ventisette punti. Si tratterebbe dello stesso margine accumulato nello scorso (disastroso) campionato nei confronti dei nerazzurri allora guidati da Mourinho, con la sola differenza che all’epoca il settimo posto consentì alla Juventus di entrare in Europa League attraverso i preliminari, mentre adesso non basta più.

Con il campionato che si appresta a vivere i suoi ultimi novanta minuti il pensiero del popolo juventino è rivolto alla prossima stagione, quella nella quale Madama cambierà nuovamente abito e sarto alla disperata ricerca di se stessa. L’intelaiatura della squadra costruita qualche mese fa si è rivelata troppo fragile: ora è chiaro come non sarebbe sufficiente inserirvi due o tre elementi di spessore per renderla vincente. L’incidenza positiva delle scelte operate da Allegri nel Milan fresco campione d’Italia hanno evidenziato una volta di più l’importanza di una guida valida cui affidare una rosa di calciatori che per raggiungere determinati obiettivi deve necessariamente essere competitiva.
Anche perché è ovvio che senza giocatori di livello non si va da nessuna parte: sono loro che fisicamente entrano in campo e decidono le sorti delle gare. Spesso, anche quelle di un tecnico.

Come già evidenziato in passato, Massimo Giletti (conduttore televisivo e noto tifoso juventino) scrisse sulle pagine della "Gazzetta sportiva" dello scorso 20 giugno 2010 un aneddoto importante in merito: "Pochi giorni fa Pavel Nedved mi confidò che quando segnò il gol del pareggio in una partita importante pochi compagni lo abbracciarono. In quel momento capì che la squadra giocava contro l’allenatore. Così finì la storia juventina di Claudio Ranieri".

Quando Madama era realmente una Vecchia Signora, difficilmente si verificavano episodi simili. E a chi afferma che Buffon "E’ circa un anno e mezzo che non sta giocando" verrebbe spontaneo chiedere, piuttosto, dove sia finita la Juventus, visto che sono cinque anni che è letteralmente scomparsa dal panorama nazionale.
Adesso, anche da quello internazionale.
Sarebbe in grado di rispondere con la stessa franchezza?

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 14 maggio 2011

La doppietta di Ravanelli nella rimonta scudetto a Parma



"Scrivetelo pure e sotto ci metto la firma: a me nessuno ha regalato niente, ringrazio il Signore, ma qui ci sono arrivato solo col sudore". Con queste parole Fabrizio Ravanelli concluse un pomeriggio da leoni, quello che lui e la sua Juventus vissero allo stadio "Ennio Tardini" di Parma l’8 gennaio 1995.
Nel corso della quindicesima giornata del campionato di serie A una Vecchia Signora incerottata e malconcia andò a fare visita ai ducali allenati da Nevio Scala. In palio, oltre ai tre punti, c’era pure il primato in classifica, quando ancora mancavano tre gare alla conclusione del girone d'andata.

Priva del talento di Roberto Baggio e dei muscoli di Jürgen Kohler, Madama rischiò seriamente di dover fare a meno anche del carisma di Gianluca Vialli: a causa di uno scontro involontario col compagno di squadra Torricelli, avvenuto durante l’ultimo allenamento, si era infatti procurato un lieve trauma distorsivo al ginocchio sinistro. Alla fine strinse i denti e partì col resto del gruppo, pur di non mancare all’appuntamento con la delicata trasferta. Lippi poté quindi proporre l’ormai abituale tridente offensivo, con Del Piero sempre più a proprio agio nel ruolo di sostituto del Divin Codino, lasciando a Fusi e a Ferrara il compito di guidare il reparto difensivo e a Paulo Sousa quello di dirigere il traffico nel centrocampo, aiutato - nel compito - da Alessio Tacchinardi. Antonio Conte completava la linea mediana bianconera.
Proprio nel cuore del rettangolo di gioco, laddove si vincono le partite, il Parma perse l’incontro prima ancora che lo stesso avesse avuto inizio: Scala rinunciò inspiegabilmente a Gabriele Pin, uomo d’ordine in mezzo ad una selva di corridori, lasciando che Crippa e Dino Baggio si alternassero nel sostituirlo in quelle che abitualmente erano le sue mansioni, con Minotti e Sensini pronti ad aggiungersi ai due compagni in fase di interdizione. Il suicidio tattico venne completato con la decisione di passare alla difesa con cinque giocatori, abbandonando il classico 3-5-2 e schierando al cospetto della Juventus un tridente offensivo composto da Zola, Branca e Asprilla. A quest’ultimo ordinò di iniziare largo a destra, qualche metro più avanti rispetto alla zona dove operavano i centrocampisti gialloblù. Il tecnico dei padroni di casa, quindi, aveva optato per la scelta di affrontare la Vecchia Signora utilizzando le sue stesse armi, snaturando - così - le caratteristiche della propria squadra.
Madama aveva ormai assimilato la mentalità di Marcello Lippi, giunto in estate a Torino per volontà della Triade (così era soprannominata la nuova dirigenza juventina) con il compito di dare una forte identità alla squadra indipendentemente dai giocatori schierati di volta in volta, e con l’obiettivo dichiarato di riportarla al successo nel minor tempo possibile.

