venerdì 30 aprile 2010

La Juventus degli Agnelli

L’ultimo Re d’Italia ci aveva lasciato il 24 gennaio 2003. Gianni Agnelli si era spento poco più di un anno prima rispetto al fratello minore Umberto (27 maggio 2004).
La Juventus, il giocattolo di famiglia, la "fidanzata d’Italia", era destinata - di lì a poco - ad essere distrutta.
Dall’incontro a Marrakech tra John Elkann e Jean Claude Blanc (31 dicembre 2004), per lei è iniziata una irrefrenabile caduta libera.
Il resto, è storia del recente passato. E di un presente che, sino a pochi giorni fa, sembrava non avere neanche un futuro.

"Dopo il Sudafrica ancora in bianconero? Penso di sì, però non dipende solo da me, ma da una serie di elementi. Credo che in società abbiano intenzione di voltar pagina" (Christian Poulsen, 22 aprile 2010).
"Voltare pagina". Cambiare. Tornare a chiamarsi Juventus. Ad essere "la Juventus". Tornare in mano agli Agnelli. Lo sapevano, i diretti interessati. Se ne è parlato tanto, in questi mesi. Troppo: per le abitudini degli ultimi anni, dove in casa bianconera alle parole non sono mai stati accompagnati i fatti.
La paura, il timore dei tifosi, era che tutto questo non avrebbe mai portato ad un risultato concreto.

Prigionieri di un’ingiustizia (sportiva) che ha tolto loro uno squadrone con giocatori degni della maglia che indossavano ed una dirigenza di valore assoluto, ai sostenitori juventini non era rimasto che seguire le udienze del processo penale di Napoli, con imputato Luciano Moggi. Triste, tenendo conto che si parla (e si scrive) di calcio.

La Juventus non andava? Prima si era deciso di allontanare gli allenatori di turno, poi di accentrare le cariche più importanti - in seno alla società - in mano ad una sola persona (Blanc). I risultati non arrivavano? Allora si è pensato di aggiungere qualcosa, di dare in pasto allo sterminato "popolino" bianconero la figura carismatica di Roberto Bettega, anima e cuore di una società vincente sia in campo che fuori dal rettangolo di gioco. Un uomo legato più ad Andrea Agnelli che non a John Elkann. Un uomo, probabilmente, "di collegamento" tra il vecchio e il nuovo. Ma non bastava. Non poteva bastare. C’erano troppe cose da rimettere a posto.
Una società senz’anima, una dirigenza senza cuore, una squadra - impresentabile - da rifondare.

L’inversione di rotta era necessaria, indispensabile. La nomina dello stesso Elkann a presidente della Fiat uno degli ultimi eventi necessari affinchè tutti i pezzi del puzzle andassero al loro posto. La gestione della Juventus poteva - a questo punto - passare di mano. Sullo sfondo l’imbarazzo per le continue intercettazioni che iniziavano a girare in internet, non solo tra le aule dei tribunali. Molte delle quali venivano riportate anche dalle maggiori testate giornalistiche online. Alcune, invece, volutamente lasciate in mano ai soli siti/forum di tifosi bianconeri (una su tutte: quella relativa alla telefonata Tosatti-Moggi sul "dietro le quinte" di Farsopoli).

Era arrivato il momento: lo sapevano tutti, in Famiglia. I tifosi non si limitano, al giorno d’oggi, a leggere i giornali o a guardare la televisione: internet è uno strumento di informazione portentoso. Lì le notizia corrono, a volte volano. Senza censure. Diventano oggetto di discussioni, di condivisione di idee, di scambi di opinioni, strumenti per arrivare a conoscere alcune "verità nascoste".

Il "buco nero" di quattro anni (dal 2006 ad oggi) andava colmato. C’era la necessità di iniziare a scrivere una nuova storia, che prendesse lo stesso titolo della precedente ("La Juventus"), affidandola alle mani di un autore che provenisse dallo stesso ramo degli altri (un Agnelli). I lettori avrebbero sicuramente apprezzato, e comprato a scatola chiusa. Certi della bontà del contenuto.

Nei prossimi mesi la società verrà (molto probabilmente) rivoluzionata. Dalla competenza di Marotta (e del suo staff) alle qualità dell’allenatore Benitez, dalla possibilità di riabbracciare Pavel Nedved alla speranza di vedere sempre più ristretta l’area di competenza di Blanc. In cima a tutto questo, un solo cognome: Agnelli. Lui c’è già. Gli altri, potrebbero arrivare uno dopo l’altro. Poi sarà la volta dei calciatori, del mercato estivo in entrata e in uscita. In sintesi: del rifacimento della squadra.

"Eleganza, professionalità e mentalità vincente": queste le origini dello stile-Juventus. Questo il precetto, contenuto in poche parole, che il senatore Giovanni Agnelli (nonno dell’Avvocato) lasciava ai suoi giocatori. Erano gli anni venti "dell’altro secolo", ma hanno finito per accompagnare la storia di una squadra che nel frattempo è diventata leggenda.

Andrea Agnelli non possiede la bacchetta magica. E’ tifoso della squadra della quale adesso andrà a ricoprire la poltrona più importante. Cercherà di continuare la tradizione di famiglia, proseguendo il lavoro fatto (con successo) anche dal padre (Umberto). Era, ed è tuttora, l’ultima ancora di salvataggio per chi spera in una Juventus vincente legata a quel cognome. Ne è l’ultimo rappresentante, quello a cui viene chiesto di far ripartire una storia interrotta dal 2006.
Ferma a 29 scudetti. Anche se a suo cugino John non piace sentirselo dire.
Benvenuto, Andrea. Siamo tutti dalla tua parte. Almeno tu non ci tradire.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Benvenuto, Andrea


martedì 27 aprile 2010

Andrea Agnelli presidente? E Benitez, intanto...

Insieme per sempre


MILANO, 27 aprile - Rcs Sport si occuperà, per i prossimi quattro anni, della gestione delle sponsorizzazioni dell'Inter. Il club di Massimo Moratti e la società di Via Solferino hanno siglato un accordo di partnership, per la valorizzazione del marchio nerazzurro, operativo dal prossimo primo luglio. Già in passato Rcs Sport aveva ricoperto questo ruolo. Tra le due società, si legge in una nota, «nasce una collaborazione strategica per perseguire il traguardo comune teso ad attrarre, nell'orbita nerazzurra, un numero sempre più selettivo e qualificato di aziende e partner, partecipando a in sistema di marketing e comunicazione integrata che valorizzi in maniera ottimale la qualità del loro investimento».
(Fonte: Tuttosport)

Una "Gazzetta dello Sport" in rosanerazzurro...

lunedì 26 aprile 2010

Giraudo assolto (da "Ciao Juve")


Non mi sarebbe dispiaciuto diventare un avvocato.
Non so se sono stato “scelto”, o se ho scelto io: sono tifoso juventino. E questo mi basta per capire di essere fortunato. Nonostante tutto. Nonostante gli Elkann.
Cosa c’entrano le due cose? Che ormai, per essere un sostenitore della Juventus, non ti devi limitare all’aspetto sportivo. Non ti PUOI limitare all’aspetto sportivo.
Perché quando ti accorgi che la tua squadra del cuore è lasciata in balia del mondo intero, degli attacchi mediatici provenienti da ogni dove, senza che NESSUNO la difenda (trincerandosi dietro un silenzio che sa di RESA), solo allora capisci che devi sacrificarti più del dovuto per aiutarla. O, quantomeno, per provarci.
Un atto d’amore. Che un tifoso (come milioni ce ne sono sparsi in Italia e nel mondo) è disposto a fare.
Ma che un proprietario indifferente NON E’ IN GRADO DI FARE.
Visto che stare dietro “a tutto” (oggigiorno) è sempre più difficile, mi avvalgo – spesso - dell’aiuto di siti di VERA INFORMAZIONE.
Questa sera è la volta di “Ciao Juve”
Lo consiglio agli amici: è veramente ben fatto.
Argomento del giorno: l’analisi delle motivazioni della sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Napoli ha riconosciuto colpevole Giraudo (qui l'articolo originale)



Qualcuno pensava che dalle motivazioni potessero affiorare “fatti nuovi”, ci speravano, invece niente. De Gregorio si è limitato a prendere quattro mesi di tempo per allungare il brodo del già noto dispositivo della sentenza. Da bambini, quando scrivevate i temi, non vi hanno mai detto: «è troppo corto, allunga il brodo qua e là così sembra fatto meglio e la maestra ti alza il voto»? Certo è assai strano che un giudice motivi su giornali e trasmissioni televisive una sentenza prima ancora di scriverla. Vi riportiamo pari pari il nostro articolo del 15 dicembre 2009, giorno successivo alla condanna, poiché nulla è cambiato. Giraudo è già assolto prima ancora di fare ricorso!

Pagliacci

Mesdames et Messieurs (si scrive così? È per farlo capire al trino), ieri è stata la giornata ufficiale dei pagliacci.

Commenti in TV, sui forum, nei blog, oggi sui giornali, tanti pagliacci hanno ritrovato forza e vigore.

È stata la giornata in cui si è visto chi è con noi, juventini che non si arrendono, e chi no. La giornata che ha scritto a chiare lettere che non esiste il giornalismo vero e che ha formato la lista dei nomi di chi è stato preso a calci in culo da Giraudo, tant'è che non s'è aspettato nemmeno il dispositivo per dire subito che è un idiota e che ha sbagliato.

Che Giraudo non sia un idiota credo lo dimostri la sua carriera da manager, un manager di successo che - per amore e rispetto verso la Famiglia Agnelli - si era prestato al calcio anche se questo rappresentava una limitazione per le sue capacità e risorse. Un manager di successo che è ancora oggi a fianco di quel che rimane della Famiglia, Andrea Agnelli, e che per questo legame ha pagato e continua a pagare. Un manager che continua a fare il manager e non la macchietta in TV.

