mercoledì 30 giugno 2010

Piaccia o non piaccia...


Breve spazio personale.
Mi ritaglio cinque minuti nel corso di una giornata dedicata ad una battuta di pesca con mio padre, e prima di un compleanno (quello di Diego, un fratello più che un amico) da festeggiare tra poco.
Prometto che da domani tornerò a parlare di Juve.

“Piaccia o non piaccia”, l’allievo (il principiante, per meglio dire) ha battuto il maestro.
Azzurro, in passato, con la nazionale di pesca a mosca, scrittore oggi (Magie Immerse).
Lui.

Pecora “nera” della famiglia.
Io.
D’accordo: ogni tanto la (mia) mosca finta si attacca a qualche foglia di qualche ca… d’albero che qualcuno ha pensato bene di far crescere laddove le trote preferiscono cibarsi.
Va bene: ogni tanto i sassi dietro di me “spuntano” le punte delle mie esche senza che io riesca a rendermene conto (hai voglia di trascinare, poi, i pesci a riva. Ti salutano scodinzolando che è un piacere).
Ok: a volte sono un po’ comico quando non recupero il finale mentre mi avvicino ad una preda, intrecciando le gambe come il miglior Ronaldinho con il rischio di cadere nell’acqua.
Ma quello che conta è il risultato finale: nell’almanacco dei ricordi, oggi ho vinto io.
E chissenefrega delle polemiche (che arriveranno)...
Nessuna moviola disponibile: né sul fiume, né al ristorante.

Tra il primo tempo (il mattino) e il secondo (il pomeriggio), pranzo offerto dal “senior”.
A base di cinghiale.
Catturato e cucinato da un suo amico apposta per noi: chapeau.
Il tutto accompagnato da un buon vino rosso (Gutturnio)

Ps: ehi, tu. Lì sulla panchina... Ricordi cosa ti scrissi tempo fa? (leggi qui)
Avevo bisogno di “sbloccarmi”. E l’ho fatto…


domenica 27 giugno 2010

Avanti così, Marotta


Nel 2003-04 il Milan aveva trionfato in Italia: l’arrivo di Kakà dal São Paulo gli permise di creare un centrocampo monstre, con il brasiliano utilizzato come vertice alto di un reparto completato da(i migliori) Pirlo, Gattuso e Seedorf. A Shevchenko, Tomasson e Filippo Inzaghi, in attacco, il compito di tramutare in goals tutto quel ben di Dio che arrivava dalle loro spalle. La Juventus? Terza, mai veramente in gioco, a 13 punti dai rossoneri nella classifica finale. Nel mezzo, l’ultima Roma di Fabio Capello.

In casa bianconera i colpi della precedente sessione di calciomercato furono Legrottaglie, Appiah e Miccoli. Dopo due scudetti conquistati consecutivamente, si pensò che potesse bastare una limatura alla rosa per continuare a vincere, convincere o essere comunque competitivi, in Italia e in Europa. Così non fu, e si rese necessario intervenire in maniera massiccia per rinforzare la squadra.

Nell’estate del 2004 vennero acquistati (tra gli altri) Cannavaro in difesa, Emerson a centrocampo, Ibrahimovic in attacco: una spina dorsale completamente ricostruita, un trio che permise alla Vecchia Signora di tornare immediatamente alla vittoria con 86 punti finali, prima dei 91 dell’anno successivo. E di Farsopoli. Fabio Capello fu l’ultimo pensiero, tramutatosi in regalo ai tifosi bianconeri, che Umberto Agnelli dedicò alla sua Vecchia Signora.

Ora non c’è una spina dorsale da rimodellare come nel 2004: ci sono "una cultura e disciplina sportiva" da riportare "nello spogliatoio"; c’è una "distanza dai rivali, che si è creata in questi anni" che "richiede un percorso complesso", prima di essere colmata. Il neo Presidente lo ha scritto in una lettera aperta a tutti i tifosi bianconeri, dopo poco più di un mese dal suo insediamento. Quelle parole, ora, anche se lasciate su internet, rimarranno "scolpite nella pietra".

Scontrarsi con la (dura) realtà, è quello che Andrea Agnelli ha fatto nel momento stesso in cui ha maturato la decisione di guidare la Juventus. Sa cosa lo aspetta: la parola "pazienza", in Italia, non esiste. Meno che mai a Torino.
Ma proprio con la pazienza ha iniziato a costruire "tre" squadre: quella dirigenziale e le due, sotto l’aspetto tecnico, che dovranno affrontare una stagione che – grazie all’infelice gestione precedente – inizierà prestissimo, a causa dei preliminari della prossima Europa League previsti per il 29 luglio prossimo (la gara di andata).

Di quel trio di campioni acquistati sei stagioni fa, era rimasto il solo Cannavaro: ora lo aspetta un’esperienza in Arabia Saudita (Al Ahli). Qualche altro giocatore di quella rosa (Trezeguet, Camoranesi, Zebina) è sul piede di partenza: cederli sembra difficile quanto acquistare un fuoriclasse. Prima o poi arriverà il momento di affrontare anche queste situazioni delicate, requisito indispensabile per poter procedere alla ristrutturazione della squadra.

Tra i nuovi arrivi, domani Leonardo Bonucci e Jorge Martinez saranno a Torino per sostenere le visite mediche e per ultimare tutti gli aspetti contrattuali.
La Juventus li voleva, e Marotta - soprattutto per il giovane difensore - ha dovuto affrontare una delicata situazione derivante dal cartellino del giocatore, sino a pochi giorni fa a metà tra Bari e Genoa. Nessun tentennamento, da parte sua. Nonostante l’avvicinarsi della scadenza del 25 giugno ed il rischio concreto di andare alle buste. Lo ha preso, alle condizioni a lui gradite. Ed è quello che conta.
Non ci eravamo più abituati, inutile nasconderlo.

Sembrano lontani i tempi in cui la precedente gestione bianconera organizzava CDA in continuazione alla nascita di ogni trattativa importante, reclamizzandoli talmente tanto da rendere difficilissime anche quelle - almeno all’apparenza - banali. La naturalezza con la quale Marotta ha portato a compimento queste prime operazioni di mercato, se messe a confronto con il recente (disastroso) passato juventino, rende l’idea dei primi passi realmente mossi dalla nuova società. Poi, naturalmente, il campo dirà le sue "verità".
Avanti così. Nell'attesa dell'acquisto di qualche campione...

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Un'anteprima sulle nuove (orribili) maglie...

sabato 26 giugno 2010

Marcello Lippi dalla Juve all'Italjuve



"No, non siamo questi. Non possiamo essere questi". Lippi non ci credeva, dopo aver guidato la nazionale nell’amichevole contro il Messico, ultimo test prima del via di questi mondiali.
Invece era proprio così: l’Italia era brutta, e tale è rimasta per tutta la durata della sua (breve) partecipazione alla manifestazione sudafricana.

In campo, quella sera (3 giugno), c’erano sia Buffon che Pirlo. E il problema della mancanza di gioco si sentiva forte, così come l’assenza di identità di una squadra che ruotava intorno agli schemi per trovare certezze. Troppo tardi: con l’esordio contro il Paraguay alle porte, queste convinzioni avrebbero dovuto già essere in cantiere. Marchisio provato trequartista era la fotografia di un gruppo senza una guida sicura delle proprie idee. Da Lippi ci si aspettava quel qualcosa in più che compensasse il "gap" di tasso tecnico che separava l’Italia - almeno nei pronostici iniziali - da Argentina, Brasile, Inghilterra e Spagna.

Capace di stravolgere la squadra a partita in corso, in questa competizione lo ha fatto "prima" di ogni gara. Alla fine ne è nata una confusione della quale gli stessi giocatori ne sono stati vittime. Tramutandole, in alcuni casi, in alibi dietro i quali nascondere le loro infelici prestazioni. Già prima dell’incontro con il Paraguay si era visto che Pirlo non era sufficiente a illuminare il gioco degli azzurri: bloccato lui, la nazionale diventava lenta e prevedibile. Iniziare il mondiale con la sua assenza è stata la mannaia sulle speranze di un cammino che difficilmente avrebbe portato alla vittoria, ma quantomeno avrebbe dovuto evitare una figuraccia simile.