In una prima frazione di gioco che non regalò molte emozioni, la Juventus aggredì subito i padroni di casa: Del Piero, Vialli e Ravanelli, in rigoroso ordine cronologico, provarono a portare in vantaggio i bianconeri con tre conclusioni nell’arco di due soli minuti.
Paulo Sousa si impadronì velocemente del centrocampo, mentre Torricelli limitò agevolmente le intenzioni di Asprilla costringendolo, con il suo dinamismo, a continui ripiegamenti difensivi. Da una sua incursione nacque il primo episodio importante della gara: così come gli era capitato in allenamento con Vialli, entrò in contatto con Bucci, venutosi a trovare solo di fronte a lui nell’area di rigore parmense. Nell’urto il portiere ebbe la peggio e fu costretto ad uscire dal campo, sostituito da Giovanni Galli.
I primi quarantacinque minuti si chiusero a reti inviolate, senza che il Parma riuscisse a creare seri pericoli a Peruzzi, fatto salvo un tentativo isolato di Branca sventato dal numero uno bianconero.
Al 12’ della ripresa il risultato si sbloccò: una combinazione tra Asprilla e Dino Baggio offrì al centrocampista della nazionale lo spazio per calciare un diagonale vincente. Passata in svantaggio Madama aggiunse alla solita mole di gioco anche la concretezza, riuscendo a pervenire al pareggio dopo soli quattro minuti in maniera insolita: un innocuo traversone di Paulo Sousa entrò direttamente nella porta dei padroni di casa dopo un contrasto tra Couto e Galli (uscito per agguantare la sfera), senza che si rendesse necessario l’intervento di Ravanelli, appostato in zona per deviare la traiettoria.
Il Parma subì il colpo, arretrando timidamente verso la propria metà campo. Lippi, nel frattempo, aveva già disegnato una Juventus d’assalto: fuori Fusi e dentro Jarni, con Torricelli spostato a destra e Carrera avvicinato a Ferrara al centro delle retroguardia. Il centrocampo, che già poteva beneficiare in fase di contenimento dei continui rientri dei tre attaccanti, potè così avvalersi delle sovrapposizioni di entrambi i laterali difensivi.
Lo stesso Torricelli, dopo aver imbrigliato Asprilla e messo la museruola a Branca, continuò a spingersi in avanti per aiutare i compagni a trovare il goal del 2-1. Da una delle sue sortite offensive nacque (al 25’) l'azione del raddoppio: il terzino consegnò un pallone sulla fascia a Vialli, abile a crossare velocemente verso Ravanelli che raccolse l’invito con un perfetto colpo di testa in tuffo, con cui anticipò l’intervento di Sensini e trafisse Galli. Una rete "alla Bettega", tanto per citare un simbolo della storia bianconera.
Due minuti dopo la punta ricambiò il favore a Vialli, offrendogli un assist in area di rigore parmense, in posizione defilata: steso da Apolloni, l’attaccante riuscì a procurarsi il calcio di rigore per il 3-1 finale. Fu lo stesso Ravanelli a calciarlo. La sostituzione di Marocchi per Paulo Sousa e la successiva espulsione (per doppia ammonizione) di Couto non modificarono l’esito della gara, ormai avviata a concludersi con una netta vittoria per la Juventus.

Nel dopo partita, davanti ai taccuini, uno sconsolato Nevio Scala ammise con onestà le sue colpe: "Penso di aver sbagliato tutto, a partire dalla formazione iniziale fino al non essere intervenuto dalla panchina per correggere la situazione in campo. Ho peccato di presunzione, sono il responsabile numero uno della sconfitta contro la Juve". Lippi, ovviamente, si mostrò soddisfatto del risultato e del gioco messo in mostra dai suoi uomini: "Una squadra è vera nel momento in cui riesce a prescindere dai campioni singoli che ne fanno parte. Se la Juve, che è già vincente pur essendo ancora in crescita, ha fatto quel che ha fatto, lo si deve all’acquisizione di una precisa personalità".
La Juventus avrebbe avuto la certezza matematica di aver conquistato il suo ventitreesimo tricolore il 21 maggio 1995, proprio nella gara del girone di ritorno contro il Parma, disputata allo stadio "Delle Alpi" di Torino e vinta col risultato di 4-0. Ravanelli fu ancora protagonista assoluto dell’incontro, segnando sia la rete d’apertura che quella di chiusura della partita. La corsa con le braccia aperte e la faccia nascosta dalla maglietta con cui festeggiava ogni sua marcatura rappresentavano alla perfezione l’immagine di una Vecchia Signora che dopo anni di insuccessi aveva finalmente ripreso a divertirsi.
E a vincere.


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Il "piano di rilancio" della Juve e i 200 milioni di euro


Nell'ultima gara di campionato la Juventus ha subito un'altra rimonta dopo essere passata in vantaggio per due reti a zero, la terza in tre mesi: lo scorso 12 marzo accadde a Cesena, il 23 aprile a Torino contro il Catania per finire a lunedì scorso (9 maggio), sempre allo stadio "Olimpico", con il Chievo. A quanto pare a questa squadra non bastano Del Piero e Matri per vincere: quello che loro creano, gli altri distruggono.

