domenica 30 gennaio 2011

Ora sono cavoli Amauri...

Ci vorrebbe una serata da vera Juve

Quella iniziata domenica scorsa con la trasferta a Genova contro la Sampdoria doveva essere la settimana della "verità" per la Juventus, sia in campionato che in coppa Italia.
Le risposte arrivate dal campo non sono state in linea con le speranze dei tifosi bianconeri e della stessa società: con il pareggio ottenuto al termine dei novanta minuti al "Luigi Ferraris" è passata dal sesto posto in classifica al quinto, in coabitazione con l’Inter che ha comunque a propria disposizione una gara da recuperare (quella di Firenze contro i viola).
L’estromissione dalla coppa nazionale per mano della Roma ha tolto alla Vecchia Signora il secondo degli obiettivi prefissati ad inizio anno. Salutata l’Europa League il 16 dicembre 2010 nell’incontro casalingo con il Manchester City (anche se in realtà l’addio alla manifestazione era diventato matematico già a partire dal 1° dicembre, al termina della gara di Poznan), arrivati al 27 gennaio 2011 Madama sa già che non giocherà più, per la restante parte della stagione, incontri al di fuori di quelli previsti in serie A.

Rimangono quindi 17 partite da disputare, a cominciare da quella odierna contro l’Udinese. Nella speranza che il cammino della Vecchia Signora non diventi un martirio, così come è capitato lo scorso anno. Allora, alla terza giornata di ritorno, esordì sulla panchina bianconera Alberto Zaccheroni, "traghettatore" di una squadra senza nervi né nerbo che si afflosciò poco alla volta, cominciando con due pareggi (Lazio e Livorno), per continuare con due vittorie (Genoa e Bologna) ed iniziare la caduta libera con la sconfitta per opera del Palermo (soltanto in campionato, sono ben cinque le gare perse con i rosanero dal ritorno in serie A nel 2007).

I siciliani saranno gli avversari della Juventus nel prossimo turno infrasettimanale del 2 febbraio. Prima, però, spazio all’Udinese di Francesco Guidolin, battuta nell’incontro del girone di andata con un rotondo 4-0. Al termine di quella partita la squadra friulana si ritrovò in classifica con 0 punti, così come capitò nella giornata successiva (a causa di un’altra sconfitta patita a Bologna). Soltanto a partire dalla quinta gara iniziò la sua scalata che l’ha portata oggi a trovarsi a due sole lunghezze in classifica dalla Juventus grazie ad un pareggio (0-0) ottenuto proprio a Genova contro la Sampdoria lo scorso 26 settembre.

Penultima con un punto su due match disputati sino a quel momento, la squadra di Del Neri aveva l’imperativo di tornare da Udine con la vittoria in tasca. "Sì, ma se vinciamo? Voi vedete il bicchiere mezzo vuoto, io mezzo pieno. Non sono preoccupato". Così rispose il tecnico di Aquileia ad una domanda dei giornalisti nella consueta conferenza stampa del giorno precedente l’incontro. Nell’immediato dopo partita, d’altro canto, potè esprimere la propria soddisfazione per una prestazione positiva sotto tutti gli aspetti: "La Juve continua ad essere una squadra senza limiti, però non ci esaltiamo. Siamo appena nati, dobbiamo fare esperienza sulle cose negative e trovare la continuità delle prestazioni. Se si gioca come oggi, i risultati arrivano sicuramente; se giochiamo contro il Bari un po’ meno".

Pazzini, Borriello, Di Natale: dalla gara con la Sampdoria a quella prevista per stasera Madama ha trovato (e troverà) sulla propria strada tre attaccanti che avrebbero potuto far parte della rosa a disposizione del tecnico friulano. Il primo è appena approdato all’Inter ("La Juve mi voleva? Non lo so, invece so che l’Inter ha fatto i fatti, ha dimostrato di volermi a tutti i costi e davanti a richieste così devi per forza accettare"); il secondo si trasferì alla Roma alla chiusura della sessione estiva del calciomercato (forse, col senno di poi, non sarebbe stato un acquisto così inutile come si sosteneva da più parti); del terzo Del Neri disse: "Con Antonio (Di Natale, ndr) siamo in ottimi rapporti. Ha fatto la sua scelta di vita e bisogna rispettarla, mi pare che gli faccia anche onore. Non ha rifiutato la Juve, ha solo deciso di rimanere a Udine, perché lì è amato e ha messo le radici" (18 settembre 2010).

Proprio Di Natale, alla ricerca del goal numero 100 in serie A con la maglia dell’Udinese, questa sera sarà il pericolo numero uno per la difesa della Juventus. Non l’unico, però, nel contesto di una formazione che - ritrovata l’autostima e un’ottima condizione fisica - si è dimostrata capace di rialzarsi dopo un inizio campionato disastroso. Dopo i quattro ceffoni presi dalla Vecchia Signora nella gara di andata il patron Pozzo dichiarò: "La sconfitta è esclusivamente colpa dei giocatori, la squadra è stata inguardabile, i giocatori devono pensare a lavorare e reagire. Guidolin? Il tecnico ha il 110% della mia stima, lasciamo stare i discorsi sulla solidità della sua panchina".

Dopo la sconfitta patita in campionato contro la Lazio (2-3, 19 dicembre 2010), i friulani hanno accumulato tre vittorie ed un pareggio, segnando tredici reti e subendone sette (quattro, però, nella sola gara pareggiata a "San Siro" contro il Milan).
Numeri da grande squadra. Numeri da "Juventus". Quella vera. Quella che servirebbe per vincere contro la formazione allenata da Guidolin.
Quella che ci vorrebbe sempre, non soltanto stasera.

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venerdì 28 gennaio 2011

Sfida Platini-Zico. Poi spuntò Vignola...

"Arrivai alla Juve e mi trovai davanti Michel Platini. Fate un po’ voi...". Questo è stato il triste destino bianconero di Beniamino Vignola, talentuoso centrocampista acquistato nell'estate del 1983 da Madama quando ancora militava tra le fila dell'Avellino. "Temevo di marcire in panchina, ma riuscii lo stesso a graffiare. Segnai il primo gol nella finale di coppa Coppe ’84, a Basilea contro il Porto. Contribuii allo scudetto dello stesso anno e poi alla coppa Campioni ’85. Ora mi godo il ricordo di essere stato il vice-Platini e di averci più volte giocato assieme. Non è poco".
In una di queste occasioni rubò le luci della ribalta al fuoriclasse transalpino. Accadde il 21 aprile 1984, allo stadio "Comunale" di Torino. La gara metteva di fronte la Juventus del francese all'Udinese di Zico. Sfida per palati fini, uno spettacolo nello spettacolo nel contesto di un momento delicato del campionato, dato che si trattava della quartultima gara con la Vecchia Signora ormai prossima a scucire lo scudetto dalle maglie della Roma per aggiudicarsi il ventunesimo tricolore della sua storia. Con il pareggio a reti inviolate ottenuto in trasferta proprio contro i giallorossi la domenica precedente quell'incontro, la strada verso il successo finale sembrava in discesa. Ma c'era un avversario ostico da superare, visto che tra le sue file spiccavano nomi importanti: Virdis, Causio, lo stesso Zico, Mauro, Edinho, Miano (per il quale si parlava da tempo di un interessamento da parte della stessa Juventus), De Agostini... Sottovalutare una squadra come quella friulana sarebbe potuto costare caro a Madama, che si era quindi posta l'imperativo di non abbassare la guardia proprio nel momento in cui il traguardo si trovava ormai a portata di mano.

