sabato 7 marzo 2015

Duncan Edwards e i Busby Babes





Il giorno dopo la sua morte, avvenuta il 21 febbraio del 1958, il 'Daily Mirror' gli aveva dedicato un articolo titolato “Un ragazzo che giocava come un uomo”. Nel tracciarne il profilo Robert 'Bobby' Charlton ha ripetuto più volte che 'è stato l'unico giocatore che mi abbia fatto sentire inferiore'. Jimmy Murphy, il coach del settore giovanile del Manchester United nonché vice dell'allenatore Matt Busby, anni dopo la sua scomparsa lo aveva ricordato usando queste parole: 'Quando sentivo Mohammed Alì dire al mondo che lui era il più grande di tutti mi veniva da sorridere. Vedete, il più grande di tutti fu un calciatore inglese chiamato Duncan Edwards'.

In un pomeriggio di inizio febbraio del 1958 l'aereo che avrebbe dovuto riportare i Diavoli Rossi di Manchester in Inghilterra, al termine di una gara europea disputata a Belgrado contro la Stella Rossa, prese fuoco a Monaco di Baviera. Il velivolo si era fermato in Germania per effettuare un rifornimento. Le difficili condizione metereologiche avevano impedito il nuovo decollo del mezzo per ben due volte. Alla terza era riuscito finalmente a spiccare il volo, per poi perdere subito quota e andare a schiantarsi poco distante la pista.

Perirono sul colpo ventidue persone, sette delle quali erano giocatori del Manchester United. Duncan Edwards, la stella più luminosa della squadra, era riuscito a sopravvivere anche se le sue condizioni apparvero subito gravi. In un raro momento di lucidità aveva domandato ai medici quante possibilità avesse di prendere parte alla successiva partita di campionato della compagine inglese. Il 21 febbraio del 1958 la sua breve, intensa vita si concluse definitivamente. 

Matt Busby, il manager scozzese che era riuscito a risollevare dalle ceneri il club e trasformarlo in una società vincente, perse in questo modo un gruppo di giovanissimi calciatori che considerava suoi figli. Tra questi Edwards era sicuramente l'elemento di maggior spicco, destinato ad un futuro calcistico di primissimo livello. Un giorno, mentre ne stava descrivendo le qualità in presenza di alcuni cronisti, Busby disse: “Eravamo soliti osservare i ragazzi allenarsi, per trovare qualche punto debole su cui potessero concentrarsi di più. Guardammo Edwards e ci arrendemmo nel trovare pecche nel suo gioco“.

Regista difensivo, prototipo antenato dei futuri 'calciatori totali', tuttocampista... Edwards era un condensato di classe e sostanza, fumo e arrosto, a seconda delle circostanze e delle esigenze sapeva usare tanto la sciabola quanto il fioretto. A soli ventuno anni si era piazzato terzo nella speciale graduatoria del pallone d'Oro stilata da France Football, proprio nel momento in cui il Manchester United iniziava ad assumere un ruolo di primo piano anche in Europa dopo aver vinto tre campionati in patria in soli cinque anni (1952, 1956, 1957).

Così come la tragedia di Superga del lontano 1949 ha segnato la vita del Torino, che sino ad oggi non è stato più 'grande' come in passato, quanto successe nel 1958 a Monaco di Baviera rischiò di fare altrettanto con quella del Manchester United. In realtà bastarono esattamente dieci anni per rivedere gli inglesi protagonisti in Europa. Nel 1968 fu lo stesso Matt Busby a condurre i Diavoli Rossi alla vittoria della loro prima coppa dei Campioni. Mattatore assoluto della finalissima fu Bobby Charlton, autore di una doppietta esattamente come era accaduto a Belgrado nella partita che aveva preceduto il disastro aereo.

Una coincidenza, esattamente come quella capitata il 26 maggio del 1999 allorquando il Manchester United riuscì a vincere nuovamente il massimo trofeo continentale superando il Bayern Monaco grazie ad una rimonta straordinaria che si era concretizzata negli ultimi minuti di gioco. Proprio quel giorno, infatti, Matt Busby avrebbe dovuto compiere novant'anni. Si era spento il 20 gennaio del 1994, raggiungendo così i suoi ragazzi in cielo per assistere in loro compagnia al successo dell'amato club contro la fortissima squadra tedesca.

Una squadra di Monaco di Baviera. Una coincidenza. Un'altra ancora...