Nelle partite prese in considerazione i due attaccanti hanno realizzato tre goals a testa, senza che ciò servisse per portare a casa quei sei punti in più che ora consentirebbero alla Vecchia Signora di trovarsi in classifica davanti a Udinese, Roma e Lazio nella corsa al quarto posto. Partendo, oltretutto, dal vantaggio derivante dai risultati ottenuti nei confronti diretti, ulteriore prova di una formazione che in questa stagione si è spesso comportata da "grande" contro le "grandi" e da "piccola" con le "piccole". "Ciofeca" di Gattuso a parte.

I giocatori hanno recentemente fatto gruppo intorno al proprio allenatore, quel Luigi Del Neri che si trova sulla graticola da mesi e che ciononostante conservava fino a poche ore fa buone possibilità di una conferma alla guida della Juventus anche per il prossimo campionato. Sino all'incontro col Chievo, ovviamente: da quel momento in poi la percentuale in tal senso si è (quasi) azzerata.

Una difesa, quella dei calciatori juventini, costruita con le parole più che con i fatti: se al tecnico di Aquileia si possono imputare errori di diversa natura e durata nell'arco della sua permanenza sotto la Mole, nell'attimo di follia che ha consentito ai gialloblù di Pioli di segnare due goals in un minuto a Buffon c'è stata una buona dose di compartecipazione da parte di chi si trovava in quegli istanti in campo. Non si è trattato dell'unico "scivolone" dei bianconeri avvenuto nel corso della gara, ma ha rappresentato comunque il momento decisivo per le sorti del match. La successiva rete per gli ospiti incredibilmente fallita da Uribe ha impedito loro di ottenere un successo che non avrebbe sostanzialmente intaccato il rammarico dei tifosi della Vecchia Signora per l'ennesima vittoria buttata al vento.

Madama nella prossima stagione cambierà nuovamente allenatore, alla ricerca della persona giusta cui affidare la guida di una rosa che necessariamente verrà cambiata, se non stravolta, rispetto all'attuale. Che poi si voglia chiamare quest'operazione "progetto", "piano ambizioso", "correzione", "rivoluzione" o "evoluzione", poco cambia. L'importante è la "sostanza", quella che è mancata negli ultimi anni dietro a (quasi) tutti gli interventi della società, così come della proprietà. L'unico pezzo del club che - considerando anche quanto accaduto recentemente - non è ancora mutato.

Ad oggi i sostenitori bianconeri stanno assistendo sconcertati al comportamento di un club che cambia pelle e connotati ogni estate, salvo ritrovarsi nella primavera successiva al punto di partenza. Lo scorso 15 aprile 2010, giusto per fare un esempio, alla vigilia di Inter-Juventus di campionato disputato al "Meazza" e vinto dai nerazzurri col risultato di 2-0, la "Gazzetta dello Sport" in prima pagina titolò: "Juve, 200 milioni per lo scudetto". Di Benitez si diceva che avesse nove giorni di tempo a disposizione per accettare il progetto (ancora...) triennale della Vecchia Signora. Nel caso in cui la sua risposta fosse stata negativa, erano già pronte due alternative: Prandelli e Allegri. Mascherano e Dzeko (o Torres), invece, erano le soluzioni possibili indicate dal quotidiano per rinforzare la squadra.
Quello che accadde nella realtà dei fatti, è ormai cosa nota.

Giovedì 12 maggio 2011, sempre il giornale in questione ha riportato la notizia: "Juve da 200 milioni". Il "piano di rilancio" (questo è nuovo... ) prevede adesso un percorso di quattro anni, e i giocatori sui quali la società punterà forte saranno Pirlo (a parametro zero), Fernando, Pastore e Pinilla (oppure uno fra Tevez, Aguero e Benzema). Sull'allenatore c'è ancora incertezza, anche se i nomi più accreditati sono quelli dei soliti noti: Villas Boas, Antonio Conte o Mazzarri.

A differenza di quanto accaduto nel corso degli ultimi due anni il tecnico bianconero che ha iniziato la stagione ha poi avuto modo di completarla. Questo non è servito a risollevare le sorti di un'annata che la Vecchia Signora ha visto compromettersi proprio a partire dalla gara interna disputata contro il Parma, il suo prossimo avversario, nel giorno dell'Epifania. Le parole pronunciate da Del Neri negli attimi successivi all'incontro con il Chievo rendono l'idea della rassegnazione di un ambiente che ora ha davvero poco (nulla) da chiedere a questo campionato: "Ci manca l'esperienza, l'equilibrio. Falliamo gli appuntamenti emotivi e finiamo vittima di situazioni paradossali".

"Siamo un enorme cantiere dove quasi tutto è cambiato, dall'autista del pullman ai vertici amministrativi e tecnici. Abbiate pazienza, aspettateci", disse Marcello Lippi nel lontano 1994, all'alba di un nuovo ciclo di vittorie bianconere. Dietro a quella Juventus c'erano due Agnelli, Giovanni e Umberto, e al suo timone un trio composto da Luciano Moggi, Roberto Bettega e Antonio Giraudo.
L'amore verso il club da parte della proprietà e la massima competenza di chi la guidava: questa era la ricetta vincente.
Con i 200 milioni di euro (o 120, 100...) si fanno solo i titoli da prima pagina.

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martedì 10 maggio 2011

Caro esposto, siamo arrivati di nuovo al 10 maggio...