Dal "massimo" (2006, in Germania) al "minimo" (oggi): il tutto in quattro anni. Sono passati due allenatori (Donadoni e il Lippi-bis), ma non sono sbocciati nuovi talenti al livello di quelli che avevano portato la nazionale in cima al mondo. Si rimpiangono gli assenti (Cassano, Balotelli, Miccoli, D’Agostino,…) ma i problemi erano (e rimangono) ovunque. Cambiando l’ordine dei calciatori, il risultato non cambia: perché la qualità è quella. Basta leggere la lista dei giocatori che dovrebbe far parte del nuovo gruppo di Prandelli per capire che la ricostruzione sarà lunga e non priva di ostacoli. Se si vogliono creare illusioni, allora si prepari il plotone d’esecuzione per le prossime critiche all’ex tecnico dei viola.

Certo, spremendo il gruppo sin dove possibile, su qualche risorsa si sarebbe potuto/dovuto puntare maggiormente: quel Quagliarella in panchina sino all’inizio del secondo tempo della terza (e ultima) partita (decisiva), grida ancora vendetta. Il suo goal, quello del pallonetto e della crudele illusione di un pareggio da raggiungere all’ultimo istante di gara, oltre ad essere stato un bellissimo gesto tecnico dava l’idea della serenità e delle convinzioni interiori di un ragazzo lasciato - sino ad allora - ai margini del torneo. Non aver "visto" in allenamento questo, rappresenta un errore non da poco l’ormai ex Commissario Tecnico. Ma difficilmente l’attaccante partenopeo ci avrebbe fatto vincere questa competizione, o risolto le mancanze di gioco, idee, tecnica e condizione fisica degli azzurri.

Le vittorie di Lippi sono nate sotto il segno del furore agonistico delle sue squadre: la nazionale e "le" Juventus che ha guidato lo testimoniano. Nei primi due anni a Torino chiese a Vialli, Ravanelli e Del Piero - in fase difensiva - di fare anche i terzini. Trascorsi 24 mesi di vittorie e chilometri percorsi sui campi di gioco, capì (con la vecchia dirigenza) che ai primi due non c’era più molto da chiedere (l’età, oltretutto, avanzava): vennero così sacrificati sull’altare di un cambiamento che portò Zidane (trequartista) e Boksic (attaccante) in bianconero, con il successivo avanzamento dello stesso Del Piero al ruolo di seconda punta.

Si continuò a vincere, con la medesima "tensione" che portava la squadra a cercare di imporre il proprio gioco ovunque e contro chiunque. Il resto, è storia. In nazionale non ha avuto la possibilità di sacrificare qualche uomo in funzione delle sue idee: non trovando (e non credendo a) valide alternative, si è fidato di un gruppo ormai logoro, fisicamente ancor prima che mentalmente. In buona parte, composto da giocatori bianconeri (vecchi e nuovi). Anche questo, da poco, "è storia". Rimane da chiedersi se sia stato peggio nel 1966 (contro la Corea del Nord di Pak Doo Ik) o nel 2010. Ma anche in questo caso, cambiando l’ordine delle umiliazioni, il risultato non cambia: è stato un fallimento, e tale rimarrà nel tempo.

Dai trionfi alle sconfitte, dalle imprese epiche alle umiliazioni: più vinci più aumentano le responsabilità, le pressioni che ti circondano. E i tonfi, quando arrivano, si sentono forti e chiari. L’essersi preso immediatamente le responsabilità di tutto quanto è successo in Sudafrica è servito - se ancora fosse necessario - a dare la dimensione di un uomo che non si è mai nascosto dietro un dito, mettendoci sempre la faccia. Anche oltre il dovuto.
Il primo Lippi in bianconero lasciò nel corso di una stagione dove già si sapeva che il suo ciclo sarebbe finito; prima di questi mondiali, era nota a tutti la scelta di Prandelli come nuovo CT della nazionale (in bocca al lupo). Per quel poco che conta, non è un caso.

Rimane il fatto che quando i fallimenti - non limitati a quanto accade nel campo di gioco ma ad un "movimento calcistico" intero - si ripetono, l’allenatore non può essere visto come il principale responsabile. Abete è ancora lì, e lì continuerà a rimanere. Nella speranza che qualcuno "sotto" di lui ripeta il miracolo di Berlino, per far dimenticare a tutti - per qualche momento - che il nostro calcio è da cambiare radicalmente. A cominciare proprio da lui.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Un pensiero (ed un ringraziamento) ad un amico, che mi ha segnalato questo simpatico video

giovedì 24 giugno 2010

I mondiali in Argentina del 1978


In un momento difficile, nella speranza che sia di buon auspicio.
Ecco le immagini di una delle più belle nazionali azzurre della storia.
Anche se non vincente.
Bisogna "ricostruire". Anche qui. E ci vuole pazienza...
Forza azzurri!
Buona visione

martedì 22 giugno 2010

"Piaccia o non piaccia"... Ruggiero Palombo!!! Finalmente...


(Fonte: ju29ro.com)

La panacea di tutti i mali arbitrali? Collina. Quel Collina che quell'anno, il 2004-05, non visse certo uno dei suoi campionati migliori, come abbiamo sentito proprio in una telefonata tra l'arbitro di Viareggio e la Fazi, o in qualche telefonata con Bergamo. Però tutti volevano Collina. Lo voleva Facchetti che abbiamo sentito prima dire a Mazzei: "Ma lì non devono fare sorteggi", per poi suggerire un escamotage basato sui "preclusi" in modo da ottenere Collina per Inter-Juve. Dalle parole di Facchetti si ricava l'impressione che sulla sponda nerazzurra fossero convinti che erano possibili dei magheggi con i sorteggi, e Mazzei fatica a convincere Facchetti che quello che chiede non è fattibile.
Cose più o meno simili doveva pensare Ruggiero Palombo, vicedirettore della Gazzetta dello Sport e grande accusatore del sistema Moggi e dei suoi presunti sorteggi truccati. Grazie alle intercettazioni "sfuggite" ora scopriamo che anche lui, come Facchetti, voleva Collina e, in una telefonata del 7 marzo 2005, rimprovera a Bergamo di non averlo inserito nella griglia di Roma-Juventus. Le spiegazioni logiche di Bergamo sono accolte con scetticismo da Palombo che dice: "Ma perché, non hai mai avuto tre arbitri con l'incompatibilità su una cosa che quello può arbitrare solo il sabato? Dai su...", portando Bergamo a rispondere: "No, no, no, noi non abbiamo mai fatto tre partite... scusami, ma perché ci volete far fare degli imbrogli? Io non posso fare una griglia con Collina che va ad arbitrare il sabato automaticamente perché ho due partite sole".
Mentre Pesciaroli, del Corriere dello Sport, aveva capito bene il sistema di composizione delle griglie, avendolo studiato e avendone compreso la base statistica, a Milano il metodo con cui venivano composte le griglie non era ben chiaro a tutti, oppure vi era un radicato pregiudizio verso i designatori e gli arbitri che non si chiamassero Collina.
Ci occupiamo di questa telefonata non perché abbia rilevanza nel processo di Napoli, ma perché la Gazzetta, per ammissione di Auricchio, è stata ampiamente utilizzata come riscontro e formazione delle prove ed è interessante, quindi, valutarne l'equidistanza, la competenza e conoscenza delle regole, come in questo caso sulle griglie, che nel processo prima avevano un ruolo solo per la famosa griglia Bergamo-Moggi ed ora si sono arricchite di altre grigliate fatte da tutti, da Facchetti in giù. La Gazzetta è quasi un testimone dell'accusa nel processo di Napoli, un testimone anomalo, ma presente sin dai riferimenti contenuti nelle informative degli investigatori.
La telefonata tra Bergamo e Ruggiero Palombo è interessante ascoltarla dopo aver letto cosa è riportato nell'informativa dell'aprile 2005, da pagina 310 in poi. Nella telefonata/lite, con parole di fuoco, avvenuta il 6 marzo tra Carraro e Bergamo, la Gazzetta è citata da Bergamo quando rimprovera Carraro di averli delegittimati e preparato già la sostituzione con Collina "perché l’ha scritto la Gazzetta, perché Lei ha incontrato Collina". Inoltre Bergamo dice a Carraro che lui con Racalbuto ci aveva parlato, dopo una prima telefonata con Carraro, ma Racalbuto "è arrivato in campo in condizioni proibitive... perché l’hanno delegittimato già dal giorno avanti!". Il 5 marzo, per esempio, Galdi sulla Gazzetta aveva scritto l'articolo "Fischia il portafortuna della Juve", nel quale si analizzava lo score dell'arbitro con la Juve e con la Roma (più o meno simili), ma si ricordava anche il precedente di Racalbuto fermato un turno dopo Cagliari-Juventus 1-1 nel quale l'arbitro era stato accusato dai cagliaritani «Ai giocatori della Juve consentiva di dire qualunque cosa, mentre noi venivamo respinti a male parole». Nell'articolo di Galdi è anche gettato lì, senza spiegazioni, un "sorteggio che si è avvalso delle «palline» della serie C perché le altre erano da tempo già state inviate a Firenze".