Paolo Rossi, imbeccato da Claudio Gentile al 15' minuto, portò in vantaggio i bianconeri di Torino. Fu proprio in quel momento che la rilassatezza tanto temuta alla vigilia dell’incontro finì per impadronirsi degli uomini di Trapattoni. Il gioco scivolò lentamente tra le mani dell'Udinese, che iniziò a premere la Juventus costringendola sulla difensiva: Zico salì in cattedra, Mauro gettò al vento un delizioso assist del brasiliano, Bonini respinse con una mano un cross di Virdis facendo gridare al rigore e allo scandalo il numero 10 carioca (che a fine gara dichiarò: "Ho capito che in Italia non c' è giustizia, alle piccole squadre non viene mai concesso il dovuto"). E fu così che, dopo una bellissima parata di Tacconi su colpo di testa di Gerolin, l'Udinese raccolse quanto seminato sino a quel momento quando ormai si era arrivati alla fine della prima frazione di gioco: Mauro, servito da un eccellente Causio, realizzò la rete del momentaneo pareggio; un minuto dopo Zico portò a due le reti degli ospiti con un gran tiro di destro che trafisse il portiere juventino.
All’inizio della ripresa Trapattoni decise di lasciare negli spogliatoi uno spento Boniek per sostituirlo con Vignola, e dopo sei minuti la sua scelta venne premiata dal goal del biondo centrocampista: dopo essersi inserito pericolosamente nel cuore della difesa friulana, ricevette da Tardelli un pallone che fu in grado di controllare in corsa col piede destro per poi battere l’incolpevole Brini con un forte diagonale di sinistro.
In quel preciso momento Zico capì che non avrebbe dovuto vedersela soltanto contro “le Roi” Platini, ma anche con il talento di quel ragazzo con il numero 15 sulla schiena che due domeniche prima si era già dimostrato decisivo per la Vecchia Signora realizzando (su rigore) a Firenze il goal del successo contro i padroni di casa al novantesimo minuto.
Il brasiliano diventò ancor più protagonista della partita, lanciando prima Virdis solitario verso la porta di Tacconi (fermato in fuorigioco, una segnalazione che fece infuriare i friulani) e iniziando poi un vero e proprio tiro al bersaglio contro l’estremo difensore juventino, autore di parate fondamentali per la vittoria di Madama. Che si concretizzò al 67’ di gara: Vignola (ancora lui) ricevette un pallone da Cabrini poco dopo aver oltrepassato la metà campo dell’Udinese, puntò la porta avversaria e, dopo un affondo lungo quaranta metri, trafisse Brini con un potente destro. Un tiro a fil di palo di Zico fu l’ultima occasione per gli ospiti, usciti battuti dal campo ma comunque protagonisti di una grandissima gara.

Arrivato alla Juventus con l’approvazione di Michel Platini (che ne apprezzava il talento cristallino), Beniamino Vignola quella domenica riuscì a fornire ai bianconeri l’apporto che il francese solitamente garantiva loro proprio in concomitanza con un momento di appannamento del fuoriclasse transalpino, permettendo alla Vecchia Signora di opporsi alle straordinarie giocate di Zico e di far suo lo scudetto numero ventuno.
Ad una recente intervista, oggi che si trova fuori dal mondo del calcio, gli è stato chiesto: “Se Vignola giocasse oggi, in quale ruolo lo potrebbe fare?”. La sua risposta è stata “Non saprei, le mezze ali si sono estinte. Verrei retrocesso di trenta metri, penso. Regista davanti alla difesa come Pirlo”.
Lontano dalla zona di solito occupata da Platini…

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martedì 25 gennaio 2011

sabato 22 gennaio 2011

Juve-Samp come inizio di una settimana importante


Dopo la sconfitta subita a Bari nella prima giornata di questo campionato, la partita contro la Sampdoria disputata a Torino lo scorso 12 settembre 2010 sembrava potesse rappresentare per la Juventus quella dell’immediato riscatto.
Ai blucerchiati mancava Pazzini, al posto del quale giocò Pozzi. In quel pomeriggio non si notò alcuna differenza tra i due, se non nelle vocali e nelle consonanti che distinguono i rispettivi cognomi: aiutato da Cassano (a sua volta facilitato dalla marcatura troppo allegra di Motta…), l’attaccante ex Empoli aprì e chiuse un incontro che terminò con il risultato di 3-3.

Del Neri apprezzò l’atteggiamento positivo dei sostenitori bianconeri, rimasti delusi dal pareggio finale ma non per questo avari di applausi verso una formazione evidentemente in difficoltà e ancora da plasmare. Lo disse chiaro e tondo Marotta a fine incontro: "L’obiettivo dichiarato è la Champions League, i tifosi non vanno presi in giro. E’ giusto non perdere di vista il valore di avversari come Inter, Milan e Roma. Noi non abbiamo grandi campioni, qui ci sono ottimi giocatori che hanno bisogno di tempo per diventare una squadra vera. Non esiste la bacchetta magica, e contro la Sampdoria sei su undici erano nuovi rispetto alla scorsa stagione". Le dichiarazioni del tecnico di Aquileia furono sulla stessa lunghezza d’onda: "Anche con la Samp (la stagione precedente, ndr), all’inizio, avevo preso delle belle imbarcate. Poi, le cose sono migliorate col tempo".

Sergio Gasparin, direttore generale della squadra ligure, di Cassano disse tutto il bene possibile: "Il processo di maturazione di Antonio si è completato con la sua crescita come persona". Visti gli eventi posteriori ed il successivo trasferimento del giocatore al Milan, evidentemente mancava ancora qualche piccolo passo da compiere… I blucerchiati, ora, se lo troveranno di fronte la prossima settimana nei quarti di finale della coppa Italia, proprio allo stadio "Luigi Ferraris". Per l’addio di Gasparin da Genova bisognò attendere il 21 dicembre 2010, allorquando una nota della stessa società sul proprio sito annunciò l’accordo per la risoluzione contrattuale con il dirigente. Con tanti ringraziamenti.

Alla conclusione della seconda giornata in testa alla classifica c’era il Chievo, solitario, con sei punti. Il Milan aveva preso due ceffoni a Cesena (Bogdani e Giaccherini), Allegri non aveva ancora iniettato nella formazione titolare una buona dose di mediani per reggere il peso offensivo dei suoi attaccanti e Ibrahimovic, all’esordio, aveva deluso. Berlusconi se la prese con la terna arbitrale, scherzando sulla loro "provenienza": "Il problema è che spesso il Milan si imbatte in arbitri di sinistra".

Rovesciando il calendario per arrivare al giorno d’oggi, Federico Macheda ha preso il posto che fu di Cassano accanto a Giampaolo Pazzini. Insieme guideranno l’assalto ad una Vecchia Signora che non può permettersi di commettere altri passi falsi per non perdere ulteriore terreno nei confronti delle primissime della classe. Sampdoria domani pomeriggio, Roma giovedì prossimo in coppa Italia e Udinese nel posticipo serale di domenica 30 gennaio: tre gare importantissime concentrate in una settimana, nella quale la Juventus si giocherà il proprio futuro nella stagione in corso attraverso le due competizioni che le sono rimaste da disputare dopo l’uscita dall’Europa League.
Senza dimenticare che anche la prossima, quella che la vedrà protagonista nel suo nuovo stadio, dipenderà in parte da quanto di buono Madama riuscirà a fare in questa, senza trascurare quanto accadrà nelle ultime giornate della sessione invernale di calciomercato che si concluderà il 31 gennaio. Dopo ci sarà soltanto tempo per lavorare. Nella speranza di non dover rimpiangere qualche operazione non andata a buon fine.
Il tempo non manca: lo si usi a dovere.

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venerdì 21 gennaio 2011

Del Piero, Ibrahimovic e Trezeguet: e la chiamarono Calciopoli...

Prima di quel Sampdoria-Juventus del 22 settembre 2004 la formazione blucerchiata allenata da Walter Novellino, nonostante un difficile avvio di stagione, veniva considerata dall’opinione pubblica come una delle avversarie più probanti per verificare l’effettiva competitività della squadra bianconera agli ordini del nuovo tecnico Fabio Capello, approdato da pochi mesi a Torino come espressione di una delle ultime volontà del Dottor Umberto Agnelli per la sua Vecchia Signora. Prima della gara il tecnico juventino descrisse in questo modo i padroni di casa: "Ha due attaccanti molto pericolosi adatti per testare la nostra difesa. Dovremo affrontarla concentrati, evitando dannosi arrembaggi. E' la partita giusta per riproporre quanto di buono abbiamo messo in mostra fin qui".