Grazie all'Ansa ieri abbiamo potuto leggere il dispositivo, che non è la sentenza vera e propria ma che in questo caso è più che sufficiente per comprendere quanto in basso sia sceso il sistema giudiziario nel nostro paese. Giraudo è stato condannato per aver puntato a far ammonire tre giocatori, diffidati secondo ROS e PM, assolutamente in campo contro la Juve per la storia reale. Così come, sempre nella realtà dei fatti e non nella trincea nebbiosa scavata dai PM, l'espulsione di Jankulovski fu tutt'altro che fittizia.

Controllate voi stessi, questa la famosa partita: Udinese-Brescia

e questi gli uomini in campo contro la Juve: Udinese-Juventus

Vi rendete conto che decine di carabinieri, tre PM ed un giudice hanno completamente sconvolto quella fetta di realtà? Vi rendete conto che IERI come OGGI decine e decine di giornalisti puntano su un fatto clamorosamente falso per convincervi che la Juventus rubava? È disarmante. Dove sono i Travaglio, i Grillo, i Gomez. i Santoro... ? Dove?

Le altre due “frodi” si riferiscono invece alle famose designazioni arbitrali. Puntano cioè su quei fatti già esaminati dalla Procura di Torino che non aveva riscontrato alcuna irregolarità. E pur volendo tapparci occhi ed orecchie dicendo che la Procura di Torino si era sbagliata mentre a Napoli sono dei geniacci, restano vuoti assurdi. Nessun giornalista e nessun notaio condannati o, quantomeno, indagati. Cioè chi estraeva la pallina e chi assisteva ai sorteggi non c'entra nulla con chi li taroccava! Come cazzo fai a taroccare un sorteggio senza la complicità del notaio e senza quella di chi la estrae?

Un errore della difesa? Forse. Sicuramente l'errore non è stato il rito abbreviato, non c'è stato un ricercare la condanna come qualcuno ha vigliaccamente affermato, per quello esiste il patteggiamento. Il rito abbreviato era la via più semplice e veloce per porre fine alla farsa del 2006. È andata male a metà, perché c'è una sentenza di condanna, è vero, ma ci sono anche motivazioni ridicole che potrebbe ribaltare anche un ragazzino e viene da chiedersi come un giudice possa permettersi di fare un errore, chiamiamolo così, di queste dimensioni. Anzi, vi chiedo come possa farlo senza alcuna conseguenza per la sua carriera.

Vi lascio con la nota amara della mattinata. Indovinate chi è corso ad intervistare questo esimio giudice? Ovviamente La Stampa di John Elkann... E sapete cos'ha dichiarato?

«Dico che questa sentenza riguarda una parte di qualcosa di più grande. Non dimentichiamoci che nel procedimento ordinario le prove si formano in aula, nel rito abbreviato non è così»

Cos'avrà voluto dire? Non voglio mettere le parole in bocca a nessuno, ma esercito il mio diritto di esprimermi e di dare una personale interpretazione: “so bene che non c'è nulla, che - se la Casoria non verrà ricusata - è probabilissimo che Moggi venga assolto, però qui l'obiettivo era di colpire Giraudo ed Andrea Agnelli. Missione compiuta, fatevene una ragione”.

Grande festa ieri a casa Elkann, il trono è salvo. Per ora.

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Questo il comunicato di GiùlemanidallaJuve, nulla è compromesso.
http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/articoli_dettaglio.asp?id=504

Update: La sentenza è scaricabile sul sito di Tuttosport:
http://www.tuttosport.com/files/sentenza26042010.pdf

domenica 25 aprile 2010

La Juve tra Marotta, Benitez e il Bari...


"Marotta rimane alla Sampdoria al mille per cento" (Riccardo Garrone, 7 giugno 2009).
"Ho letto di Marotta in questi giorni sui giornali. Per la mia responsabilità di imprenditore a capo della ERG per quarant'anni, se un manager giovane come Marotta viene avvicinato alla Juventus nessun risentimento. Se riceve una proposta nessuna obiezione" (Riccardo Garrone, 22 aprile 2010).

Era l’uomo giusto; quello che non andava bene, era il "momento". Marotta alla Juventus: a leggere tra le righe delle dichiarazioni del presidente della Sampdoria, rilasciate in due periodi ben distinti, questa volta il matrimonio s’ha da fare.
Se "uno più uno fa due" (per gli interisti spesso "fa tre", ma questa è un’altra storia…) finalmente un uomo di competenza e spessore in materia calcistica è in procinto di tornare a Torino, in casa bianconera.
Un posto dietro la scrivania offerto a chi vive "da dentro" quel mondo da quando aveva otto anni: ha iniziato come garzone, a Varese, nel 1965. Il sogno era quello di diventare magazziniere, nel frattempo gonfiava i palloni con la pompa delle biciclette (all’occorrenza, con il fiato) e puliva le scarpe ai calciatori: con lucido e grasso preparava gli strumenti del mestiere a quella squadra che all’epoca era protagonista di un continuo saliscendi tra la serie A e la serie B.
Dirigente a soli 19 anni. Una scalata continua, la sua: direttore sportivo, direttore generale e poi - addirittura, per un anno e mezzo circa - presidente del Varese Calcio.
Monza, Como, Ravenna, Venezia, Atalanta e - infine - Sampdoria le successive tappe della carriera. La Genova blucerchiata come casa per otto lunghi anni. Sino ad ora.
Ricorda volentieri quando, alle dipendenze del Monza, ancora giovane andò a trattare con Boniperti la cessione di Casiraghi. Anche se l’ex presidentissimo della Juventus capì di avere di fronte un dirigente alle prime armi, lui non si fece intimidire. E riuscì a vendere il giocatore al prezzo prefissato. Quella fu una delle tante "perle" di mercato (ultime quelle di Cassano e Pazzini) della sua lunga carriera.
Spazio a Marotta, quindi. In senso fisico e operativo: a questo punto il "pluridecorato" Blanc dovrà lasciare qualcuna delle sue cariche e dei suoi impegni, liberando al nuovo arrivato i troppi spazi da lui occupati.

Dal "traghettatore" Zaccheroni al neopresidente del Liverpool (traghettatore pure lui) Martin Broughton: il primo scalda la panchina al prossimo allenatore della Juventus; il secondo ha il compito di condurre la società inglese nel delicato momento del passaggio di proprietà tra i vecchi e i nuovi gestori.
Cosa hanno in comune i due? Il nome di Rafael Benitez. A giorni potrebbe sbloccarsi la trattativa che condurrebbe il tecnico spagnolo alla guida della Juventus. Dalla riduzione del numero dei componenti dell’attuale staff che lo seguirebbero a Torino, alle richieste economiche e tecniche che ha presentato alla società bianconera sino ad arrivare alle difficoltà da superare per liberarsi dal Liverpool: una serie di pezzi che dovranno incastrarsi tra di loro. Dopo, e solo dopo, potrebbe avvenire il tanto atteso annuncio.
In caso contrario, si ripartirebbe con il "toto-allenatore". Un giochino che nella Torino bianconera - negli ultimi tempi - hanno imparato bene. Lo scorso anno era stato deciso di seguire la strada innovativa (ed economica) del "guardiolismo all’italiana"; ora, prendendo come riferimento Fabio Capello, quella del tecnico esperto.

La squadra? Andrà fortemente ritoccata, in (quasi) tutta la spina dorsale. Fermo restando le (probabili) conferme di Buffon e Chiellini, per l’undici titolare sono in ballo nomi per un centrale difensivo, per gli esterni, per un regista, una punta ed (almeno) un altro centrocampista. Non poco, per chi avrebbe dovuto vincere lo scudetto in questa stagione ed essere alla conclusione del quarto dei cinque anni utili per tornare ai massimi livelli. Nessun Ronaldihno costruito in casa, nessun giovane lanciato in prima squadra anche quando le condizioni di classifica lo avrebbero permesso. Se futuro ci sarà (e ci sarà), andrà comunque "ben pagato".

Contro un Bari ormai in vacanza, la Juventus cercherà di accaparrarsi altri tre punti utili per una rincorsa sempre più difficile (quasi impossibile) ai preliminari della prossima Champions League: (anche) il Milan, che ormai ha più poco da offrire a questo campionato, è stato sconfitto dal Palermo nell’anticipo di ieri. Visto il precedente interno contro il Cagliari, immaginare una vittoria nella gara odierna dei bianconeri non sembra un’eresia.
In una domenica apparentemente uguale alle altre.
Se non fosse che proprio oggi cade il 15° anniversario dell’addio di Andrea Fortunato. E questo non può che rendere diverso questo giorno.
Ciao Andrea.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

La puntata di ieri di "Studio Sport"

sabato 24 aprile 2010

Continuerai a correre su quella fascia...


15 anni fa ci lasciava Andrea Fortunato. Il ricordo di Bettega
Il 25 aprile del 1995, a soli ventitre anni, Andrea Fortunato si spegneva dopo una dura battaglia contro la leucemia. Sono passati quindici anni da allora, ma il suo ricordo non ha mai abbandonato la Juventus, i suoi tifosi e tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo. Tra questi c’è Roberto Bettega, che ha ancora bene in mente tanti momenti condivisi con Andrea: « Una volta ci fermammo nella sala da pranzo di Villar Perosa, dopo cena, a parlare insieme, perché era un momento non troppo positivo per lui. Pensandoci a posteriori, probabilmente stava già covando la malattia. Ho cercato di rincuorarlo, facendogli capire quanto fosse difficile la nostra piazza, indossare questa maglia. Un’altra volta, si giocava un’amichevole a Tortona e tra il primo e il secondo tempo rimase negli spogliatoi perché aveva un po’di febbre. Quello fu il campanello d’allarme».

