sabato 27 febbraio 2010

Verso Juventus-Palermo. E sull'onestà di Mourinho…


"Non alleno i singoli, ma il gruppo: conta il noi, non l’io". Così Alberto Zaccheroni ha spiegato, nell’immediato dopo partita, la (nuova) sostituzione di Diego durante l’incontro con l’Ajax di giovedì scorso. Più di venti minuti ancora da giocare: meglio utilizzarli per ricaricare i (deboli) muscoli di Camoranesi, e lasciare che il centrocampista brasiliano percorresse arrabbiato la strada che porta agli spogliatoi.
Diego come il giocatore che dovrebbe far compiere il salto di qualità alla squadra, farle cambiare il passo quando necessario, risultare decisivo e spostare gli equilibri di un campionato: è il destino dei grandi. La tecnica c’è, lo spirito di sacrificio pure. Ma non basta. La confusione tattica e psicologica della squadra, ad oggi, lo ha penalizzato oltremisura. Ma chi deve iniziare a cambiare registro è lui per primo: sostando là dove il tecnico (Zaccheroni ora, ma anche Ferrara prima) gli chiede di stare e facendo scorrere il pallone il più possibile. Evitando di tenerlo incollato al piede e di girare intorno a se stesso più di quanto non sia necessario.

E’ con il gruppo che si va avanti: quello che ha perso tutto il possibile nei mesi scorsi e che si sta lentamente ritrovando. Ad ora, sono state scalate alcune posizioni di classifica in Italia (sino a tornare al quarto posto) e sono stati raggiunti gli ottavi di finale dell’Europa League. Poi, si vedrà.
Sistemata la pratica-Ajax: l’assenza del talento di Suarez, unito ad un risultato d’andata favorevolissimo, hanno aiutato. La ritrovata inviolabilità della porta bianconera, ha fatto il resto.
Staffetta Trezeguet-Amauri: per un attaccante che guarisce, ce n’è un altro che si fa male (Iaquinta, intanto, continua ad allenarsi). Prima dell’incontro era stata la volta del portiere (Buffon). Dopo, quella dei muscoli di seta di Camoranesi, raffinati come le sue giocate.
Appuntamento all’11 di marzo con il Fulham (Europa League). Non si guardi oltre: alla giornata, si deve continuare a vivere alla giornata. Quest’anno è così. Ora, solo campionato.

Una vittoria contro il Palermo, domenica sera, per staccare in classifica i rosanero (dietro ad un punto). Nell’attesa della giornata più importante, tra le ultime: la prossima, quella che vedrà - sabato - gli scontri tra Fiorentina e Juventus al pomeriggio e Roma e Milan alla sera. Campionato che è ancora lontano dal terminare, con una classifica che - grazie ai recuperi infrasettimanali - da virtuale è diventata "reale": Milan a meno 4 dai nerazzurri; Roma, sempre a 5 punti. Ma se i giallorossi dovranno risollevarsi alla svelta dopo l’eliminazione in Europa League (doppio black out con i greci del Panathinaikos, andata e ritorno; vedremo a fine anno in quanti rimpiangeranno ancora Ranieri) prima di lanciare il guanto di sfida ai nerazzurri, i rossoneri proveranno ad infastidire la capolista sino a quando il Pato o l’Huntelaar di turno (complimenti per il gesto di mercoledì) non risolveranno gli incontri a loro favore all’ultimo momento. Così come è accaduto a Firenze, dove i Della Valle scoprono di dare fastidio "a qualcuno" (chi è causa del suo Mutu, pianga se stesso…).
Il tutto mentre a Milano, da sabato scorso a mercoledì, sono andati persi i fazzoletti bianchi agitati in segno di protesta per aver avuto, una volta tanto, un "arbitro che arbitrasse" (Tagliavento). Tal Mejuto Gonzalez non vede il rigore di Motta su Ivanovic (Chelsea) e rigore più espulsione di Samuel su Kalou; l’Inter vince in undici e Mourinho, non sapendo stavolta a chi fare il segno delle manette, tira in ballo la Calciopoli italiana.

Potenza di un’onestà interiore cresciuta in Portogallo, dove - nel 2004 - se la prese con il giocatore dello Sporting Lisbona Rui Jorge, al quale "confidò" che gli sarebbe piaciuto vederlo morto in campo, da allenatore di una squadra (il Porto) il cui presidente Pinto da Costa avrebbe avuto da insegnare al "peggior Moggi" ipotizzabile per un tifoso interista. Onestà che maturò in Inghilterra, al Chelsea, quando (nel 2005) - tacciando di altri episodi (la lista sarebbe lunga) - affrontando il Barcellona in Champions League accusò l’arbitro Frisk di aver parlato durante l’intervallo con l’allora tecnico dei blaugrana Frank Rijkaard. A causa di questo, la giacchetta nera ricevette minacce di morte da parte dei sostenitori inglesi, e fu costretto a ritirarsi dall’attività. Onesto in mezzo ad un popolo di disonesti: non sarà certo l’Italia, vista da Appiano Gentile, che lo cambierà. Così come è arrivato, se ne andrà. Con la speranza, nel frattempo, di riuscire a strappare qualche altro milione in più da Moratti alla voce ingaggio, inventandosi altri interessamenti del Real Madrid nei suoi confronti.
Non è colpa degli italiani, però, se ha scelto di allenare l’Inter…

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com



Futuro con Zac?



E’ già partito il tormentone.
Sono bastate un paio di vittorie, e molti blog hanno deciso di inserire lo stesso sondaggio “A fine stagione confermare Zaccheroni?”.
Capisco la volubilità del tifoso, che un mese fa ha storto la bocca per l’arrivo del tecnico di Cesenatico ed ora è pronto a gettarsi nel fuoco per lui. Però credo che questo dovrebbe essere un discorso da fare solamente ad obiettivi raggiunti. Ma non solo. Per essere riconfermato, Zac dovrebbero raggiungere quei traguardi convincendoci.
Da quando il nuovo allenatore s’è seduto sulla panchina della Juve, la squadra non ha più perso è vero, ma come ha vinto?
Da qualche parte è venuto fuori il famoso “cul de zac” che, per quanto dote immensamente importante, non può essere la sola a cui affidarsi.
Per carità, Zac sta facendo un buon lavoro, soprattutto dal punto di vista psicologico. La squadra è riuscita finalmente a capovolgere anche dei risultati! E per quanto Sissoko definisca il tecnico un “genio”, io di buon calcio ancora non ne ho visto.
Sono le sbandierate vittorie con il Genoa, con l’Ajax ad Amsterdam e con il Bologna che già fanno parlare di riconferma. Allora andiamo velocemente a riviverle.
Con il Genoa s’è vinto grazie ad un rigore molto generosamente regalatoci dall’arbitro. Ad Amsterdam, dove non abbiamo certo trovato l’Ajax di Johan Cruyff, abbiamo rischiato, subendo un palo clamoroso e giocato piuttosto male, salvati dalle prodezze del capitano. E sempre Del Piero s’è caricato sulle spalle la squadra contro il Bologna, che con i suoi attaccanti ci ha graziato diverse volte, due pali compresi.
E per ultimo ricordiamo anche la partita di ieri, che ci ha regalato il passaggio del turno in Europa League.
Premesso che è ovvio che non si può dimenticare che sarebbe stata comunque una partita di contenimento - pensando non solo al risultato positivo dell’andata, ma soprattutto a risparmiare energie per l’incontro di domenica con il Palermo, nostra diretta rivale di classifica - però ….che squallore!
Giusto un paio di azioni da gol sempre e solo da calcio da fermo! (e lo so che qui Giuliano rimarcherà, a ragione, che mancano le ali!!!). Un centrocampo mai, mai, propositivo, e nel secondo tempo 46 minuti – su 48! – praticamente fermi ai nostri 16 metri.
Badate, che non sto bocciando già ora il lavoro di Zaccheroni. Anche perché pure il materiale umano su cui lavorare forse va tanticchia rivisto. Probabilmente con un po’ più di tempo riusciremo a vedere una squadra brillante, sicura in difesa, che non prende goals, e che magari con tre passaggi e in pochi secondi si ritrova pericolosamente nell’area avversaria. Ma ora non è così - e per carità accontentiamoci! – però mi pare eccessivo considerare ora queste vittorie un lasciapassare sufficiente per la riconferma del tecnico.
Per favore chiudiamo questi sondaggi e parliamone a tempo debito.