Si trattava della terza giornata del campionato 2004-05, quello che si sarebbe conclusa con la vittoria dello scudetto numero ventotto per Madama. La Triade aveva lavorato in estate per consegnare all’allenatore friulano una formazione di cui si era deciso di cambiare la spina dorsale, fermo restando la conferma di Buffon: arrivarono così Cannavaro in difesa, Emerson a centrocampo e Ibrahimovic in attacco. Protagonista di una partenza a razzo, già al termine della seconda giornata la Juventus si ritrovò sola in testa alla classifica, lasciandosi alle spalle Milan, Inter, Lazio, Roma, vale a dire le principali antagoniste nella lotta per la conquista del tricolore. La Sampdoria, dal canto suo, si preparava ad ospitare i bianconeri ancora a secco di punti e con la squadra priva di alcuni giocatori importanti: Volpi, Doni, Tonetto, Diana e Carrozzieri.
Capello preferì adottare un turnover limitato al solo reparto offensivo, dove Trezeguet venne affiancato da un Del Piero apparso sino a quel momento in leggero svantaggio nelle preferenze del tecnico bianconero, rimasto immediatamente affascinato dal talento della nuova punta svedese: “Zlatan ha delle qualità straordinarie, ed è ancora giovanissimo”.
A centrocampo Blasi (scelto al posto di Tacchinardi) eresse con Emerson una diga efficace davanti alla difesa, che l’allenatore evitò di modificare rispetto agli incontri precedenti: “La retroguardia era il punto debole della squadra, fare dei cambi sarebbe dannoso”.

La storia della gara ruotò intorno a decisioni importanti su più penalties: uno concesso con il contorno di molte polemiche; un altro non assegnato benché fosse più evidente del primo; un terzo accordato su segnalazione del guardalinee, salvo poi cambiare idea.
Andiamo per ordine. Al 17’ minuto del primo tempo, durante una mischia in piena area di rigore blucerchiata Falcone cinturò Emerson e cadde a terra con lui, in mezzo ad una selva di giocatori. L’arbitro Dondarini decise subito per la massima punizione, scatenando le ire dei padroni di casa, giocatori e pubblico. Dopo quasi due minuti di discussioni Del Piero batté Antonioli, portando i bianconeri in vantaggio per uno a zero. Le telecamere confermarono la bontà della scelta del direttore di gara, mentre dalle tribune iniziarono a piovere insulti di ogni tipo da parte dei sostenitori locali. Protagonisti di una partenza aggressiva, sino a quel momento gli uomini di Capello non erano ancora riusciti a creare grossi pericoli verso la porta sampdoriana. La reazione della formazione di Novellino si concretizzò in due conclusioni di Flachi, il migliore in campo per i liguri. Nella ripresa Dondarini negò un evidente rigore alla Juventus per fallo su Camoranesi al 10’ minuto e ne assegnò invece un altro al termine della gara su segnalazione del guardalinee per un presunto fallo di Cannavaro su Pagano, salvo poi ripensarci dopo un colloquio con lo stesso assistente che, resosi conto dell’errore, gli spiegò come il difensore di origini napoletane avesse in realtà preso in pieno il pallone. Il penalty venne così trasformato in calcio d’angolo, lasciandosi alle spalle un'ulteriore coda di polemiche velenose dentro uno stadio ormai in ebollizione dalla rabbia. In mezzo a questi due episodi, nel frattempo, la Juventus aveva portato a tre le reti a suo favore, grazie ai goals segnati da Ibrahimovic (subentrato a Del Piero), bravo a girare in porta di piatto destro un suggerimento di Nedved dalla fascia, e da Trezeguet, che – rimasto in ombra per quasi tutta la partita – era riuscito ad infilare Antonioli dopo aver raccolto un pallone proveniente da una mischia formatasi dentro l’area di rigore blucerchiata a seguito di un calcio d’angolo.

Le scelte iniziali diedero ragione a Capello: “Bene, compatti, umili, determinati in tutti i momenti. Bravi, vincere qui è una bellissima impresa. Mi è piaciuta la concretezza in difesa, ho apprezzato il possesso palla. I tre attaccanti tutti in gol: il turnover porta fortuna, continueremo a farlo mantenendo il giusto equilibrio”.
Otto goals fatti e neanche uno subito dall’inizio del campionato: la sua Juventus iniziava a crescere, ed era ormai pronta per il successivo esame. Che, terminata la giornata infrasettimanale, sarebbe capitato di lì a poco: domenica, al “Delle Alpi”, avrebbe fatto visita alla Vecchia Signora il Palermo del bomber Luca Toni.
Con qualche imperfezione da correggere: “Non mi è piaciuta l'occasione che abbiamo concesso a Flachi al 94'. Un errore di piazzamento difensivo che va eliminato”.
Certo, quelli sì che erano problemi…

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mercoledì 19 gennaio 2011

Aquilani, Del Piero e la Juve del futuro prossimo

La Juventus contro il Bari ha ripreso a vincere in campionato dopo le ultime due sconfitte subite in altrettante gare. La classifica della serie A ha assunto adesso un aspetto decisamente migliore rispetto a quello che mostrava la domenica precedente, dato che ora i bianconeri si ritrovano a ridosso della zona-Champions League e sono nuovamente in mezzo ad un gruppone dove il Milan, nonostante Ibrahimovic, per una giornata ha rallentato il passo pareggiando contro il Lecce.

Il successo casalingo allo stadio "Olimpico", però, ha provocato reazioni diverse in alcuni dei protagonisti in maglia bianconera. Basta leggere le dichiarazioni dei goleador di giornata per rendersene conto.
Da una parte c’è Aquilani: "Non illudiamoci: scudetto è una parola che bisognerebbe dimenticare. Il nostro obiettivo è il quarto posto. Milan, Inter e Roma hanno qualcosa in più. E’ inutile negarlo, qui non ci sono più Zidane e Nedved". Dall’altra Del Piero: "Come non abbiamo mai parlato di scudetto, non indichiamo il quarto posto come traguardo massimo. Tutto è ancora apertissimo: tre vittorie consecutive possono cambiare le prospettive di qualsiasi squadra. La Juve ha le qualità e le capacità necessarie per fare un bel campionato".

In mezzo alle opinioni discordanti dei due compagni di squadra c’è la Juventus "no limits" di Luigi Del Neri, quella del bicchiere "mezzo pieno" per le diciotto partite successive alla sconfitta interna rimediata in campionato contro il Palermo (23 settembre 2010), salvo poi toccare con mano che la parte "vuota" non era in realtà poca cosa.

Aquilani è arrivato da qualche mese alla corte della Vecchia Signora. Romano e romanista, l’ha conosciuta come avversaria con la maglia giallorossa, "annusandola" in più di un’occasione dopo essersi ritrovato in momenti diversi al centro di una possibile trattativa di mercato tra le due società. Una di queste risale all’estate del 2008 prima del suo trasloco in Inghilterra, quando la precedente dirigenza bianconera si era messa alla ricerca di un giocatore in grado di colmare la casella vuota del regista in mezzo al campo. La rosa dei candidati era ristretta a quattro calciatori: lo stesso Aquilani, il nerazzurro Dejan Stankovic, lo spagnolo Xabi Alonso e il mediano Christian Poulsen. Come andò a finire lo sanno tutti: si decise di puntare sul biondo danese (allora in forza al Siviglia), che due anni dopo lasciò il posto proprio all’attuale centrocampista bianconero, con il quale finì per scambiare anche maglia (quella del Liverpool).
Recentemente intervistato da Fabrizio Salvio (per "Sportweek", il settimanale della "Gazzetta dello Sport"), alla domanda "La Juve vista da dentro è diversa da quella che giudicava stando alla Roma?", ha risposto: "Sono cambiati gli uomini, a partire dai dirigenti. Ho trovato solo persone a posto, pulite. E, quanto a peso politico, non godiamo di protezione arbitrale".

Del Piero è cresciuto, come molti tifosi juventini suoi coetanei, con il poster di Michel Platini in cameretta. Ha sognato da bambino di ripeterne le gesta, sino a quando ne ha preso la maglietta numero "10" e ha iniziato a scrivere lui stesso una fetta importante di storia bianconera (più di 17 anni non sono uno scherzo…). E’ arrivato in una Juventus che stava uscendo dal letargo degli anni successivi all’addio al calcio del fuoriclasse francese per trovarsi catapultato in serie B dopo aver fatto parte di una squadra stratosferica. Adesso si ritrova in una formazione decisamente più debole, che lui stesso ha aiutato in tante occasioni ad uscire fuori da situazioni difficili. Legge gli andamenti degli ultimi campionati di serie A e si rende perfettamente conto che tre successi consecutivi non ti garantiscono uno scudetto, ma ti cambiano decisamente le prospettive. Basta vedere come si è delineata la classifica dopo aver battuto il Bari arrivando da due disfatte (contro il Parma e il Napoli). Certo, il problema è vincerle, tre di fila. Cosa che quest’anno, anche nel momento in cui Madama era in ottime condizioni, non è mai capitato. La prossima (delicata) sfida contro la Sampdoria potrà dare un’immediata risposta alle speranze di Del Piero e ai dubbi di Aquilani.