Quando ad Andrea fu diagnosticata la malattia, fu proprio Bettega a comunicarlo alla squadra: « La notizia toccò profondamente tutti. È chiaro che trattandosi di un ragazzo di quell’età, di uno sportivo, si fa fatica a pensare che possa essere colpito da un male così grave. In piccola parte provai la stessa cosa quando avevo vent’anni e forse ero quello che si era trovato più vicino ad una situazione del genere e quindi toccò a me dirlo ai suoi compagni
Sono rimasto molto legato alla famiglia, perché quelli furono momenti molto difficili e delicati per tutti. Andrea aveva una grande forza, una grande volontà, che credo tutti trovino quando si è costretti ad affrontare certe sfide. Sono sicuro che ce l’abbia messa tutta per provare a vincere la sua, ma purtroppo non è bastato».

La scomparsa di Andrea colpì profondamente tutto il mondo del calcio: «Andrea si ammalò nel pieno della sua giovinezza, del percorso del suo sogno. Il calcio fu sicuramente colpito, anche perché per fortuna situazioni del genere sono rare in un mondo come il nostro, fatto di atleti. E poi la personalità di Andrea aveva toccato tutti e anche per questo furono in molti a partecipare al dolore per la sua perdita. Sono cose purtroppo tristi, che però rimangono dentro e viene da chiedersi perché ad esempio io sono stato più fortunato… Viene da chiedersi: perché lui?»


Fonte: sito Juventus

venerdì 23 aprile 2010

Intercettazioni inedite: Moggi e Tosatti (video Ju29ro.com)


Ringrazio Nicola Negro per aver segnalato il video.
Illuminante... E meno male che Moggi era a capo di una Cupola...

giovedì 22 aprile 2010

Quanto vorrei che ci fosse qui mio nonno...


A Roma, vicino a Ponte Milvio, quello degli innamorati e dei loro lucchetti, a due passi dall’Olimpico, domenica scorsa si è vissuta un’altra giornata di (ordinaria) follia all’italiana: i goals di Vucinic sono finiti in secondo piano di fronte alle asce, ai coltelli, alle mazze e alle bottiglie molotov sequestrate dalla Polizia nei dintorni dello stadio. Fuori, due tifoserie a confronto, con il contorno di un razzo che ha finito per bruciare un’auto; dentro, nel rettangolo di gioco, il siluro del montenegrino ha annientato i biancocelesti e ha riportato i giallorossi in testa alla classifica del campionato di serie A. I cori razzisti a Juan valgono quanto quelli riservati al Meazza a Sissoko (in pratica, niente); gli strascichi polemici si sono concentrati per quanto successo nel dopo gara: dai pollici versi di Totti allo sgambetto rimasto impunito di Radu a Perrotta, sino ad arrivare alla pallonata di Zarate ad un romanista.

Ranieri guida la sua Roma con un punto di vantaggio sull’Inter, mantenuto in una delle giornate più difficili. Ora, alla quart’ultima, sempre all’Olimpico, arriverà la Sampdoria di Cassano. Un "ex", genio e sregolatezza, avanti con gli anni rispetto ad un altro talento che, come lui, sta percorrendo ad alta velocità la corsia della dispersione del proprio talento calcistico: Mario Balotelli. "Super", per i tifosi nerazzurri. Sino a poco tempo fa. E per quella stampa che ne invocava in continuazione la convocazione, al pari del giocatore sampdoriano, in nazionale azzurra per i prossimi mondiali in Sudafrica. "Un’Italia per vecchi", "Lippi non crede nei giovani". Solita musica: a bocce ferme, tutti contro il commissario tecnico. Poi, però, quando il carro dei vincitori riprende il suo cammino, eccoli pronti a salire "in corsa". Adesso, naturalmente, nessuno che rettifichi quanto scritto in precedenza e che si schieri apertamente a favore di Marcello Lippi per aver visto giusto (nel merito) ed essere stato coerente nelle sue decisioni.

Nella serata della vittoria memorabile in Champions League contro il Barcellona, la luce del giovane attaccante si "spegne" del tutto. Era andata ad intermittenza in tutti gli stadi d’Italia: a Milano, s’è persa definitivamente. Il lancio della maglia a terra rimarrà, nel tempo, il simbolo di un divorzio annunciato da mesi, e consumato con l’ingaggio, come procuratore, di Mino Raiola (lo stesso di Ibrahimovic).
I blaugrana scendono dal pullman a 5 stelle con il quale sono arrivati al Meazza con l’atteggiamento di chi si trova ad affrontare una gita di piacere, per sbrigare una pratica veloce in attesa della passerella al Camp Nou il prossimo 28 aprile. Ultima tappa prima della finalissima al Bernabeu di Madrid prevista per il 22 maggio, nella tana degli avversari di una vita.
Il goal di svantaggio non ferma l’Inter che, in un colpo solo, ritrova coraggio, intensità di gioco e arbitro.
Ora, in Spagna, dovrà preoccuparsi di fermare la (prevedibile) furia dei catalani.
Ultimo (o penultimo) sforzo di una stagione intensissima, dove le energie andranno divise (e gestite) anche con il finale di campionato e con quella Coppa Italia che il 5 maggio (toh?) la riproporrà davanti alla stessa Roma.

(Ad oggi) Buffon resterà anche il prossimo anno in maglia bianconera: tanto l’agente Silvano Martina quanto lo stesso Roberto Bettega lo hanno confermato a più riprese. Su Del Piero iniziano a circolare le prime voci di una possibile esperienza (anticipata di un anno) negli Stati Uniti; per Caceres si lavora per un’altra stagione in prestito (oneroso), per poi acquistarlo dal Barcellona ad un prezzo ridotto tra due estati; su Trezeguet si vocifera di un nuovo (forse decisivo) contatto con il Milan; Benitez, come allenatore, è più di un’idea; il nome di Giuseppe Marotta riprende a circolare per la funzione di direttore generale.
Si lavora, nonostante tutto. Oltre le delusioni di una stagione incredibilmente negativa, di una qualificazione alla prossima Champions League quasi impossibile, sull’onda di un entusiasmo in casa Elkann per la nomina del giovane John a presidente della FIAT. A soli 34 anni.
"Quanto vorrei che ci fosse qui mio nonno". Queste le sue parole, pronunciate nella giornata di martedì, in uno stato d’animo visibilmente emozionato.
Fosse mai stato possibile, avrebbe dovuto rispondere alla prima, (quasi) sicura domanda dell’Avvocato: "ma chi ha ridotto così la Juventus?"

Mentre Zeman querela Moggi per aver sintetizzato in tre sole parole la sua carriera in panchina ("non sa allenare"), i "quattro barboni" (parole e musica del figlio Gianfelice, complimenti per la signorilità) accusati di aver cercato di minare la credibilità di Giacinto Facchetti, in realtà hanno portato alla luce fatti, intercettazioni e materiale in grado di aprire una nuova indagine sul mondo del calcio. Calciopoli, questa volta. Non più Farsopoli. Tempi e modi diversi, interrogazioni in ambito sportivo che in alcuni casi dovrebbero seguire, parallelamente, quelle previste nel processo penale di Napoli. Chi proverà a bluffare da un lato, potrebbe venire presto scoperto dall’altro.
Vero Zamparini?

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 20 aprile 2010

Cosa augurarsi?


Cosa augurarsi dalla fine di questo campionato?
Sinceramente che finisca al più presto, prima di tutto.
In seconda battuta che dalle aule dei tribunali di Napoli arrivino quelle vittorie che sul campo non riusciamo più ad ottenere.
Ma di ciò che succede a Napoli ci rendono edotti già diversi siti e anche qui non mancano mai un video o una nota che ci aggiornano sull’argomento. Io voglio tornare al campo.
Un posto in Champions League ormai, anche se la matematica non ci ha ancora condannato, sarà difficile da raggiungere. Dovremmo quindi accontentarci della qualificazione in Europa League.
E qui nasce la domanda, il dubbio.…vale la pena di qualificarsi per il torneo minore?
In senso assoluto, si.
Riuscire a vincere una coppa europea è sempre una soddisfazione, ed è sempre prestigioso.
In fondo - non so per le casse del club - ma per un tifoso vincere l’E.L. è meglio che uscire agli ottavi di C.L. O no?
Ma anche il non qualificarsi può avere i suoi risvolti positivi.
Primo fra tutti, forse, potrebbe proprio essere il rendersi finalmente conto del fallimento di quel “progettò” che certi dirigenti (e la proprietà!) hanno così strenuamente difeso, ed i tifosi mal sopportato.
E poi ci sono le difficoltà pratiche, e anche “La Stampa” ieri faceva notare i problemi logistici, dal giocare al giovedì fino alla cosa più importante, che è il ritrovarsi troppo presto a giocare i primi passaggi del turno nel caso si arrivi ora sesti o settimi in classifica.
L’anticipo della preparazione, magari con i nazionali ancora impegnati in Sudafrica o comunque a riprendersi dalle fatiche dei mondiali, creerebbe grossi problemi per una squadra che deve ritrovarsi o, meglio ancora, rinascere.
Un nuovo allenatore, diversi volti nuovi (dove per “diversi” io – sperando - intendo “molti” e non “alcuni”) necessitano una preparazione fatta con calma e possibilmente partendo tutti insieme, senza l’assillo di una qualificazione da affrontare già a luglio.
Quindi, nel caso di non raggiungimento della quarta posizione, io ho deciso cosa augurarmi: il quinto posto oppure direttamente l’ottavo. Voi?


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

domenica 18 aprile 2010

Ma Sissoko è bianco o è nero?

