domenica 27 febbraio 2011

Pavel Nedved e l'orgoglio bianconero

"Capello mercenario, Del Piero leggendario". Queste erano le parole riportate in uno striscione che campeggiava sugli spalti dello stadio "San Nicola" di Bari il 19 agosto 2006.
La Juventus, al momento destinata alla serie B con una penalizzazione di 17 punti (poi ridotta a 9), ironia della sorte doveva ripartire proprio dalla stessa località dove aveva concluso la sua meravigliosa storia, dal luogo in cui soltanto pochi mesi prima (il 14 maggio) aveva sconfitto la Reggina (in campo neutro) e conquistato il suo ultimo scudetto, il numero ventinove.

L’avversario era il Martina Franca, società che avrebbe dovuto affrontare il campionato di serie C1 senza soldi e - all’epoca - senza allenatore. In panchina si sedette tal Mimmo Trentadue, il loro preparatore atletico.
Davanti a 6.760 spettatori le due formazioni si incrociarono per disputare i sessantaquattresimi di finale della coppa Italia: vinsero i bianconeri, con le reti di Marchionni, Bojinov e Nedved.

Il biondo ceco, nel corso della gara, già ammonito rischiò seriamente l’espulsione a seguito di un duro contrasto con un avversario dovuto ad un suo eccesso di foga agonistica. Rizzoli, l’arbitro, fece finta di non vedere. Pochi minuti dopo Nedved realizzò la terza e ultima rete dell’incontro. Il popolo bianconero ebbe l’ennesima riprova che anche in quel difficilissimo periodo della storia del club l’impegno di un campione del suo calibro non sarebbe venuto a mancare. Una minima consolazione, nel contesto generale. Ma importantissima.
Il fondo Nedved era sempre lui: che si trattasse di una gara di coppa Italia lontana anni luce dalla finale, di un incontro disputato in allenamento o di un match valevole per la Champions League il suo approccio alle sfide era sempre lo stesso, non cambiava nulla.

Sempre il 14 maggio, ma del 2003, la Juventus eliminò al "Delle Alpi" di Torino il Real Madrid dalla massima competizione europea vincendo la gara di ritorno delle semifinali di quella manifestazione con il risultato di 3-1 (all’andata aveva perso per 2-1). Meier, il direttore di gara, in quell’occasione non fece come Rizzoli e sanzionò un intervento di gioco (istintivo) di Nedved su McManaman con un cartellino giallo, facendo scattare l’inevitabile squalifica data la diffida che pendeva sul giocatore. Anche in quella partita Nedved realizzò una rete: la terza, quella decisiva. Niente finalissima a Manchester, sul prato verde dello stadio rimasero soltanto le sue lacrime di disperazione.

Ad abbracciarlo in mezzo al campo a fine incontro andò Marco Di Vaio, attaccante bianconero di scorta alle spalle dei titolarissimi Del Piero e Trezeguet. Lo stesso Di Vaio che ieri sera, grazie alla doppietta realizzata contro Madama con la maglia del Bologna, ha contribuito ad infliggere l’ultima (in ordine cronologico) umiliazione ad una formazione che - al pari di quella dello scorso campionato - a questo punto si può serenamente affermare che con la Vecchia Signora e la sua meravigliosa storia non ha nulla a che fare.

Giuseppe Marotta, il 20 maggio 2010, dichiarò: "Alla Juventus serve un processo evolutivo, non una rivoluzione".
Luigi Del Neri, dovendo affrontare in questi giorni una difficilissima crisi di gioco e risultati, parlò di "rivoluzione mentale", riferendosi ad un approccio sbagliato dei suoi uomini nella precedente gara persa contro il Lecce ed alla necessità di entrare in campo sempre con la necessaria grinta da contrapporre agli avversari di turno.
Andrea Agnelli, nella prima lettera indirizzata ai tifosi bianconeri (18 giugno 2010), a proposito del tecnico di Aquileia scrisse: "A lui spetterà il delicato compito di riportare cultura e disciplina sportiva nello spogliatoio".