Domenica si ripartirà da Genova, laddove Del Neri il quarto posto riuscì a centrarlo la scorsa stagione alla guida dei blucerchiati. La sua Juventus, ora, ha conquistato un punto in più di quanti ne aveva totalizzato quella allenata da Ciro Ferrara. Certo, si tratta soltanto di una magra consolazione: gli obiettivi (e gli obblighi) sono altri.
Mentre la società si è messa alla ricerca di una punta a prezzo di saldo (necessità diventata impellente dopo l’infortunio occorso a Quagliarella), nel frattempo la sua formazione si riprende il (platonico) titolo di attacco più prolifico della serie A, in coabitazione con il Milan.
Su questo punto, invece, è nato un caso curioso: da tre giorni a questa parte (a partire da lunedì 17 gennaio) la versione cartacea della "Gazzetta dello Sport" indica come 34 le reti realizzate dai rossoneri in questo campionato, a differenza delle 35 presenti nel sito dello stesso quotidiano (tante quante quelle della Juventus).
Semplice distrazione o permangono ancora dei dubbi sulla convalida del goal in fuorigioco del milanista Strasser nella gara di Cagliari nel giorno dell’Epifania?

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sabato 15 gennaio 2011

La Juve col Bari per ripartire. Di nuovo...


Si riparte col Bari, dopo aver iniziato col Bari. Comincia il girone di ritorno della serie A, altre diciannove partite di campionato e i tifosi bianconeri, visto l’attuale stato d’animo generale, sapranno di che morte dovranno morire.
La Juventus si era presentata ai nastri di partenza di questa stagione con uno svantaggio psicologico di ventisette punti dall’Inter (tanti quanti sono stati quelli di ritardo accumulati nei confronti dei nerazzurri al termine dell’ultima serie A disputata) e con un settimo posto in classifica appena conquistato da nascondere con il viso rosso dalla vergogna.
Quasi giunti al fatidico giro di boa, quando qualcuno iniziava a volare con i sogni oltre il cielo parlando di scudetto ecco arrivare due sberle sonanti ad opera di Parma e Napoli, con la Vecchia Signora costretta a tornarsene mesta nelle retrovie.
Dove? Nella settima posizione. Quella di partenza.
Inutile girarci intorno, quel sesto posto temporaneo è solo un’etichetta che presto verrà tolta dall’Inter: è difficile credere che con due partite a disposizione da recuperare - contro il Cesena in casa e la Fiorentina in trasferta - la squadra di Leonardo non riesca ad accumulare almeno tre punti, ora che sono soltanto due le lunghezze che la separano da Madama.

A Bari, lo scorso 29 agosto, un gran tiro di Donati stese la Juventus quando ormai mancavano due minuti al termine della prima frazione di gioco, regalando la vittoria ai pugliesi. In quei giorni si parlava di un possibile acquisto da parte dei bianconeri di una punta a scelta tra Borriello, Benzema e Forlan, l’attaccante accostato anche in questi giorni di riapertura del calciomercato al club torinese. A fine gara Del Piero disse: "L’anno scorso iniziammo con una vittoria e poi le cose andarono male. Ora speriamo che accada il contrario e che questa sia la prima e unica sconfitta".

Per il gioco mostrato al cospetto della neonata Juventus di Del Neri la formazione di Ventura - in alcuni tratti di quell’incontro - sembrava si fosse travestita da Barcellona. Adesso quella stessa squadra si trova in fondo alla classifica, ultima, con sole tre vittorie in diciannove partite giocate in tutto il girone di andata. Buffon, infortunato, non indossava i guantoni per difendere la porta bianconera. Si trovava a Carrara, a seguire la squadra locale (della quale è comproprietario) nel match disputato contro la Villacidrese. Ora quella porta tornerà ad essere "casa" sua, nel suo stadio, in mezzo ai suoi tifosi.

Con una partenza ad handicap ed un calciomercato che gli aveva lasciato una rosa incompleta tra le mani, Del Neri ha affrontato i mesi successivi con il piglio del comandante sicuro dell’apporto che gli avrebbero fornito i suoi uomini, costruendo un’intelaiatura sulla quale in questi giorni di gennaio la società avrebbe dovuto (e dovrà comunque farlo, a maggior ragione, ora) intervenire per aggiungere quei giocatori in grado di farle compiere un salto di qualità.
Durante la sosta del campionato per gli impegni della nazionale italiana contro Estonia e Far Oer, immediatamente successiva alla prima gara di campionato, il tecnico di Aquileia rilasciò un’interessante intervista al taccuino di Alberto Cerruti, giornalista della "Gazzetta dello sport", comparsa sulle pagine del quotidiano rosa il 3 settembre 2010. Molti tra gli argomenti trattati a suo tempo, rileggendoli adesso, si può dire che siano ancora di moda.

Alla domanda "Perché ha voluto Martinez per farlo giocare esterno nel 4-4-2?", rispose: "Perché è un giocatore con grandi qualità che diventerà importante. E poi nella sua nazionale giocava già esterno a quattro".
Sulla cessione di Diego, argomento scomodo più allora di quanto non lo possa essere oggi, disse: "Con Quagliarella abbiamo più presenza in area di rigore. E poi il nostro Diego si chiama Del Piero".
Ad Aquilani pronosticò un ritorno in azzurro, fece intuire che non intendeva rinunciare alle sue prestazioni ipotizzando una coesistenza in mezzo al campo con Marchisio, disse di puntare molto su Felipe Melo, rimpianse il mancato arrivo di Kolarov (trasferitosi poi al Manchester City), mentre sugli obiettivi reali del club bianconero, a calciomercato chiuso, dichiarò: "Dobbiamo raggiungere un posto per la Champions in qualsiasi maniera, perché lo esige la storia della Juventus".

Eliminata dall’Europa League ed arrivata agevolmente ai quarti di finale della coppa Italia, spetta ora a Madama riprendere ad accumulare punti in campionato a partire dall’incontro di domani con il Bari. Da dove aveva iniziato in questo campionato perdendo, così come aveva fatto per ben quindici volte nella scorsa disastrosa stagione. Dove le due formazioni si affrontarono a Torino quando mancavano quattro giornate alla fine del torneo. Si trattò dell’ultima vittoria bianconera, un 3-0 che portava le firme di Iaquinta (doppietta) e Del Piero (su rigore).
Ancora lui, sempre lui: Del Piero.
Lì in attacco, adesso, orfani di Quagliarella si rende ulteriormente necessario l’acquisto di una punta di valore assoluto per puntare con decisione alle primissime posizioni in classifica.
Allo scudetto credevano in pochi, sino a qualche giorno fa. All’obiettivo dichiarato dalla società, invece, no…

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venerdì 14 gennaio 2011

Platini e la sua prima tripletta italiana al Bari

La stagione 1985-86 fu per la Juventus l’ultima con Trapattoni allenatore e la penultima di Michel Platini in campo con la maglia bianconera. Soprannominato “le Roi”, il francese era arrivato a Torino nell'estate del 1982 al tramonto del Mondiale spagnolo vinto dall’Italia, appropriandosi dello scettro di miglior realizzatore della serie A per i suoi tre primi campionati e spodestando così dal trono il precedente capocannoniere Roberto Pruzzo, “O' Rey di Crocefieschi” (il quartiere di Genova dove è nato). Per vedere una tripletta di Michel, però, si dovette attendere sino al 20 ottobre 1985, quando allo stadio "Comunale" la Vecchia Signora sconfisse il Bari per 4-0, inanellando la settima vittoria consecutiva in tutte le gare da lei disputate dall'inizio dell'anno ed uguagliando in tal modo il suo precedente record risalente alla stagione 1976-77, conclusa con le conquiste dello scudetto (51 punti accumulati dai bianconeri sui 60 disponibili, quando ancora ne venivano assegnati due per ogni successo) e della prima coppa UEFA vinta a Bilbao.