Non è che ormai rimanesse più molto da chiedere a questa stagione.
Fallito lo scudetto, fallita la rincorsa ad una delle prime tre posizioni utili per evitare i preliminari di Champions League (che avrebbe consentito la qualificazione diretta alla prossima edizione), abbandonate con quattro ceffoni a testa le due manifestazioni europee a cui ha partecipato quest’anno (1-4 casalingo contro il Bayern Monaco nella "massima", 1-4 contro il Fulham nella "minima"), uscita dalla Coppa Italia ad opera dell’Inter, aggrappata al miracolo di un quarto posto in classifica al momento (quasi) impossibile (potrebbe non bastare vincere tutte le restanti quattro partite…), alla Vecchia Signora rimaneva un unico, solo obiettivo: mettere i bastoni tra le gambe ai nerazzurri. Manco quello.
Per l’orgoglio, per dare un piccolo contentino ai tifosi che, almeno loro, si sentono defraudati delle ultime gioie sportive, derisi e umiliati per quanto accaduto dal 2006 ad oggi.

"Alla Juventus vincere non è importante. È l'unica cosa che conta" (Giampiero Boniperti).
Ma guarda come si sono ridotti i sostenitori bianconeri. Cresciuti a pane e vittorie, abituati a polemiche intorno alle loro partite (anche quando si perde), ad essere sempre al centro dell’attenzione (altrui) e a guardare tutti dall’alto verso il basso. Perché si sa: l’invidia è una delle poche malattie dalle quali non si può guarire. Meglio lasciarla agli altri. Ragionare come "loro", una volta, veniva considerato da "provincialotti del pallone", da ultimo della classe del "bar sport".
Quello che entra nel locale, parla sempre, ma nessuno gli presta attenzione.

E’ la nuova realtà, e - a quanto pare - tutti ne sono contenti. I contestatori? In pochi. Cinquanta al massimo. Quelli che secondo Jean Claude Blanc, il braccio armato del fallimento bianconero, non rappresentano certo i 14 milioni di sostenitori presenti nella penisola.
Con le uova di chi protesta, (loro) ci fanno le frittate; gli inviti ad andare a quel paese - invece - non li ascoltano neanche più: ormai fanno parte delle colonne sonore delle domeniche all’Olimpico quanto l’inno di Paolo Belli prima degli incontri.
Frasi prendere in giro dal mondo intero, ormai, è diventato un esercizio quotidiano per chi ama la Juventus.
Ma così no, dài…
E sino a quando si continuerà a sbagliare il vero "soggetto" con cui prendersela (la proprietà), la cronaca continuerà ad essere questa.

"Se succederà contro di noi andrò dall'arbitro per chiedere di fermare la gara. Comunque Balotelli è tranquillo, sa che contro la stupidità non c'è difesa, lui non può farci nulla. E tutta questa situazione è frutto della stupidità di poche persone che hanno rovinato la sua immagine" (Javier Zanetti, 27 novembre 2009).
Ma Sissoko è bianco o è nero? E’ "bianconero", indossa la maglia con quei colori, e ad oggi tutto quello che gli piove contro è permesso. Come i cori razzisti al momento della sua uscita dal campo in occasione dell’espulsione subita nell’anticipo "dell’anticipo" di venerdì sera.
"È stata una cosa molto stupida, ma non razzista. Ci sono altre cose di cui vergognarsi" (Massimo Moratti, 2 aprile 2006).
Nel salotto del Meazza il difensore messinese Zoro, all’epoca dei fatti, venne insultato ripetutamente dai sostenitori dell’Inter, a completamento dell’opera iniziata nella gara di andata di quel campionato, dove il giocatore fu oggetto di talmente tanti cori razzisti da convincerlo, ormai esausto, a minacciare l’abbandono del campo. Il successivo commento di Moratti a quanto accadde? "Ragazzotti troppo entusiasti, forse anche un po’ stupidi, ma razzisti no".
Ci si decida: un giocatore è di colore solo quando indossa la maglia nerazzurra? I tifosi cattivi sono sempre e solo "gli altri"? Nel frattempo i sostenitori bianconeri possono stare tranquilli: Blanc "vigila". Su tutto.

Sta attento anche a quanto accade al processo di Napoli, dove è imputato Luciano Moggi. Che si difende dalle accuse personali ricevute nello svolgimento della propria attività, in una società che oggi è incapace di vincere "dentro" e "fuori" dal campo. E che lo ha abbandonato da un momento all’altro, sulla traccia del nuovo "stile-Elkann" (si vedano gli esempi di Ranieri, Ferrara, …). Dopo le intercettazioni "normali", ora si passerà (anche) al vaglio delle schede svizzere e delle telefonate "di rimbalzo", così definite dalla "Gazzetta dello Sport" nel tentativo di lanciare l’ennesimo assist all’accusa. Le danze continueranno, mentre di materiale "nuovo" su cui discutere, a questo punto, ne rimarrebbe poco. Tranne quello che i legali dell’ex-Direttore Generale stanno tirando fuori poco alla volta da quel cilindro pieno di conversazioni che, a quanto pare, tanto "irrilevanti" non lo erano.

Allora appuntamento a martedì prossimo, e all’ennesimo ripensamento di Gianfelice Facchetti, figlio dell’ex-presidente dell’Inter, che un giorno vorrebbe venisse restituito il titolo regalato da Guido Rossi ai nerazzurri nel 2006, e il giorno successivo ci ripensa. Come se il destino di quel tricolore dipendesse dalla sua volontà o da quella del patron nerazzurro Moratti. Porti pazienza, e rimetta lo smoking bianco dell’onestà nell’armadio. Chiudendolo a doppia mandata.
Almeno quella farsa è finita.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

giovedì 15 aprile 2010

E chissenefrega di quei 200 milioni di euro...


"Juve 200 milioni per lo scudetto". Questo il titolo a nove colonne del quotidiano "La Gazzetta dello Sport" per la giornata odierna.
"Se la madre di tutte le intercettazioni è sterile" è l’editoriale comparso ieri, ad opera del (suo) direttore responsabile, Andrea Monti.
Come "aprire" il giorno dopo una pagina nuova, dopo averne "chiusa" una in quello precedente.
Basta con Calciopoli e le sue nuove scomode verità; basta con Luciano Moggi, con il processo penale che si tiene a Napoli e con le intercettazioni irrilevanti diventate "rilevanti"; basta con la "vecchia" Juventus. Quella che vinceva. Tanto. Troppo.
Spazio e visibilità alla "nuova": quella che con 200 milioni di euro spendibili in tre anni (grazie ad un altro "progetto") potrebbe consegnare a Benitez (diventato la prima scelta come allenatore del futuro) una rosa in grado di permettere alla Vecchia Signora di tornare a primeggiare in Italia. Ai primi cinque anni necessari (e non ancora del tutto trascorsi) per riavere una Juventus vincente, i tifosi dovrebbero aggiungerne (almeno) due. Ai milioni di euro già spesi ("sprecati", "bruciati", si scelga - a seconda delle preferenze - la definizione più adatta) se ne sommerebbero altri. In mano a chi? Per ora, alle stesse persone che li hanno gestiti dal 2006 ad oggi.

I sostenitori bianconeri devono imparare a guardare avanti, a purificarsi l’anima, a lasciar perdere un passato scomodo, fatto di trucchi (e telefonate) per vincere, di Cupole e combriccole. Bisogna trascurare i "non so, non ricordo" del tenente colonnello Auricchio, i suoi tentennamenti, il suo computer che non funziona più nel momento meno opportuno (magari durante un interrogatorio…). Non fosse altro che le indagini che avevano portato alla condanna sportiva della Juventus le aveva condotte lui.

Meglio seguire i dettami della "Gazzetta dello Sport", non tirando in ballo le altre squadre scampate al processo di quattro anni fa, ed evitando di fare il nome di Giacinto Facchetti. Anche se compare in moltissime intercettazioni ricavate dal consulente speciale di Luciano Moggi, Nicola Penta. Quello che oggi viene descritto, dallo stesso giornale, come uno dei capi della curva dello stadio Manuzzi di Cesena (in gioventù), "body guard" prima e "personal manager" poi del cantante Eros Ramazzotti. Quello che "avrebbe" minacciato e tentato di aggredire, in compagnia di Sebastiano Rossi (ex portiere del Milan), un conoscente, reo di averli presi in giro ad una festa. Denunciato, ha presentato una controquerela. Una vicenda torbida, lasciata a pagina 16 giusto per avvolgere con una cortina di fumo la figura di chi non ha capito con certezza chi pronunciò il nome "Collina" nel corso di una telefonata tra lo stesso Facchetti e Bergamo.

Ma è difficile prendere per "oro colato" tutto quello che viene scritto dal quotidiano rosa in questi giorni. Pur impegnandosi a fondo, è complicato non notare come sono stati un po’ troppo trascurati alcuni aspetti importanti che sono emersi lo scorso martedì dal processo di Napoli. Perché il problema non è "chi pronuncia chi": il fatto è che ci sono dimostrazioni che in molti si interessavano di griglie e grigliate; che non si può non sorridere ad ascoltare le parole di Auricchio quando si giustifica sulle telefonate non considerate rilevanti; che non si può non pensar male quando ci si accorge che chi era stato accusato di trovarsi a capo di una Cupola, non era neanche in grado di inserire un arbitro considerato “"amico" (su tre) nella griglia del sorteggio arbitrale per un Milan-Juventus decisivo per l’assegnazione dello scudetto. E via dicendo…

Certi treni nella vita passano una volta soltanto. Quello dell’ondata di giustizialismo che ha originato il terremoto calcistico del 2006 è passato. Chi doveva essere colpito, è stato affondato. Ma ricreare la stessa situazione quattro anni dopo, con l’entrata in scena di protagonisti diversi e in un ambito "esterno", come quello del tribunale di Napoli, è difficile. Se non impossibile. Non c’è la fretta del passato, ma c’è la calma di un processo che ha le sue scadenze, le sue udienze, i suoi tempi. E le sue regole.

