Suonava il violino per passione, si era diplomato geometra e da
giovane, per non restare con le mani in mano durante il tempo libero,
dava ripetizioni ai propri compagni di scuola. Gratuitamente, perché si
trattava di una persona generosa. Costantino Rozzi era nato ad Ascoli
Piceno l’11 gennaio 1929. Costruttore edile, proprietario di alberghi e
produttore di vini, era diventato noto al grande pubblico nella figura
di presidente dell’Ascoli Calcio.
Per raccontare il suo approccio con il mondo del pallone si può
citare il famoso proverbio “chi disprezza compra”. Abitava vicino allo
stadio della sua città ed era infastidito dall’incredibile aumento del
traffico che si verificava in quella zona ogni fine settimana, tanto da
domandarsi: “Ma chi sono quei pazzi che trascorrono la domenica pomeriggio dentro uno stadio per vedere la partita?”. Erano quei tifosi ai quali lui stesso avrebbe poi regalato anni di soddisfazioni.
Dopo essersi convinto grazie ad un’opera di persuasione messa in atto
da alcuni amici, nel mese di giugno del 1968 aveva acquistato una quota
di minoranza del club marchigiano, diventandone presidente trascorso
poco tempo. L’intenzione era quella di prendersi un impegno di breve
durata. Le prime parole da lui pronunciate dopo l’insediamento non
avevano destato un’ottima impressione ai suoi più stretti collaboratori:
“… Io so a malapena che in Italia il calcio si divide in tre
categorie… Serie C, Serie B e Serie A. Noi adesso siamo in C. Ma chi ci
vieta di arrivare sino alla A?… “.
In realtà rappresentavano lo specchio fedele di un uomo estremamente
determinato. Da giovane desiderava laurearsi in ingegneria, ma visto che
ad Ascoli non c’era quell’università e che avrebbe dovuto sostenere
troppi esami integrativi per il proprio futuro scelse un’altra strada.
Vinse un concorso al catasto e, dopo essere riuscito ad evitare il
trasferimento a Firenze, si era licenziato terminata la prima ora di
lavoro. Alla madre Lucia che reclamava delle spiegazioni rispose: “Mamma, per piacere levati dalla testa che io posso stare a scrivere seduto ad un tavolino. Quel lavoro non fa per me“.
Aveva iniziato la propria carriera partendo dall’impresa edile
‘Zaccherini’, dove conobbe Franca Rosa, un’impiegata che nel 1957
diventò sua moglie e dalle quale ebbe quattro figli: Fabrizio, Anna
Maria, Antonella ed Alessandra.
Alla quarta stagione al timone del club era riuscito finalmente a
conquistare la serie B. Nei confronti di chi gli domandava
maliziosamente “Adesso che siete in B cosa pensate di fare?”, rispondeva serafico: “Niente,
niente, tanto è chiaro che più di un anno in B non facciamo… Cosa avete
capito? Facciamo solo un anno in B perché ci attende la Serie A!”.
Non si trattava di presunzione, ma di un presagio: il 9 giugno del
1974 il sogno di un’intera città era diventata realtà. Al fischio
finale della gara decisiva disputata contro il Parma il campanone della
Cattedrale aveva suonato per dieci minuti ininterrotti. Prima di allora
era rimasto in silenzio sin dal lontano novembre del 1972, a seguito del
terribile terremoto che aveva scosso Ascoli. Sulla panchina sedeva
Carlo Mazzone, al quale Rozzi aveva affidato l’incarico con un discorso
tanto breve quanto incisivo: “Senti un pò Mazzone… Ogni anno chiamo
uno scienziato per cacciarlo a metà stagione. Visto che sei bravo a
sostituirli, stavolta il campionato lo cominci direttamente tu, così non
ci penso più…”.