P.S.: mi auguro che nel frattempo la società abbia fatto una multa di almeno 50.000 € a Felipe Melo. Magari la prossima volta ci pensa, da diffidato, ad andare a ridere in faccia all’arbitro, dopo che ci ha dato una punizione a favore e non per un fallo subito da lui!


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

giovedì 25 febbraio 2010

Per un futuro degno del passato


"Quella contro il Racing Santander è stata la peggior partita del Barcellona sotto la gestione Guardiola". Parole e musica di Johan Cruyff. Il direttore d’orchestra che incassa i fischi è il giovane "Pep", suo giocatore ai tempi in cui era l’olandese a guidare i blaugrana dalla panchina. L’incontro, per la cronaca, è finito 4-0 per il Barça. Ciononostante il mister accetta, senza nessuna sceneggiata, la dura critica. Coppa del Re, campionato spagnolo, Champions League, Supercoppa di Spagna, Supercoppa UEFA, Mondiale per club: da maggio a dicembre del 2009, sei trofei vinti in sette mesi. Chapeau: per la classe dimostrata nelle vittorie e nell’accettare le osservazioni. Non è tutto oro quello che luccica (negli altri paesi): ma c’è da imparare. E sino a quando ci saranno esempi sbagliati, nel nostro campionato si continuerà ad indietreggiare come i gamberi. Guardiola, inoltre, come i Trapattoni, i Lippi e i Capello bianconeri: non ci si deve mai accontentare.

Si chiama Europa League, non è la Champions League: meno introiti, meno fascino, musica diversa. Porta prestigio, per chi la vince: non come la coppa "vera", però. Quella dalle "grandi orecchie". Quella che ti pone in cima al Vecchio Continente, che ti fa guardare gli altri dall’alto verso il basso e che ti permette di realizzare un "filotto": finale per la Supercoppa UEFA e partecipazione al Mondiale per Club. Supercoppa UEFA, peraltro, che si gioca con la vincente dell’Europa League. A furia di piangere su quello che poteva essere e non è stato, forse, ci si è dimenticati di questo particolare.

Non ci si deve accontentare del 2-1 sull’Ajax a domicilio (il loro): è troppo pericoloso. Bisogna giocare per vincere, anche se una sconfitta di misura (1-0) garantirebbe ugualmente il passaggio al turno successivo. Questa squadra, al momento, non è in grado di gestire una singola partita: figuriamoci due (andata e ritorno). Comunque si sta lentamente ritrovando. Nel frattempo, Buffon si blocca (adduttori coscia destra) mentre Camoranesi si sblocca, e torna ad essere nuovamente disponibile. Nella partita contro il Bologna, a Torino, durante il girone di andata (27 settembre 2009, risultato finale 1-1) iniziarono ad avvertirsi i primi problemi alla macchina messa a disposizione di Ciro Ferrara: da quel momento in poi, da fuoriserie è diventata un’utilitaria di lusso nell’arco di due mesi e mezzo circa. Nell’incontro successivo, contro il Palermo, ci fu il primo tonfo. Fragoroso. Al ritorno, i bolognesi sono stati "sistemati" con un uno-due firmato Diego e Candreva: il "nuovo" che avanza. Anche guidato dal "vecchio": senza un Del Piero così, la vittoria sarebbe stata una chimera. Sfumata la Champions League, la speranza è di prendersi ora delle rivincite in Europa League. Nell’attesa di confermare il quarto posto in campionato e puntare Milan o Roma. Nel caso una delle due abbandonasse anticipatamente la rincorsa all’Inter.

Inter, Inter e Juventus, Juventus e Inter: lontanissime in Italia (14 punti), divise in Europa da due competizioni diverse. Ma quello che succede ad una finisce sempre con interessare l’altra. Storia di una rivalità sempre esistita, accesissima a più riprese, esplosa definitivamente durante e dopo Calciopoli. L’Inter (di oggi) che gioca a fare la Juventus (di ieri), con risultati diversi: l’interismo che si confonde con l’isterismo. Storie di mani incrociate per mimare le manette, di fazzoletti bianchi, di frasi ingiuriose agli arbitri, di pressioni agli ispettori federali ai bordi del rettangolo di gioco, di risse nel tunnel che conduce agli spogliatoi, di espulsioni giuste, assurdamente prese ma duramente contestate. Storie, queste, come esempio, che si sono consumate tutte in una sera. In un tranquillo sabato di follìa. Con il dessert della telefonata domenicale (Moratti-Abete). Se questa è la punta dell’iceberg del campionato italiano, non ci si chieda perché all’estero non siamo più seguiti.

E la Juventus? (Ora) Sorride, si compiace di una sorta di (mini-)crescita, si coccola e si lascia coccolare dalla calma e dalla compostezza di Zaccheroni: dopo gli ultimi mesi di terrore, tutto quello di positivo che arriva è il benvenuto. La strada da percorrere è ancora lunga, lunghissima. L’arrivo (il ritorno) di Bettega è stato il primo passo. Che qualche frutto inizia a portare. Ma non si possono, attualmente, fare paragoni con altre realtà vincenti: bisogna ancora vivere alla giornata.
Adesso si pensi a sculacciare i giovani lancieri, e si continui a costruire un futuro degno del passato. Gli interismi (e gli isterismi) si lascino a chi di dovere: c’è differenza tra il guardarsi i piedi e guardare l’orizzonte. Va bene la rivalità: ma non deve essere un limite. Di avversari, non ne esiste uno (o una) soltanto: quella, è una mentalità da provinciale. Non da Juventus. L’unico obiettivo da raggiungere è tornare ad essere se stessi. Cioè i migliori.
Perché chi sa vincere non si deve accontentare mai.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com



martedì 23 febbraio 2010

Passavo di lì per caso...