Amici bianconeri, il 10 maggio 2010 la Juventus sembrò risvegliarsi dal penoso e colpevole letargo in cui era precipitata circa quattro anni addietro, quando le sentenze sportive l’avevano sbattuta in serie B, scippata di due scudetti, privata di campioni importanti, di dignità e onore, oltre ad essere messa alla gogna mediatica.

Dodici mesi fa, infatti, la società presentò il famoso esposto alla FIGC in cui si chiedeva la revoca di uno scudetto assegnato d’ufficio all’inter.

Questo perché le difese, nel processo celebrato dalla Giustizia Ordinaria, avevano dimostrato, inequivocabilmente, l’inesistenza dei comportamenti limpidi ascritti ai cartonati, per cui quel titolo era stato assegnato, in modo arrogante e truffaldino, da Guido Rossi proprio alla squadra di cui era stato dirigente per diversi anni.

Oltre alla richiesta di privare del maltolto una società che i fatti avevano dimostrato essere campione di disonestà, vi era anche quella di deferire: Ai sensi dell’art. 32 comma 4 del Codice di Giustizia Sportiva (CGS) al giudizio della competente autorità disciplinare tutti i tesserati e le Società, al titolo di responsabilità che a ciascuna pertiene, coinvolti nei comportamenti antisportivi sopra esposti ed emersi in margine al procedimento penale n. 43915/02 R.G. iscritto nella Procura della Repubblica – D.D.A. presso il Tribunale di Napoli (cit. esposto).

A supporto dell’iniziativa la Juventus allegò le produzioni documentali emerse durante il dibattimento innanzi al Tribunale di Napoli, di cui fanno parte alcune delle migliaia di telefonate occultate.

Un anno fa, quindi, sembrò che qualcosa si muovesse e che le nostre battaglie, cominciassero ad avere dei riscontri positivi. Anche tra i più scettici vi era la speranza che si trattasse di un primo passo, concreto, per riottenere quanto, in maniera becera, ci era stato tolto.

A distanza di trecentosessantacinque giorni ci tocca, nostro malgrado, di constatare che:

La Juventus, pur al cospetto di evidenze clamorose, non è riuscita, per mancanza di volontà o peggio, ancora, di forza, ad ottenere nessun tipo di risposta da una Federazione e dalla stessa giustizia sportiva che nel 2006, in venti giorni, avevano distrutto109 anni di storia Bianconera servendosi di chiacchiere da bar, o sentimento popolare che dir si voglia.

Di conseguenza bisogna prendere atto che, probabilmente, l’azione che ha trovato concretezza il 10 maggio 2010 sia stato un atto dovuto, anche per rintuzzare eventuali attacchi dei piccoli azionisti che si fossero sentiti, non tutelati dall’unico soggetto , la società Juventus per l’appunto, legittimato a fare valere le proprie ragioni nelle opportune sedi.

Infatti vi sono azioni giudiziarie che sono prerogativa dell’esponente per ottenere risposte sollecite, ma la società ha optato per la “vigilanza”.

D’altra parte non ci si poteva aspettare molto di più da chi, in cinque anni, non ha avvertito il bisogno di ascoltare le ragioni di un management, che sta dimostrando la sua innocenza, da cui ha subito preso le distanze, e contro cui ha, addirittura, promosso azioni legali, miseramente fallite.

E sono sempre più di attualità le dichiarazioni fatte da Elkann al giornale di famiglia, poco prima della presentazione dell’esposto, con lo scopo di tranquillizzare un ambiente che potesse essere disturbato da tale iniziativa: le regole esistono e vanno rispettate, in nessun caso la Juve chiederà di riaprire i vecchi processi.

Dobbiamo quindi rassegnarci all’atteggiamento, passivo della Juventus e ascoltare chi ci invita a mettere una pietra sul passato?

ASSOLUTAMENTE NO

Elkann proprio in questi giorni, per scopi suoi, ha chiamato a raccolta i tifosi.

Noi dobbiamo proseguire con iniziative comuni come quella di oggi, con l’obiettivo di stanare, in primis Abete e Palazzi e costringerli a far pagare i cartonati, inchiodandoli alle loro responsabilità ; contemporaneamente mettere con le spalle al muro proprietà e dirigenza che da troppo tempo ci stanno prendendo per i fondelli. E’ indispensabile, pertanto, unire le forze e promuovere azioni che possono spaziare: da manifestazioni pubbliche a proteste organizzate presso le sedi del “potere”, fino al boicottaggio collettivo di prodotti e abbonamenti televisivi.

Questa è l’unica strada per riappropriarci della dignità.

Probabilmente siamo una forza in diminuzione ma ancora molto consistente ed indispensabile per la sopravvivenza del calcio italiano, Non perdiamo altro tempo e cominciamo a dar corso ai fatti.

Consideriamo questi dodici mesi che sembra siano trascorsi invano, come un periodo per caricarci ancor di più e facciamoci trovare pronti quando vi saranno le assoluzioni.

Perché a quel punto, cadranno tutti gli alibi.

Noi non molliamo.