Nella telefonata in questione Palombo non dà del Lei a Bergamo, come farà un anno dopo nella puntata di Matrix su Calciopoli, mentre ritroviamo il solito Bergamo ascoltato in tutte le telefonate pubblicate. Pur davanti ad un interlocutore polemico e saccente, Bergamo è paziente e diplomatico, non perde la calma, fornisce tutte le spiegazioni, non viene creduto, e allora rispiega perché Collina in quella griglia non lo poteva inserire. Bergamo fa presente al suo interlocutore, che gli rimprovera di non aver fatto in modo che ci fosse Collina e non Racalbuto, che, se hanno voluto quelle regole per la composizione delle griglie e per il sorteggio (che non hanno voluto i designatori), loro devono rispettarle sempre "Non posso io a tre metterne due perché è un imbroglio. Se no le regole cosa facciamo, le aggiriamo proprio noi che siamo designatori? E come facciamo?".

E' una telefonata importante. Sancisce la fine della rubrica che Bergamo e Pairetto avevano deciso di tenere sulla Gazzetta per commentare gli episodi della giornata. Palombo esordisce comunicando a Bergamo che hanno deciso di non far loro scrivere più nulla, per evitar loro la gogna. Poi nel corso della telefonata continua a pontificare che il sorteggio non si deve fare, che il doppio designatore è morto, chiarisce di aver parlato con Carraro, che la linea sino a fine stagione è di dare fiducia ai designatori, ma che poi a fine stagione si cambia registro. Un Palombo a tutto campo, che sembra non conoscere benissimo i criteri di composizione delle griglie, ma che vuole ugualmente insegnare il mestiere a Bergamo. Un Palombo che stride un po' rispetto a quello del "Palazzo di vetro", o dell'editoriale "Pallina al centro" dopo la deposizione di Manfredi Martino.

Anche Galdi, sulla Gazzetta, insiste sui concetti espressi da Palombo a Bergamo, scrivendo, il 7 marzo: "Certo è facile trincerarsi dietro il fatto che il fischietto di Viareggio era «impegnato», in realtà l'Uefa «consiglia» di non utilizzare un direttore di gara impegnato in Champions, ma non lo vieta, tanto che il tedesco Herbert Fandel - chiamato a dirigere domani sera a San Siro Milan-Manchester United - sabato ha diretto Hamburger SV-Bayer 04 Leverkusen di Bundesliga e lo stesso Pisacreta - che era a Roma - sarà assistente di Collina".
Poi ribadisce l'8 marzo: "Resta, però, sempre il quesito: perché non c'era Collina nell'urna? Domenica Pairetto ha affidato alle agenzie il suo pensiero. Bergamo è sulla stessa lunghezza d'onda: per la «raccomandazione» dell'Uefa a non impegnare arbitri designati in Champions nelle due giornate precedenti alla partita europea. Un consiglio che i designatori prendono per legge, ma che spesso è disattesa: lo stesso Collina lo scorso anno - domenica 4 aprile 2004 - ha diretto Inter-Juventus per la 28a giornata di campionato e il martedì successivo (6 aprile) ha diretto Monaco-Real Madrid di Champions League. C'è poi Pisacreta chiamato a far da assistente proprio a Collina dopo Roma-Juventus di sabato. [...] Quello dell'Uefa è un consiglio che la Federazione tedesca, quella che ospiterà i prossimi Mondiali, disattende con una certa puntualità. Ultimi, in ordine di tempo, Merk e Fandel, che sabato hanno diretto Bayern Monaco-Werder Brema e Amburgo-Bayer Leverkusen e ora arbitreranno rispettivamente Juve-Real e Milan-Manchester United".
Vengono citati casi di arbitri stranieri che hanno diretto il sabato, mentre Collina avrebbe potuto essere estratto per la partita della domenica, se inserito nella griglia. Viene citato Pisacreta, ma gli assistenti non venivano estratti bensì designati e, quindi, era possibile designarli per il sabato. Viene ricordato il precedente di Collina del 2004, ma è la dimostrazione che, se inserito nella griglia, poteva accadere, come l'anno prima, che non venisse estratto per una partita del sabato ma per quella della domenica, contravvenendo alla "raccomandazione" dell'Uefa.

In quel Roma-Juventus si verificarono diversi episodi ma, come al solito vennero evidenziati solo quelli a favore della Juve. Riviviamoli: il primo gol della Juve è irregolare, Cannavaro segna di testa ma è in fuorigioco (lo rileva solo la moviola, la dinamica dell'azione non lo evidenzia e nessuno della Roma protesta); "L'errore è soprattutto del guardalinee Pisacreta", scrive Olivero Giovanni Battista sulla Gazzetta. "Al 25' Racalbuto non vede due falli da rigore nella stessa azione: nell'area giallorossa Dellas abbraccia Ibrahimovic e De Rossi cintura Cannavaro. Al 30' Dacourt duro su Blasi: rischia il rosso e se la cava col giallo", lo scrive la Gazzetta, che aggiunge "Al 41' episodio-chiave: Ibrahimovic riceve palla in fuorigioco (Pisacreta non se ne accorge), passa a Zalayeta che subisce il netto fallo di Dellas. Racalbuto fischia il rigore tra le proteste della Roma. In discussione non è il fallo, ma la posizione di Zalayeta: l'impressione è che il contatto avvenga qualche centimetro fuori area. [...] Nella ripresa al 20' sbaglia l'altro guardalinee Ivaldi: assist di Camoranesi e facile gol di Ibrahimovic che è in linea con il pallone e quindi in posizione regolare". Errore sul primo gol della Juve, "impressione" sul rigore, ma anche errori a favore della Roma, come un rigore non fischiato contro e le mancate espulsioni di Cufrè, per un pugno sul viso di Del Piero a gioco fermo, e di Dacourt. Errori attribuiti agli assistenti, i migliori, ma sulla graticola ci finiscono soprattutto Racalbuto, che paga con otto turni di stop, e i designatori.
Queste considerazioni, pure scritte dalla Gazzetta, sull'informativa non ci sono. C'è, invece: "Il favoritismo degli arbitri nei confronti della Juventus è notorio nell’ambiente e soprattutto, fatto questo ancora più grave, è risaputo anche dal presidente federale Carraro", ed ancora Carraro che dice: "Le dico mi raccomando..se c’è un dubbio per carità che che che che il dubbio non sia a co... a favore della Juventus dopo di che succede... gli dà quel rigore lì!?". Ancora una volta Carraro che chiede, nel dubbio, di pendere dalla parte dell'avversaria della Juve. Carraro che vede solo quel rigore e non gli errori a favore della Roma.