Articolo pubblicato su Lettera43

martedì 28 ottobre 2014

Juve e Roma, continua il dualismo in serie A

 



Unite dalle difficoltà incontrate in campo europeo, Juventus e Roma si sono momentaneamente allontanate in classifica nel campionato di serie A. E' ancora troppo presto per parlare di fuga bianconera, mentre a questo punto della stagione sembra francamente inutile discutere di una possibile crisi giallorossa. I risultati dell'ultima giornata di Champions League pesano come macigni sull'umore dei rispettivi ambienti, ed evidenziano ulteriormente – ammesso e non concesso che qualcuno ancora non se ne fosse accorto – la differente caratura tra il calcio nostrano e quello di paesi come Inghilterra, Germania e Spagna.

In Europa, quindi, siamo alle solite: il pareggio esterno ottenuto contro il Manchester City aveva illuso chi credeva in una Roma alla quale l'Italia sembrava addirittura stare stretta; la Juventus di Allegri – per ora – sta attraversando le stesse difficoltà vissute nel recente passato, quando sulla panchina bianconera sedeva Antonio Conte. Il campo, giudice supremo e indiscutibile, ha bocciato le rivali rimandandole ad occuparsi delle loro piccole faccende quotidiane.

In attesa di tempi migliori Juventus e Roma hanno ripreso a battagliare in Italia, dove Madama – a differenza della Roma, fermata a Genova - è riuscita a regolare il Palermo grazie alla quinta vittoria consecutiva negli ultimi scontri avvenuti in campionato con i rosanero.

Genova, ancora lei (questa volta sponda rossoblù), potrebbe rappresentare il crocevia della prima parte del torneo. Se gli uomini di Gian Piero Gasperini riusciranno a fermare la Vecchia Signora è altamente probabile che Totti e compagni le torneranno alle calcagna. Viene difficile, infatti, pensare che il Cesena (un punto soltanto in quattro trasferte) possa impedire alla Roma di conquistare altri tre punti davanti al proprio pubblico.

Il prossimo turno infrasettimanale sembra meno favorevole a Madama, comunque fortunata - sino ad ogggi - negli scontri diretti con Gasperini: undici gare, tra serie A e B, nelle quali ha raccolto ben otto vittorie, due pareggi ed una sola sconfitta (l'ultima, peraltro, patita per mano del Genoa), datata 11 aprile 2009.

Numeri e statistiche che rendono più interessante la giornata che sta per cominciare. A riportare i piedi per terra e a ricordare al mondo intero la povertà di contenuti del nostro campionato hanno pensato le inutili e, francamente, infantili polemiche divampate proprio in questi giorni tra i maggiori esponenti del movimento calcistico. Al di là dei fatturati, degli stadi vecchi e deserti e via discorrendo, questo è in assoluto il vero male del football italiano. Il pesce, come recita un vecchio detto, puzza sempre dalla testa. 

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giovedì 9 ottobre 2014

Oronzo Pugliese, il mago di Turi


Claudio Olindo De Carvalho, in arte Nené, una volta raccontò un curioso aneddoto che gli era capitato durante una partita del campionato di serie A: 'Un giorno, a Roma, scatto sulla fascia e vado via veloce. Il loro allenatore, Oronzo Pugliese, si mette a correre al mio fianco, lungo la linea, urlando: 'A me, passala a me...'. La scena è molto divertente, la gente dell'Olimpico applaude, è stato bellissimo. Ma io non mi sono fatto incantare: ho passato il pallone a Riva e lui ha fatto un gran goal. Come sempre'.

Quel tecnico istrionico era da tempo conosciuto come il 'mago di Turi'. In contrapposizione con un altro mago del mondo del calcio nostrano, il ben più celebre Helenio Herrera, che lo stesso Pugliese era riuscito a sconfiggere  il 31 gennaio 1965 nella precedente esperienza da allenatore del Foggia. All'epoca dei fatti l'Inter campione d'Italia, d'Europa e del mondo si era presentata allo stadio 'Zaccheria' con i tutti i favori dei pronostici. Fu proprio in quell'occasione che, inaspettatamente, l'allenatore originario di Turi, il piccolo comune in provincia di Bari, mise a segno un piccolo miracolo sportivo. I nerazzurri, passati in svantaggio per due reti a zero, riuscirono a raddrizzare temporaneamente la gara grazie ad una rabbiosa reazione d'orgoglio. Che non impedì loro di soccombere a causa della rete decisiva messa a segno dal rossonero Nocera, autore – quel giorno - di una doppietta.