Raccogliamo con piacere l’invito dell’amico Onofrio, redattore del sito “Juvenews.net” con il quale ho avuto la possibilità di collaborare in passato (dietro lo pseudonimo di “zebrabianconera10”) e di cui Roberta è attualmente redattrice.
Cliccando sul banner qui sotto potete trovare la descrizione dell’iniziativa.
Nella speranza che, poco alla volta, tutto il web dipinto di bianconero un domani riesca a riunire le proprie forze verso un comune obiettivo

Thomas e Roberta

Juvenews.net

domenica 8 maggio 2011

Lo scudetto del Milan e la scelta dell'allenatore della Juve



Alla fine è stato il Milan a conquistare lo scudetto, così come in molti avevano pronosticato ad inizio campionato. C’era soltanto una squadra, oltre a quella rossonera, che poteva seriamente ambire a (ri)vincerlo: l’Inter, detentrice del tricolore da quattro anni a questa parte (nel calcio, piaccia o non piaccia, si considerano solo i titoli meritati sul campo) e passata di mano da Mourinho a Benitez senza che le venissero fatti i necessari ritocchi nel calciomercato estivo. Aspettare la riapertura della sessione invernale per intervenire è stato un errore fatale per le speranze dei nerazzurri, così come a nulla è valso scaricare esclusivamente sull’allenatore spagnolo le colpe di un avvio di stagione stentato. Da una parte o dall’altra, la convinzione generale ai nastri di partenza era che lo scudetto, comunque andassero le cose, non si sarebbe spostato da Milano.

Nel corso della prima partita che i rossoneri disputarono in questo campionato, a "San Siro" contro il Lecce (29 agosto 2010), Ibrahimovic guardò giocare i propri compagni comodamente seduto in tribuna. Appena acquistato dal Milan, non poteva ancora scendere in campo. Il Diavolo vinse 4-0 grazie ad una doppietta di Pato e alle reti messe a segno da Thiago Silva e Filippo Inzaghi: tolto lo stesso Inzaghi (infortunatosi poi nel prosieguo della stagione) e inserito al suo posto lo svedese, ecco pronta una lista di alcuni tra i principali artefici dello scudetto numero diciotto conquistato dai rossoneri.

Da un allenatore all’altro: se Benitez non si mostrò capace di integrarsi positivamente all’interno dell’ambiente nerazzurro, a Massimiliano Allegri - invece - nel suo nuovo mondo milanista l’operazione è riuscita alla perfezione. Tra i due esiste un nome che unisce le loro recenti esperienze in panchina: quello di Leonardo, l’attuale tecnico dell’Inter. La scorsa stagione guidò i rossoneri conducendoli al terzo posto attraverso il suo calcio offensivo legato alla fantasia degli interpreti, in questa ha portato il proprio credo dall’altra sponda del Naviglio, raccogliendo i cocci della gestione dello spagnolo e potendo beneficiare di innesti importanti giunti dal mercato di riparazione.

Allegri iniziò la stagione a Milanello continuando l’opera progettata dal suo predecessore, per poi smantellarla poco alla volta creando una formazione a sua immagine e somiglianza. Fuori dal gruppo dei titolari Ronaldinho ("Il nostro Usain Bolt? Si chiama Ronaldinho: era il sogno degli sportivi di tutto il mondo e può tornare quello di prima", disse di lui Berlusconi il 18 agosto 2009), consegnata la squadra in campo a Ibrahimovic dopo aver protetto la difesa con una linea di mediani da far invidia al migliore dei catenacciari, ha poi rimesso la qualità nell’undici di base una volta trovato il giusto equilibrio tra i reparti. A quel punto anche l’assenza dello svedese in alcune gare determinanti è stata ben suffragata dal comportamento del resto dei compagni. Il confronto tra quanto accaduto nei due derby della Madonnina quest’anno rappresenta la classica "prova del nove": all’andata il Diavolo vinse con un goal dello svedese su rigore; al ritorno (dall’altra parte c’era già Leonardo) spazzò via i nerazzurri con un secco 3-0 (doppietta di Pato e rete di Cassano), senza la possibilità di disporre dell’apporto di Ibrahimovic.

Ora che ha vinto il tricolore Allegri è così riuscito a ripetere le prodezze di Arrigo Sacchi, Fabio Capello e Alberto Zaccheroni, capaci di conquistare lo scudetto sulla panchina del Milan al primo tentativo. I quattro allenatori in questione, in realtà, hanno un altro aspetto in comune: nelle loro esperienze di club precedenti a quella rossonera non avevano vinto nulla di importante, tranne qualche riconoscimento a livello personale (una "Panchina d’oro" sia per Zaccheroni che per lo stesso Allegri).

Analoga situazione capitò anche a Marcello Lippi in casa Juventus: venne scelto dalla Triade per riportare a Torino uno scudetto che mancava da otto stagioni, nonostante nel suo palmarès non figurassero trofei. Tanto l’allora dirigenza bianconera quanto quella rossonera si sono dimostrate in grado di individuare le persone giuste cui affidare la gestione di spogliatoi infarciti di campioni, spesso e volentieri con caratteri difficili da far coesistere tra di loro e con squadre da plasmare in fretta per raggiungere obiettivi prestigiosi.
Nel corso degli ultimi anni, poi, è anche capitato che un tecnico passasse da una delle sue società all’altra: fu così tanto per Ancelotti, che non riuscì a raccogliere quanto di buono seminato sotto la Mole per poi fare incetta di consensi (e titoli) a Milano, quanto per il già citato Capello, che terminata l’epopea rossonera e le esperienze madrilista e romana vinse gli ultimi due tricolori bianconeri sotto la Mole. Non è stato un caso se per quindici stagioni, dal 1991 al 2006, tranne in due occasioni (Lazio e Roma) lo scudetto è sempre andato alla Vecchia Signora o al Milan: erano semplicemente i club migliori presenti in Italia, gestiti dalle persone più competenti in materia.