Il giorno dopo la telefonata tra Palombo e Bergamo, Maurizio Galdi scrive sulla Gazzetta che i designatori sono stati convocati dalla FIGC: "Collina è la persona invocata da tutti come deus ex machina per risolvere i problemi di una categoria... [...] I designatori, che fin qui lo hanno impiegato 19 volte, riservandogli un solo big match del campionato (Juventus-Roma dell'andata), non avrebbero potuto puntare su di lui per disinnescare Roma-Juventus, la partita che da luglio 2004 si sapeva per i noti motivi essere la più a rischio del campionato: Collina aveva diretto Juventus-Siena la settimana precedente e dunque non poteva arbitrare la Juve (questa bislacca regola effettivamente esiste) due volte di seguito. «In quella griglia doveva starci e fu sorteggiato perché era la stessa griglia del derby Inter-Milan» confessa candidamente Pairetto. Senza aggiungere, ma lo facciamo noi al suo posto, che si trattò, quella sì, di una vera sciocchezza".
E noi chiediamo: perché mai, visto che tutti volevano Collina, fu una sciocchezza inserirlo in una griglia nella quale c'era il derby di Milano?

A proposito della rubrica che Bergamo e Pairetto tenevano sulla Gazzetta dello Sport, per chi non lo sapesse veniva concordata con l'allora capo ufficio stampa della FIGC, Antonello Valentini, il quale sentiva Bergamo, con cui decideva gli argomenti, e infine preparava i pezzi. E anche lui amava discutere di griglie e designazioni. Qui di seguito lo potete ascoltare mentre catechizza Bergamo sulla necessità di designare Collina per Juve-Milan. Insomma come per la Nazionale siamo tutti commissari tecnici, così dietro le quinte del calcio erano tutti designatori e pretendevano di suggerire la loro ricetta.

13 dicembre 2004 - Telefonata tra Valentini e Bergamo: ascolta direttamente dal sito "ju29ro.com"

Questa che vi proponiamo in audio è la famosa telefonata tra Carraro e Bergamo del 6 marzo 2005, non inedita e inclusa nell'informativa dell'aprile 2005: ascolta direttamente dal sito "ju29ro.com"

Dunque, per la seconda volta quell'anno, almeno per quel che siamo riusciti a sapere dalle intercettazioni, troviamo il Presidente Federale intento a discutere col designatore dell'arbitro di una partita della Juve. La prima volta era capitato il 26 novembre 2004, ricordate? Prima di Inter - Juve, il 26 novembre 2004, quando Carraro si raccomandò affinché nel dubbio Rodomonti non fischiasse per la Juve, proprio mentre nelle stesse ore Facchetti faceva pressione su Mazzei e Bergamo perché voleva Collina. E quella partita, ricordiamo, finì 2-2, con l'Inter che riuscì a raggiungere il pareggio in extremis, e con Pairetto e Rosetti che in seguito giudicarono quell'arbitraggio filo-Inter.
Questa telefonata è simile a quella pre Inter-Juve, l'unica differenza è nel fatto che stavolta, invece che prima, arriva dopo la partita. Ma il succo è lo stesso: Carraro ricorda a Bergamo che quando la Juve incontra la Roma, così come era capitato per l'Inter, e Collina non viene designato, il designatore deve istruire l'arbitro a fischiare nel dubbio contro la Juve.
Alla faccia della cupola moggiana.

domenica 20 giugno 2010

Andrea Agnelli e il bambino dal caschetto biondo


"Andrea Agnelli veniva spesso a Villar per seguire gli allenamenti della Juventus. Lo vedevo arrivare con il padre, un bambino dolcissimo e molto educato, con il suo caschetto biondo e l’aria sempre molto seria. Era curiosissimo. Guardava tutto, non gli sfuggiva niente, innamorato della Juventus e del pallone fin da quando aveva sei o sette anni".
Questo è un estratto del ricordo che Salvatore Giglio, storico fotografo della Vecchia Signora, confidò al taccuino di Guido Vaciago ("Tuttosport") poco più di un mese fa.

La passione per il calcio e l’amore verso i colori bianconeri coltivati sin dalla tenera età, grazie alla guida esperta del padre, Presidente - anche lui - della Juventus. Il giocattolo della Famiglia, "una passione, uno svago" che l’Avvocato cercava di regalare ai tifosi perché la domenica si potessero divertire.

Pepe e Martinez come primi tasselli di una squadra da ricostruire partendo dalle fondamenta. Perché tra quello che è mancato nel corso del campionato appena concluso ci sono stati anche "loro": i corridori, quelli capaci di mettere il cuore oltre la tecnica. Le fasce trascurate diventano il centro delle principali attenzioni di questo inizio di calciomercato. Prima quelle offensive; a ruota, sarà il turno di quelle difensive.

Buffon e i suoi problemi come simbolo di quei pochi, grandi giocatori rimasti all’alba del terremoto del 2006: usati e usurati senza averne prevista la sostituzione per tempo. Una squadra che ripartiva proprio da quei reduci, che con un mix di giovani interessanti avrebbe dovuto garantire un punto di (ri)partenza, cui aggiungere, con il tempo, veri campioni. Ne fosse arrivato anche uno soltanto all’anno, dal ritorno in serie A, adesso ci sarebbero almeno tre grandi (nuovi) giocatori attorno ai quali ripartire dopo l’ennesimo tsunami calcistico in tinte bianconere.

Che stavolta non porta il nome di "Farsopoli", ma di "fallimento". Certo: il secondo è figlio e conseguenza del primo. Senza l’altro, si sarebbe continuato a vincere chissà quanto. Ma visto che la realtà è questa, tutto il patrimonio tecnico ed economico disperso dalla precedente gestione adesso grava sulle spalle della nuova società.

"… Appena arrivava a Villar chiedeva un pallone al magazziniere Rosso e poi si piazzava dietro la porta per seguire gli allenamenti…"

Prima comprare, poi "vendere per comprare". Non soltanto per avere a disposizione la liquidità necessaria per portare avanti (e concludere) le altre operazioni di mercato, ma anche (e soprattutto) per sgravare il bilancio di ingaggi pesanti. E liberare lo spogliatoio da personalità scomode.
Se ancora ce ne fosse stato bisogno, quanto scritto da Massimo Giletti (conduttore televisivo e noto tifoso juventino) sulle pagine della "Gazzetta sportiva" della giornata odierna la dice lunga su quanto accedeva in questi anni in casa bianconera: "Pochi giorni fa Pavel Nedved mi confidò che quando segnò il gol del pareggio in una partita importante pochi compagni lo abbracciarono. In quel momento capì che la squadra giocava contro l’allenatore. Così finì la storia juventina di Claudio Ranieri".

Una rivoluzione interna senza precedenti; la gestione del patrimonio tecnico nelle mani di un uomo esperto (Giuseppe Marotta); le chiavi dello spogliatoio affidate al "sergente di ferro" Del Neri, quello che non solo avrà la società alle spalle pronta a proteggerlo (una novità, visto gli andazzi degli ultimi anni), ma anche il Presidente in persona. Chi vuol capire, capisca. E a chi non sta bene, "quella è la porta".
Poi, ultimo per citazione nella ormai famosa lettera di Andrea Agnelli ai tifosi dello scorso venerdì, ma primo per importanza, un occhio vigile (meglio due) sulle prossime decisioni della giustizia sportiva.

"…Andrea cresceva e la passione non diminuiva. A volte veniva al campo con il fratello Giovannino a cui era molto legato…"

Nel 1965, con la collaborazione del maestro di giornalismo Gian Paolo Ormezzano, Omar Sivori - campione voluto da Umberto Agnelli e "vizio" dell’Avvocato - scrisse un libro autobiografico: "Cara Juventus...".
Questo è un breve passo dell’opera:
"Quando, nel giugno del 1957, giunsi in aereo alla Malpensa, fui subito caricato su un'automobile che si arrestò soltanto al casello di Novara, sull'autostrada tra Milano e Torino. Lì mi dissero di salire su un'altra macchina, che attendeva. Al volante c'era Umberto Agnelli. "Sono due anni che ti aspettiamo" mi disse lui, sorridendo. "E io aspetto la Juventus da cinque anni", gli dissi, in uno spagnolo assai facile da capire".

Va bene partire dalle fondamenta: non si può fare altrimenti. Poi, però, si dovrà puntare in alto.
Questa è la Juventus, Andrea.
E tu lo sai bene…


Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 19 giugno 2010

Amarcord: Italia - Brasile 1982. E Gerd Müller...