Sempre nel mese di maggio, il 31 dell’anno 2009, Pavel Nedved diede l’addio al calcio giocato nell’incontro di campionato disputato allo stadio "Olimpico" di Torino contro la Lazio, l’altra squadra nella quale il ceco aveva militato nella nostra serie A nel corso della sua carriera da professionista. Uno dei tanti striscioni dei tifosi, in quel pomeriggio di commozione generale, recitava: "I giocatori passano, l’uomo resta".

L’uomo Pavel è recentemente entrato nel CDA della società torinese su richiesta dell’amico Andrea Agnelli. Nell’attesa di trovare una sua precisa collocazione in seno al club, all’indomani della sconfitta di Lecce si è pensato di avvicinarlo sempre di più al campo di allenamento per metterlo a contatto con i giocatori e trasmettere loro il suo carisma, la juventinità e la voglia di vincere di un combattente con il pallone che avrebbe ancora molto da dare alla causa bianconera.

Si può distruggere un qualcosa già rotto? Sì. La Juventus degli ultimi cinque anni ne è la (continua) riprova.
In attesa dell’ennesima rivoluzione e delle (inevitabili, attese) nuove promesse, la cortesia che chi scrive chiede al campione ceco è quella di lasciar perdere la scrivania e di rimettersi le scarpe da gioco.
Non reggerà per tutti i novanta minuti? Stia tranquillo: non sarebbe l’unico, visto quello che combinano i calciatori attuali. Ormai la Vecchia Signora è virtualmente salva. Perdere per perdere, tanto vale affrontare le prossime sfide schierando esclusivamente chi ha la Juventus nel cuore, è un vincente nato, non fa differenza tra un allenamento e una semifinale di Champions League ed esce dal campo senza più energia nelle gambe.

E gli esclusi? Stiano pure a giocare con i social network.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 25 febbraio 2011

Inzaghi cala il tris, la Juve vince il 25° scudetto

Nel corso della stagione 1997/98 Juventus e Bologna incrociarono le loro strade allo stadio “Delle Alpi” di Torino quando il campionato era prossimo alla conclusione. Ai bianconeri era indispensabile una vittoria per mettere definitivamente le mani sullo scudetto numero venticinque della sua gloriosa storia, e l’occasione capitò proprio contro i felsinei il 10 maggio 1998. L’Inter, la principale rivale in un torneo costellato di roventi polemiche, quella domenica era ospite del Bari. Lo scontro al vertice tra le due formazioni era già avvenuto il 26 aprile precedente ed un goal di Del Piero aveva messo in soffitta i sogni di un sorpasso da parte dei nerazzurri, nella partita che sarebbe passata alla storia come quella del contatto nell’area di rigore dei padroni di casa tra lo juventino Iuliano e l’interista Ronaldo.