In un calcio sempre più isterico e nevrotico, “oggi” mi tengo il mio Zaccheroni.
Normale, vincente (anche se per poche partite), educato.
“Domani”, si vedrà.

E a San Siro, intanto…

domenica 21 febbraio 2010

Aaah... Come gioca Del Piero...


Vincere a Bologna per puntare al quarto posto - Che fine ha fatto la Juve? (Ju29ro.com)


Martin Jol, tecnico dell’Ajax, nella conferenza stampa che ha preceduto l’incontro in Europa League: "Conosco i problemi della Juventus, ma non li dico". Visto l’andamento della partita, viene da pensare sia andata effettivamente così. Ha conservato gelosamente i segreti di cui era venuto a conoscenza. Signorile, a fine gara, quando dispensa complimenti ai bianconeri e a Del Piero.
La differenza tra "studio"” e "aggiornamento": studio la Juventus per mesi; non aggiorno le mie valutazioni. Pur considerando che - nel frattempo - qualcosa è cambiato.
L’allenatore, in primis. Per il resto, si tratta di un processo in lenta evoluzione su (quasi) tutti i fronti.

Nuovamente in svantaggio, come contro il Genoa. Stavolta in trasferta, in un ambiente difficile (emblematico lo striscione esposto dai tifosi olandesi "Grazie a Dio non sono juventino"), in una competizione europea. Fuori, quindi, dai confini italici. Sono tornati i cross dalle fasce. Più giusto chiamarli "pennellate": De Ceglie (bravo) e Del Piero (eccezionale). Del quartetto offensivo a disposizione della Juventus (tralasciando il povero Paolucci), tre attaccanti che possono svolgere il ruolo di prima punta: Trezeguet, Iaquinta e Amauri. Un cecchino il primo: "ovunque" una palla vaghi per l’area di rigore, "comunque" vada lui la spinge in porta. Un caterpillar, guidato da una furia incontrollata, il secondo (ahi, quanto manca…). Non propriamente un goleador il terzo. Corre, si sbatte. Molte volte a vuoto. Difficile tracciare una linea per capire dove finiscano i suoi demeriti e dove inizino quelli di chi gli sta intorno. E quanto il pensiero di un mondiale e di una nazionale (calcistica) cui finalmente appartenere lo abbiano condizionato. Resta il fatto che una palla servita bene in area di rigore, a due metri e mezzo (almeno) dal livello del mare, è sua.

L’unica italiana ad aver vinto nella tre giorni europea, come ai bei tempi. Anche questo, nel piccolo, fa buon brodo. Sconfitto il Milan contro Rooney in casa, nonostante il tifo di Balotelli; sconfitta la Fiorentina in trasferta, grazie ad Ovrebo e ai suoi amici (non certo Platini); sconfitta la Roma in Grecia, per colpa di Doni. Vincente la Juve, appunto. Non domina, ma sa soffrire (si dice così, quando poi non perdi). Ribatte colpo su colpo (Salihamidzic, però, è un pò troppo carico). Sissoko stanco; Zebina evaporato; Del Piero risplende. Era capitato anche a Ranieri: quando "gira" il numero 10, la squadra riprende a correre. Era mancato a Ferrara e a "quella" Juve: in panchina, tra le riserve, non poteva fare nulla. Passano gli anni, ma quando uno gioca a quei livelli da una vita intera, vuol dire che non è solo furbo. Vero, Gasperini e Preziosi?

Tornati in Italia, si riscopre l’isteria che regna sovrana nel nostro paese. Berlusconi se la prende con l’allenatore del Milan ed il gioco che non convince, come se fosse sua la colpa di aver venduto Kakà (bravo Leonardo, a rispondere per le rime). Mourinho attacca tutti; e tutti - a seconda del momento e dello stile - gli rimandano indietro le accuse. L’Inter gioca contro la Sampdoria nell’anticipo serale del sabato, e scopre di essere arbitrata da un direttore di gara (Tagliavento) senza condizionamenti e pressione alcuna: due espulsioni giuste (e Milito?) ai nerazzurri, una ai sampdoriani. Silenzio stampa imposto da Moratti (Deo agimus gratias - rendiamo grazie a Dio).

Lo stesso stato d’animo che Baraldi, direttore generale del Bologna, si aspetta di vedere oggi da parte di Banti, il fischietto designato per la gara odierna contro la Juventus. Ospitale (?), quando invita i tifosi bianconeri di Bologna a rimanere a casa; sincero (?), quando dichiara che non sta "né piangendo, né mettendo le mani avanti". Forse, si sta solo preparando ad affrontare un mese senza Marco Di Vaio - assente già dalla partita odierna - con una classifica che parla di soli cinque punti di distacco dalla zona retrocessione.
Di fronte a sé avrà una Juventus che sta riscoprendo, lentamente, il dolce piacere della vittoria. Tutti questi mesi di agonia non si cancellano, però, in poche partite. La strada, naturalmente, è quella giusta. All’allenatore manca il tempo necessario per imporre il proprio credo calcistico: ora, è semplicemente necessario tirare fuori il più possibile dai giocatori a disposizione. Vincere a Bologna per superare la Sampdoria, in attesa di conoscere l’esito dell’incontro del Napoli a Siena. Senza lasciarsi distrarre dalle discussioni e dalle pressioni. Con l’obiettivo del quarto posto, almeno, in testa. Sino alla fine del campionato.
Con la consapevolezza di essere tornati in gioco.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Un consiglio ai lettori


Tratto dal sito Ju29ro.com
Dopo che Giampiero Mughini l'aveva anticipato in TV era un segreto di Pulcinella, ma finalmente siamo lieti di dare l'annuncio ufficiale: ju29ro.com sbarca nelle librerie, sia in quelle fisiche che nelle virtuali.

"Che fine farà la Juve?" cominciammo a chiederci quasi quattro anni fa, durante l'estate del grande scandalo del calcio, allorché, increduli per le bordate senza possibilità di contraddittorio di giornali e in tv, ci rivolgemmo al web per condividere prima i dubbi, poi le certezze, e infine la rabbia non per Calciopoli o Moggiopoli, ma per Farsopoli, la grande farsa, l’eliminazione di un competitore del sistema per via giudiziaria.
Col passare dei mesi, col trascorrere degli anni, quella domanda iniziale ha iniziato a coniugarsi al passato. "Che fine ha fatto la Juve?"

Il libro è un diario di questi ultimi anni e i nostri lettori più affezionati potranno imbattersi in articoli conosciuti. Ma accanto ai nostri pezzi più significativi, troverete anche qualche inedito, sorta di “stato dell’arte” dopo tre anni di questa nostra esperienza di giornalisti d’inchiesta sui generis.
Il tutto, strutturato in sei parti. Nella prima raccontiamo Farsopoli attraverso le nostre scoperte, nella seconda indaghiamo tra gli scandali altrui, spesso taciuti, nella terza raccontiamo gli esiti sorprendenti dei processi ordinari seguiti a quelli sportivi, la quarta è per intero dedicata all’inside job.
Ma oltre all'inchiesta, abbiamo voluto riversare sulla carta anche il nostro rapporto sentimentale con la Vecchia Signora: la quinta parte ripercorre le nostre emozioni di tifosi durante questi anni, mentre l’ultima è riservata all’ironia, quando non al sarcasmo.