Da giocatore aveva vissuto una carriera lontana dal calcio che conta, nella veste di tecnico – invece - Pugliese era riuscito a crearsi uno spazio importante. 'Ho ottenuto più soddisfazioni di dieci allenatori messi assieme', aveva confidato a Gianni Brera verso la fine degli anni sessanta. Non era riuscito a vincere competizioni importanti, ma si era costruito con fatica l'immagine di 'uomo dei miracoli'. Così lo aveva definito anche il popolare attore Lino Banfi, che nel 1984 aveva recitato il ruolo di Oronzò Canà nel film 'L'allenatore nel pallone', ispirato proprio alle gesta di Oronzo Pugliese. 'Era davvero un grande allenatore - disse di lui Banfi —. Isterico, si arrabbiava come il sottoscritto, ed oltre a dirigere la mia squadra preferita era pugliese come me. Una vita piena di 'casini', la sua: bistrattato da tutti, sballottato da una panchina all'altra, colpevolizzato se una compagine non funzionava'. Gianni Brera, ancora lui, lo aveva definito 'un mimo furente di certe grottesche rappresentazioni di provincia'. Il figlio Matteo amava ricordare che 'era un po’ il Nereo Rocco del Sud. Rocco parlava triestino, mio padre barese'.

La 'doppia zona' di Pugliese era diventata lo spunto per la ben più conosciuta 'bi-zona' di Oronzo Canà. Ridurre la competenza calcistica e la figura sportiva di Pugliese ai soli aspetti esilaranti, a volte comici, che lo riguardano è sbagliato. In fondo si parla di un tecnico capace di vincere il prestigioso Seminatore d'oro nel 1964, di condurre il Foggia a compiere un incredibile balzo dalla serie C alla A in soli quattro anni, di ottenere credibilità nelle numerose piazze (tra le quali Foggia, Roma, Firenze, Siena e Bologna) nelle quali ebbe modo di farsi apprezzare.

Alcui di questi episodi, però, meritano di essere raccontati. Pugliese pensava che 'l'uomo è uomo se si sa adattare a tutti gli ambienti'.  In un solo proverbio amava racchiudeva la sua tattica: 'tu ti stai/io mi sto/me la chiedi/non te la do'. Gli scontri dialettici con Helenio Herrera erano stati frequenti. Alla domanda 'Don Oronzo, come ci si sente ad avere avuto la meglio sulla psicologia vincente del ‘mago’ Herrera?”, un giorno rispose che “la psicologia è roba da ricchi, la grinta è roba da poveri”. Gli veniva spesso rimproverato un eccessivo attaccamento ai soldi, lui che come primo stipendio da allenatore, nel 1939 a Lentini, aveva ricevuto una cassetta di arance.

Come tecnico del Bari, prima di sconfiggere la Roma guidata dallo stesso Herrera aveva promesso di fare dieci giri di campo in caso di vittoria. Vinse, ma non mantenne l'impegno: 'Non l'ho fatto perché ho perso troppo fiato nel gridare dalla panchina...'. Il personaggio del 'mago di Turi' era diventato a mano a mano sempre più popolare. E Pugliese, ovviamente, di questo ne era contento. Spiava abitualmente i propri giocatori in ritiro. Uno di loro, una sera, lo scoprì disteso a terra. Gli chiese cosa stesse facendo in quella posizione. 'Stavo facendo un pò di flessioni', rispose. In realtà stava controllando dalla fessura della porta alcuni suoi calciatori.

Ai tempi della sua permanenza alla Roma, Peiró un giorno ammise di andare d'accordo con Pugliese. Senza nascondere, comunque, un problema di fondo: 'Non sempre riuscivo a capire quando parlava. E considerate che io l'italiano l'avevo imparato bene...'. Portava i giocatori al cinema, accertandosi poi che non fumassero. Una sera di quelle si accorse che Bruno Pace stava fumando. Di nascosto, nel buio della sala, durante la proiezione era riuscito a strisciare sino alla sedia posizionata dietro quella di Pace. All'improvviso si alzò per mollargli uno schiaffo, con tanto di rimprovero. Peccato che aveva sbagliato i calcoli, colpendo – di conseguenza - un ignaro spettatore...

Era solito spiegare ai suoi uomini le tattiche e gli spostamenti da fare sul campo utilizzando bicchieri sistemati su un tavolo. Alcuni di questi erano pieni, altri vuoti. 'Tu devi scartare così, il difensore te lo devi bere!'. Per essere più convincente, e dare alla spiegazione un senso di teatralità, si scolava i bicchieri pieni. Un giorno la lezione si prolungò oltre il dovuto, con conseguenze facilmente intuibili...