La squadra pugliese allenata da Bruno Bolchi quella domenica si presentò al cospetto della Juventus con un atteggiamento sin troppo prudente, comprovato dalle marcature a uomo sull’avversario diretto scelte dal suo tecnico in quasi tutte le zone del campo. Madama, campione d'Europa in carica e prossima a diventarlo anche del mondo, iniziò da subito un vero e proprio tiro al bersaglio verso la porta difesa da Pellicanò. Riuscì a raccogliere i risultati di quanto seminato quando ormai si era giunti al termine della prima frazione di gioco: un lancio di Cabrini dalla metà campo sfuggì in maniera goffa al controllo del barese Sola, lasciando la possibilità a Platini di scoccare un destro imparabile. Tacconi, spettatore non pagante per tutta la durata dell'incontro, dovette compiere un unico intervento in un’ora e mezza di gioco, una semplice uscita di pugno per anticipare un tentativo di conclusione di Rideout su un cross effettuato da Sclosa.
Un’autorete di Gridelli aprì le danze nella ripresa, consentendo alla Juventus di camminare sul velluto per tutta la restante parte della gara. Sfortunato protagonista per gli ospiti, il difensore venne sostituito di lì a poco da Bolchi con Carboni, senza che la mossa potesse sortire effetti particolari nel prosieguo dell'incontro. Platini, nel frattempo, continuò il suo show: al 63’ Mauro indirizzò verso l’area di rigore barese un pallone che, grazie ad un velo di Serena, arrivò al francese il quale con una finta rientrò di destro liberandosi di Loseto per poi trafiggere Pellicanò col piede sinistro. Scirea dovette abbandonare il campo a causa di una fastidiosa tendinite divenuta insopportabile col trascorrere dei minuti; Favero andò così ad occupare il ruolo di libero rimasto vacante, con il neo entrato Pioli che si francobollò a Bivi, autore di una partita anonima tanto quanto il compagno di reparto Rideout, tenuto a bada da Brio.
Quando ormai mancavano pochi minuti al termine dell’incontro un cross di Cabrini divenne preda nuovamente del numero dieci bianconero dopo uno scontro di gioco tra Pacione (subentrato a Laudrup) e Pellicanò, che impedì ad entrambi di impossessarsene: stavolta la soluzione vincente scelta dal fuoriclasse fu una mezza rovesciata, con la quale indirizzò la palla nella porta rimasta sguarnita.
Autore di una prestazione eccellente, nell’intervista post-gara Platini si mostrò prudente sul futuro di Madama nel campionato: “Questi record non hanno importanza. Adesso ci aspettano partite difficilissime e sarà proprio in occasione di quelle verifiche che dovremo confermare tutte le nostre doti”.
La Vecchia Signora in estate si era rifatta completamente il look, tanto da rendere difficilmente ipotizzabile la possibilità che Trapattoni riuscisse ad amalgamare molti elementi nuovi in così poco tempo: arrivarono contemporaneamente Massimo Mauro, Lionello Manfredonia, Michael Laudrup e Aldo Serena, con l’attaccante di Montebelluna che prese il posto di Paolo Rossi trasferitosi al Milan. Sbancando Udine la domenica successiva Madama portò il numero delle vittorie consecutive iniziali ad otto, per poi cadere a Napoli il 3 novembre 1985 in occasione del confronto diretto tra l’asso transalpino e il futuro re del calcio: Diego Armando Maradona.

I timori di Platini avrebbero avuto un loro riscontro a stagione inoltrata, visto che la Juventus sarebbe stata raggiunta dalla Roma di Eriksson a due sole giornate dalla conclusione del campionato. L’ombra dello spareggio sembrava essere ormai sempre più lunga, quando il 20 aprile 1986 accadde che un incredibile harakiri dei giallorossi in casa contro il Lecce spianò la strada verso il ventiduesimo tricolore agli uomini di Trapattoni, usciti nel frattempo vittoriosi dall’incontro al “Comunale” con il Milan. Giunse così un altro trionfo per la Vecchia Signora, per la gioia dei milioni di tifosi bianconeri sparsi per il mondo e la rabbia di chi, come Franco Zeffirelli, proprio non riusciva a digerirne i successi.
Proprio in occasione dell’incontro con il Bari dalla curva Filadelfia stracolma di sostenitori juventini comparvero striscioni e si levarono cori irriverenti nei confronti del regista fiorentino, condannato pochi giorni prima dal tribunale a pagare una multa di trentadue milioni di lire (risarcimento danni e multa) per le calunnie rivolte al club torinese. L’Avvocato Agnelli, intervistato durante l’intervallo di quella gara, si disse dispiaciuto per l’accaduto. La stima che nutriva verso l’uomo era nota a tutti, tanto quanto il disappunto per le sue considerazioni in ambito sportivo. Così come ebbe modo di sostenere in una delle dichiarazioni passate ormai alla storia: “È un grande regista. Ma quando parla di calcio non lo sto nemmeno a sentire

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giovedì 13 gennaio 2011

Buffon c'è. Del Piero pure. E non manca la sfiga...


"Se non facevo quella parata dovevo smettere di giocare... devo ringraziare questi tifosi che spesso mi hanno detto "che cavolata hai fatto a restare quando potevi andare a vincere in altri posti", e devo dire che forse era vero però la carica che mi danno loro vale più di ogni vittoria, è qualcosa di encomiabile".
Gianluigi Buffon

mercoledì 12 gennaio 2011

L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare


Adesso la Juventus non può motivare le proprie speranze per una stagione positiva neanche basandole sui numeri, come quelli che la vedevano sino a due giornate or sono detenere il primato di miglior attacco della serie A e della squadra con il minor numero di sconfitte subite (due, meglio del Milan capolista). I timori dei tifosi bianconeri che la disfatta interna con il Parma potesse provocare effetti negativi più gravi della sola perdita dei tre punti e dell’allontanamento dai rossoneri in testa alla classifica hanno trovato puntuale riscontro nella successiva gara disputata al "San Paolo" contro il Napoli.
Adesso sono proprio loro, i numeri, quelli che inchiodano Madama di fronte alla triste realtà attuale. Oltretutto, confrontandoli con quelli della scorsa (disastrosa) stagione si può vedere come siano addirittura peggiorati.

Eppure di questa formazione, non più tardi di una settimana addietro, si diceva che con l’arrivo di una punta di peso in grado di aprire spazi a Quagliarella nelle aree avversarie e di realizzare lei stessa quei goals "brutti" (a quelli "belli" ci pensava l’attaccante di Castellammare di Stabia) avrebbe potuto anche provare a vincere lo scudetto, lasciando perdere qualsiasi discorso legato ad un anno (l’ennesimo) di transizione dopo essere ripartita dalle ceneri della gestione di Jean Claude Blanc. D’accordo, i limiti c’erano e pure evidenti: dalla mancanza di laterali difensivi di valore all’assenza di valide alternative in quasi tutti i ruoli del campo, tanto da doversi aggrappare al giovane sconosciuto Sorensen e a rimpiangere De Ceglie, quel giocatore vittima per mesi di feroci critiche salvo poi infortunarsi proprio nel momento in cui le sue prestazioni iniziavano ad andare oltre la sufficienza.

E’ strano ripensare a cosa si diceva di Quagliarella la scorsa estate al momento del suo approdo a Torino e toccare con mano la gravità della situazione ora che la Juventus dovrà fare a meno di lui per i prossimi mesi. La folle espulsione rimediata da Felipe Melo contro il Parma ha privato poi Del Neri dell’unico vero incontrista all’interno di un centrocampo considerato per mesi tra i migliori in circolazione in Europa, con quel Krasic diventato silenziosamente il trascinatore della Vecchia Signora tanto che l’apporto da lui fornito alla causa bianconera è stato contrapposto da molti addetti ai lavori a quello che Ibrahimovic garantisce al Milan. Smontata la linea mediana (con la complicazione legata al "caso Sissoko") ecco venire fuori la fragilità della difesa e l’inconsistenza dell’attacco juventino.

Non esistono società che non commettono errori. Incantati dalla bellezza di Leonardo forse ci si è dimenticati troppo in fretta che l’Inter è riuscita nell’impresa di mandare a casa un allenatore (Benitez) dopo che lo stesso aveva portato a compimento l’opera iniziata dal suo predecessore (Mourinho) vincendo il Mondiale per club, garantendogli una cifra pari a 5,3 milioni di euro netti per meno di duecento giorni di lavoro (tra stipendio, premi e buonuscita). Sono bastate due vittorie di fila in campionato perché i nerazzurri (con altre due gare da recuperare) riuscissero ad intravedere il secondo posto, con la speranza concreta di poter competere nuovamente per lo scudetto. Di fatto, però, c’è il fallimento di una scelta sportiva e di un investimento economico basati su un piano di lavoro che doveva soltanto essere portato avanti senza particolari stravolgimenti da parte di chi avrebbe potuto sedere quest’anno sulla panchina della Vecchia Signora al posto di Luigi Del Neri.