Giampiero Mughini ci ha concesso l'onore di una bellissima introduzione. Roberto Beccantini, pur non condividendo in pieno le nostre idee, quello di una altrettanto bella postfazione. Ringraziamo di cuore entrambi.

Il libro sarà disponibile dai primi di marzo nelle migliori librerie, ma può essere acquistato anche online. In questo caso, pagando con bollettino postale o bonifico bancario, il libro arriverà comodamente a casa vostra con posta prioritaria (spese di spedizione a carico dell'editore), sempre al costo di copertina di 15 €.

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venerdì 19 febbraio 2010

E' solo pallone



Quando Saturno sembra essere contro - come da una decina di giorni a questa parte – e tutta una serie di piccoli problemi ed intoppi stanno riempiendo la tua giornata ti ritrovi, quasi senza accorgertene, a privarti di alcune piccole piacevoli abitudini.
Ed il web è stato il primo ad aver perso la mia attenzione.
Quindi non passo tra i blogs di coloro che un Charlie Brown aggiornato definirebbe pc-friends. Niente buongiorno di Gramellini e niente vignette di satira politica, niente ricordi di film indimenticabili, niente momenti di vita quotidiana, e soprattutto niente pagine e commenti sportivi.
E “incredibilmente” non penso alla Juve.
Ma lei è li, e come un’amante ti chiede solo qualche minuto ogni tanto….novanta più o meno.
E in certe occasioni non posso e non voglio dirle di no.
Quasi di nascosto esco 4 minuti prima dall’ufficio, attraverso la città ed arrivo d’avanti alla tv che la partita è già iniziata da 7 minuti.
E sono li, sul mio divano, ma è come se fossi ad Amsterdam. Nessun intralcio stasera può varcare la porta di casa.
Giochiamo malino, ma in quel grigiore due magie illuminano la serata.
E allora tutto è più leggero. Non ho voglia di preoccuparmi di una difesa che fa acqua da tutte le parti e di un centrocampo che fa poco filtro e poco costruisce. Voglio solo passare una serata pensando che abbiamo vinto.
Lo so, è solo pallone, però… ;-)

Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

mercoledì 17 febbraio 2010

Il potere logora chi non ce l'ha




Foto trovata su Very Affollated People

"È chiaro che non c’è fuorigioco - dice Ferrara a Sky rivedendo le immagini - Dispiace perchè le partite possono cambiare e poi abbiamo preso gol".
Poche parole, misurate, rilasciate dall’allora tecnico bianconero Ciro Ferrara al termine dell’incontro con il Genoa disputato nel girone di andata (24 settembre 2009), quando alla Juventus venne negata una vittoria meritata sul campo a causa degli errori arbitrali di Saccani.
Metterle a confronto con quelle pronunciate domenica pomeriggio dal tecnico dei rossoblù Gasperini fa quasi sorridere: altro stile. Altra classe.
Abile a nascondere le lacrime quando fa comodo, bravo a piangere nei momenti giusti: ecco il perfetto candidato per la panchina dell’Inter, nel caso in cui l’attuale allenatore, Giuseppe Baresi, venisse sollevato dall’incarico.

Parole di fuoco dalle panchine, bombe carta sugli spalti: questi sono i teatri confortevoli (dove poter seguire le partite) nei quali dovrebbero tornare le famiglie, con i bambini al seguito. Si parla di modelli esteri da imitare: poi se ne importa qualche interprete sbagliato, come l’addetto nerazzurro agli arbitri Mourinho, e si finisce con lo scoprire che si adatta talmente bene alla nostra realtà da assimilarne i lati peggiori, farli propri e mettersi a gareggiare con qualche presidente (De Laurentiis) su chi è più piccolo o più semplicemente per intromettersi nelle faccende altrui. Leonardo, Prandelli, Ranieri, Zaccheroni: ecco alcuni tra gli attori più popolari del calcio nostrano adatti a portare un clima di serenità che nel nostro campionato non si è mai visto. E che continua, invece, a peggiorare inesorabilmente.

E’ bastato che una zebra addormentata aprisse gli occhi per gridare allo scandalo: nelle ultime tre gare una vittoria, due pareggi, ma - soprattutto - due rigori che non c’erano. Allarme rosso: può tornare tutto come prima (di Calciopoli), quando il calcio era "sporco" e vincevano solo due squadre (Juventus e Milan); meglio un mondo pulito e onesto come quello attuale, dove vince una sola società (l’Inter) e dove si presterà attenzione ai labiali e alle scritte sulle magliette, mentre fuori (violenze sulle gradinate, dichiarazioni infuocate nelle interviste, bilanci fantasiosi delle squadre, …) continuerà ad accadere di tutto.

Del Piero fa 445 (presenze in campionato); è tornata alla vittoria la Juventus; è tornato al goal Amauri (grazie ad un cross degno di quel nome, finalmente); è tornata quel pizzico di cattiveria in più che aiuta a superare quella linea divisoria tra un pareggio ed una vittoria. E’ tornato anche quel clima di antipatia che sinceramente mancava. Il potere logora chi non ce l’ha: la simpatia, nello sport, la si prova per i perdenti. Se qualcuno tenta di inserire questo virus nel DNA di una società come quella bianconera, i risultati sono quelli sotto gli occhi di tutti. E non è un caso se nel tourbillon di polemiche che si sono scatenate domenica, a partire da Torino sino ad arrivare nella tarda serata a Napoli, si sia poi eretta la figura di Roberto Bettega: ecco il comandante che si cercava. Così come casuale non può essere il fatto che qualcun altro, di grado superiore, è rimasto oscurato dalla sua juventinità.

Tolta la divisa del campionato, la Vecchia Signora indosserà giovedì sera l’abito elegante per il rientro in Europa (League): non sarà una serata di gala, ma si tratta di un appuntamento a cui non si deve rinunciare. Troppo importante riprendere confidenza con i successi, per far crescere quell’autostima che deve permettere di ritrovare al più presto la retta via.
Ajax e Juventus: due culture calcistiche diverse, due storie che si sono incrociate in alcuni dei loro momenti di massimo splendore. Dal goal di Johnny Rep all’inizio della finalissima di Coppa dei Campioni a Belgrado nel 1973, all’ultimo rigore segnato da Jugovic in quella di Roma del 1996.
Dal calcio totale olandese della formazione allenata da Stefan Kovács negli anni settanta ai giovani terribili di Louis Van Gaal degli anni novanta; dalla Juventus di Vycpaleck e Trapattoni a quelle di Lippi e Capello: leggende che si guardano negli occhi, si studiano, si affrontano a viso aperto per poi lasciarsi. E ritrovarsi dopo anni. Se non decenni.

In chiusura un complimento sincero ai giovani della Juventus protagonisti della "Viareggio Cup", per il costante ricordo di Alessio Ferramosca e Riccardo Neri. A distanza di più di tre anni dalla tragedia, quella è stata la ciliegina sulla torta della vittoria ottenuta nella finalissima contro l’Empoli. La naturale conseguenza di una squadra forte non solo dal punto di vista umano.