Nella penultima tappa della stagione il 3-4-1-2 con il quale Marcello Lippi schierò la Vecchia Signora prevedeva un pacchetto arretrato formato da Montero, Tacchinardi e lo stesso Iuliano davanti alla porta difesa da Peruzzi, con lo spostamento sulla linea mediana del campo di Torricelli a completamento di un quartetto composto anche da Deschamps, Davids e Pessotto. A Zidane era stato affidato il consueto compito di svariare lungo tutto il fronte offensivo e di provvedere ai rifornimenti delle punte Del Piero e Inzaghi. Proprio l’ex atalantino, uomo sul quale la società in estate aveva puntato con decisione tanto da lasciar partire Christian Vieri (verso gli spagnoli dell’Atletico Madrid) e Alen Boksic (tornato alla Lazio), avrebbe formato con il numero dieci bianconero una delle coppie più prolifiche della storia juventina. In quella stagione i due sommarono la bellezza di trentanove reti in campionato: diciotto (senza rigori) per Filippo e ventuno (con quattro penalty realizzati) per Alessandro.
Abbottonato nel suo cappotto portafortuna (nonostante il clima “estivo” del pomeriggio torinese), Renzo Ulivieri presentò il Bologna con l’ormai classico 3-4-3, in cui Roberto Baggio, Kennet Andersson e Kolyvanov rappresentavano il terminale del gioco degli ospiti. Che dimostrò subito la propria pericolosità: dopo soli undici minuti l’attaccante russo, con un destro al volo su azione scaturita da calcio d’angolo, portò i felsinei in vantaggio. La Juventus, apparsa frastornata dall’improvviso colpo ricevuto, non riuscì a trovare subito una valida reazione, rischiando, al contrario, di subire la rete del possibile kappaò: Andersson sbagliò infatti una favorevolissima occasione per portare sul 2-0 la sua squadra su assist dello scatenato Kolyvanov. Per Madama si stava materializzando un incubo: la partita che nelle previsioni sarebbe dovuta essere una sorta di passerella davanti ai tifosi bianconeri per festeggiare la quasi certa conquista del nuovo tricolore stava invece per trasformarsi in una tremenda disfatta.
Lippi fiutò il pericolo e adottò la giusta correzione sulla formazione iniziale, invertendo le posizioni sul campo di Tacchinardi e Torricelli con il risultato di riuscire a scuotere la Juventus dal suo torpore. Pessotto e Zidane costruirono l’azione che portò al pareggio di Inzaghi al 34’ della prima frazione di gioco, con il francese che porse un pallone invitante all’attaccante bianconero, abile poi a trafiggere Sterchele. La punta intuì che la difesa del Bologna, troppo lenta nell’applicare la tattica del fuorigioco, avrebbe potuto lasciargli ulteriori varchi invitanti per realizzare altre reti. Al 5’ minuto della ripresa si ripeté portando in vantaggio i padroni di casa, assistito ancora dall’immenso talento di Zidane. Festa doveva essere e festa - finalmente – stava per diventare, se non si fossero messi di traverso due ex bianconeri della sfida, Marocchi e Roberto Baggio, a complicare la situazione, con il centrocampista che confezionò un pregevole assist al Divin Codino, infallibile nel concretizzare il temporaneo 2-2.
La mia quarta Juve è una miscela di creatività, fantasia e cinismo”, aveva detto Lippi della sua squadra circa un mese prima della sfida con i felsinei. E lui di quella formazione conosceva i giusti ingredienti: fuori Deschamps per Fonseca e – qualche minuto dopo – dentro Pecchia al posto dell’olandese Davids. Madama si tolse i panni della Vecchia Signora per lanciarsi agguerrita alla carica del Bologna. Finì col trovare la terza rete ancora con Inzaghi, bravo a concludere col piatto sinistro un’azione preparata dal nuovo entrato Fonseca. Il Bologna, che aveva iniziato la gara con tre attaccanti, la terminò “spuntata”, togliendo prima Kolyvanov e poi Roberto Baggio per inserire Davide Fontolan e Cristallini. La squadra finì per abbottonarsi proprio come era solito fare il suo allenatore con il proprio cappotto. Fu inutile la mossa disperata del tecnico originario di San Miniato di buttare nella mischia Shalimov al posto di Marocchi, nell’intenzione di riportare di qualche metro più avanti il baricentro del gioco. Ormai era troppo tardi.