A fine carriera gli venne proposto di diventare il commissario tecnico della Grecia. Rifiutò, pronunciando questa frase: “mogli, soldi e buoi dei paesi tuoi”. Meglio così. Forse, come disse una volta Peiró, non avrebbero capito sino in fondo la vera natura di Oronzo Pugliese. Il mago di Turi.

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domenica 28 settembre 2014

La Juventus di Allegri ora vola in Spagna


Un complimento a destra, uno a sinistra, il rischio di avere la pancia piena già ad inizio stagione... Prima di pensare all'Atalanta, la Juventus che ha espugnato Bergamo doveva innanzitutto cercare di dimenticare gli elogi che in settimana le sono piovuti da ogni dove, per poi concentrarsi soltanto sulla gara da affrontare allo stadio “Atleti Azzurri d'Italia”.

Se per Pierpaolo Bisoli lo scontro infrasettimanale tra il suo Cesena e la Vecchia Signora era paragonabile ad una sfida tra una Ferrari ed uno scooter 125, per Antonio Conte la rosa attuale della Juventus è addirittura più abbondante e competitiva dell'anno scorso. Un bel carico di responsabilità sulle spalle di Allegri, non c'è che dire.  Aiutato – in questo senso - dal cammino in campionato della Roma, paragonabile a quello della propria squadra, il tecnico è riuscito però a trasmettere all'ambiente bianconero quella tranquillità necessaria per mantenere alta la guardia.

Per cadere dalle stelle alle stalle a volte si impiega un attimo. Basta un passo falso, anche mezzo, per vedere i complimenti trasformarsi in critiche feroci. Non ci voleva un esperto di calcio per capire che Juventus e Roma avrebbero fatto il vuoto in Italia. Queste prime giornate di serie A hanno soltanto certificato quanto veniva considerato scontato durante l'estate appena conclusa.

Adesso, però, è arrivato il momento di alzare l'asticella, di provare a crescere ancora per trasformarsi da grande a grandissima squadra. La partita che mercoledì sera vedrà impegnata Madama in Spagna contro l'Atletico Madrid potrebbe garantire agli uomini di Allegri, in caso di vittoria, quell'ulteriore salto di qualità che consentirebbe loro di essere realmente competitivi persino in Europa. Anche un pareggio, in realtà, potrebbe servire all'uso. Ma soltanto a giochi fatti.

Se la Juventus dovesse affrontare questa delicata trasferta con una mentalità sparagnina il risultato rimarrebbe comunque fine a se stesso. Il triennio di Conte ha consentito alla Vecchia Signora di tornare a dominare in Italia. Ambiziosa come non le accadeva da tempo, Madama ha ripreso a vincere scudetti conquistando il primo della serie senza perdere neanche una gara.

Quella stessa sfrontatezza le sarà necessaria anche in Champions League per provare a scalare, gradualmente, i gradini che ancora la separano dalle corazzate tedesche, inglesi e spagnole. E' inutile perdere tempo a parlare sempre e solo di budget, di possibilità economiche e di fatturato. Quelli sono handicap con i quali le squadre italiane dovranno convivere per diverso tempo ancora. Possono giustificare le difficoltà, non trasformarsi in alibi per qualche brutta figura.

L'Atletico Madrid di Simeone che lo scorso anno ha stupito il mondo rappresenta un esempio che la Juventus, in questo suo particolare momento storico, deve cercare di seguire. Occhio, però: mercoledì sera sarà proprio quella squadra a voler mettere i bastoni tra le ruote della corazzata bianconera.

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domenica 21 settembre 2014

La nuova Juventus sbanca "San Siro"


La Juventus sbanca “San Siro” e spiana la strada per poter arrivare allo scontro diretto con la Roma (5 ottobre) a punteggio pieno in classifica. I prossimi ostacoli, nel suo percorso di avvicinamento allo scontro diretto, si chiamano Cesena (in casa) e Atalanta (in trasferta). Per la Vecchia Signora non saranno certo delle passeggiate di salute (soprattutto la gara di Bergamo), però non è utopistico immaginare che la banda di Allegri possa accumulare altri sei punti in centottanta minuti di gioco.