E allora, con tutto il cuore: chissenefrega di quei 200 milioni di euro.
Ora che la "vera verità" sta venendo a galla, impazienti i tifosi juventini aspettano le udienze come fossero partite decisive per l’assegnazione di un titolo. Oppure, viste al contrario, per la revoca di qualcun altro. Nel momento in cui la giustizia sportiva dovrà decidere - anche lei al netto di ondate giustizialiste - nuove sanzioni per chi era scampato alla prima tornata. Senza che venga a mancare la stessa autorevolezza e durezza del passato.

Domani, di partite, ce ne sarà una vera: Inter-Juventus. I nerazzurri diventati secondi dopo il sorpasso della Roma di Claudio Ranieri contro la Juventus del "rombo" che non funziona, che non ha mai funzionato e che non funzionerà di nuovo. Visto che ci si trova a 5 giornate dalla fine del campionato e che per i miracoli, ormai, il tempo è quasi scaduto. A loro si chiede soltanto una prestazione di orgoglio. Quello che ha sempre contraddistinto chi indossa la maglia bianconera. Nell’attesa degli eventi futuri. Sportivi e non. In un calcio malato, polemico e isterico che rimpiange persone care che non ci sono più (ciao Raimondo) e che è arrivato a far sostenere ad un galantuomo come Massimo Moratti che il livello di intossicazione attuale, proveniente da certe critiche della stampa, è "un milione di volte" maggiore di quello presente negli anni sessanta. Quando alla guida della società nerazzurra c’era il padre Angelo.

No, Moratti, non è intossicazione: la sua è paura. Alla prossima udienza.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Ciao Raimondo.
Semplicemente "ciao". Ci mancherai.



"MI RACCOMANDO: NON AIUTATE LA JUVE!!!"


Ecco la vera Cupola...




Calciopoli?
No...

FARSOPOLI!!!

Ps: nel mio cuore (sportivo) c'è posto solo per un uomo...

Ari-Ps: vai Luciano!!! Siamo tutti con te!!!

Video (e audio) originale (più "chiaro", per chi non vuol sentire)

Come dessert... Oliviero Beha...

martedì 13 aprile 2010

Moratti ha un regalino per te...



Novità della serata (fonte: Corriere dello Sport):
MILANO, 13 aprile - Un «regalino» da parte del presidente dell'Inter, Massimo Moratti, per l'ex designatore arbitrale Paolo Bergamo, probabilmente in virtù del periodo natalizio. È la prima di altre tre telefonate trascritte dai difensori di Luciano Moggi di cui è stata chiesta proprio oggi l'acquisizione da parte del Tribunale di Napoli dove si sta celebrando l'udienza del processo a Calciopoli. L'intercettazione è del 23 dicembre 2004 e Bergamo chiama l'ex dirigente nerazzurro Giacinto Facchetti.

Facchetti: "Se tu chiami Moratti...son stato là anche ieri da lui ...abbiamo parlato".
Bergamo: "Io non ho più il suo numero, se tu me lo dai... infatti ricordi...ne avevamo parlato".
Facchetti: "Sì dai perchè voleva...se passi di qui un giorno...".
Bergamo: "Ma dov'è è a Forte?"
Facchetti: "In ufficio, no no a Milano se ti capita di venire giù perchè aveva là un regalino da darti".
Bergamo: "Volevo sentirlo anche così anzi avevo piacere anche di incontrarlo, di incontrarvi, insomma per fare così qualche riflessione insieme".
Facchetti: "E va bene".
Bergamo: "È una situazione che vorrei proprio anch'io aiutarvi a raddrizzare...perchè insomma la squadra non merita la posizione che ha...".
Facchetti: "Sono stati dodici pareggi incredibili...".

Torniamo alla cronaca di oggi.
L'avvocato Paolo Trofino, che aveva citato la telefonata in aula, dice: "Mi è dispiaciuto che il figlio di Facchetti abbia pensato che avessi intenzione di offendere la memoria del padre, che è cosa lontana mille miglia dalle mie intenzioni, come ho dimostrato sin dall'inizio. Per quanto riguarda la telefonata, Moggi è stato accusato per quattro anni di parlare delle griglie con Bergamo. Ho voluto dimostrare che anche il presidente dell'Inter lo faceva. Se dalla trascrizione futura, disposta dal Tribunale, si vedrà che quella frase è pronunciata da un altro interlocutore, per noi si tratterà di un particolare ininfluente"

Attaccarsi a questo dubbio, da parte dell'accusa (e degli accusatori), servirà soltanto agli avvocati difensori di Moggi ad attirare ancora di più l’attenzione dei media sul processo di Napoli. Quello ignorato (volutamente) sino ad oggi, e che avrà il suo nuovo “culmine” nella giornata di martedì prossimo. Quando le udienze riprenderanno.
Non guardiamoci i piedi: il bello deve ancora arrivare.
E lasciamo che chi ha creato (e continuato a gestire, nel corso degli anni) questa campagna di disinformazione, madre di Calciopoli, si sfoghi ben bene. Perchè poi dovranno rispondere anche loro di alcune inesattezze…
Intanto rinfreschiamoci la memoria con un'intercettazione dove si parla (anche) di tessere...

Dal blog di Christian Rocca
Calciopoli oggi
13 Aprile 2010 - Blog Oggi al processo napoletano sono successe, tra le altre, quattro cose:

1) ll giudice Teresa Casoria ha detto al pm Narducci: «Le telefonate mi sembrano rilevanti»

2) Pare ci fossero contatti tra i designatori e quasi tutta la serie A (alla prossima udienza le telefonate). A dimostrazione della bufala dell’associazione a delinquere moggiana

3) Il tenente colonnello Auricchio, l’uomo che ha condotto le indagini di calciopoli, svela che Facchetti e Bergamo andavano anche a cena insieme e certo non per il piacere di prendersi un te.

4) E’ stata letta un’intercettazione tra Facchetti, quello "dolce e severo" che secondo Moratti non sapeva nemmeno che cosa fossero i gettoni telefonici, e Bergamo. In questa intercettazione i due parlano di griglie (accusa massima fatta a Moggi) e Facchetti chiede di mettere in griglia Collina ("Metti a Collina", da farci un rap come "Metti a Cassano".
Questa sola telefonata, ma ce ne sono altre, è violazione dell’articolo 1 del codice sportivo, per cui è stata condannata la Juventus. Io continuo a pensare che queste telefonate, quelle di Moggi e di Facchetti e di Moratti, fossero violazioni dell’articolo 1, l’articolo sulla lealtà sportiva, non illeciti sportivi (qualche dubbio, invece, su una particolare telefonata di Facchetti e su quasi tutte quelle del milanista Meani).
Ma la Juve è stata retrocessa, perché sono state considerate illeciti sportivi, con un’interpretazione giurisprudenziale alquanto fantasiosa. Ora delle due l’una: o restituite alla Juventus scudetti, onore e gli chiedete anche scusa, ringraziando che gli addormentati di Torino non facciano richiesta danni oppure mandate in B anche gli indossatori di scudetti altrui dopo avergli tolto lo scudetto falso (vinto in segreteria, come dice Mourinho) e quei tre o quattro vinti nei campionati aziendali falsificati dall’eliminazione dei concorrenti.




Ps: non erano "irrilevanti" le intercettazioni, cara "Gazzetta dello sport"

lunedì 12 aprile 2010

Il giorno della verità

Finalmente ci siamo. Per l’occasione ho deciso di inserire un articolo stupendo scritto da Emilio Cambiaghi, che già da qualche giorno sta girando in rete.
Domani parteciperò attivamente anche allo spazio commenti, non limitandomi a rispondere a chi scriverà prima del sottoscritto. Nella speranza che da Napoli giungano le notizie che tutti attendiamo.


Ora basta. Chi scrive ha sempre cercato di argomentare ogni più piccola questione, ogni minima sfaccettatura riguardo a quanto accaduto dal 2006 ad oggi. Ma adesso è arrivata l’ora di posare i calamai e di dare battaglia. Una battaglia di consapevolezza, cui faccia seguito una ferrea presa di posizione. Le nuove intercettazioni che stanno nuovamente scuotendo il mondo del calcio hanno aperto una voragine nelle coscienze di coloro che hanno voluto far passare una vergognosa menzogna per indiscutibile verità. Le penne reazionarie si sono già mosse per dare una nuova inquadratura alla situazione e stanno cercando di far passare l'idea della revoca dello scudetto all'Inter come eventualità sufficiente per rimettere tutto a posto. Continuano a dire che esisteva un Sistema Moggi, che “quello che ha fatto la Juve è sotto gli occhi di tutti”, che “ci sono stati fatti gravissimi che hanno portato ad una giusta condanna”. No, le cose non stanno così e non accettiamo nemmeno la logica del tutti innocenti o tutti colpevoli.
I colpevoli ci sono, ma sono altri.

