E dire che il segnale il Bordeaux lo aveva lanciato: quel recupero a tutti i costi di Chamakh per l’incontro con la Juventus doveva essere un campanello d’allarme. Volevano vincere, come e più di noi. Proprio loro che la qualificazione l’avevano già messa in tasca. Di riflesso, quel Del Piero in campo da subito, senza avere ancora una partita intera di calcio vero nelle gambe, strideva con il football tutto corsa e velocità dei francesi. Non avevano dubbi, i "galletti", se usare il rombo o il trapezio a centrocampo: hanno pensato soltanto a giocare. E lo hanno fatto anche bene. La Ligue 1 ha poco "charme" televisivo: la Champions League è la giusta vetrina per mettersi in mostra.
Tre inglesi, due francesi, una spagnola e una italiana già qualificate agli ottavi della massima competizione europea. L’en plein (quattro italiane su quattro) potrebbe anche arrivare; ma non è tutto oro quello che luccica. Le prime tre squadre in classifica nella serie A (Inter, Juventus e Milan) dovranno aspettare l’ultima giornata per essere sicure di proseguire il loro cammino: tutto dipenderà da loro. La sesta, la Fiorentina, ha già ottenuto il "pass" per il turno successivo. Ha dovuto concedere qualcosa in campionato: visto che non ha attualmente ambizioni di scudetto, si è potuta permettere una scommessa su una vincita che ora potrà riscuotere (il percorso intrapreso le garantirà, più o meno, 25 milioni di euro).
Nella nostra penisola pallonara si discute su chi riuscirà a interrompere l’egemonia interista: tra vittorie a tavolino, quelle ottenute senza contendenti, con avversari troppo deboli, per manifesta superiorità o con gli "aiutini", lo scudetto è diventato cosa loro. Un errore pensare in continuazione a ridurre il "gap" che obiettivamente ci separa: una società come la Juventus deve avere una propria identità, figlia della storia ultracentenaria nella quale ha conseguito vittorie in tutte le competizioni. Deve intraprendere una sua strada, senza farsi schiacciare dalle pressioni di chi non può chiedere tempo e deve puntare sempre a vincere. I demeriti negli insuccessi di Ranieri non devono mascherare una società che ha finito con il lasciarlo in pasto (al termine della scorsa stagione) a critici, tifosi e agli stessi giocatori. Ferrara, se non riuscirà a cambiare il suo attuale trend negativo, finirà per trovarsi nella medesima situazione. Questa volta, però, la colpa non sarà (soltanto) sua: i jolly sono finiti per tutti. Dietro ad ogni decisione ci sono ragionamenti, valutazioni, indicazioni e controindicazioni: su tutto ciò che ha portato alla scelta del Ferrara allenatore, dovrà basarsi l’appoggio che la dirigenza non dovrà fargli venire meno.
Per ottenere il massimo bisogna puntare al massimo: il vero esempio da seguire non è l’Inter, ma il Barcellona. Mitizzare gli spagnoli sarebbe sbagliato: l’arbitro Ovrebo, con la sua disastrosa conduzione di gara nella semifinale di Champions League tra il Chelsea e gli spagnoli del 6 maggio scorso, ha contribuito ad anticipare quei successi che comunque sarebbero arrivati (e ne arriveranno di nuovi…). Però a Roma, nella finale del 27 maggio, ci sarebbero dovuti essere i Blues. I trionfi del Barcellona partono da lontano: dalla valorizzazione del vivaio ad un cultura calcistica che viene tramandata in tutte le rappresentative giovanili, sino a raggiungere la prima squadra. Il "gap" esistente tra loro e l’Inter, evidenziato ogniqualvolta si confrontino, segna anche la differenza di mentalità tra chi cerca di vincere attraverso il gioco e chi vuole fare della fisicità e degli spunti dei singoli i propri punti di forza. Nella serie A italiana le squadre muscolari possono avere futuro: in Europa paga la qualità. All’Inter Mourinho si è fatto arredare l’ufficio dove prepara le conferenze stampa che lo rendono tanto amato dalle sue "prostitute intellettuali"; in Spagna, sul campo, Guardiola costruisce le vittorie del Barcellona. Questa è una delle tante differenze. Quando Xavi e Iniesta danno "il la" a continui fraseggi, a passaggi brevi dettati da un compagno (almeno) sempre pronto a raccoglierli, la corsa degli avversari diventa inutile, senza costrutto. In sintesi: ti costringono a correre a vuoto. Il reale vantaggio per l’Inter, nell’incontro giocato martedì sera, si sarebbe verificato se i nerazzurri non si fossero trovati di fronte i due cardini del centrocampo, non Messi e Ibrahimovic. Questo serve a dare l’idea del valore assoluto di quella squadra, e ricorda una tra le regole non scritte del calcio: le partite si vincono a centrocampo. Laddove noi ci stiamo ancora "scervellando" se giocare con il rombo o il trapezio…
Tre inglesi, due francesi, una spagnola e una italiana già qualificate agli ottavi della massima competizione europea. L’en plein (quattro italiane su quattro) potrebbe anche arrivare; ma non è tutto oro quello che luccica. Le prime tre squadre in classifica nella serie A (Inter, Juventus e Milan) dovranno aspettare l’ultima giornata per essere sicure di proseguire il loro cammino: tutto dipenderà da loro. La sesta, la Fiorentina, ha già ottenuto il "pass" per il turno successivo. Ha dovuto concedere qualcosa in campionato: visto che non ha attualmente ambizioni di scudetto, si è potuta permettere una scommessa su una vincita che ora potrà riscuotere (il percorso intrapreso le garantirà, più o meno, 25 milioni di euro).