5 luglio 1982. Stadio “Sarrià” di Barcellona. Italia – Brasile.
Alla vigilia dell’incontro di domani della nostra nazionale contro la Nuova Zelanda, ripropongo le immagini di quell’incontro memorabile.
Un tuffo nel passato (e al cuore…)


Visto che parliamo del “passato”, ecco un video anche su Gerd Müller. Uno dei più grandi attaccanti di tutti i tempi.



venerdì 18 giugno 2010

La lettera di un vero Presidente

Cari tifosi,

è passato un mese da quando ho assunto la presidenza della Juventus. In tantissimi mi avete testimoniato incoraggiamento, fiducia e sostegno e ve ne sono veramente grato. Il calcio, soprattutto nel periodo estivo, è fatto di parole, di interviste, di emozioni fugaci e talvolta di illusioni. Io penso che ai sogni si debbano sempre accompagnare la realtà e la sincerità, quindi oggi scelgo di rivolgermi a voi attraverso il nostro sito per raccontarvi le priorità della Juventus per i prossimi mesi.

La Squadra, quella che appassiona tutti noi, è il fulcro della nostra attività e del nostro impegno. Ecco perché l’acquisto più importante della Juventus 2010-2011 è senz’altro Giuseppe Marotta, uomo di calcio e grande conoscitore sia del mercato sia dei complessi meccanismi gestionali di una società sportiva. Jean Claude Blanc ed io stiamo garantendo al nostro Direttore Generale tutto il sostegno necessario perché possa arrivare a fine agosto con una compagine competitiva da mettere a disposizione del nostro nuovo allenatore, Gigi Del Neri. A lui spetterà il delicato compito di riportare cultura e disciplina sportiva nello spogliatoio. La distanza dai rivali, che si è creata in questi anni, richiede un percorso complesso, ma siamo consapevoli che con professionalità e passione saremo in grado di costruire una squadra capace di vincere contro qualunque avversario.

La società, che io considero l’altra squadra, sta vivendo un momento di cambiamento. Siamo tutti, dal primo all’ultimo, ognuno nel proprio ruolo e con le proprie competenze, al lavoro per garantire stabilità economica e competitività sportiva.
Personalmente sto cercando di impegnarmi senza risparmiare energie su tutti i fronti.

Sappiate inoltre che io, come tutti voi, sono in vigile attesa di conoscere le decisioni definitive della giustizia sportiva che dovrà dimostrare, di essere uguale per tutti in qualsiasi momento storico. Ecco perché farò sempre sentire la voce della Juventus in FIGC, in Lega Calcio e in ogni altra sede.

L’estate è ormai alle porte e quindi auguro a tutti voi una serena e felice estate in attesa di salutarvi tutti allo stadio!

Andrea Agnelli


(Fonte: sito Juventus)

Bene così, Andrea...

mercoledì 16 giugno 2010

La nuova Juve, Pepe e i "non ricordo"



"Nel calcio si parla di tutto, ma la cosa che conta è il matrimonio. E io il matrimonio l’ho fatto con l’Inter. La Juve? Non mi ricordo, non ho tanta memoria".
Chi ha pronunciato queste parole non è il tenente colonnello Attilio Auricchio, bensì Rafael Benitez, il nuovo allenatore dell’Inter, nel corso della sua presentazione alla stampa italiana nella giornata di ieri, alla Pinetina di Appiano Gentile.

Da Liverpool a Milano, sponda nerazzurra. Da una società che a causa dei debiti accumulati in questi anni è costretta a vendere ad una che, con quelli, ha vinto. La Juventus? Un ricordo. Il tecnico spagnolo avrà presto la possibilità di rinfrescarsi la memoria: le strade, almeno nel corso del prossimo campionato di serie A, si incroceranno di nuovo. Già sta succedendo nel calciomercato, dove gli interessi delle due parti finiscono - spesso e volentieri - con il coincidere.
Dovrà raccogliere un’eredità pesante: quella di Mourinho, e dell’empatia che era riuscito a creare con la stampa italiana prima ancora che con i tifosi nerazzurri. La vittoria è l’unico strumento per reggere il confronto: simpatici o antipatici, quella "paga" sempre.

D’Agostino alla Fiorentina, Adriano e Simplicio alla Roma, Yepes al Milan: sono alcuni dei primi "colpi" assestati all’inizio di questo calciomercato. I "botti" arriveranno più avanti: c’è il mondiale di mezzo, una "speranza" per chi vende, un "problema" per chi compra. Dalle prestazioni che i calciatori offriranno nel corso della massima manifestazione calcistica dipenderanno le valutazioni dei loro cartellini in questi mesi di giugno e luglio.

La Juventus, che di calciatori ne deve sia vendere che comprare diversi, si è trovata nella peggiore situazione possibile (dover partire quasi da zero) con un intralcio - in mezzo alla sua strada - non da poco.
Il primo acquisto concluso dal nuovo corso di Andrea Agnelli, Simone Pepe, proprio nell’esordio della nazionale azzurra contro il Paraguay ha fornito ai suoi nuovi tifosi una prova confortante: corsa, polmoni e buone iniziative sulla fascia di competenza. Fortunato il difensore laterale che lo avrà di fronte a sé: il neo juventino è un moto perpetuo, attacca e difende in continuazione nell’arco di tutti i novanta minuti.

Spesso, quando ancora non si è certi della bontà di una scelta della società, si affidano le speranze ai ricordi del passato, sfogliando l’album delle figurine nel desiderio che si possano ripetere alcune storie calcistiche a lieto fine. Pepe è cresciuto nelle giovanili della Roma così come Angelo "soldatino" Di Livio, uno dei giocatori rimasti nel cuore dei tifosi juventini anche dopo aver smesso di indossare la casacca bianconera. E’ appena arrivato dall’Udinese all’età di 27 anni; stessa cosa per la piccola ala al momento del suo acquisto, da parte della Juventus della "seconda gestione" Boniperti, nel 1993. Entrambi hanno una buona duttilità in campo: Di Livio giocò anche come terzino.
Il paragone tra i due giocatori, al di là dei ruoli simili e non soltanto per una diversità di "tempi", è attualmente improponibile. La speranza, è che - col tempo - si possa parlare anche di Pepe in termini lusinghieri. Ora in pochi sarebbero disposti a scommetterci un centesimo; all’epoca, nessuno avrebbe "speso" una lira su Di Livio (per non parlare di Torricelli…).

Lo stesso Di Livio arrivò in una Juventus con due Agnelli, Pepe ne ha appena trovato uno. Da quando il nuovo Presidente ha preso possesso della società, si è smesso di parlare di CDA e si è sentito parlare di "riunioni di mercato": sembra poco, invece è "tanto". La Vecchia Signora del 1993 aveva necessità di essere ritoccata laddove, in campo e dietro le scrivanie, il Milan di Capello era superiore. Tempo un anno, e riprese a vincere come la storia le impone.

Pepe arriva in una Juventus nuova di zecca dalla testa ai piedi. Anzi, nella "testa": perché di calciatori ("i piedi"), dopo un restyling totale della società, ne devono ancora arrivare e partire molti prima di poter dare un giudizio definitivo sull’effettiva forza della squadra. Lui è stato il primo della lista ad arrivare, mentre Cannavaro (il prossimo anno giocherà nell’Al Ahli) ha dato il via agli addii. Per vincere, Pepe dovrà aspettare. Si spera il meno possibile. Adesso le ragnatele tese da Marotta e dai suoi collaboratori inizieranno a stringersi sempre di più verso altre trattative di mercato in prossimità di conclusione. Il tempo è poco, e c’è molto da fare.

Nel frattempo il mondiale andrà avanti, mentre le udienze del processo penale di Napoli, con imputato Luciano Moggi, riprenderanno soltanto il 1° ottobre. Sono saltate quelle previste in questo mese di giugno (il 15, il 18 e il 22): dopo quattro anni, ormai, il peso di dover attendere poco più di tre mesi per ascoltare nuovi interrogatori non sembra essere un ostacolo insormontabile.
Ci sono ferite che si rimarginano, altre che rimangono (e rimarranno) sempre aperte. In merito a quanto accaduto nel 2006, anche in futuro sarà difficile sentire pronunciare da un tifoso juventino le parole "non so, non ricordo…"

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 15 giugno 2010

Ma che bella letterina, sig. Palazzi...