Sono rimaste molte tracce del lavoro di Antonio Conte in questa nuova Juventus. Adesso, però, si inizia a vedere anche la mano di Allegri. Se Madama sino alla scorsa stagione mostrava sul campo un atteggiamento aggressivo, simile a quello del tecnico che la guidava dalla panchina, ora sembra aver assorbito la calma dell'ex tecnico rossonero.

Quella ammirata a Milano è una Vecchia Signora consapevole della propria forza, per nulla intimorita dai titoli dei giornali che la avvisavano di una nuova, possibile pretendente allo scudetto capace di anestetizzare la gara prima di infierire il colpo di grazia al Diavolo. Tre titoli di fila, d'altronde, non si vincono per puro caso.

La programmazione della Juventus, per ora, sta producendo i frutti sperati. Verso la fine del mese di giugno del 2013 in molti si erano scandalizzati quando era stato deciso di assegnare la maglia numero dieci a Tevez. Adesso, con ogni probabilità, le stesse persone che allora gridarono allo scandalo saranno costrette ad ammettere che l'argentino indossa con una naturalezza impressionante una casacca così importe per i colori bianconeri. “È un onore per me, ma la responsabilità non mi spaventa, perchè nel Boca avevo ereditato la maglia di Maradona”, aveva detto l'Apache nel corso della sua presentazione alla stampa torinese. Ecco, è anche da questi particolari che si giudica un fuoriclasse.

Pereyra in grado di sostiture Vidal, Coman che non sfigura all'esordio in serie A, i lampi di classe mostrati da Morata nei pochi minuti giocati sino ad ora, la corsa fluida di Romulo, i piccoli segnali di miglioramento di Ogbonna, i cross di Evra... Tanti piccoli segnali che fanno pensare ad una Juventus più forte di quella della scorsa stagione. In panchina, poi, siede un tecnico che in poco tempo è riuscito a guadagnarsi la stima e il rispetto dei suoi calciatori. Quando si entra in un nuovo ambiente, nel mondo del calcio, il primo passo da compiere è quello. Se dovesse continuare in questo modo, ben presto arriverà anche l'apprezzamento dei tifosi.

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Quali sono i 10 momenti che hanno caratterizzato la mia vita associata al calcio?


Qualche giorno fa, attraverso il mio profilo su Facebook, ho risposto a Giovanni Augugliaro, un amico "virtuale", che mi domandava (dopo aver esposto i suoi) quali fossero i 10 momenti che hanno caratterizzato la mia vita associata al calcio.

Ho deciso di pubblicarli anche qui, sul blog.
Eccoli:
1. La volta che ricevetti la foto autografata da Gaetano Scirea, con tanto di dedica. Chi la fece avere a mio padre gli raccontò un aneddoto: “Eravamo sugli spalti di un piccolo stadio per guardare una partita di ragazzini. Ce n’erano alcuni bravi e altri meno. Per lui no, non era così. Aveva una parola buona per tutti. Era semplicemente unico”;
2. La vittoria dell’Italia nel mondiale del 1982. Per me, come per molti juventini, quella è stata un’edizione indimenticabile;
3. La sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo. In quel preciso momento ho capito che puoi perdere anche se sei indiscutibilmente, incredibilmente più forte del tuo avversario;
4. La maledetta finale di Bruxelles. Non scrivo altro, anche perché scadrei nella retorica;
5. Quando Platini si sdraiò sul prato verde di Tokyo. In un solo gesto aveva riunito tutte quelle caratteristiche che, ai miei occhi, lo rendevano meraviglioso. Ah, per essere precisi: pochi istanti prima aveva realizzato un goal mostruoso, poi ingiustamente annullato;
6. L’esordio di Del Piero con la maglia della Juventus. Tra me e lui ci sono pochi giorni di “distanza”, siamo coetanei. In quel momento avevo intuito che quel ragazzino avrebbe accompagnato tanti momenti felici della mia vita;
7. La finale di Champions League vinta contro l’Ajax. Perché si è trattata di una gioia immensa, condivisa con la nonna materna che non c’è più;
8. Il gesto sportivo di Pessotto nel corso della gara persa a Perugia, nella risaia che aveva sostituito il campo di gioco. Quello, per me, è lo stile Juve;
9. Lo scudetto vinto il 5 maggio 2002. In quel preciso istante mi trovavo alle Maldive. Pochi minuti prima dell’inizio delle gare un colpo di vento ruppe l’antenna centrale. Tutti nella hall, quindi, per seguire via internet gli aggiornamenti. Al primo goal segnato dalla Lazio stavo per sedermi su una panchina di legno. Decisi di rimanere in quella posizione, scomodissima, per quasi un’ora e mezza, intervallo compreso. Scaramanzia, of course. Poi, come promesso ad un conoscente interista prima di partire per la vacanza (“Non succede, ma se succede… “), mi feci dare un bicchiere di latte per poi andare da solo sul pontile, a ballare come fece Leonardo Pieraccioni in “Fuochi d’artificio”. Tornato in camera, scagliai i cuscini a destra e a manca. Spesi 18 dollari per chiamare in Italia, mia madre mi disse che aveva ricevuto almeno 12 telefonate di amici che le chiedevano cosa cazzo ci facessi alle Maldive in quel momento;
10. La serata nella quale conquistammo matematicamente il primo scudetto dell’era-Conte. Dopo tanti anni passati ad accumulare rabbia, a domandarmi come avrei reagito in futuro di fronte alla prima vera gioia, ho fatto la cosa che meno mi aspettavo: ho stappato una birra e l’ho bevuta con calma, guardando i giocatori in televisione che festeggiavamo all’impazzata. Stavo piangendo. Di gioia, ovviamente.