All’attuale Juventus manca la qualità per tornare a vincere, quella che - seguendo le promesse dirigenziali - verrà aggiunta nella rosa bianconera a partire dalla prossima estate. Ancora non è dato sapere il contenuto del "piano ambizioso" citato recentemente da John Elkann che possa consentirle di tornare sui livelli di eccellenza sportiva che le competono, così come è prematuro parlare di cifre da investire nel prossimo calciomercato, nell’attesa - oltretutto - di conoscere quanto (e cosa) verrà detto nel consiglio di amministrazione fissato per il prossimo 11 maggio.

La recente vittoria del Milan - nel frattempo - ricorda (più che insegnare) come la scelta dell’allenatore, per quanto realmente possa incidere sugli esiti finali di una competizione (e qui vi sono dibattiti che durano da una vita), rappresenta un aspetto da non sottovalutare, dato che potrebbe consentire ad un club di disporre di un ulteriore valore aggiunto rispetto ai diretti contendenti.
Certo, deve essere fatta dalle persone giuste. D’altronde d’ora in poi nessuno potrà più permettersi di sbagliare o nascondersi di fronte alle difficoltà di una "rivoluzione" societaria.
Conta vincere, soltanto quello. E’ meglio ricordarlo, ogni tanto…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 6 maggio 2011

La vittoria in rimonta della Juve di Lippi sul Chievo di Del Neri



Nel momento in cui venne stilato il calendario del campionato di serie A per la stagione 2001-02, l'attenzione della maggior parte degli sportivi si concentrò sulla terza giornata, laddove era stato previsto che il piccolo Chievo, la matricola neopromossa per la prima volta nella sua storia nella massima divisione, avrebbe dovuto affrontare la grande Juventus allo stadio "Delle Alpi" di Torino. L'interesse suscitato dall'incontro tra realtà calcistiche così differenti aumentò notevolmente dopo la disputa delle due precedenti gare, dato che entrambe le squadre erano state le uniche - tra le diciotto partecipanti - in grado di fare bottino pieno, insediandosi solitarie in testa alla classifica con sei punti. Chi volle spargere intorno all'evento un po' di poesia (mista a fantasia) arrivò a definirlo uno "scontro diretto al vertice".

Pochi istanti prima dell'inizio della partita, giocata sabato 15 settembre 2001, i calciatori si raccolsero intorno al cerchio del centrocampo tenendosi per mano per commemorare le vittime degli attentati terroristici del martedì precedente negli Stati Uniti. Il crollo delle Torri Gemelle, lo schianto di un aereo sul Pentagono, i messaggi video di Osama Bin Laden: anche se il mondo era ancora sotto choc per quanto accaduto in quel famoso 11 settembre, in Italia venne deciso di non fermare il campionato e di proseguire con la disputa degli incontri così come programmato in precedenza.

L’avvio della gara sembrò confermare i pronostici della vigilia: la Juventus si mostrò subito intraprendente, mettendo in seria difficoltà gli ospiti. Gianluca Zambrotta, laterale destro del centrocampo di Madama, trovò gli spazi dove affondare i colpi nella linea difensiva del Chievo: prima riuscì con un assist a mettere Nedved solo davanti a Lupatelli, bravissimo ad impedirgli il goal e fortunato nella successiva respinta, dato che Del Piero - a causa dell’involontario disturbo di Tacchinardi - falliva il bersaglio a porta vuota; dopo fece pervenire allo stesso numero dieci bianconero un pallone invitante (ma un po’ troppo angolato per essere sfruttato a dovere) a pochi metri di distanza dall’estremo difensore clivense.

Messo alle strette dall’intraprendenza degli uomini di Lippi, il Chievo non si fece intimorire, trovando la forza di reagire proponendo quelle veloci trame offensive tipiche del suo gioco. Al 9' arrivò così il goal del vantaggio degli ospiti: su un calcio d'angolo battuto dai gialloblù, Buffon, uscito dalla porta per impadronirsi del pallone, perse in maniera goffa il controllo della sfera lasciandola cadere sui piedi di Marazzina che - appostato vicino a lui - potè così spingerla agevolmente in rete. In merito all'episodio, una volta terminata la gara, il numero uno juventino confessò il proprio dispiacere: “Sono cose che capitano a chi gioca molto: volevo uscire di pugno ma all’ultimo momento ho cambiato idea, e così ho combinato il pasticcio”. Arrivato a Torino durante l’estate per sostituire l'olandese Edwin Van der Sar, autore di alcune gravi disattenzioni nel corso della sua permanenza sotto la Mole, il portiere della nazionale azzurra incappò in una delle poche giornate negative di quella che poi sarebbe divenuta - nel tempo - una lunga militanza in maglia bianconera.

Colpita all'improvviso, Madama subì l'aggressività dei clivensi, che aumentarono gradualmente la pressione esercitata sui padroni di casa e realizzarono il loro secondo goal al 20'. A differenza della rete del vantaggio iniziale, frutto di un errore casuale, questa fu un vero e proprio gioiello: l'azione si sviluppò sulla fascia destra per concludersi - dopo due colpi di tacco, uno successivo all'altro - dentro l’area di rigore juventina, dove Perrotta servì ancora Marazzina abile a smarcarsi dal controllo dei difensori avversari per battere nuovamente Buffon.