(Fonte: blog.ju29ro.com )

Riportiamo testualmente uno stralcio della lettera inviata dal Procuratore Federale Stefano Palazzi a Christian Vieri, che ha avuto la malaugurata idea di chiedere copia delle motivazioni dell'archiviazione dell'indagine sui pedinamenti:

"...Per quanto riguarda la richiesta di copia della motivazione del procedimento di archiviazione adottato da questa Procura, superate le preclusioni derivanti dalla pendenza delle indagini penali, a giudizio di Questo Ufficio non è, in ogni caso, possibile rilasciarne copia, in considerazione del contenuto dello stesso, che riguarda una molteplicità di soggetti le cui posizioni sono, da una parte, autonome rispetto a quella del Suo assistito mentre, dall'altra parte, sono intimamente connesse con la stessa.
Ne consegue che il rilascio di copia integrale della motivazione de qua potrebbe determinare conseguenze pregiudizievoli a carico di terzi e, d'altra parte, l'apposizione degli omissis necessari comporterebbe uno stravolgimento e una difficile intelleggibilità del contenuto dell'atto..."
P.S. ecco la copia della lettera originale nel caso non crediate a quanto abbiamo scritto.

domenica 13 giugno 2010

Lo strano caso di Nicolò Carosio



Oggi mi diverto ad andare un po’ fuori dalle righe, dagli schemi: né calcio giocato, né parlato, né calciomercato, né Juventus, ma “storia”. Del calcio.
Alla vigilia dell’incontro inaugurale della nostra nazionale contro il Paraguay, racconto un episodio importante, con protagonista una delle voci storiche del calcio: Nicolò Carosio.
Di seguito, un tracciato della sua vita, tratto da un articolo di Marco Innocenti (“Il Sole 24 ore”).
Dopo la conclusione del pezzo, ho inserito un video ripreso da una puntata della “Domenica Sportiva”, dove Massimo De Luca riporta la “verità” in merito al famoso episodio del “guardalinee etiope” dell’incontro Italia-Israele dei mondiali del 1970.
Buona lettura (e visione)

La morte, non a sorpresa, si presenta il 27 settembre 1984, a Milano. Nell'indifferenza generale, come da copione. Ricordare Nicolò Carosio, 25 anni dopo, è ridare voce per un attimo a un gentleman in Borsalino, l'antitesi dei cronisti e degli opinionisti di oggi, interpreti di una tv rumorosa, rissosa e banale, fatta di litigiosi improvvisatori, senza immaginazione, senza pause, senza stile. Lui, il sacerdote del "Sarti, Burgnich, Facchetti…", era un'altra cosa.

Il debutto
Nicolò Carosio, classe 1907, un palermitano affilato, viso ossuto, calvizie pronunciata, baffetti alla Zorro, immancabile Borsalino e impermeabile stropicciato alla Marlowe, è la colonna sonora del calcio italiano. Debutta davanti a un microfono Eiar al Vittoriale di Bologna, Capodanno del '33, amichevole Italia-Germania, 3-1 finale. Inizia "legato" per l'emozione, poi si scioglie e per quasi quarant'anni non lo fermerà più nessuno. Solo il "politicamente corretto" della Rai riuscirà, malamente, a mandarlo in pensione.

Lo stile
Le sue cronache sono palpitanti, trascinanti. Una partita può essere scialba, il suo lavoro mai. Anche nell'incontro più sbiadito mette passione e calore, come se partecipasse al gioco. Non abbandona mai il posto di combattimento e, se è il caso, improvvisa una partita virtuale "colorando" quella reale. Figlio di un ligure e di un'inglese, è scrupoloso e professionale, assistito da un ricco e duttile taccuino, ma, quando il gioco si fa duro, dimentica l'aplomb britannico e s'improvvisa ultrà dando vita a uno spettacolo nello spettacolo, sempre intenso e vivo nelle 3.500 partite, una più una meno, commentate nella sua carriera.

L'avvento della tv
L'arte di stare al microfono suggestionando il pubblico viene solo in minima parte intaccata dalla tv. Il Carosio degli anni Sessanta è televisivo, con la voce sobria ed elegante ma anche calda e passionale, il modo di raccontare che a volte si limita a una solenne sillabazione, a una pura enunciazione di nomi, per non interferire nelle emozioni. Tutte le grandi squadre e i campioni dell'epoca passano dal suo microfono. Ci conduce in giro per il mondo anche con la tv. La sua voce è un appuntamento fisso il mercoledì sera con la Coppa dei campioni e, anno dopo anno, con la Nazionale. Milan, Inter, Real Madrid, Benfica, Wembley, il Prater, Manchester, Glasgow, le battaglie della Coppe intercontinentali lo vedono protagonista assoluto.

"Nick and soda"
Carosio è personaggio. E' l'uomo ("Nick and soda") che festeggia una vittoria italiana nel freddo dei campi del Nord con un "wiskaccio" in compagnia. È il gaffeur del commento sulla difesa invalicabile pronunciato un attimo prima che incassi il gol beffa al novantesimo. E', soprattutto, l'inventore di uno straordinario neologismo, il celeberrimo "quasi rete", un ossimoro fulminante, l'inesorabile e meravigliosa sintesi di qualcosa che non esiste.

Il declino
Personaggio pirotecnico ma uomo schivo, non inserito nei giochi di potere della Rai, Carosio, dopo un'irripetibile carriera, scivola su una buccia di banana, prima vittima televisiva del "politicamente corretto". Ai Mondiali del '70, durante la cronaca di Italia-Israele, investe a male parole un guardialinee etiope, reo di avere annullato due reti azzurre per altrettanti fuorigioco inesistenti. L'uscita impulsiva gli costa la pesante punizione di non poter più commentare l'Italia. Ed è lì, quel giorno, che Nick comincia a morire.

(Fonte: 27 settembre 1984: addio a Nicolò Carosio )


sabato 12 giugno 2010

Il Sudafrica, l'ItalJuve e il carro dei vincitori


Il Sudafrica balla sul goal di Tshabalala, quello del momentaneo vantaggio nella gara contro il Messico, allontanando per qualche ora i problemi di una nazione che (anche) attraverso lo sport cerca di riunire le sue diverse anime.
Quel pallone che ha creato tante polemiche, lo "Jabulani", indirizzato verso il sette dell’estremo difensore messicano, dava la sensazione di essere spinto da una mano invisibile, quasi a voler premiare un popolo che segue con passione sincera il primo campionato del mondo disputato in terra africana. Il successivo pareggio di Marquez ha riportato tutti con i piedi per terra: questo è il calcio, i miracoli esistono, ma il cuore non basta. Serve, ma non è decisivo.

Partirà, lunedì, anche il mondiale dell’Italia campione in carica. Anche lei ha più di un’anima: quella della giustizia e quella del giustizialismo; quella dei (veri) colpevoli e quella dei capri espiatori; quella di chi si allontana dalla (propria) nazionale prima ancora che metta il piede in campo, ammettendo candidamente che dei mondiali azzurri "non gliene frega niente", salvo poi ritrattare tutto quando i risultati (e l’entusiasmo) danno loro torto.

E’ la nazione di un popolo maestro nello sparare a zero contro tutto e tutti, seguendo il "sentimento popolare". Un popolo fatto - anche - di persone sempre pronte a polemizzare, quasi a volersi mostrare, agli occhi del vicino, "diverso": in politica come nell’ultimo dei "bar sport". Sono i primi a salire sul carro dei vincitori o sulle Api strapiene di tifosi che inondano le città festose per un mondiale appena vinto. Sono quelli che si coprono il volto facendosi avvolgere dalle bandiere tricolori, le cui parole - però - "rimangono". Soprattutto se scritte o dichiarate di fronte ad una telecamera. Nonostante i tentativi, nel corso del tempo, di modificarle o - addirittura - negarle.