Nella nostra penisola pallonara si discute su chi riuscirà a interrompere l’egemonia interista: tra vittorie a tavolino, quelle ottenute senza contendenti, con avversari troppo deboli, per manifesta superiorità o con gli "aiutini", lo scudetto è diventato cosa loro. Un errore pensare in continuazione a ridurre il "gap" che obiettivamente ci separa: una società come la Juventus deve avere una propria identità, figlia della storia ultracentenaria nella quale ha conseguito vittorie in tutte le competizioni. Deve intraprendere una sua strada, senza farsi schiacciare dalle pressioni di chi non può chiedere tempo e deve puntare sempre a vincere. I demeriti negli insuccessi di Ranieri non devono mascherare una società che ha finito con il lasciarlo in pasto (al termine della scorsa stagione) a critici, tifosi e agli stessi giocatori. Ferrara, se non riuscirà a cambiare il suo attuale trend negativo, finirà per trovarsi nella medesima situazione. Questa volta, però, la colpa non sarà (soltanto) sua: i jolly sono finiti per tutti. Dietro ad ogni decisione ci sono ragionamenti, valutazioni, indicazioni e controindicazioni: su tutto ciò che ha portato alla scelta del Ferrara allenatore, dovrà basarsi l’appoggio che la dirigenza non dovrà fargli venire meno.
Per ottenere il massimo bisogna puntare al massimo: il vero esempio da seguire non è l’Inter, ma il Barcellona. Mitizzare gli spagnoli sarebbe sbagliato: l’arbitro Ovrebo, con la sua disastrosa conduzione di gara nella semifinale di Champions League tra il Chelsea e gli spagnoli del 6 maggio scorso, ha contribuito ad anticipare quei successi che comunque sarebbero arrivati (e ne arriveranno di nuovi…). Però a Roma, nella finale del 27 maggio, ci sarebbero dovuti essere i Blues. I trionfi del Barcellona partono da lontano: dalla valorizzazione del vivaio ad un cultura calcistica che viene tramandata in tutte le rappresentative giovanili, sino a raggiungere la prima squadra. Il "gap" esistente tra loro e l’Inter, evidenziato ogniqualvolta si confrontino, segna anche la differenza di mentalità tra chi cerca di vincere attraverso il gioco e chi vuole fare della fisicità e degli spunti dei singoli i propri punti di forza. Nella serie A italiana le squadre muscolari possono avere futuro: in Europa paga la qualità. All’Inter Mourinho si è fatto arredare l’ufficio dove prepara le conferenze stampa che lo rendono tanto amato dalle sue "prostitute intellettuali"; in Spagna, sul campo, Guardiola costruisce le vittorie del Barcellona. Questa è una delle tante differenze. Quando Xavi e Iniesta danno "il la" a continui fraseggi, a passaggi brevi dettati da un compagno (almeno) sempre pronto a raccoglierli, la corsa degli avversari diventa inutile, senza costrutto. In sintesi: ti costringono a correre a vuoto. Il reale vantaggio per l’Inter, nell’incontro giocato martedì sera, si sarebbe verificato se i nerazzurri non si fossero trovati di fronte i due cardini del centrocampo, non Messi e Ibrahimovic. Questo serve a dare l’idea del valore assoluto di quella squadra, e ricorda una tra le regole non scritte del calcio: le partite si vincono a centrocampo. Laddove noi ci stiamo ancora "scervellando" se giocare con il rombo o il trapezio…
Articolo pubblicato su Tutto Juve.com
2 commenti:
Benvenuto tra i miei link :-)
Grazie!
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