Ferita nell'orgoglio, la Vecchia Signora lasciò da parte i convenevoli e si lanciò all'assalto degli ospiti: trascorsi soltanto due minuti, Tacchinardi scaricò tutta la rabbia accumulata in un potente tiro che si insaccò sotto la traversa della porta difesa da Lupatelli. Dimezzato lo svantaggio, la Juventus continuò ad attaccare alla ricerca del pareggio: a Trezeguet venne annullata una rete regolare a seguito di un'errata segnalazione di fuorigioco ad opera del guardalinee, mentre Nedved e lo stesso francese (servito da un altruista Del Piero) non riuscirono a siglare il goal del raddoppio.
A consentire alla Juventus di arrivare alla fine del primo tempo sul risultato di 2-2 pensò Igor Tudor, grazie ad un colpo di testa vincente su un ottimo assist confezionato da Del Piero direttamente da calcio di punizione. Il croato, difensore di ruolo e inserito sulla linea mediana da Lippi a far coppia con Tacchinardi, era riuscito a farsi apprezzare per la duttilità mostrata in campo, come ebbe a dichiarare il compagno di reparto: “Tudor ha sorpreso pure me: quando l'ho visto a centrocampo ero perplesso, adesso invece rischia di diventare un mio concorrente”. Orfana di Zidane (ceduto al Real Madrid) ed in attesa del rientro di Edgar Davids giunto ormai al termine del periodo di squalifica inflittogli per essere stato trovato positivo al nandrolone, la Vecchia Signora stava cercando nuove strade per sopperire alla mancanza di gioco (non di risultati) espressa nelle prime giornate di campionato. Lo ammise anche Tacchinardi: “Forse ci stavamo appiattendo su un solo tipo di gioco, e inconsciamente facevamo fare tutto a Zidane, più ancora di quanto fosse giusto. La partenza di Zizou probabilmente ha liberato nuove energie, e ha responsabilizzato di più tutti gli altri. Poi, come al solito, le novità portano entusiasmi”.

Incassati i complimenti di Lippi (“È lui il nostro simbolo. Si era già fatto male e invece è andato a rischiare la faccia nell'area avversaria”), Tudor venne spostato in difesa dopo che il tecnico ad inizio ripresa decise di togliere dal campo Cristian Zenoni per fare spazio ad O’Neill, mentre in attacco vennero inseriti Salas al posto di Trezeguet e Nicola Amoruso per Del Piero. Schiacciato il Chievo nella sua metà campo per quasi tutta la durata del secondo tempo, la Juventus riuscì a ribaltare il risultato al 38', quando un tocco di braccio di Moro causò il successivo calcio di rigore trasformato dal neoentrato cileno. L'assegnazione del penalty diede origine ad un focolaio di polemiche, spento con signorilità nel dopo gara da Luigi Del Neri, il tecnico dei clivensi: "Il rigore non c’era? Non voglio commentare l'operato degli arbitri, quest'anno con il fuorigioco noi del Chievo daremo loro molto da fare, ma sono tutti bravi. Abbiamo perso, ma sono contento per come abbiamo giocato. L' importante a Torino non era vincere, ma dimostrare che possiamo stare in serie A con le altre".

Contento per il risultato ottenuto, Marcello Lippi rese onore ai vinti: "La Juve ha sofferto? Be', facciamo prima di tutto i complimenti al Chievo, che si è presentato qui con una grande condizione atletica e tecnica. Noi alla fine del primo tempo eravamo un po' nervosi, ma siamo stati bravi a restare compatti, a procurarci molte occasioni. Alla fine, credo che la Juve abbia vinto con merito. Qualche smagliatura ancora c'è, ma siamo in crescita: e poi nessuno alla Juve crede di essere imbattibile".
Quella contro il Chievo fu la prima rimonta di una stagione che avrebbe visto la Juventus sorpassare l'Inter in vetta alla classifica nel corso dell’ultima giornata del campionato, con la conseguente conquista dello scudetto numero 26.
Avvenne il 5 maggio 2002. Una data che sarebbe rimasta per sempre impressa nella memoria dei tifosi bianconeri…

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martedì 3 maggio 2011

La Juve si rilancia a Roma. E quella frase di Moratti...


"Il nostro dovere è di non lasciare nulla di intentato e l’obiettivo quindi è di fare il massimo dei punti nelle ultime quattro partite". Con queste dichiarazioni Del Neri descrisse lo spirito che animava la Juventus prima dell’incontro disputato ieri sera a Roma contro la Lazio.
Così espresse, in tutta sincerità, sembravano dare origine ad una versione "mascherata" del famoso concetto delle quattro finali consecutive da vincere, senza che comunque venisse stravolto il significato.

Nella sostanza, in effetti, variava poco: per dare un senso alla parte conclusiva della propria stagione alla Vecchia Signora non restava altro da fare se non provare a cogliere successi in tutte le gare rimaste a disposizione, per poi guardare - di volta in volta - cosa sarebbero state in grado di combinare le squadre davanti a lei in classifica.