E’ l’Italia che aveva necessità urgente di procurarsi un nuovo tecnico, per il dopo-mondiale, il prima possibile: non solo perché la Fiorentina si sarebbe dovuta cautelare con un sostituto, ma soprattutto per spegnere sul nascere focolai polemici che impazzivano ovunque. E’ una nazionale senza un "Totti", un "Del Piero" o un "Roberto Baggio", sfavorita d’obbligo perché campione in carica e tecnicamente diversi gradini sotto i vari Brasile, Argentina, Inghilterra e Spagna.

E’ la nazionale di un C.T. antipatico, Marcello Lippi, perché vincente e juventino nell’anima. Troppo schietto, duro e diretto? Lo è anche Fabio Capello, le cui vittorie bianconere sono state insabbiate in un cd di intercettazioni "irrilevanti". Quelle milaniste, ormai, pur se entrate nella leggenda sono datate nel tempo. E’ bastato se ne andasse all’estero, per diventare simpatico ed essere rimpianto.

Siamo diventati l’Italia dei "Zoff, Gentile e Cabrini" e dei "Buffon, Zambrotta, Cannavaro" solo dopo cataclismi sportivi: dai primi silenzi stampa del mundial spagnolo alla Farsa montata e smontata in pochi giorni in quello tedesco. E’ maturata la convinzione che senza tensioni non si riesce a vincere: solo questo spiega la ricerca ossessiva di un qualcosa cui attaccarsi (e da attaccare) per creare un contesto simile a quelli (passati) vincenti.
E’ nel DNA dell’italiano medio quello di dare il meglio di sé soltanto nelle situazioni peggiori.
Riuscendo a compiere, a volte, veri e propri miracoli. Non solo sportivi.

Abbiamo una nazionale dove il talento non abbonda: si guardano con speranza le delicate fibre muscolari di Camoranesi perché è uno dei pochi che può dare quel pizzico di imprevedibilità in più per sorprendere gli avversari e vivacizzare un gioco che - in caso contrario - dovrebbe sopravvivere della corsa del nuovo bianconero Pepe e di un centrocampo dove, complice l’infortunio di Pirlo, Lippi sta rimescolando le carte nella speranza di trovare il giusto equilibrio tra difesa e offesa.

C’è ancora tanta Juve, in questa squadra. Tra presente, passato, futuro (prossimo) e panchina.
Perché - "piaccia o non piaccia" - quando l’Italia vince, sotto l’azzurro c’è parecchio bianconero. In finale a Berlino ce n’erano tanti, da una parte e dall’altra (Francia).
Ma non è per questo che l’Italia va amata e tifata.
Sarà dura ripetersi, praticamente impossibile. Nel caso, ci sarà ancora più gusto vedere qualcuno provare a salire sul carro (o sulle Api) dei vincitori, guardarlo dritto negli occhi e invitarlo a scendere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


martedì 8 giugno 2010

Qui non molla nessuno...


L’Associazione Giùlemanidallajuve comunica di aver sollecitato, con missiva datata 3 giugno 2010, Uefa, Fifa, Coni e Figc - ciascuno per le sue competenze - ad attivarsi al fine di determinare la sproporzione della pena inflitta alla società Juventus FC Spa. A seguito di tutte le novità scaturite dai vari procedimenti di Giustizia Ordinaria, la Figc viene inoltre esortata, mediante provvedimento in autotutela, alla revocazione dei provvedimenti sportivi dell’estate 2006 con conseguente riammissione al titolo di campione d’Italia 2004/2005 e 2005/2006 per la società Juventus.
Il Procuratore Federale, Dott. Stefano Palazzi, viene infine diffidato, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 328 co. 2° C.P., ad intraprendere tutte le opportune e doverose iniziative al fine di verificare le discutibili posizioni riconducibili ad altri club di calcio. In mancanza, l’Associazione Giùlemanidallajuve adirà le competenti autorità giudiziarie ed amministrative.
(Fonte: GiùLeManiDallaJuve )

lunedì 7 giugno 2010

Il vero grande acquisto: il ritorno della grinta-Juve


Non si può stare dietro a tutti i nomi dei calciatori che, dalla stampa, vengono accostati alla Juve in questi giorni.
Non ci provo neppure a fare la lista partendo da Aguero fino a Ziegler - in rigoroso ordine alfabetico - con tutto quello che c’è in mezzo. Intanto perché sarebbe lunghissima, e non ho voglia di perdere mezz’ora a ricopiare tutti quei nomi. E poi perché, ovviamente, molte sono notizie prive di fondamento.
Forse, e dico forse, farò un commento alla campagna acquisti del nuovo manager solo quando sarà terminata.
Li sto lasciando lavorare.
E neppure pretendo di vincere subito.
Si sono stravolti, e si stanno stravolgendo, i quadri dirigenziali, è totalmente modificato lo staff tecnico e medico, e si presuppone che la prossima formazione titolare sia molto diversa da quella della scorsa stagione.
Dopo una rivoluzione – come dice Moggi – non si vince.
Si deve costruire la base di una squadra e poi apportare 2, al massimo 3, correttivi l’anno per mantenere l’assetto e considerare il ricambio generazionale.
Noi al momento abbiamo poco da mantenere e tanto da correggere. E se le rivoluzioni sono fatte con raziocinio e si gettano delle buone basi si può lavorare bene per diversi anni. E come già accennato nel post precedente, per informazioni chiedere a Boniperti (e se si potesse ad Allodi) ed a tutti quei ragazzini pieni di entusiasmo come Spinosi, Marchetti, Causio, Capello, Bettega che si ritrovarono a giocare insieme a Furino, Salvadore, Haller e Anastasi.
Quindi ho deciso che mi fido di Marotta, non mi interesserò dei nomi – al massimo guarderò l’assetto generale, l’equilibrio, della squadra, anche perché credo che 4 buoni giocatori siano più utili di un solo grande campione – ed aspetterò, almeno fino alla fine della prossima stagione e vedrò i risultati raggiunti (ma la qualificazione alla Champions League è d’obbligo).

Volevo però fare solo un paio di considerazioni.
La prima riguarda Lippi. Il tanto vituperato (quasi ex) c.t. della nazionale. L’abbiamo tanto criticato perché durante un pranzo convinse Blanc a puntare su Cannavaro e Grosso, ed abbiamo definitivamente cancellato il suo nome dai nostri cuori e dai nostri desideri. Ma se solo una parte di quei nomi della lista di cui sopra fosse vera (Bonucci, Criscito, Pepe, Candreva) e la si aggiungesse alla vecchia spina dorsale (Buffon, Chiellini, Marchisio, Iaquinta), mi chiedo quanto Lippi ci sarebbe nella nuova Juve che si sta formando?

La seconda riguarda l’unico acquisto che pretendo per questa squadra.
Non sarebbe un nuovo acquisto ma solo un gradito, graditissimo, ritorno.
Sto parlando della grinta.
E per far capire ai nuovi (e pure ai vecchi) giocatori di cosa sto parlando, non vado neppure tanto in là con gli anni e faccio solo un esempio : 2 settembre 2007, Cagliari-Juventus: 2-3.
Non mi importa che il risultato ci premi ogni volta, ma io pretendo dalla squadra quella voglia di giocarsela sempre, fino all’ultimo minuto. E anche oltre.


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero



sabato 5 giugno 2010

Ciro Ferrara, gli "asini" e lo spirito Juve


A leggere l’intervista rilasciata da Ciro Ferrara al taccuino di Paolo Condò ("La Gazzetta dello sport") e comparsa sulle pagine del quotidiano sportivo mercoledì 2 giugno, la Juventus dello scorso anno ha fallito (anche) per colpa di alcuni "asini".
Così ha definito chi - all’interno della rosa - dopo il suo addio si è lamentato di lui, della sua inesperienza, del modo di allenare la squadra e della mancanza di una vera disciplina tattica.

Non che le cose, con l’arrivo del traghettatore Zaccheroni, siano poi cambiate in meglio: partenza stentata, qualche risultato (in Italia e in Europa) confortante, poi la barca è affondata. Così come stava accadendo al momento della sostituzione tra i due tecnici. Né il (temporaneo) ritorno di Bettega, nè - tantomeno - il tentativo dell’allora gruppo dirigenziale di mettere la squadra di fronte alle proprie responsabilità, servirono a migliorare le cose.