Articolo pubblicato su Tutto Juve.com


Questa sera esagero un po’: oltre l’articolo ed i video relativi alla prima Coppa UEFA (ora Europa League) vinta contro l’Athletic Bilbao, inserisco anche un’interessante intervista rilasciata da Roberto Beccantini nel corso del programma radiofonico Stile Juventus (su Nuova Spazio Radio di Roma) condutta da Nicola de Bonis. Augurandomi possa diventare un ulteriore motivo di discussione/conversazione.
Mi avvalgo di una parte della trascrizione riportata da Tutto Juve.com, lasciando anche il video con l’audio originale.


RIGORE DEL PIERO - "I favori che riceve la Juventus vengono sempre amplificati. La Juventus è come gli Stati Uniti d'America, qualsiasi cosa faccia, nel bene e nel male, viene moltiplicato. In questo caso ha sbagliato l'arbitro. Il fatto è che si tratta di due errori in tre partite. Due rigori generosi, inesistenti, che hanno avuto per protagonista sempre Del Piero. Nel secondo caso mi sembra difficile parlare di dolo, anche se il tocco del difensore greco del Genoa non mi sembrava irresistibile. Nel primo caso con la Lazio, invece, c'era stato un annuncio di tuffo. Insomma, non penso che Del Piero e la Juventus stessa abbiano bisogno di queste cose. Sono sempre successe, sempre succederanno, coinvolgono anche i grandi, non bisogna fare demagogia, non bisogna essere moralisti, però l'esempio deve venire dall'alto".

MOURINHO E PREZIOSI - "Mourinho lo sapete, secondo me è la prolunga mediatica di Moggi. Lui fa davanti quello che Moggi faceva al telefono. Mourinho condiziona gli arbitri nelle conferenze stampa, non ha bisogno di telefonare. Ma il record assoluto è di Preziosi: uno che è in una posizione peggiore di quella di Moggi, nel senso che è stato squalificato come Moggi per cinque anni per illecito sportivo e associazione a delinquere, e ha avuto anche quattro mesi dalla giustizia ordinaria per frode sportiva. Mi sembra veramente il massimo che parli di lealtà. E' lo specchio di questa Italia".



lunedì 15 febbraio 2010

domenica 14 febbraio 2010

E chi si aspettava di vincere?

Una vittoria contro il Grifone per riprendere a volare. E alla "Viareggio Cup"...

Una Zebra irriconoscibile contro un Grifone dalle ali danneggiate. Una Juventus diversa rispetto all’immagine che ha dato di sé nel corso della sua storia contro un Genoa che, come numero di indisponibili ed infortunati, dimostra di voler tenere testa ai bianconeri prima ancora che l’incontro abbia inizio (fuori Moretti, Kharja, Jankovic, Palladino, Palacio, Tomovic e Juric).

Lontana (o esclusa) dagli obiettivi posti a inizio stagione, alla Juventus non rimane che tornare a vincere per trovare una sua nuova dimensione. Inutile stilare tabelle: bloccata nel traffico del centro-alta classifica, solo con tre punti accumulati ogni fine settimana può sperare di tirarsi fuori dalle sabbie mobili nelle quali è immersa. Ai continui proclami di una ripresa annunciata, voluta ma non ancora compiuta dopo il cambio alla guida della panchina, ad oggi ci sono stati due pareggi soltanto. Utili per smuoversi da quel "33 punti" diventato ormai un marchio di fabbrica; inutili per migliorare l’agonia che la pervade da mesi.

Il Milan vince contro l’Udinese, la Roma strapazza il Palermo: a loro il balletto delle due "finte contendenti" dello scudetto all’Inter. Resta il fatto, però, che di questo passo il secondo ed il terzo posto risulteranno essere posti già assegnati. Dal Napoli in giù, basta poco per rivoltare la griglia della domenica sera: solo con i pareggi, però, non si va lontano.

Juventus e Genoa: da qualche anno società amiche dietro le scrivanie, con giocatori in prestito o in comproprietà, ed un allenatore, Gasperini, più volte accostato a quella panchina bianconera che fu già sua in passato (nelle giovanili) e che non è escluso possa nuovamente rivederlo come protagonista. Prandelli permettendo, a quanto sembra dai rumors del mercato pallonaro.
Il mercato, quello di un futuro ancora da tracciare alla luce del sole, ma che sotto sotto sembra muovere i primi passi. Quello che potrà sbloccarsi solo quando si capirà quale posizione la Juventus raggiungerà nel corso di questa dannata stagione (con i relativi futuri introiti), e quando si delineerà in via definitiva l’assetto societario che dovrà portare avanti la ricostruzione di una Vecchia Signora che avrà bisogno di più di una ritoccata per tornare ad essere bella. E vincente.

All’andata, nel posticipo del giovedì del turno infrasettimanale (antipasto di quel calcio-spezzatino cui giocoforza ci dovremo abituare) si ammirò una delle Juventus migliori del campionato. Una delle poche: non c’era Diego; la luce l’accese Camoranesi; Iaquinta e Amauri sfiancarono i grifoni già a partire dal loro possesso palla difensivo. Il rombo a centrocampo trasformato in un 4-3-3; un movimento continuo dei giocatori che - da quel momento in poi - si è visto pochissimo nel prosieguo della stagione. L’idea di forza, di possanza fisica, di compattezza: non si era ancora ammirato nulla di simile nelle quattro giornate precedenti (le prime); non si è più visto (tranne la partita contro la Sampdoria) tutto questo da quel momento in poi. Una Juventus che assomigliava ad una di quelle del passato. Una di quelle di Lippi…

Il passato come memoria storica, un presente incerto, un futuro da costruire. Utilizzando, se possibile, le forze fresche provenienti dalla Primavera bianconera. Quella squadra che ha raggiunto, nuovamente, la finale della "Viareggio Cup": domani rivincita con l’Empoli, già affrontata (e battuta) nel 2004. Dal 2003 al 2009: 7 edizioni, di cui 4 vinte ed una persa in finale. Ad oggi, l’unico elemento pronto per la prima squadra (nell’attesa di De Ceglie e Giovinco) è Marchisio. Si parla spesso di giovani da lanciare, in Italia, sui quali costruire le squadre per trovare in casa quello che si è costretti, in loro mancanza, ad acquistare fuori. Poi, però, si preferisce "l’usato sicuro". Che tanto "sicuro" non è. Manca l’anello di congiunzione tra le giovanili e la prima squadra; manca la capacità di individuare le società giuste cui affidare, temporaneamente, i giovani da far crescere. Sia nella serie cadetta che in quella maggiore. Si cerca spesso la comproprietà, invece di un prestito secco: l’esplosione di un giovane, in questo senso, a volte finisce per diventare un problema. Perché la metà da riacquistare diventa troppo onerosa ed in alcuni casi, proprio per la paura di puntare su un mondo da esplorare (un ragazzo) e di sbagliare, si preferisce lasciarlo andare. Sono pochi, infine, i ragazzi in grado di fare il grande salto nel calcio che conta. Ma il solo Marchisio, ad oggi, non può essere l’unico prodotto garantito di tante vittorie. Qualcosa manca, qualcosa va aggiustato anche in quel settore. Se ne riparlerà dopo lunedì. Nella speranza di mettere un altro trofeo in bacheca. E che il futuro possa essere costruito (anche) in casa.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Come mi capita di fare ogni tanto, quando trovo un qualcosa in rete che mi colpisce in maniera particolare, saltuariamente lo ripropongo. Come segno apprezzamento. E' il caso del video che inserisco qui sotto. Forza Juve!!!