Nonostante tutto, seguendo le cronache attuali sembra che la Juventus abbia fatto ancora meglio dell’Inter, fallendo due volte all’interno della stessa stagione: la prima in estate, quando i pronostici non la vedevano in grado di superare, a fine campionato, la sesta posizione (vale a dire quella attuale, almeno temporaneamente); la seconda con l’inizio del nuovo anno, dopo che le sconfitte con Parma e Napoli hanno fatto scendere velocemente la Vecchia Signora dai piani alti della classifica sino ad arrivare ai margini della "zona Champions League".

"L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare". La situazione che si è venuta a creare fa tornare in mente la più celebre tra le frasi pronunciate da Gino Bartali, anche perché sembra ormai assodato che sarà nuovamente così, nella Torino bianconera. Un’altra volta. L’ennesima, dopo il terremoto calcistico del 2006, quello accaduto all’epilogo di una stagione dove Madama collezionò 52 punti nel girone di andata (altro che i 40 del Milan attuale…) prima di concludere il campionato fermandosi a quota 91.
Una storia fatta di successi che ancora non è ripresa, e chissà quanto tempo ancora ci vorrà per smetterla di parlare del passato e godersi qualcosa di positivo legato all’attualità. Il piano inclinato verso altre sconfitte è pronto, adesso la squadra deve tirare fuori il carattere e le qualità mostrate a "San Siro" nella vittoriosa trasferta contro il Milan per rialzarsi il più alla svelta possibile, evitando di "mollare" così come è capitato lo scorso anno. Nel frattempo il partito del "io l’avevo detto" si ingrossa sempre di più, così come dal carro del Presidente Andrea Agnelli iniziano a scendere tifosi su tifosi.
E’ un fallimento, è già scritto che la sua Juventus non si riprenderà più e che non avrà mai un futuro degno di tal nome.
Forse.

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domenica 9 gennaio 2011

Buonanotte...


Adesso reagisci, Juve

Forse era veramente scritto nel destino di Luca Toni che prima o poi avrebbe dovuto indossare la maglia della Juventus. Più "poi" che "prima", visto che questa sera, quando per lui i trentaquattro anni sono ormai dietro l’angolo, debutterà in maglia bianconera allo stadio "San Paolo" di Napoli contro la squadra allenata da Mazzarri.
E’ notizia di ieri, riportata da "Tuttosport", che nella casa dell’attaccante di Pavullo nel Frignano, ancora bambino, campeggiavano i poster di Roberto Bettega e Michel Platini.
Toni è nato il 26 maggio del 1977. Quattro giorni prima allo stadio "Luigi Ferraris" di Genova la Vecchia Signora vinse contro la Sampdoria per 2-0 l’ultima e decisiva partita del campionato 1976-77, quello dei 51 punti conquistati sui 60 disponibili quando ancora ne venivano assegnati due per ogni successo. Distanziato di una sola lunghezza si piazzò il Torino di Luigi Radice detentore del titolo.

In quella Juventus, che nella stessa stagione fu in grado di conquistare anche la sua prima coppa UEFA, giocava proprio Roberto Bettega, la stessa persona che tentò - invano - di portarlo a Torino nel 2007 prima che la punta si accasasse in Germania, al Bayern Monaco. Lui e Boninsegna furono i marcatori della gara vinta a Genova, grazie alla quale Trapattoni riuscì a conquistare il suo primo scudetto in bianconero e Madama a portare a casa il diciassettesimo tricolore della sua storia.
La Vecchia Signora della fine degli anni settanta era infarcita di giovani talenti, tutta italiana e dotata di un cuore d’acciaio. Luigi Del Neri, la scorsa estate, prese quella formazione come esempio da seguire per la sua nuova creatura.

Vittima di continui alti e bassi ad inizio stagione, la Juventus del tecnico di Aquileia ha trovato un proprio equilibrio (in campo e fuori) dopo aver affrontato le due gare più delicate disputate sino a quel momento, vale a dire le trasferte contro il Manchester City e l’Inter. Ai microfoni di "Sky Sport", nei momenti immediatamente successivi la partita disputata al "Meazza", dichiarò: "Crediamo in quello che facciamo". La confortante prestazione offerta dai suoi uomini aveva fatto finalmente intravedere i primi risultati del suo lavoro.
Ieri, nel corso della consueta conferenza stampa del giorno precedente gli incontri, ha rincarato la dose: "Crediamo nella Juve". Messi a confronto, però, i due momenti sono totalmente differenti.

Gli strascichi della sconfitta interna contro il Parma corrono seriamente il rischio di compromettere buona parte di quanto costruito in questi mesi se da stasera non ci sarà subito una forte reazione da parte dei bianconeri.
Toni non è arrivato per sostituire l’infortunato Quagliarella, e se la rosa andava rinforzata prima di giovedì a maggior ragione la società dovrà provvedere in merito nei giorni che resteranno da qui sino alla chiusura di questa sessione invernale di calciomercato.

"Limits" o "no limits", l’imperativo categorico per chi veste la maglia della Juventus è sempre stato quello di cercare la vittoria, ovunque e contro chiunque. E se l’accoglienza che lo stadio "San Paolo" questa sera riserverà alla Vecchia Signora non sarà certamente delle migliori, poco importa.
Fa bene Del Neri a sottolineare che, nonostante tutto quanto è stato detto nelle ultime ore, in classifica la sua squadra si trova a soli tre punti di distanza dalla seconda posizione, ma è altrettanto vero che l’abitudine dell’ambiente bianconero è sempre stata quella di considerare fallimento tutto ciò che non finisce nella bacheca di Madama.
Per riportare il clima ad una maggiore serenità ci vuole pazienza e comprensione, da ambo le parti. Così come hanno dimostrarono maturità quei tifosi che acclamarono i giocatori sotto la curva dello stadio "Olimpico" dopo la sconfitta interna contro il Palermo, adesso è arrivato il momento che gli attori protagonisti diano un (loro) segnale forte nella gara di stasera.
Dove, se le formazioni della vigilia verranno confermate, la Juventus scenderà in campo con nove italiani su undici titolari.
Gira e rigira…

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sabato 8 gennaio 2011

José Altafini e lo scudetto strappato dalle mani del Napoli

Al termine dell’incontro disputato allo stadio “San Paolo” di Napoli il 15 dicembre 1974 tra i padroni di casa e la Juventus, vinto poi dai bianconeri con il risultato tennistico di 6-2, José Altafini rilasciò questa dichiarazione: “Il primo goal l'ho segnato io. Il secondo è stato realizzato da Damiani su rigore, dopo che era stato commesso il fallo ai miei danni. Il terzo a Damiani l'ho offerto io. Il quarto, a Bettega l'ho offerto io. Il quinto a Causio l'ho offerto io ed il sesto è nato in seguito a una punizione per un fallo che era stato commesso ai miei danni. Che cosa potevo pretendere di più?”.
L’attaccante, di origini brasiliane poi naturalizzato italiano, non poteva sapere che qualche mese dopo, in occasione della gara del girone di ritorno giocata dalle due formazioni a Torino il 6 aprile 1975, con una rete realizzata a pochi minuti dal termine della sfida sarebbe riuscito addirittura a spegnere i sogni di scudetto dei rivali, nonché ex compagni di squadra (prima di approdare in bianconero era rimasto all’ombra del Vesuvio per sette stagioni). Proprio a questo proposito, nei giorni immediatamente successivi a quel match comparve su un cancello di accesso del “San Paolo” l’ormai famosa scritta “José core ‘ngrato”.
Altafini, quindi, assoluto protagonista di una partita nella quale gli uomini dell’allora tecnico Carlo Parola sfruttarono alla perfezione l’allegra applicazione del fuorigioco da parte dei campani. Il presidente del Napoli Corrado Ferlaino, un mese prima della gara, in risposta alla domanda di un giornalista sull’operato di Luis Vinicio, aveva detto: “Tutte le squadre da lui allenate in passato cominciavano bene, poi all'improvviso si fermavano. Non vorrei che stavolta si ripetesse col Napoli”.
Roberto Bettega, spostato qualche metro indietro rispetto alla sua abituale posizione di attaccante, lasciò allo stesso Altafini e a “Flipper” Damiani il compito di infierire sulla malcapitata difesa partenopea, prodigandosi in assist e giocate sopraffine per tutta la durata del match. A Fabio Capello, Furino e Causio venne demandato il compito di proteggere le retrovie bianconere, impedendo sul nascere le controffensive del Napoli all'altezza della linea mediana del campo.