Indossati i panni della sfavorita, espugnando lo stadio "Olimpico" la Juventus è riuscita a rilanciarsi, rovinando - nel contempo - i piani dei biancocelesti: senza i tre punti della mancata vittoria contro Madama la trasferta che dovranno affrontare ad Udine domenica prossima è diventata estremamente delicata. In caso di sconfitta verrebbero superati dai friulani; con un pareggio dovrebbero sperare in un risultato positivo del Milan contro la Roma per mantenere il quarto posto. In ogni caso adesso alla Lazio manca quel distacco necessario sulle dirette contendenti per giocarsi le ultime due giornate del torneo con relativa tranquillità, lasciando loro i posti disponibili per partecipare all’Europa League. Gli spiccioli, in pratica.

Madama era arrivata nella capitale forte di un miniciclo di sei risultati utili consecutivi, frutto di tre vittorie e altrettanti pareggi: troppo poco per fare salti in alto in classifica, abbastanza per rimanere nei dintorni degli obiettivi minimi ed alimentare ogni tanto nell’ambiente speranze di un balzo finale che le potesse consentire di dare (come detto) un senso alla stagione.
Le capitò una cosa simile anche ad inizio campionato, quando dalla sconfitta casalinga contro il Palermo (23 settembre 2010) a quella col Parma (sempre a Torino, 6 gennaio 2011) passarono tre mesi e mezzo e tredici incontri, di cui soltanto sette vinti. Quello, però, era il momento buono per cavalcare l’onda dei risultati positivi e raccogliere il più possibile, a fronte di momenti difficili che prima o poi, così come successo, sarebbero arrivati.

Sommati i (pochi) punti conquistati ad oggi dalla Juventus con quelli (molti) dilapidati nel corso dell’anno, è aumentato il rammarico per quanto poteva essere e non è stato. Non si sta certamente parlando di scudetto, quanto di poter accedere alla prossima edizione della Champions League entrando dalla porta di servizio, se non - addirittura - da quella principale. Infortuni a parte, una delle principali cause che hanno portato alla situazione attuale è la carenza di campioni di elevato spessore tecnico nella rosa a disposizione di Del Neri, quelli che aiutano non soltanto ad aumentare la qualità del gioco in mezzo al campo, ma consentono anche di avere a disposizione la personalità indispensabile per vincere quelle gare il cui risultato rimane in equilibrio sino al novantesimo minuto.
I campioni, quelli veri, oltre alla classe aggiungono la voglia di imporsi tipica di chi non si arrende (e non si accontenta) mai. Ovviamente non è un caso se nel corso delle ultime due stagioni la Juventus è riuscita ogni tanto a tirare fuori la testa dalla sabbia in concomitanza con le giornate in cui Del Piero l’ha presa per mano.

Prima dell’infortunio di Quagliarella si diceva che le mancasse una punta di peso fisico e specifico che potesse consentirle di "chiudere" quelle partite nelle quali era indispensabile il classico colpo del kappaò per avere ragione dell’avversario di turno; a seguito di quanto capitato all’attaccante di Castellammare di Stabia la Vecchia Signora rimase con poche munizioni nel reparto offensivo per due settimane (e tre gare: Bari, Sampdoria, Udinese) anche a causa dello stop forzato di Toni trascorsi pochi giorni dal suo arrivo a Torino, raccogliendo la miseria di quattro punti.

Il successivo innesto di Matri non bastò per colmare le lacune che - nel frattempo - si erano manifestate in altre zone del campo. Una squadra come la Juventus che in trentacinque gare di campionato non è in grado di vincerne sette dopo essere passata in vantaggio, accumula nove sconfitte, ha una media inglese di "- 13", subisce quarantadue goals (contro i ventitré del Milan o i trentatré della stessa Lazio) e totalizza due punti in più di quanto realizzato lo scorso campionato, più che di rimpianti deve parlare di errori. Di programmazione e di gestione, senza dimenticare come la sfortuna - per diverso tempo - è stata una cattiva compagna di viaggio.

Anche se, come ha correttamente osservato Del Neri al termine della gara disputata ieri sera, nell’arco di un’intera stagione ci sono pure situazioni nelle quali si riesce ad ottenere più di quanto si meriti: sempre la Lazio, giusto per fare il nome di una "vittima" dei bianconeri tanto all’andata quanto al ritorno, nonostante le buone prestazioni non è riuscita a racimolare contro la Juventus neanche un punticino a causa della sconfitta di Roma e di un goal a tempo abbondantemente scaduto di Krasic con la complicità di Muslera a Torino.

Adesso rimangono tre giornate (e nove punti) per sperare in un quarto posto difficile, ma ancora non impossibile. Nel frattempo il presidente dell’Inter Massimo Moratti "scuce" il tricolore dalle maglie della sua squadra per porgerlo al Milan: "Chi vince lo scudetto lo merita sempre". Chissà se lo avrà detto anche davanti al procuratore federale Palazzi nell’incontro che ebbero poco più di un mese fa, quando discussero degli anni in cui era la Juventus a fare raccolta di tricolori.
Queste parole non avranno certamente fatto piacere ad Andrea Agnelli, mentre John Elkann ha già fatto sapere di essere proiettato nel 2014: "I miei sentimenti sono legati alle cose che faremo in futuro. Non ho nessun tipo di attitudine nostalgica".
Solo chi è juventino può capire…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com