Non esiste nessuna intercettazione di Luciano Moggi con un arbitro, non esiste nessuna richiesta di favori da parte di questi a chicchessia, non esiste – e fatevene una ragione – nulla di nulla. Luciano Moggi è stato intercettato, pedinato, umiliato e fatto a pezzi in ogni modo possibile e la prova massima della sua colpevolezza è risultata essere una discussione sulle griglie con il designatore Bergamo. Consuetudine che, apprendiamo ora, era ben gradita a tutti e praticata da certuni con una malizia sconosciuta persino a chi è stato per anni additato come causa suprema di ogni male del pallone.
E non vi era neanche un sistema diffuso, il cosiddetto illecito strutturato. No signori, anche questa è una favola, un raccontino della buonanotte. E a svegliare i sognatori non siamo stati noi, partigiani dell’opinione, ma i testimoni del processo penale che si sta svolgendo a Napoli.
Come può essere credibile un’indagine indirizzata a senso unico, condotta con fretta e superficialità, incentrata sui riassunti della Gazzetta dello Sport, con inquirenti che non si sono neppure degnati di guardare le partite, di verificare se le loro accuse potevano essere dimostrate, che non hanno voluto investigare (“L’Inter non ci interessa” cfr. deposizione di Rosario Coppola), che hanno sbandierato ai quattro venti che “piaccia o non piaccia” non esistevano altre telefonate all’infuori di quelle dei dirigenti già sotto accusa?
Niente di tutto questo può essere credibile.

E smettiamola con le solite accuse, più volte smentite, persino dalle stesse sentenze sportive.
Le ammonizioni pilotate non esistono, è una fantasia costruita nella testa di Leonardo Meani nei suoi colloqui telefonici con i guardalinee Copelli e Puglisi, e immediatamente presa per buona: nell’anno oggetto di indagine la Juventus ne ha totalizzate 17, a livello delle altre grandi (le stesse dell’Inter), e ben sotto il primo posto dell’Atalanta. Dieci di queste sono, per giunta, arrivate da arbitri considerati estranei alla cosiddetta Cupola. In un’intercettazione il giornalista Tony Damascelli informa Luciano Moggi delle sanzioni comminate a Nastase, Petruzzi e Gamberini (quest’ultimo nemmeno in diffida) in Fiorentina-Bologna, ma Moggi, stupito, dimostra di non conoscere nemmeno chi fossero i diffidati della gara in questione. Mai, da nessuna parte, si sente o si legge Luciano Moggi chiedere esplicitamente di comminare sanzioni fraudolente. Ed è una leggenda anche la telefonata, imputata a Giraudo, nella quale si ascolta “Se l’arbitro è sveglio ci dimezza l’Udinese”. La conversazione infatti è successiva di un’ora all’incontro Udinese-Brescia dove fu, in maniera assolutamente corretta, espulso il friulano Jankulovski.
E chiariamolo una volta per tutte, i sorteggi erano regolari. Ogni sorteggio si svolgeva in presenza di un notaio e l’estrazione della pallina con il nome dell’arbitro era affidata ad un giornalista ogni volta diverso, che estraeva dopo che Pairetto aveva aperto la pallina contenente la partita da assegnare.
Questa circostanza è stata più volte spiegata, persino dall’Unione Stampa Sportiva (comunicato del 15 maggio 2006) e dalle sentenze sportive, che non prendono in considerazione questo ridicolo capo d’accusa per motivare la condanna. Persino Mazzei, in una delle nuove telefonate, cerca di convincere Facchetti che non c’è nulla da fare, anche se si vuole - come l’ex presidente interista desidererebbe - manipolarlo.
Moggi conosceva prima i nomi degli arbitri e dei guardalinee? Bugia. Bugia enorme. Veniva avvisato solo dopo l’avvenuta designazione, anche se in anticipo rispetto alle comunicazioni ufficiali agli organi di stampa. Ma c’era chi veniva a conoscenza delle stesse ben prima del DG juventino. Leonardo Meani, ad esempio, come dimostrano gli sms portati dalla difesa al processo di Napoli. E lo stesso Facchetti, che veniva informato, addirittura un giorno prima, su chi fossero i guardalinee di Inter-Juventus. Non di una partita qualsiasi…
E finiamola con la storia di Paparesta chiuso nello spogliatoio. La vicenda è stata innumerevoli volte chiarita dall’arbitro stesso e archiviata dalla Procura di Reggio Calabria.
Moggi poteva decidere le sorti degli arbitri? Altra gigantesca menzogna.
Moggi minaccia di far sospendere Paparesta che, invece, arbitra regolarmente già dalla giornata successiva. Anzi, è vero il contrario. Questo dichiara Pairetto di fronte al giudice Casoria: “Chi ha danneggiato la Juve e' tornato subito ad arbitrare, chi l'ha favorita viene sospeso per due mesi e mezzo”. Come nel caso di Racalbuto, dopo Roma-Juventus.
Moggi controllava De Santis?
Ridicolo. Nell’anno indagato è l’arbitro con cui la Juve ha ottenuto la media punti più bassa (1,4). Così il compianto Giorgio Tosatti in una telefonata Moggi del 20 aprile 2005: “Ormai gli arbitri ti pisciano addosso a te. Ieri l’ho detto, ho detto ieri in Federazione: avete fatto apposta a mandare De Santis perché vada in culo alla Juve”. E Moggi risponde: “Con quest’anno, tra Palermo, Parma e questa qui, ci costa tranquillamente sei punti. Ci ha creato mille problemi in questo campionato. Se noi perdiamo il campionato uno degli artefici è lui perché c’ha dato troppo contro”. Recentemente è stato poi dimostrato con chi in realtà intrattenesse rapporti amichevoli l’arbitro romano, con Giacinto Facchetti.
E prima che qualcuno obietti, parliamo subito delle schede, delle famosissime schede svizzere.
Lo sanno i signori che commentano il pallone che, in un processo penale, la prova si costituisce in dibattimento?
Questa, quindi, è una prova ancora tutta da dimostrare. Nella realtà, fino ad ora, sono emersi solo elementi ampiamente favorevoli alla difesa. La scheda a Paparesta è un falso, era di suo padre. Quelle di Cassarà e Gabriele (che mai avevano arbitrato la Juventus nelle stagioni 2004/05 e 2005/06), false pure quelle: assolti dalla giustizia ordinaria il 18 gennaio 2010. Gli schemini con le ricostruzioni delle chiamate effettuate sono stati definiti dal Maresciallo Di Laroni, che svolse queste indagini, “presumibili”, senza contare innumerevoli errori nell’assegnazione delle celle, con arbitri da tutt’altra parte al momento delle chiamate loro imputate.
A farsi benedire anche la scheda ritenuta essere in possesso di De Santis, come lo stesso arbitro dimostrerà al processo: “Mi viene attribuita una scheda svizzera tra il 7 gennaio e il 28 marzo ma essendo io uno degli organizzatori della cupola, mi sembra strano che potessi averla solo in quel periodo. Io non l’ho mai posseduta né usata, in quel periodo stavo facendo un corso come vicecommissario di polizia penitenziaria, lo frequentavo tutti i giorni e ho portato le prove. In molti degli orari in cui mi viene attribuito l'uso della scheda svizzera ero a scuola a frequentare il corso”.
E che dire del fatto che la Juventus, con i cosiddetti arbitri “svizzeri” avesse una media punti inferiore a quella di Milan (2,08 a fronte di una media campionato di 2,07) e di Inter (1,9 su media totale di 1,89). La Juventus infatti totalizzò una media di 1,88 punti, a fronte di una media complessiva ben superiore: 2,26!!!

Allora dove sarebbe questa famigerata Cupola? Da quali elementi si può desumere che Luciano Moggi e Antonio Giraudo - lasciati soli a se stessi, senza nessuna stampa e televisione amica e senza il supporto della proprietà - controllassero le sorti del campionato italiano? Una tale ricostruzione della realtà può esistere solo nelle menti di chi voleva colpire un unico bersaglio e nelle parole di chi questa teoria ha sostenuto ed alimentato.
Perché, ad esempio, non è mai stata posta attenzione sui comportamenti delle squadre milanesi? Infatti non sono in nessun modo paragonabili i comportamenti dei dirigenti di Inter e Milan con quelli addebitati a Luciano Moggi. Certo, ma in peggio. Proviamo a fare chiarezza.

Non esistono intercettazioni tra Luciano Moggi e gli arbitri. Ci sono invece fatti incontestabili riguardo i rapporti intrattenuti da alcuni di questi con le squadre meneghine. Sono stati dimostrati gli stretti rapporti tra Giacinto Facchetti e l’arbitro Nucini, fischietto all’epoca in attività e oggi misteriosamente scomparso dai salotti televisivi che era solito frequentare. Sono stati dimostrati i rapporti dell’ex presidente nerazzurro con Massimo De Santis, proprio lui, l’arbitro sbeffeggiato e calunniato da tutti come asservito al potere moggiano. Con il fischietto di Tivoli Facchetti parla di Walter Gagg, il funzionario FIFA, già accusato di aver svolto compiti “in nome e in funzione dell’Inter”.
Laddove Luciano Moggi confrontava griglie arbitrali, Giacinto Facchetti cerca direttamente di bypassarle, alterando il sorteggio prima di Inter-Juventus del 28 novembre 2004:

Facchetti: «No, lì non devono fare i sorteggi, ci devono...».
Mazzei: «Come si fa, Giacinto, purtroppo ci vuole fortuna».
Facchetti: «Ma dai...».
Mazzei: «Ti dico la verità, qui un sorteggio lo fa un giornalista, devono studiare una griglia e le possibilità sono più alte»

Questo Luciano Moggi non l’ha MAI fatto.
Luciano Moggi non conosceva le designazioni un giorno prima delle partite, Moggi non falsificava passaporti (cfr. Oriali condannato dalla giustizia ordinaria) con il fine di rendere disponibile un calciatore che, altrimenti, non avrebbe potuto essere schierato. Così si falsano realmente i campionati.
Moggi non incontrava gli arbitri prima delle partite (cfr. Moratti che va a salutare Bertini prima di Inter-Sampdoria) e nemmeno durante l’intervallo (cfr. squalifica di Facchetti dopo Chievo-Inter del 2002/03).
Mai, nessun dirigente della Juventus F.C. si è permesso di far pedinare e intercettare illegalmente un suo calciatore e, men che meno, dirigenti di altre squadre, arbitri o esponenti della Federcalcio. Mai la Juventus, con un'azienda nell’orbita della sua proprietà, ha sponsorizzato il campionato italiano e la Coppa Italia (cfr. sponsor TIM su entrambe le competizioni).
Questa è la realtà dei fatti.