Per motivi puramente campanilistici Rozzi si era adoperato per
cambiare denominazione alla società: da “Del Duca Ascoli” (il nome del
primo presidente mecenate) ad “Ascoli Calcio 1898″. Proprio “Del Duca”
era il nome di quello stadio che aveva promesso di costruire in cento
giorni, anticipando i soldi di tasca propria. Erano in pochi a credere
in quell’impresa, eppure riuscì a mantenere l’impegno anticipando i
tempi della consegna. In quell’impianto che poteva contenere sino 40.000
persone (per una città che aveva poco più di 50.000 abitanti) i
campioni del mondo di Enzo Bearzot disputarono un’amichevole contro il
Portogallo (3 aprile 1985).
Durante i suoi ventisei anni alla guida del club, interrotta soltanto
dalla sua morte avvenuta il 18 novembre 1994, Rozzi era riuscito a
mantenerlo in serie A per ben quattordici stagioni, alternate da
retrocessioni e successivi ritorni nel massimo campionato. Quattordici,
come il numero dei tecnici da lui esonerati. Aveva un sogno: “In coppa UEFA voglio arrivarci, prima o poi…”.
Nel 1980 ci arrivò vicino per davvero: con la retrocessione del Milan a
causa dello scandalo del Totonero, la sconfitta del Torino nella finale
di coppa Italia contro la Roma gli aveva precluso la possibilità di
realizzarlo. Rimase la soddisfazione per aver conseguito il quarto posto
in classifica, alla quale si era aggiunta la conquista della Mitropa
Cup nel novembre del 1986.
Stefano Pellei, nel suo libro “Costantino Rozzi – Una panchina nel
cielo”, ha raccontato con dovizia di particolari l’amore di un uomo
verso quello sport che aveva prima detestato e poi amato. Nel 1989,
oltretutto, era riuscito ad ottenere anche la laurea honoris causa in
sociologia dall’Università di Urbino. Aveva battagliato per dare voce ai
diritti delle squadre provinciali, quando sedeva in panchina si agitava
indossando i calzini rossi per sfidare la sfortuna. Quelli che adesso,
forse, conserva ancora. In attesa di sentire suonare nuovamente una
campana.
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5 commenti:
Che personaggio incredibile!! Lo ricordo con la stessa nostalgia con cui riporto alla mente i tempi in cui il suo ascoli, come la sua figura di presidente erano in auge, gli anni 80 soprattutto.
Era un altro calcio, erano altre persone.
Chi ha avuto modo di conoscerlo e frequentarlo mi ha parlato benissimo di Rozzi.
Ho letto il libro citato e scritto questo articolo con vero piacere.
Mi manca l'atmosfera che si respirava in quei tempi.
Un abbraccio!
Fratello,sapessi quanto manca anche a me quell'atmosfera..tantissimo.
ti dirò, all'epoca si pensava ad altro...più che altro, è il raffronto con quello che è venuto dopo a far spavento, e a far rimpiangere persone come Rozzi.
La rovina del calcio, e io direi non solo del calcio, è arrivata negli anni '80 con le radio e le tv commerciali. Prima c'era chi investiva soldi per entusiasmo, non tutti ma molti. Da dopo (dopo Berlusconi, in Italia: è un dato di fatto e spero che lo si possa dire come tale, senza polemiche) sono arrivati quelli che con il calcio c'entravano poco o niente. Q
I mondiali del '90 sono stati il colpo di grazia...(le speculazioni sugli stadi, eccetera eccetera)
Comunque ancora oggi quando vedo giocare l'Ascoli mi commuovo, sarà forse il bianconero...
:-)
Mi commuovo anch'io, Giuliano, pensando ad un lato romantico del calcio che oggi faccio fatica a intravedere.
Senza voler pendere troppo dalla "nostra" parte, però, mi sembra che Andrea Agnelli sia un Presidente innamorato della propria squadra
;-)
Un abbraccio!
Ps: "studiando" Rozzi ho imparato ad apprezzare meglio una gran bella persona
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