Il risultato dell’Inter, sconfitta a Bari per 2-1, a quel punto non interessava più a nessuno: la Juventus era diventata campione d’Italia. Cento anni di campionato, a partire dal 1898 e dal quel primo scudetto finito sulle maglie del Genoa, e venticinque titoli finiti sul petto della Vecchia Signora. Uno ogni quattro. Ancora meno, se si considera che a cavallo delle due guerre mondiali la serie A era rimasta ferma per alcune stagioni.
Nel momento del trionfo finale le dichiarazioni rilasciate da Filippo Inzaghi condensarono in poche parole lo stato d’animo dell’ambiente bianconero in quel particolare momento della storia juventina: “Uno scudetto assolutamente meritato. Prima ci ha dato fastidio la Lazio, poi si è rifatta sotto l'Inter, che ci ha tenuto testa fino all'ultimo. Ma non si possono avere dubbi sulla legittimità del nostro successo. Ci accusano per il gol di Empoli e il rigore su Ronaldo: è vero, abbiamo avuto due episodi favorevoli ravvicinati, ma mi pare che altri dimentichino i vantaggi capitati loro in passato. La verità è che diamo fastidio perché vinciamo troppo, però non me ne curo assolutamente: questo è un giorno di festa, non voglio rovinarlo pensando a certe cose


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Onore a te, Alessandro Del Piero. Per sempre il mio Capitano

martedì 22 febbraio 2011

Silenzio

Non faccio la giornalista sportiva e non sto sul pezzo tutti i giorni.
Magari guardo la partita, ma non mi preoccupo di scriverne. Su internet poi appaiono pagelle e commenti dopo 100 secondi dal fischio finale, e la mia sarebbe solo un’ulteriore disamina, molto spesso uguale a molte altre.
Se ho un’idea poi, sono un po’ lenta a realizzarla – sono allo “stato bradipo” – e capita come oggi…
Tra ieri sera e questa mattina – durante i viaggi in metro per tornare ed andare al lavoro – m’era venuto in mente qualcosa da scrivere sulla squadra, dopo l’indecorosa sconfitta con il Lecce.
Insomma, durante il viaggio cerco di mettere in ordine una serie di frasi che poi trasporterò su carta. Ma prima di farlo, durante la pausa caffè (degli altri), faccio un giro in rete e apro “ju29ro.com” e il mio pezzo è già lì.
Cioè non era il mio pezzo, era scritto molto meglio di quanto avrei fatto io, ma Alessio Epifani con quel “Chiudete quelle bocche per dodici settimane e fate il vostro dovere” riassume perfettamente il post che avrei voluto pubblicare io.
Sono anch’io del parere che, per i prossimi mesi, a tutti i giocatori debba essere imposto il silenzio stampa. Abbiamo sentito già troppe chiacchiere lo scorso anno e quest’anno stiamo proseguendo sulla stessa falsa riga.
La Società dovrebbe vietare a tutti i giocatori di parlare di calcio, non dovrebbe essere possibile neppure con il vicino di casa!
Basta interventi su giornali, tv, twitter, facebook e quant’altro.
Basta proclami prima di una partita, e scuse e buoni propositi dopo una sconfitta, vogliamo i fatti!
Li vogliamo vedere uscire dal campo con la maglia sporca e tutti sudati, in modo da doversi fare la doccia (cit.) e mantenere la gioia o la delusione (sarebbe meglio la rabbia) all’interno dello spogliatoio.
I conti - e quindi i contratti, i riscatti, le riconferme – li faremo alla fine.
E non dipenderà da ciò che diranno, ma da ciò che faranno.

Articolo pubblicato su Juvenews.net


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

domenica 20 febbraio 2011

Indifendibili

Juventus e Lecce tra andata e ritorno

Juventus e Lecce si fronteggiarono allo stadio "Olimpico" nel girone di andata lo scorso 17 ottobre, in una gara che i bianconeri vinsero agevolmente con il risultato di 4-0. Aquilani, Felipe Melo, Quagliarella e Del Piero regolarono i salentini, consentendo alla Vecchia Signora di aggiungere un altro successo convincente dall’inizio del campionato dopo quelli ottenuti contro Udinese (in trasferta) e Cagliari (in casa). Curiosamente anche questi arrivarono con quattro marcature degli uomini di Del Neri, con la sola differenza che - mentre a Udine la porta di Storari rimase inviolata - a Torino i sardi riuscirono a battere il numero uno bianconero per due volte con le reti di Matri, passato alla corte di Madama con la riapertura della sessione invernale del calciomercato.