E il Milan? Sono loro che parlano con quasi tutti gli arbitri e i guardalinee! Sono loro che hanno il potere. Un proprietario Presidente del Consiglio e un Presidente che, all’epoca dei fatti, era a capo della Lega Calcio e gran cerimoniere dei diritti televisivi. Tre televisioni nazionali al servizio della loro verità, tre televisioni con le quali dire, non dire, omettere, stravolgere. Giornali, radio, siti internet e una valanga di opinionisti al servizio della loro versione dei fatti.
Ma tanto era la Juve che tramava a palazzo. Allora mi spieghino queste intercettazioni (già comprese nelle informative, ma mai considerate…):

Mazzini a Moggi, riguardo le prossime elezioni in Lega: “Con Cellino, mi dice Galliani, non ci sono problemi perché lo fa votare Berlusconi”.

Ghirelli a Mazzini, sempre a proposito di elezioni: “Galliani deve muoversi tramite Berlusconi” per “influenzare AN e compagnia”.

Mazzini a Moggi: “Comunque stamani io ho chiamato Galliani, gli ho detto: senti, stammi bene a sentire, dico, guarda, muovi anche i tuoi padrini politici, perché, che Zamparini è di AN e che voti per Abete è veramente una cosa che non… non esiste al mondo”.

Bergamo a Mazzini: “Gigi (Pairetto, ndr) risponde alla Sampdoria, al Milan, all’Inter, al Verona, al Vicenza, al Palermo, a tutti quelli dove ci sono grandi magazzini e lui ha bisogno di lavorare”.

Come mai avrebbero potuto due solitari dirigenti avversari mettere nel sacco un impero tanto grande? Infatti non poterono, perché tutto esiste solo nella mente di un personaggio con la strana e peculiare carica di “addetto agli arbitri”. Quel Leonardo Meani, credibile quando dice di difendersi dalla Juve, semplice co.co.co da rinnegare quando intrattiene rapporti di ogni tipo con la quasi totalità della classe arbitrale.

Non ci credete? Cominciamo da Collina, per il quale venivano organizzati incontri per conto di Galliani, nel ristorante di proprietà di Meani. Per di più nel giorno di chiusura, “così non ci vede nessuno”. Meani che gli augura di essere presto designatore, così “non ti chiamo più”, che gli rammenta quando lo aiutava nelle scelte “mi ricordo di quando avevamo posto il veto a Pisacreta” e che chiamava “il capo, il grande capo” per relazionare di questa sua bellissima amicizia con l’arbitro viareggino.
No, queste cose Moggi non le faceva.

E che dire del guardalinee Puglisi, definito da Babini, altro guardalinee “Puglia, l’ultrà del Milan”. Prima del derby di Champions, Puglisi chiama l’amicone: “L’importante è che noi riusciamo a fargli il culo a ‘sti interisti”. Qualche giorno dopo Meani lo rincuora sul suo futuro: “Secondo te, perché so? Perché io sto spingendo da matti per te, no!”. Lo stesso Puglisi che chiede a Meani se farà Milan-Chievo e questi che gli risponde che era stato già scelto per Parma-Sampdoria, ma che farà cambiare designazione. Come in effetti accade. E si cautela pure, ridacchiando: “Tu comunque vedi di star zitto su questo cose che ti dico, eh?”. Per finire gli racconta come ha istruito Babini per Milan-Chievo: “Mercoledì da intelligente come vogliono quelli lì, nel dubbio da una parte vai su e dall’altra stai giù. Poi se le cose eclatanti che vedono tutti, nessuno dice niente eh!”.
E per lui spingeva anche con Galliani : “Puglisi però bisogna far tutto per metterlo in A e in B, eh?”. D’altra parte il Presidente aveva già capito tutto: “Ho saputo che lei ha già parlato con Puglisi”.

Ma avete mai sentito Moggi dire roba del genere?

Si era persino stupito l’arbitro Messina, che al telefono con il ristoratore lodigiano, chiede: “Oh, ma li hai designati te i guardalinee (Milan-Chievo, ndr) o loro?”

E Copelli? Prima di Milan-Sampdoria viene tranquillizzato: “Hai visto che sto rilanciando e son troppo… sto rilanciando anche Messina”. Copelli è colui che il 13 maggio 2006, davanti a Borrelli, dichiara: “Se un assistente avesse voluto arbitrare un incontro del Milan non si doveva rivolgere ai designatori, ma a Meani”. Già, infatti, tante volte Meani glielo aveva detto direttamente: “Stai tranquillo, adesso ci penso io. Parlo con Galliani, lui lo sa Galliani, gli dico: senta, questo qui è un nostro uomo gli dico io”.

E poi le confidenze a Contini, altro guardalinee: “Io e te siamo amici, qualcosina in più me la puoi dare oh… ma va bene… il giocatore tu lo richiami invece di ammonirlo, cioè sono queste cose qui, eh…”.

Babini addirittura si spaventa. Dopo aver saputo che Meani aveva scelto i guardalinee di Milan-Chievo, lo chiama per dirgli: “Bisognerebbe rifiutarla quella partita lì, con questa designazione confermano che è tutta una porcheria [...] Ti ho detto che facciamo ridere tutta Italia con questa designazione”.

Indimenticabile la promessa a Rodomonti: “T’ho fatto anche prendere sette e mezzo da Cecere […] Comunque, guarda che mi ha telefonato il mio presidente che ti dà l’indirizzo e ti manda a fare anche a te il trapianto dei capelli in Svizzera”.

E come dimenticarsi di Meani che chiede a Mazzei di mandare Ambrosino, che dice a Pasquale D’Addato (osservatore AIA di Bologna) di stare sereno per il suo avanzamento di carriera perché ne parlerà a Lanese: “Noi avremmo piacere che questo D’Addato possa fare il presidente regionale. Gli dico: il dottor Galliani vorrebbe fargli fare il presidente”.

Si potrebbe andare avanti per molte pagine, ma ci fermiamo qui, non senza ricordare l’ormai famoso avvertimento a Bergamo in vista della decisiva Milan-Juventus (partita prima della quale Meani regalò orologi alla terna arbitrale… “però a Trefoloni gli fai un bel discorsetto, perché sennò gli tagliamo la testa noi”) e gli amorosi sforzi di Galliani che si muove perché un dossier dell’arbitro Paparesta sulla sua attività lavorativa all’AssoBioDiesel arrivi nelle mani del sottosegretario Gianni Letta.

Allora smettiamola, una volta per tutte, di raccontarci favole. I poteri erano altri, ed erano molto forti. Ma è finalmente arrivato il momento di prenderne coscienza, tutti quanti. E’ inaccettabile che vogliano ancora ingannarci su quanto è successo. E’ inaccettabile che ci propongano soluzioni di comodo. Noi vogliamo giustizia, e che sia giustizia integrale. A partire dalla restituzione dei due scudetti ingiustamente sottratti, fino alla certezza di una dura pena a chi, veramente, operava con modalità assai poco cristalline. La nostra battaglia, ora, è questa.

domenica 11 aprile 2010

Un grande Chiellini nella giornata del "sorpasso"...

Il solito grandissimo Chiellini...



... nella giornata del sorpasso romanista sull'Inter...



IMPORTANTE!!!


L’Associazione Giùlemanidallajuve comunica di aver conferito mandato ad un pool di avvocati e commercialisti - di comprovata fede Juventina - al fine di realizzare un dossier inerente le errate scelte societarie dall’estate 2006 ad oggi.

Una errata gestione legale sui fatti di calciopoli, con conseguente danno economico patito dagli azionisti di minoranza - costretti in seguito sulla base di incerte informazioni societarie a sostenere un oneroso aumento di capitale - ed una incapacità gestionale che ha portato una squadra un tempo ai vertici mondiali a recitare la parte di comprimaria, sono la più chiara rappresentazione di un fallimento. Oggi il titolo Juventus ha un valore costantemente al disotto dello stesso aumento di capitale e la società Juventus capitalizza in borsa meno del suo fatturato annuo.
Il pool di esperti da oggi al lavoro ha ricevuto mandato di adire l’autorità giudiziaria competente, per avviare azione di responsabilità nei confronti degli attuali amministratori della Juventus Fc Spa, appena riterrà di aver compiutamente ottenuto tutto il materiale necessario a dimostrare il colpevole depauperamento societario ed azionario.
Azione di responsabilità

E, per finire... un'altra intercettazione...

La storia, a volte, può essere riscritta...