giovedì 11 febbraio 2010

Lettera ad una signora senza memoria






LETTERA APERTA A ROBERTO BETTEGA
Per istituzione Sala della Memoria Heysel

Lettera ad una signora senza memoria



Carissimo Roberto,
mi permetto di darti del tu, perchè un bambino non teme mai dai suoi sogni. Forse tu non lo immagini, ma io volavo proprio quando le tue braccia si elevavano al cielo e principe delle aree svettavi regale in quelle immagini senza colore. Eri maestro e carezza di parole mai banali, dal sorriso appuntito e con quel fendente di lama vincente in campo, da imitare. E' in virtù di questo intimo legame che oggi busso temerario al portone del tuo maniero, perchè sei rimasto l'ultimo templare di una fede, così nobile e antica ed a molti ieri come oggi invisa.
La bandiera arrotolata, il cuore in tumulto, una gioia a metà fra l'orgoglio e l'orrore nel mio passo spedito verso casa. Vent'anni sono troppo pochi per capire che la vita di un uomo vale più dell'esultanza di mille altri. Una macchina strombazzava invereconda, qualcuno che esultava nell'abitacolo, io alzo il pugno rabbiosamente in alto in segno di vittoria, poi mi gela da dentro una brezza di vergogna che ho seppellito in terra sconsacrata per cinque lustri nella coscienza. Ci sono vittorie e sconfitte nella vita, ma ciò che t'insegna i passi di danza del respiro del mondo è la verità che giace nel fondo delle cose. Per questa ragione è nato il mio sito in memoria dei caduti di Bruxelles, www.saladellamemoriaheysel.it, il 22 febbraio dell'anno scorso.
L'Heysel è una pagina di storia che qualcuno infantilmente ha stralciato nel grande libro della Juventus e che non riceve più ospitalità neanche sul suo sito ufficiale. Aleggia ancora imbrattata dal sangue di innocenti peregrinando in quella sala dei trofei come un fantasma ed intimando al metallo anonimo della vanagloria posato sulla fredda bacheca di costituirsi responsabilmente ai vincoli della memoria. Basterebbe un lembo di stoffa bianca e nera a marchiarla, affinchè quella coppa si trasformi da calice amaro in un venerabile Graal di juventinità.

Nell'archivio polveroso dell'oblio, come sacchi di patate, abbandonati sono ancorà là, in un angolo, i bozzoli inermi di quei 39 angeli. Se avrai la bontà di scendervi assieme a noi, scoprirai il sollievo di un brivido precoce di giustizia e la calorosa vampa della memoria che non giudica, ma unisce in un solo abbraccio le vittime ai carnefici e chi l'ha messa al bando in tutti questi anni, confinandola fino a lì.
Carissimo Roberto, l'onore è una scuola che ti annovera fra i suoi luminari emeriti, riscendiamo insieme in quello scantinato da chi impose al circo di non fermarsi, immolando l'inciampo nel vuoto di acrobati e funamboli alla ragione di stato. Non fummo colpevoli noi di generare quella infame mattanza, ma gaudenti di banchettare all'effimero trionfo, come fosse Pasqua sul golgota, quando avremmo dovuto soltanto piangere. Voltati, siamo in tanti, abbiamo pochi fiammiferi per illuminare un ricordo, ma siamo venuti fino a te per chiederti una sala della memoria dove riscrivere definitivamente la medesima storia abbagliandola di fiaccole eterne, un luogo perenne dove sussurrare una preghiera, posare un fiore, imparare da un silenzio più grande. Un museo multimediale che trasmetta un messaggio autorevole contro la violenza, nel nuovo stadio della Juventus, ma anche un simbolo che non faccia alcuna distinzione fra le bandiere.
Carissimo Roberto, ho già scritto agli ultimi due presidenti, che hanno pensato fosse più in stile non rispondermi, ma è la prima e l'ultima volta che scrivo veramente alla Juventus, perchè tu ne sei l'ultimo baluardo. Tu che per l'amata sovrana non hai disdegnato le lacrime, che ne conosci tutte le anse del cuore e ne sei amante fedele, riportale a casa quei figli dispersi nel Belgio, ricordarle uno ad uno i loro nomi, prima che calino altri venticinque sipari di tenebra. Noi tifosi non abbiamo mai dimenticato. Confidalo da parte nostra all'orecchio della divina signora, c'è sempre tempo per l'amore.
6/2/2010
Con affetto.
Domenico Laudadio

Tratto da: http://www.magazinebianconero.com/mb-articoli/camera-con-vista.html

Nota del proprietario del blog:
Già da qualche giorno girava in rete questa “Lettera ad una signora senza memoria”, di Domenico Laudadio. Forum, blog e siti la riportavano.
Non si tratta della prima scritta dall’autore alla società: ad oggi, silenzio assoluto.
Vuoto totale. A pensarci bene, (purtroppo) non sorprende.

Da Roberto Bettega, cuore e anima bianconera da più di un quarto di secolo, ora ci aspettiamo tutti almeno una risposta.
Non è facile spiegare cosa rappresenti quanto accaduto nel lontano 1985 all’Heysel per i tifosi juventini (ma non solo): è un dolore che non se ne andrà mai.

Invito chi possiede un blog, un sito o amministra un forum, e che ancora non ha inserito questa lettera, a farlo.
Non è necessario che sia tifoso della Juventus: basta abbia un cuore.

mercoledì 10 febbraio 2010

Quando l'obiettivo diventa vincere una partita…


Per una squadra che non vince (quasi) più, non ci possono essere altri pensieri se non quelli di ragionare partita dopo partita, nella speranza di smuovere la classifica con una vittoria. Non limitandosi, nonostante la soddisfazione della società (complimenti per il commento post Livorno-Juventus nel sito), soltanto a qualche pareggio.
Il ridimensionamento c’è stato, le cause sono sotto gli occhi di tutti. Elencare gli aspetti che non funzionano vorrebbe dire girare il coltello nella piaga. Per l’ennesima volta. Anche se, ormai, non provoca neanche più dolore: ci si è abituati alla rabbia; il "non gioco" finisce con l’evitare che nascano illusioni; il confronto con il passato provoca sconforto.
L’importante è che non si sconfini nella rassegnazione.