lunedì 15 settembre 2014

Allegri e la Juventus: buona anche la seconda


Se guidare la Juventus in questo particolare momento storico rappresentava già un compito arduo per Massimiliano Allegri, va detto che l'ottimo avvio in nazionale di Antonio Conte, nella nuova veste di commissario tecnico, non ha certo facilitato il lavoro dell'allenatore livornese. Nonostante tutto Allegri ha superato brillantemente il primo vero esame della stagione: l'impatto dell'esordio allo "Juventus Stadium", di fronte a quei tifosi bianconeri rimasti improvvisamente orfani del tecnico che ha riportato lo scudetto a Torino dopo tanti anni di digiuno.

Neanche il tempo di rifiatare ed ecco che Madama si riaffaccia nuovamente all'Europa, il vero tasto dolente dell'era contiana. Il sorteggio dei gironi della Champions League ha sorriso ancora alla Juventus: così come le era capitato nella scorsa stagione, anche quest'anno l'obiettivo del raggiungimento degli ottavi di finale della manifestazione non appare impossibile.

Stesso schema utilizzato, con qualche piccola variazione rispetto al passato in fase di possesso palla: la Juventus di Allegri rispecchia quasi fedelmente quella che l'ha preceduta, anche se la mano del tecnico inizia a intravedersi in qualche situazione di gioco. Proprio in questo frangente, comunque, è venuta fuori l'intelligenza del nuovo allenatore bianconero: accantonate momentaneamente le sue idee, ha saggiamente deciso di continuare il lavoro iniziato da Conte. Il momento dei cambi arriverà presto, testarli con la pancia piena di punti e vittorie aiuterà certamente i calciatori ad assimilare altre tattiche di gioco.

Se l'Udinese, sconfitta lo scorso sabato, non si può (ancora) considerare un'avversaria in grado di tarare il livello di competitività di questa Juventus, il Chievo - battuto all'esordio in campionato - probabilmente non era così debole come sembrava a prima vista. La questione, comunque, è un'altra: Madama nel corso dell'estate si è ulteriormente rinforzata rispetto alla scorsa stagione. Durante il calciomercato estivo avrebbe potuto fare sicuramente meglio, ma già così come è stata costruita dispone di una rosa migliore.

Resta da capire se la Roma sarà in grado di compiere un ulteriore salto di qualità. In caso contrario la Vecchia Signora staccherà nuovamente il gruppo per puntare solitaria alla conquista di un nuovo tricolore. In questo momento, oltretutto, non si intravedono altre serie pretendenti al titolo.

La scorsa stagione la Juventus vinse le prime due gare del campionato pareggiando poi a Milano, contro l'Inter, la terza partita del torneo. Nella prossima giornata di serie A Madama andrà nuovamente a "San Siro", stavolta contro il Milan, per disputare un incontro che riscalderà sicuramente il cuore di Allegri. Se dalla contesa dovesse scaturire un altro segno "X" il tecnico bianconero potrà stare comunque tranquillo: i 102 punti in classifica sarebbero ancora alla portata della sua squadra.

Allegri, d'altronde, lo sa benissimo: i paragoni col passato non finiranno mai. Ma basterebbe un altro scudetto, meglio ancora se unito al raggiungimento degli ottavi di finale della Champions League, per zittire buona parte della critica.

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