"Azzanniamoli". L’ordine di Claudio Ranieri alla sua Roma era partito già da ieri. Il pareggio di Firenze con i viola, prima tappa di un percorso che le porterà a rivedersi martedì per il ritorno delle semifinali di Coppa Italia, ha fermato l’Inter al palo (quello di Milito): pareggio e possibilità per i giallorossi di scavalcarli in campionato.
Se il Milan, al momento, non può essere considerato pericoloso più di un possibile "meno 1" (nel caso in cui vincesse nell’incontro casalingo con il Catania), per i nerazzurri il vero pericolo si chiama Roma.
Con il suo entusiasmo, con la forza di chi potrebbe scrivere una nuova clamorosa pagina nella storia dei campionati di serie A: quella di una rimonta considerata, sino ad oggi, solo un’eventualità remota.
Il calendario dà la possibilità ai giallorossi di giocare quattro delle ultime sei gare in casa (alla prossima ci sarà il derby con la Lazio); per i nerazzurri saranno tre, in un contesto di avversari abbordabili. L’unica "scheggia impazzita" potrebbe essere proprio la Juventus…

"Io sono molto esigente con me stesso e ho bisogno di vincere per avere sicurezza delle cose. Per questo ho vinto tanti trofei nella mia carriera. Lui ha, invece, la mentalità di uno che non ha bisogno di vincere e a quasi settanta anni ha vinto una Supercoppa e un'altra piccola Coppa. E' troppo vecchio per cambiare mentalità".
Questa era la risposta piccata (una delle prime, diventate poi numerose) che Mourinho recapitò all’allora tecnico bianconero Claudio Ranieri in merito ad una "punzecchiatura" nei suoi confronti nell’agosto del 2008.
Ora i toni sono bassi: l’Inter si trova a dover affrontare il momento più delicato da quando è iniziata la nuova era del calcio "pulito", del dopo-Calciopoli, del dopo-Moggi, del "bastava usare il cellulare per vincere", del "tanto se si è forti si può e si deve vincere anche senza trucchi".
Perchè la storia raccontata con gli occhi di chi non voleva che gli altri vedessero era questa.
Prima del processo di Napoli. E dell’uscita delle nuove (vecchie, ma mai usate) intercettazioni.
L’Inter ha raggiunto le semifinali di Champions League: ma ora c’è il Barcellona. La finale di Coppa Italia va ancora conquistata (e poi giocata, presumibilmente - ancora - contro la Roma). Il destino del campionato deve ancora essere deciso, quando invece pareva cosa fatta sino a poco tempo fa.
Allargando il concetto: anche la storia di qualche scudetto passato potrebbe essere riscritta…

La "vecchia" Juventus che torna in prima pagina: con Ranieri, appunto, allontanato con forza e considerato uno degli anelli deboli di una società che adesso non sembra più essere in grado di vincere (ma neanche di competere ad alti livelli); con Luciano Moggi, l’ultimo artefice (con Giraudo e Bettega) di una squadra che gli scudetti, a Torino, sapeva come farli arrivare. Prima che passassero di mano ad altri e diventassero asterischi.

La "nuova" Juventus giocherà oggi all’Olimpico, in un clima teso e con una contestazione già confezionata da giorni: "contro chi cerca di umiliare 113 anni di storia; contro una proprietà e una dirigenza incapace; contro alcuni calciatori indegni". Un suggerimento a chi potrà far sentire con forza la propria voce: ci si limiti alla proprietà. Il resto, verrà da sé.

Juventus-Cagliari è alle porte, nella speranza arrivi una vittoria: con il Napoli che si ferma (sconfitta interna con il Parma) e la possibilità che la Sampdoria nel derby genovese rallenti, il solo Palermo (in casa con il Chievo) sembra avere l’incontro più abbordabile. Ma se i bianconeri continueranno a non vincere, tutte queste rimarranno solo parole senza "sostanza". Restano sei partite, da qui alla fine del campionato, da giocare come fossero sei finali di Champions League. Come se si trattassero di sei "5 maggio". O di sei "13 aprile".
Recuperati quasi tutti gli infortunati (esclusi Diego, Caceres e Chimenti), con il solo Sissoko squalificato, la partita odierna distoglierà, per qualche momento, i tifosi bianconeri dall’attenzione per quanto sta accadendo al di fuori del rettangolo di gioco.
Che avrà una tappa importantissima (se non fondamentale) martedì prossimo. Prima che Inter e Juventus si incontrino nuovamente sul campo (venerdì), al netto dei tifosi della Vecchia Signora. L’Osservatorio del Viminale ha deciso così: a Milano non possono andare i sostenitori bianconeri. Pur mantenendo intatta la tradizione di autorizzare quelli nerazzurri a recarsi Torino quando gli incontri si disputano all’Olimpico…

Questa è la storia degli ultimi anni.
Ma la storia, a volte, può essere riscritta…


Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 10 aprile 2010

Enrique Omar Sivori: uno juventino vero


Ci sono scrittori che raccontano, nero su bianco, la storia del calcio. Ci sono calciatori che indossano una maglietta bianconera e la storia la fanno, partita dopo partita, "sul campo". E se la storia è fatta di vittorie, azioni, movimenti o gesti rimasti nel ricordo generale, allora diventa leggenda. A volte ad alcune leggende si danno nomi e cognomi. E’ il caso di Enrique Omar Sivori.

L’unica maniera di far divertire quei sessanta, settanta, ottantamila spettatori che vanno a vedere le partite di calcio, è se uno si diverte. Perché se non si diverte uno, difficilmente riesce a far divertire gli spettatori…

All’inizio era un trio tutto argentino: Sivori, Angelillo, Maschio, gli "angeli dalla faccia sporca". In Sud America spopolavano. Poi, fu la volta di Sivori-Charles-Boniperti. Sbarcò in Italia nel lontano 1957, con Umberto Agnelli che lo aspettava a braccia aperte (fu strappato alla concorrenza dell’Inter). Da allora divenne "un vizio" dell’Avvocato Agnelli, una gioia per i tifosi bianconeri, un mito per i ragazzini che camminavano con i calzettoni abbassati alle caviglie. Proprio come faceva Omar: senza armatura, pronto alla sfida dei difensori avversari. Gli stinchi esposti alla luce del sole, carne da "macellai": se qualcuno lo provava a sfidare, lui rispondeva da par suo. Non era tipo che si intimidisse: a chi lo provocava, lui rispondeva in anticipo sulle intenzioni. Capitò a Grani, difensore del Catania: voleva spezzargli la gamba, gliel’aveva promesso. Senza batter ciglio, in tutta risposta, si vide recapitare un consiglio: "fai alla svelta, altrimenti lo faccio io con te". E così avvenne...

Boniperti, in cabina di regia, la mente; il gigante buono Charles la torre che (s)muoveva le pedine avversarie; Sivori l’addetto allo "scacco matto". 167 reti su 253 partite giocate in maglia bianconera. Il piede destro usato per avvicinarsi agli avversari, quello sinistro per superarli: a volte di slancio, a volte irridendoli. Il dribbling come apriscatole delle difese avversarie, il tunnel come puro divertimento. Suo, e del pubblico che lo ammirava e di cui si "cibava" per mettere in pratica quei numeri.
Sembrava piccolo e indifeso, diventava "carogna" nel momento giusto per fregare chi pensava di averlo fermato. Bastava guardarlo negli occhi per intuirne le volontà.

Le raccomandazioni sulla giusta posizione da tenere in campo fastidiose come una mosca da scacciare con il gesto di una mano: per lui esisteva solo il divertimento. E quello era roba sua. Tra i soprannomi a lui attribuiti, il più ricordato e citato è "El Cabezón" (il capoccione, per la folta capigliatura).
Anticonformista in campo e fuori: le regole erano le sue, gli altri dovevano accettarle. Non sempre andava così: 33 espulsioni subite in carriera costituiscono, ancora oggi, una fedina penale difficilmente eguagliabile.
Tre scudetti e tre coppe Italia sotto la Mole. Dopo l’ultimo tricolore, quello del 1961, e l’inizio dei cicli vincenti delle squadre milanesi, la Juventus si convinse a cambiare registro: Sivori vide l’arrivo sulla panchina bianconera di Heriberto Herrera come l’instaurazione di un regime, quello dell’ordine e della disciplina tattico-atletica, per lui inaccettabile. Emigrò a Napoli, dove - in compagnia di Josè Altafini - continuò a divertire e a divertirsi.
Aveva lasciato qualcosa, a Torino: il cuore. Bianconero.

Era stato naturalizzato italiano, e questo gli permise sia di vestire la maglia azzurra della nazionale (che indossò per nove volte segnando otto goals) che di vincere il Pallono d’Oro nel 1961 (l’anno successivo l’accoppiata scudetto-coppa Italia in bianconero), in un’epoca in cui lo si poteva assegnare soltanto ai giocatori europei. Una breve esperienza da commissario tecnico della nazionale Argentina rappresentò l’ultimo contatto diretto con il rettangolo di gioco.

Chi scrive è nato qualche anno dopo l’addio al calcio di Sivori. Cresciuto a pane e Juventus, il nome "Omar" era legato ad uno dei più grandi giocatori della storia di questo sport, amante della Vecchia Signora e da lei ricambiato. Immagini e racconti ne hanno condito la leggenda, quella gustata in diretta da chi ha avuto la fortuna di vederlo tirare giù i calzettoni prima di entrare in campo.
Enorme fu la delusione nel sentire i giudizi severi contro la Juventus nei primi anni ’90, quando Sivori si cimentò come opinionista televisivo severo e senza peli sulla lingua. Considerato alla stregua di un Boniek qualunque, il suo mito venne ridimensionato.
Dopo qualche anno capii che si trattava di un altro gesto d’amore verso la Juventus: quella che avrebbe voluto vedere sempre vincere pur non potendola più aiutare con i suoi dribbling, i suoi tunnel, i suoi goals.
Fui preso dai sensi di colpa peggiori per un tifoso: quello di non aver capito il senso delle sue parole.
Tramite articoli ed un video, a lui dedicato, provai a cercare la via del perdono. Nella speranza, prima o poi, di riuscire nell’intento.

Oggi Sivori è l’osservatore della Juventus in Sud America. E proprio "La Juventus" è il nome della sua fazenda. E lì, dall’altra parte dell’oceano, a duecento chilometri da Buenos Aires, in mezzo a tori, mucche e cavalli, ha raccolto i trofei della sua squadra prediletta. E degli anni più belli della sua vita…

Onore a te, Cabezón. Juventino vero.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

Di seguito, il mio video su Omar Sivori.
Il figlio Nestor, lo scorso novembre, entrò in contatto con me tramite lo spazio dei commenti del vecchio blog per ringraziarmi di persona per averlo montato