Su Alberto Aquilani il tecnico di Aquileia aveva già speso parole importanti il giorno precedente l’incontro: "In effetti è un giocatore unico in mezzo al campo, il più tecnico dei quattro che ho a disposizione". Lo stesso calciatore ex Liverpool si divertì poi a prendere amichevolmente in giro Felipe Melo, autore di un goal "particolare" su penalty: "Mai visto un cucchiaio rasoterra…". Il terzo marcatore della giornata, Quagliarella, battè Rosati (estremo difensore degli ospiti) con un colpo di testa "rasoterra" (anche lui), a distanza di pochi metri dal punto in cui si infortunò seriamente lo scorso 6 gennaio nella partita disputata dalla Juventus contro il Parma.
A chiudere definitivamente il conto di una gara il cui esito finale appariva scontato già al termine della prima frazione di gioco ci pensò Alessandro Del Piero, entrato al 33' del secondo tempo proprio in sostituzione dell’attaccante di Castellammare di Stabia, con un bellissimo sinistro grazie al quale raggiunse quota 178 reti segnate in serie A con la maglia bianconera, eguagliando così il precedente record ottenuto da Giampiero Boniperti.

In una Juventus schierata in campo con un 4-4-2 "elastico", che durante l’incontro si trasformò all’occorrenza in 4-3-3 e 4-5-1, Milos Krasic giocò una bellissima partita. Impadronitosi della fascia destra della linea mediana juventina, allargò successivamente il proprio raggio d’azione su tutto il rettangolo di gioco senza che venisse meno la sua pericolosità. Un palo, due assist, un rigore procurato e tre giocatori avversari ammoniti nel tentativo (invano) di fermarlo: questo il bottino del serbo a fine gara.
Del Neri, ovviamente contento della prova dei suoi uomini, non nascose la propria felicità: "Sono felice perché continuiamo a crescere. I ragazzi stanno dando il meglio".

Con la vittoria appena conquistata la Juventus si posizionò al quinto posto in classifica (a pari punti con il Palermo), a cinque lunghezze di distanza dalla Lazio all’epoca prima della classe davanti a tutte le altre squadre.
A distanza di poco più di quattro mesi gli obiettivi sono cambiati: uscita anticipatamente dall'Europa League e dalla coppa Italia adesso vive alla giornata, nella speranza di agganciare il più presto possibile la quarta posizione. Dove attualmente si trova la Lazio. Ancora lei.
I punti che separano le due formazioni sono diventati quattro, la Vecchia Signora è ora sesta nell’attesa del recupero della gara tra Roma e Bologna che potrebbe consentire ai giallorossi di scavalcarla in caso di vittoria. A Lecce Madama dovrà continuare la rincorsa all’unico obiettivo che le è rimasto in questa stagione, evitando di perdere ulteriore terreno nei confronti delle dirette avversarie così come accaduto nel girone di andata. Anche a causa degli incidenti di percorso avvenuti negli incontri con le cosiddette "piccole".
La vittoria vale tre punti pure nelle partite contro di loro.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

sabato 19 febbraio 2011

Andrea Agnelli, Matri e la benzina nel motore Juve

Andrea Agnelli lo aveva detto, lo scorso 1° febbraio: "Con l’arrivo di Matri abbiamo messo benzina nel motore, abbiamo fatto il pieno". Nello stesso giorno Amauri, presentato a stampa e tifosi a Parma, dichiarò: "La mia partenza da Torino? Non riguarda la contestazione dei tifosi bianconeri. C’è sempre stata da quando ho vissuto in Piemonte. Ora vedremo se il colpevole sono io".