Quella che si sta avvicinando pericolosa, ma che va allontanata con forza: è il nemico peggiore, quello che non si sconfigge. Ti spezza il morale e ti taglia le gambe. Anche a chi ha vinto mondiali o palloni d’oro. Certo, ci sono persone che non hanno bisogno di obiettivi per essere stimolati: basti pensare all’impegno che Nedved mise nell’incontro a Bari contro il Martina, nel 1° turno eliminatorio della Coppa Italia nell’agosto del 2006, poco dopo il terremoto scoppiato con Calciopoli. Allenamento, amichevole, gara di campionato o di Champions League: per lui non faceva differenza alcuna. Ma di calciatori di quel calibro ne nascono uno ogni chissà quanto: basterebbero anche un po’ di Torricelli o Di Livio.

Sfumati gli obiettivi prestigiosi, stanno volando via leggeri anche tutti quelli al loro seguito. I giocatori avvertono la sfiducia, cercano di rimediare con una "partita perfetta", quella della svolta. Quella che, con uno stato d’animo simile, difficilmente adesso arriverà. Quando guardi l’orizzonte e pensi di essere in grado di raggiungere l’irraggiungibile, diventa difficile accettare di non riuscire ad ottenere più nulla. In quei momenti anche una sola e semplice vittoria diventa una montagna difficile, se non impossibile, da scalare.

Allora si tratta di trovare l’umiltà per ammettere i propri limiti, di personalità prima ancora che di natura tecnica o atletica, anche verso se stessi. E di ripartire dalle cose più elementari: un passaggio ad un compagno; riuscire ad arrivare per primo sulla palla rispetto all’avversario; correre per 90 minuti senza avvertire la fatica che (anche) lo stress contribuisce ad aumentare. Soltanto dopo i muscoli iniziano a sciogliersi, i movimenti diventano più elastici, naturali. La testa torna ad essere libera da pensieri e condizionamenti. Ed accetta anche un errore commesso con meno ansia, riuscendo ad estraniarsi dalla critiche. Comprese quelle provenienti dagli spalti.

La maglietta torna ad essere un’armatura, l’avversario un contendente, il campo un’arena. La vittoria come unico obiettivo. Raggiungibile. Perché a chi non è (quasi) più in grado di vincere, non si può chiedere di più. E’ dura da accettare, ma ora è così.

La Juventus tornerà ad essere la Vecchia Signora. Non con queste persone che la stanno distruggendo. Ci vorrà tempo, quantificarlo non è possibile. Ma se la serie B sembrava dovesse essere il punto di partenza per una nuova strada, in realtà ha rappresentato la terz’ultima tappa verso l’inferno. Quello che si sta vivendo in questi giorni. C’è da tenere duro e sostenerla in questa infausta stagione, come e quanto è sempre stato fatto. Se non di più. Ma soltanto quando i giocatori verranno scelti da persone competenti, utilizzando come criteri la classe, la personalità e (solo dopo) l’aspetto economico, allora si potrà tornare a vincere. Non soltanto una partita.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

domenica 7 febbraio 2010

Liberateci da loro... Vi prego...

Alain Elkann: "la Juventus è nel cuore di molti..."
Thomas: "... MILIONI di tifosi..."

Alain Elkann: "non è che uno può sempre sempre vincere..."
Thomas: "ma neanche SEMPRE SEMPRE PERDERE!!!!!!! "

Alain Elkann: "può darsi che in un avvicendamento sportivo ci siano dei momenti di consolidamento, di cambiamento..."
Thomas: "... voleva dire di MERDA?"

Alain Elkann: "...ma io sono molto ottimista..."
Thomas: "... ah, beh... Ora posso dormire sonni tranquilli..."

Alain Elkann: "...tenevo la Juve già fin da bambino..."
Thomas: "... eccoci... Lo sapevo..."

Alain Elkann: "...io mangiavo a Sivori e Charles..."
Thomas: "... da quando c'è suo figlio alla guida della Juventus, io sto mangiando solo mer..."

Alain Elkann: "...quando le cose non vanno bene, in generale, è già un passo avanti..."
Thomas: "... ecco da chi ha preso John..."

Juventino diventi pazzo...


sabato 6 febbraio 2010

Le 444 presenze di Del Piero e il "peso" della maglia bianconera...


Una vittoria a Livorno. Nulla di più. Una sola vittoria per trascorrere finalmente una domenica serena. Simile a tante trascorse in passato, anche se diverse nei contorni. I limiti e gli errori dell’attuale proprietà, della dirigenza e della squadra ormai sono stati vivisezionati in ogni singolo punto: adesso spazio al campo. Una vittoria per infilare nello zainetto tre punti e guardare con animo interessato allo scontro di domani sera tra Fiorentina e Roma. Una vittoria per poter permettere a Zaccheroni e Bettega di iniziare un percorso da traghettatori tra questa Juventus e quella che prenderà corpo il prossimo maggio, allorquando qualcosa dovrà cambiare.
Difesa a tre o a quattro, centrocampo a quattro o a tre, attacco scontato (non ci sono alternative): la speranza che i numeri servano a creare un gioco, oltre i risultati. Indispensabili i secondi, necessari i primi. Perché senza gioco non si va da nessuna parte. A meno che non si decida di affidarsi ai colpi dei singoli: ma questa squadra, al momento, non se lo può permettere. Non solo per le numerose assenze.

La maglia della Juventus pesa chili, non grammi. Il senso di responsabilità che assale un giocatore quando la indossa, deriva dalla leggenda che ha accompagnato quel nome negli anni. Si può dire, a ragione, anche nei secoli (uno, ma sempre secolo è). Milioni di tifosi che riconoscono in quei colori la nobiltà del calcio, e che chiedono alla società di essere competitiva sino in fondo in tutte le competizioni: la vittoria come normalità; il pareggio come un senso di disagio; la sconfitta come un’onta da cancellare al più presto.
Se da questo peso si finisce con l’essere schiacciati, si rischia l’assuefazione a tutto: anche alle brutte figure. Perché diventa difficile uscire dalle situazioni critiche quando sai sempre di essere all’ultima spiaggia, quando il tuo unico compito rimane quello di prevalere sull’avversario e non puoi avere alternative.
Se la società - poi - inizia a sbandare, a nascondersi dalle responsabilità e fa (intra)vedere segni di debolezza anche dall’interno, rischi di trovarti solo contro il mondo intero: perfino nei confronti di chi dovrebbe stare dalla tua parte.

Ben venga la figura di Zaccheroni, che non potrà fare miracoli ma è dotato di buonsenso, che possiede la praticità di chi ha fatto anni di gavetta, ha maturato esperienze importanti in ambienti difficili e vinto. "Sollevato" dall’incarico Ferrara, Felipe Melo si è sentito "sollevato" da un problema: l’alibi principale delle sue prestazioni negative non è più seduto sulla panchina. Ora non ha più scuse. In realtà, un’altra l’avrebbe: una società che cercava un regista e ha comprato lui. Ad un prezzo altissimo.
Al nuovo traghettatore il compito di disegnargli una zona di campo dove permettergli di esprimere al massimo le sue potenzialità; al giocatore l’invito di smetterla di parlare fuori dal rettangolo verde e di iniziare a giocare a pallone come è in grado di fare con la maglia della sua nazionale.
Questo vale per lui così come per tutti gli altri attori in campo: basta parlare, ora spazio ai fatti.