Di quella Juventus, oggi, almeno nei piani alti della società è rimasto ben poco. Segno che le colpe non erano - e non potevano essere - solo ed esclusivamente di Ferrara. La stessa musica ascoltata mesi prima quando, al posto dell’ex giocatore bianconero, si trovava Claudio Ranieri.
Come Trapattoni iniziò la sua (trionfale) carriera da allenatore con un Boniperti alle spalle, e Lippi la sua cavalcata bianconera con la Triade a supporto, Gigi Del Neri proverà a ridare un’anima a quella squadra che ha spaventato i tifosi non tanto per i disastrosi risultati ottenuti in questa stagione, quanto per la mancanza assoluta di carattere, di grinta, di combattività: alcuni dei segni distintivi di un DNA ormai incollato a quelle maglie. Si poteva cedere il passo agli avversari, in passato, ma non senza che soffrissero le pene dell’inferno contro chi gettava sempre il cuore oltre l’ostacolo.
Quello che manca alla Juventus di oggi, e che dovrà rappresentare il primo vero e proprio acquisto della nuova gestione, è lo spirito battagliero che ne ha contraddistinto la sua storia: si gioca per vincere, per essere competitivi sino in fondo. Il resto, non conta.

Simone Pepe passerà alla storia come il primo uomo scelto per vestire la casacca bianconera della nuova era-Agnelli. Il suo arrivo non entusiasma i tifosi: sarebbe stato bello (e romantico) iniziare subito con un "botto" di mercato. Dzeko? Ribery? O il meno quotato (ma pur sempre bravissimo) Krasic? Non importa, sai che effetto…
E se un "top player" arrivasse, tra qualche giorno, come terzo o quarto acquisto, cosa cambierebbe?
Il nome di Pepe non stuzzica un popolo deluso, a cui - in passato - è stata chiesta pazienza da chi non ha saputo gestire il tempo (e i soldi) a disposizione per ricostruire una società devastata da (falsi) scandali e dalla retrocessione in serie B. I danni da loro stessi creati, poi, sono risultati ancora maggiori.
Chi è arrivato ora deve partire da "un Pepe" per ricostruire quanto distrutto da altri. Senza giocatori di classe, non si va da nessuna parte; viceversa, senza i Di Livio, i Torricelli e i Pessotto, quella Champions League del 1996 (e altre vittorie precedenti e successive) sarebbero in bella mostra in altre bacheche.

Ogni giocatore ha un suo ruolo preciso, all’interno di un gruppo. Senza quello, regna la confusione. Se la regia, dall’alto, è buona, i risultati - sul campo - si vedranno. Né ottimismo, né pessimismo: realismo. Il problema è che il campionato di serie A (con le rose ultimate) riprenderà tra troppo tempo: c’è il mondiale di mezzo, con i preliminari di Europa League. Tanto, per un popolo che non ha più voglia di aspettare.
Bruciato dalle ultime esperienze dopo essere rimasto scottato a ripetizione, vittima di una caduta rovinosa dall’alto dell’entusiasmo della scorsa estate sino al tracollo dei risultati dell’anno calcistico appena concluso, ora lo sterminato popolo bianconero ha sete di fame, vittorie e rivincite.
Non pazienza: quella, ormai, l’ha persa. E’ inutile chiederla.
Ma "deve" averla.

Il Ferrara che ha perso la prima grande occasione della sua nuova vita calcistica si è preso le responsabilità del fallimento dei suoi mesi da allenatore. Ha rivendicato, inoltre, la paternità dell’acquisto di Fabio Grosso, la difficoltà nell’allenare chi era stato suo compagno di squadra e nel tenere fuori Del Piero, ha difeso Diego, evidenziato la supponenza con la quale si allenava Melo e dichiarato al mondo intero quello che tutti sapevano: la mancanza, nello staff dirigenziale, di un uomo di campo che potesse tenere testa a quei giocatori incapaci di reagire di fronte alla difficoltà.

Altro? Sì. Ha smesso di diventare esigente con suoi uomini dopo i primi risultati positivi. Ha finito col "mollare la presa", senza essere più riuscito a recuperarla. Questo è stato il suo più grande errore.
Di allenatori come Capello e Trapattoni (giusto per rimanere in casa Juventus) tra vittorie, sconfitte, imprese e delusioni spalmate in tanti anni di calcio, ancora si devono avere notizie di un loro calo di tensione. Meno che mai dopo solo quattro vittorie, in poco più di un mese.
Così fanno i vincenti.
Come il Ferrara calciatore, quando indossava la maglia bianconera.
Quello era lo "spirito Juve".

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Dedico questo articolo alla memoria di Valerio Fregoni, Direttore e fondatore del sito Juvenews.net (del quale sono stato redattore), mancato prematuramente lo scorso 21 novembre 2009.
Devo moltissimo, a lui. Non lo dimenticherò mai.

A proposito di "spirito Juve", e di gente che in campo dava l'anima: Romeo Benetti...



mercoledì 2 giugno 2010

Con quelle facce un pò così...

Direttamente dal blog di Roberto Beccantini

Ricapitolando: il professor Guido Rossi, ex commissario straordinario della Figc ai tempi di Calciopoli, ospite vip di Massimo Moratti al Bernabeu di Madrid in occasione di Bayern-Inter, finale di Champions League, la sera del 22 maggio. Cinque giorno dopo a Roma, di pomeriggio, presentazione di un libro del giornalista Pablo Llonto («I Mondiali della vergogna») sull’epopea settantottina del general Videla e di capitan Passarella. Tutti a palazzo Valentini. Tutti chi? L’autore e il prefatore, Giuseppe Narducci in persona. Proprio lui, uno dei pm del processo di Napoli. Sin qui, nulla da dire. Liberissimo, Narducci, di «interrogare» qualsiasi argomento: e poi il libro, credetemi, è un piccolo gioiello. Sul serio. Racconta e «respira» l’aria che tirava, non l’aria fritta dei telegiornali d’epoca. Il bello viene dopo. In sala fra gli ospiti, Massimo Moratti, argentino d’antica vocazione, dalla «Comuna Baires» di Milano in poi. Vicino a lui, il tenente colonnello Attilio «Non ricordo» Auricchio, il carabiniere delle intercettazioni e dei brogliacci. Il cardine dell’indagine che ha portato la Juventus in serie B e restituito Carraro alla solita poltrona.

Premesso che Narducci, Auricchio e Moratti sono liberi cittadini - e, incontrandosi, non hanno infranto alcuna legge: al diavolo i complottisti - molti «pazienti» juventini - e, per fortuna, anche non rari «ricoverati» interisti - mi hanno scritto domandandomi se fosse proprio il caso che Narducci incontrasse Moratti e Auricchio, seduto vicino al presidente, confabulasse con lui (lui Moratti).

Naturalmente, non era proprio il caso. Come non era proprio il caso che Guido Rossi accettasse l’invito madrileno del suo ex presidente. Ma siamo in Italia, la Betlemme dei conflitti di interesse e del disinteresse per la decenza. L’Inter è uscita «pulita» da Calciopoli 1, non altrettanto da Calciopoli 2, il cui sbobinamento è in corso d’opera. Ignoro cosa si siano detti Moratti e Auricchio. Ballano i nastri di Giacinto Facchetti, nel 2006 curiosamente trascurati o occultati. Al posto di Moratti, avrei declinato l’invito. Al posto di Auricchio, pure. E al posto di Narducci, non ve lo dico...

Scherzi a parte. Il fatto che pure qualche interista sia arrossito, fa sperare in un Paese migliore, capace di resistere alle vedove dei vecchi regimi e alla vaselina dei nuovi. Piaccia o non piaccia, il petroliere dovrà testimoniare a Napoli. Piaccia o non piaccia, Narducci si fidò di Auricchio e dichiarò in pubblico che di telefonate fra Moratti e i designatori, manco l’ombra. Piaccia o non piaccia, Auricchio non considerò rilevanti le «grigliate» di Facchetti, dipendente di Moratti. Per questo, sarebbe stato opportuno evitare triangoli così scaleni, così ambigui