Entrambe le formazioni erano reduci da impegni infrasettimanali in coppa UEFA, dato che il mercoledì precedente la partita si erano svolti gli incontri di ritorno degli ottavi di finale della manifestazione europea. I bianconeri erano riusciti a superare il turno ai danni dell'Ajax, mentre i campani erano stati eliminati ad opera dei cechi del Banik Ostrava. Nonostante la gara di andata si fosse conclusa con una sconfitta interna per 2-0, che aveva compromesso in maniera evidente la qualificazione ai quarti, Vinicio aveva deciso comunque di schierare quasi tutti i titolari a sua disposizione, tranne l’attaccante Clerici. L’unico che poi, la domenica, sarebbe riuscito ad opporre una valida resistenza allo strapotere juventino, realizzando le due reti per il Napoli (ad incontro ormai deciso), nel complesso di una prestazione macchiata da un rigore sbagliato, concesso dall’arbitro Agnolin dopo che lo stesso aveva ravvisato un tocco di braccio del bianconero Cuccureddu su un tiro scoccato da Esposito.
Per il resto, si trattò di un predominio juventino. Dichiarò Capello, dopo il match del 'San Paolo': “E' il nostro momento di grazia. Non abbiamo risentito delle fatiche di Amsterdam. Stiamo giocando tutti al nostro posto, tutti nel modo migliore. Si predicava tanto il gioco olandese e mi pare che, in quanto a schemi auspicati per le squadre italiane, noi siamo i primi”.
Assente il laterale sinistro La Palma, il tecnico dei partenopei decise di sostituirlo con Landini senza modificare l’assetto difensivo, imperniato su una costante ricerca della tattica del fuorigioco. L’errata applicazione dei corretti movimenti da parte dello stesso Landini fece sì che le offensive bianconere non venissero quasi mai interrotte dalla bandierina alzata del guardalinee. Per il Napoli si trattò della prima sconfitta stagionale dopo sei pareggi e tre sole vittorie nel corso delle prime nove gare di campionato. Il pubblico del 'San Paolo' nel corso della seconda frazione di gioco (sul risultato di 3-0 a favore di Madama) iniziò un fitto lancio di oggetti in campo: tavole di legno, bottiglie di vetro e altro ancora. Furino, colpito duro da un avversario e costretto a lasciare il posto a Viola, ebbe difficoltà a rientrare negli spogliatoi. Proprio una bottiglietta lanciata dal settore distinti colpì in testa uno dei due guardalinee, Sante Zamperi, quando mancavano ancora due minuti alla fine delle ostilità. Medicato dai sanitari del Napoli provò a riprendere il suo ruolo, con Agnolin che invertì la posizione dei due assistenti di gara nel tentativo di portarla a termine. Ciò non fu possibile, anzi: le intemperanze dei sostenitori aumentarono. Alla fine l’arbitro decise di concludere anticipatamente l’incontro. Fuori dallo stadio la protesta sfociò in ulteriori atti di vandalismo, con la polizia che faticava a placare gli animi bollenti dei tifosi locali. In merito a questi episodi Fabio Capello disse: “Io proprio non li capisco questi atti della folla. Stavamo vincendo largamente, dimostrando di meritare il successo. Che cosa volevano di più?

Boniperti si prodigò in elogi per Bobby-gol, nell’occasione orfano del compagno di reparto Pietro Anastasi: “Bettega è magnifico, si trova alla perfezione in quel ruolo. Però rimane utile anche come punta; anzi, per noi rimane una punta e basti vedere come ha fatto il suo gol. Una staffilata prepotente”.
A seguito di questa vittoria i bianconeri si trovarono a guidare la classifica con tre punti di vantaggio (all’epoca ne venivano assegnati due per ogni vittoria) su una coppia di inseguitrici formata da Torino e Lazio, detentrice dello scudetto. Alla fine del campionato per la Vecchia Signora arrivò il sedicesimo titolo.
Carlo Parola si prese una personale rivincita dopo la sfortunata esperienza alla guida della Juventus nella stagione 1961-62, quella passata alla storia come l’annata dei record negativi di Madama.
Prima che a Torino arrivasse Jean-Claude Blanc, pronto con il suo “progetto” a peggiorarli ad uno ad uno.

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venerdì 7 gennaio 2011

Per la Juve è giunta l'ora di voltare pagina

Ed ecco il "patatrac": in sole due partite la Juventus ha messo in soffitta quanto di buono aveva combinato nella prima parte della stagione per tornare a vestire i panni della società dedita alla beneficenza dello scorso campionato, allorquando distribuiva punti e sorrisi a tutte le avversarie che incontrava lungo il proprio percorso. Di colpo sono comparsi nuovamente i fantasmi del recente passato, quelli che Del Neri ha cercato di scacciare sin dal momento del suo arrivo a Torino.
Nell’incontro disputato ieri contro il Parma era stato già duro per i bianconeri assorbire il contraccolpo psicologico dell’infortunio patito da Quagliarella, non ci voleva certo "l’altro" Felipe Melo, il fratello cattivo dell’ottimo giocatore ammirato negli ultimi mesi del 2010, a complicare la situazione con la sua espulsione dopo pochi minuti dall’inizio della gara. E meno male che qualche giorno addietro, il 2 gennaio, dalle pagine del sito della società ammetteva: "Non credo sia da tutti, dopo una stagione negativa, riuscire a riconquistare la società e i tifosi. Per me è stata una sfida e sono orgoglioso di essere riuscito a vincerla". Un successo durato poco, ora si dovrà rimettere in gioco.

Dopo una serie positiva di 18 risultati utili consecutivi per la Vecchia Signora è arrivata una sconfitta. La si può accettare con un minimo di serenità? No.
Prima o poi sarebbe capitata, ovviamente. Ma è giunta nei "tempi" e nel "modo" più sbagliato.
Non così, in casa e contro il Parma, dopo aver gettato al vento due punti nella precedente gara di Verona con il Chievo ed in prossimità di una partita delicatissima come quella che i bianconeri dovranno affrontare a Napoli al cospetto della squadra di Mazzarri. Senza dimenticare che in quel gruppone di incontri privo di insuccessi ci sono tanti, troppi pareggi.
Mettendo da parte le sensazioni negative di questi momenti ed analizzando soltanto i numeri di Madama, bisogna riconoscere che senza il goal subito da Pellissier nei minuti di recupero dell’ultima gara pre-natalizia adesso la Juventus si troverebbe a sei punti di distanza dal Milan capolista, vale a dire lo stesso margine che le ha consentito per diverso tempo di sperare di raggiungere a fine anno un qualcosa di più di una posizione utile per accedere alla prossima Champions League.

Certo, da lì a cullare sogni di scudetto la strada sarebbe stata lunga. Per arrivare ad un obiettivo simile avrebbe dovuto preparare una sessione di mercato invernale con i fiocchi, così come sosteneva lo stesso Del Neri alla vigilia della gara contro il Parma: "Abbiamo il dovere di cercare una soluzione per migliorare questo gruppo: il mercato non è questione solo di innesti, ma di inserimento di giocatori che possano aggiungere qualità". Con la sconfitta subita contro i ducali il distacco dalla prima in classifica è aumentato sino ad arrivare a otto punti, ma quello che preoccupa maggiormente è l’intasamento che si è nuovamente creato nelle zone alte, laddove la Juventus rischia seriamente di allontanarsi se non riuscirà a tornare dal "San Paolo" nel posticipo di domenica sera con i tre punti in mano. In un reparto offensivo bianconero che ad oggi continua ad essere il più prolifico della serie A (è difficile che l’Inter nelle due gare da recuperare riesca a segnare dieci goals...) verrà poi a mancare per la restante parte della stagione Fabio Quagliarella, il suo miglior realizzatore (auguri per una completa guarigione).

Nella settimana che ha preceduto la vittoria casalinga contro il Cesena (3-1, 7 novembre) aveva fatto scalpore l’assenza di Buffon alle foto di gruppo della squadra. In quel momento nacque una querelle fastidiosa che - a conti fatti - ha rappresentato l’unica vera spina nel fianco di un ambiente come quello bianconero che con il cambio della società e l’arrivo del tecnico di Aquileia ha ritrovato serenità e convinzione nei propri mezzi. Diceva Marchisio, pochi giorni addietro: "Con Del Neri abbiamo voltato pagina, ci ha insegnato a non ripetere gli errori del passato". Lo stesso allenatore, dal canto suo, confessava: "L’anno che si chiude per me è stato entusiasmante, adesso dobbiamo provare a vincere tutte le partite che ci restano".