Smontato un progetto mai nato, alle ricorrenti notizie sui calciatori e allenatori accostati alla Juventus si sono aggiunte quelle sulle figure dirigenziali: lì si costruirà la nuova società. Da quelle scelte si capirà - ad occhio - se la nuova creatura potrà essere vincente o meno. Perchè anche al di fuori del campo di gioco non contano gli schemi: sono i nomi che fanno la differenza. Così come la qualità: quella delle persone giuste da posizionare dietro la scrivania. A loro, poi, il compito di scegliere i futuri protagonisti da mandare in campo.
Con addosso quella maglia bianconera che pesa chili, non grammi. E che Alessandro Del Piero, al fischio d’inizio dell’incontro con il Livorno, avrà indossato per un totale di 444 volte nei campionati italiani (inferno della serie B compreso).
Auguri, Capitano. E grazie per le tante domeniche "normali" che ci hai permesso di trascorrere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com



mercoledì 3 febbraio 2010

Il pareggio con la Lazio e la solita società "silente"…



Un pareggio, così come non se ne vedeva dal 17 ottobre 2009 (anticipo con la Fiorentina): da quel momento in avanti, solo sconfitte (molte) e vittorie (poche). Un punto, abbastanza per smuovere la classifica ma inutile per tenere il passo della Roma vittoriosa col tacco di Okaka. Nonostante tutto, e con 6 sconfitte negli ultimi 9 incontri di campionato, la Juventus è ancora in zona Europa League (ad oggi sarebbe qualificata, al Cagliari manca però una gara) e guarda ancora - seppur non da vicino - alla possibilità di raggiungere quella della Champions League. Basti pensare che il posticipo di domenica prossima potrebbe regalare un successo della Fiorentina sulla Roma. Certo che se i bianconeri continuano a non vincere… Ad essere pessimisti, si può semplicemente raccontare la realtà attuale; a cercare di intravedere la luce in fondo al tunnel, si può leggere la classifica e sperare che il cambio alla guida della panchina della Juventus possa portare con sé effetti benefici dai punti di vista psicologico, atletico e tattico. Per vedere un futuro roseo, bisognerà attendere che venga fatta tabula rasa in società: sino a quel momento ogni obiettivo prestigioso resterà una semplice chimera. Roma non è stata costruita in un giorno, e per distruggere una leggenda ci sono voluti quattro anni: Calciopoli è stata la prima spallata, forte ma non definitiva. Una scelta sbagliata degli uomini cui affidare la ricostruzione, il vero colpo di grazia.

Un’invenzione di Saccani, per una volta favorevole ai colori bianconeri (recidivo in negativo, in passato), mette un rigore a disposizione di Del Piero ed apre le porte ad un successo. Mauri, e la solita disattenzione difensiva, la richiudono prontamente. Difficile trovare una squadra che giochi peggio della Juventus attuale: la Lazio è una di quelle. Una linea Maginot davanti al portiere: l’unico modo di sorprenderla era quello di aggirarla. Ma i bianconeri hanno perso l’abitudine ad utilizzare le fasce (a dire la verità, a giocare la palla…): a destra fuori causa quasi tutti per infortuni, a sinistra - partito Molinaro - Grosso (comunque squalificato) non corre, non affonda e crossa dalla mediana, De Ceglie affonda ma crossa (per ora) poco. Più dinamismo all’inizio, poi la lancetta della benzina è finita sul rosso: ce n’è poca già di per sé, la vicina gara giocata contro l’Inter (giovedì scorso) ha finito col pesare più del lecito. La mancanza di turnover (troppi giocatori assenti) non aiuta. Una contestazione continua dagli spalti verso i soliti bersagli, la stessa musica triste che accompagna la Juventus da qualche mese a questa parte.

Commenti post-partite che iniziano ad assomigliarsi tutti: c’è da poco da scrivere di diverso se le prestazioni della squadra non aiutano in tal senso. A monte, non è (stato) un problema di investimenti economici: quelli non sono mancati, e si spera non mancheranno in futuro. E’ (soltanto, purtroppo) una questione di mancanza di competenza. Il dubbio principale è cosa si deciderà di fare di questa società: impensabile continuare in questa maniera. Oltretutto, con questo silenzio. Proprietà silente, il presidente (e non solo) Blanc che parla solo per difendere le sue poltrone, Bettega che fa da frangiflutti per gli errori altrui… Ma sino a quando si dovrà andare avanti così? Dall’ex-Cobolli Gigli che andava alla ricerca dei cronisti che lo intervistassero ai giocatori sempre in prima linea a fare proclami: nel mezzo, il vuoto. La situazione è questa: ma domani? Più su, in cima alla società, sino a quando verrà lasciato così tanto potere decisionale in mano ad una persona che non riesce a distinguere un Nocerino da un Palladino? Ma se basta una semplice punzecchiatura di Maurizio Pistocchi (31 ottobre 2009) sul numero di scudetti vinti dalla precedente gestione - e riconosciuti a fasi alterne da quella attuale - per mettere in crisi Blanc, incapace di rispondergli con prontezza davanti alle telecamere, dove si vuole andare?

Quando si arriva ad ottenere un ruolo delicato in una società importante, esistono due poltrone: quella dei problemi, e quella "di chi risolve i problemi". Un vero uomo d’azienda deve essere in grado di sedersi su entrambe. Nella Juventus attuale, la prima è occupata. La seconda, è desolatamente vuota.
L’organizzazione, in ogni ambiente, è "tutto". Anche nel calcio i risultati, sia positivi che negativi, rappresentano lo specchio di una società.
Dal 2006 in avanti, il club è stato (volutamente) lasciato in balìa del mondo intero, senza che nessuno lo difendesse: dal processo sportivo (?) ai continui attacchi mediatici (carta stampata, internet e televisione), a quelli provenienti dai dirigenti delle squadre avversarie sino ad arrivare alle stilettate degli ultimi tra gli addetti ai lavori. Silenzio, silenzio totale. Neanche per difendersi in prima persona. Sino a quando si andrà avanti così? Al di là del fatto che al termine di questa stagione potrebbe anche verificarsi una (sognata, da milioni di tifosi) rivoluzione in ambito societario, sino a quando gli attuali fautori di questa situazione continueranno a tenere questo comportamento? L’input (o la concessione) della proprietà a chi la dirige in prima persona è quello di gonfiare il petto solo quando si vince una partita ed andare davanti alle telecamere a parlare di progetti, oppure quello di gestire un club di calcio tra i più gloriosi al mondo rispettando i vincoli dei bilanci di una società quotata in borsa e di coniugarli con i risultati sportivi? Perché questo era tutto quanto faceva la precedente gestione. Quella vincente, che per plusvalenza intendeva la cessione di Zidane, pagato poco e rivenduto a peso d’oro, per sostituirlo con gli acquisti di Buffon, Nedved e Thuram. Quella che dava fastidio perché era la migliore, perché era competente, perché aveva creato un futuro solido al club. E perché era legata ad Andrea Agnelli.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com