Spesso il Presidente Andrea Agnelli fa esplicito riferimento ai "-27 punti" che separavano in classifica la Vecchia Signora dall’Inter vincitrice dello scudetto al termine della scorsa stagione. Quello è stato il punto di partenza della sua gestione, ed è giusto ricordarlo a chi pensava che in sei mesi e con investimenti economici limitati si potessero cancellare di colpo gli effetti negativi del terremoto calcistico del 2006 e dei quattro anni del "progetto" di Jean Claude Blanc.
Da qui ad accettare con serenità quanto sta accadendo in questi ultimi giorni, però, la strada è lunga.
Benvenuto a Luca Toni, nella speranza che riesca a fornire il suo personale contributo affinchè la Vecchia Signora possa tornare il più vicino possibile alla vetta della classifica.
Ma l’augurio più grande è che a Torino si riprenda a parlare presto anche delle stelle del futuro, non solo di quelle del passato.
Perché l’obiettivo non deve essere soltanto quello di ottenere un risultato "nell’immediato", quanto costruire un qualcosa di grande per il "domani". Tradotto: è importante vedere la posizione che verrà raggiunta a fine anno dai bianconeri, ma lo è ancora di più tornare ad essere "la Juventus". Tra le due cose non c’è paragone.
I primi mesi, escluse alcune gare, sono stati buoni. Ma la storia continua ad essere ferma al 2006.

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mercoledì 5 gennaio 2011

La fiaba della Vecchia Signora che tornò a vincere lo scudetto

Una fiaba che si rispetti deve avere un lieto fine. E’ stato così anche per la storia dove si narrava di una bellissima Vecchia Signora del calcio italiano che da otto lunghi anni non riusciva più a trovare la via per arrivare allo scudetto. Il 21 maggio 1995, dopo una moltitudine di tentativi falliti, delusioni e illusioni, finalmente ritrovò l'amato tricolore per la ventitreesima volta nel corso dei suoi novantotto anni di vita. Accadde allo stadio "delle Alpi" di Torino, la sua nuova casa a partire dalla stagione 1990-91, quella immediatamente successiva alla disputa degli ultimi Mondiali di calcio ospitati dal nostro paese.

In quella domenica di primavera l'avversario era il Parma, la società rivale di una stagione intera, tanto in campionato quanto in coppa Italia e in coppa UEFA. E proprio pochi giorni dopo aver visto sfumare a "San Siro" la conquista del trofeo europeo per mano dei ducali (la scelta della dirigenza juventina di optare per Milano come teatro della sfida fu motivata dalla scarsa affluenza di pubblico a Torino), la Vecchia Signora si prese un'immediata rivincita, conquistando lo scudetto con due giornate di anticipo rispetto alla conclusione della competizione nazionale.
L'incontro si trasformò ben presto in una passerella degli uomini di Marcello Lippi davanti ai propri sostenitori, con Madama che riuscì finalmente a raccogliere quanto di buono seminato nel corso della stagione.
Da un Baggio all'altro: Dino, il centrocampista della Nazionale che in estate era passato dai bianconeri ai parmensi, venne surclassato - al pari dei compagni di reparto - dalla linea mediana della Vecchia Signora; Roberto, il fuoriclasse di Caldogno, si divertì in quel pomeriggio a distribuire assist ai suoi compagni (tre delle quattro reti finali furono propiziate da sue iniziative) in quella che sarebbe stata l’ultima gara da lui disputata con la maglia della Juventus.
Il moto perpetuo di Deschamps, Paulo Sousa e Di Livio spostò il baricentro del gioco nella metà campo degli ospiti, mentre Tacchinardi - nell'insolita veste di libero - provvedeva a sorvegliare la difesa. La festa bianconera iniziò con la prima rete di Ravanelli all'11': lanciato in contropiede dal Divin Codino, infilò Bucci dopo essersi liberato di Susic. Quasi allo scadere della prima frazione di gioco ancora Baggio, di tacco, porse l'invito a Didier Deschamps, che lo raccolse, segnò e chiuse i primi quarantacinque minuti sul 2-0 per la formazione juventina. Nella ripresa il numero 10 bianconero concluse il suo show dopo una ventina di minuti, ispirando Gianluca Vialli con un rasoterra che tagliava in due la difesa avversaria; l’attaccante fu abile a raccogliere in corsa il pallone quando si trovava a metà tra Couto e Minetti, a difenderlo e a trafiggere Bucci per la terza volta. L’ultima rete, quando ormai il tricolore si era già trasferito a Torino, fu opera ancora di Ravanelli: su un lancio di Paulo Sousa indirizzato verso il vertice sinistro della difesa degli ospiti si avventò Vialli, pronto a controllare la sfera e crossarla a centro area, dove il bomber perugino fu in grado di anticipare un’altra volta Minotti e appoggiare in rete di destro.

Il Milan di Fabio Capello, vincitore degli ultimi tre scudetti, lasciò così il posto ad una Juventus tornata nuovamente tra le mani di Umberto Agnelli, dopo la prima (e anche allora) fortunata esperienza nel periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta del vecchio secolo. Dirà il Dottore, a fine gara: "Il bello della squadra è consistito nella collaborazione fra Lippi e il gruppo: tutti importanti". A chi gli domandava se avrebbe invitato i giocatori della rosa a cena,rispose: "Penso comunque di invitare quelli di cui non parlate voi: magazziniere, massaggiatore, tutti quelli che i giornalisti non conoscono e che sono stati molto importanti per la vittoria". Sull'immediato futuro di Madama: "Vogliamo mantenerci protagonisti ponendoci come traguardo il modello Ajax: una delle più grandi squadre del mondo che si crea i giocatori in casa, che persegue una politica di potenziamento del vivaio, che sa piazzare i suoi prodotti, che ha un bilancio attivo". Sulla dedica personale per la vittoria appena conquistata: "Il mio cuore corre alla memoria di Fortunato, una grande promessa, un caro ragazzo che purtroppo ci è venuto a mancare e che ricordo con profonda tristezza".
Rileggendo queste parole e ascoltando le recenti dichiarazioni di suo figlio Andrea, da pochi mesi nuovo Presidente della Juventus, è bello poter pensare che in seno alla società bianconera si sia riannodato quel filo di pura juventinità spezzatosi a causa del terremoto calcistico del 2006.

La vittoria del 21 maggio 1995 chiuse un cerchio che si era aperto con il successo bianconero sul Parma ottenuto allo stadio "Tardini" l'8 gennaio precedente (3-1): lì era iniziato lo scatto decisivo della Vecchia Signora, che non sarebbe stata più raggiunta. Allo scudetto si sarebbe aggiunta, poi, anche la coppa Italia, un altro trofeo in attesa della conquista della Champions League nella stagione successiva.
A fine gara Nevio Scala dichiarò: "Era doveroso fare i complimenti alla Juventus neo-Campione d'Italia ed allora ho chiesto ai miei giocatori di aspettare i bianconeri davanti allo spogliatoio per stringere loro la mano, Lippi in testa. Un gesto da sportivi che ci onora e che nello stesso tempo premia i nuovi campioni".
A pochi minuti dal termine dell'incontro Roberto Baggio uscì dal campo, sostituito da Del Piero.
Quella fu l’immagine che racchiuse in sé la conclusione di un'epoca calcistica, per lasciare il posto ad un'altra.
Un po' come accade nelle fiabe.

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Classifica Wikio "Top blog calcio" mese di gennaio: si sale qualche gradino...

Ricevo e pubblico molto volentieri. Si passa dal ventesimo posto dello scorso mese di dicembre 2010 al tredicesimo. E senza avere (ancora) acquistato una punta di peso...

1Calcioblog
2AsRomaLive
3Il Blog dell'Uccellino di Del Piero ™
4Calciopro
5Teste di calcio
6Calcio Malato
7Juvemania
8Oleole.it
9Critica Rossonera
10Pallone
11Amo Calcio Napoli
12http://club.quotidianonet.ilsole24ore.com/misterX
13Cronache bianconere
14Sciabolata Morbida
15Campionato Serie A.net
16Inter Calcio Sport
17QuasiRete
18juveland
19Calcio-Blog.it
20Montero77

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