Sconfitta a Palermo in occasione del debutto del nuovo attaccante juventino, la Vecchia Signora ha ripreso confidenza con la vittoria nelle due successive gare con Cagliari e Inter, portandosi dall’ottavo posto in classifica all’attuale sesto. Virtuale, però: la Roma, indietro di due lunghezze rispetto ai bianconeri, deve ancora disputare il recupero della partita con il Bologna, sospesa a seguito della copiosa nevicata che impedì il regolare svolgimento del match iniziato lo scorso 30 gennaio allo stadio "Renato Dall’Ara" ed interrotto al 16' del primo tempo. Completato anche questo incontro si potrà finalmente avere una visione "reale" delle zone nobili della seria A. Sarà proprio il Palermo (attualmente a quota 40 punti, uno in meno di Madama), caso vuole a Bologna, ad inaugurare la ventiseiesima giornata.

Prima del successo con i nerazzurri Del Neri si era mostrato fiducioso per il prosieguo della stagione juventina: "Stiamo bene, abbiamo recuperato alcuni giocatori e la rosa è equilibrata. L’Inter è in gran forma, ma una vittoria ci darebbe molta fiducia per le prossime gare". Gli innesti del mercato invernale hanno ridato nuova linfa ai bianconeri, insieme allo spostamento di Chiellini sulla fascia sinistra e ad alcuni accorgimenti tattici messi in atto dal tecnico di Aquileia. Che, dopo l’incontro di domenica sera, ha dichiarato: "Al di là dei risultati che abbiamo fatto e che faremo, abbiamo ritrovato la nostra credibilità, oltre che la serenità. Il salto di qualità, però, lo avevamo già fatto prima del 6 di gennaio. Ho soltanto bisogno di tempo: non so a voi, ma a me non bastano due giorni per tirare su una casa".

Prima del giorno dell’Epifania la Vecchia Signora aveva accumulato soltanto un punto in più rispetto alla brutta copia di se stessa, alla formazione che nel precedente campionato fu in grado di collezionare delusioni e record negativi in serie. Il 16 dicembre 2010 Ciro Ferrara, uno dei due allenatori di quella squadra (ed ora commissario tecnico della nazionale under 21), disse: "La Juve sta facendo bene, ma ha gli stessi punti della scorsa stagione. Quindi, forse, stava facendo bene anche un anno fa. Gli stessi risultati hanno un peso diverso, perché diverse sono le aspettative: a me si chiedeva di vincere e di giocare bene". A lui rispose immediatamente lo stesso Del Neri: "Noi cerchiamo di migliorare, e la Juve di quest’anno mi sembra abbia un altro spessore caratteriale".

Se il raffronto tra le due stagioni non è ancora confortante (ad oggi i punti totalizzati sono gli stessi dell’era Ferrara-Zaccheroni), rispetto alle prime sei giornate del girone di andata del campionato in corso Madama è riuscita a migliorarsi (dieci punti in sei gare contro gli otto di inizio anno). E’ ancora troppo poco, però, per poter ambire ad obiettivi importanti. Ma può (e deve) diventare una sorta di trampolino di lancio per recuperare il terreno perduto nei rimanenti incontri ancora da disputare, già a partire da quello di domani contro il Lecce.

Partito Trezeguet e confermati Amauri e Iaquinta, l’infortunio occorso a Quagliarella nella partita contro il Parma (6 gennaio) ha messo a nudo i limiti (di per sé già evidenti) del reparto offensivo della Juventus, nonostante l’anomalia di una formazione che - paradossalmente - era riuscita a segnare sino a quel momento più goals di tutte le altre squadre di serie A.
Il peso delle speranze bianconere, come già accaduto più volte nel passato, è così finito per quasi un mese sulle spalle di Del Piero. Poi le cose sono cambiate: dal pieno recupero fisico del neo acquisto Luca Toni alla partenza di Amauri, per arrivare all’innesto di Alessandro Matri. Che, dall’alto delle sue 11 reti realizzate in questo campionato prima di approdare a Torino, ne ha aggiunto tre in altrettante gare giocate con la maglia juventina.
Ora Del Neri ha la possibilità di compiere delle scelte in un settore che gli offre, finalmente, diverse alternative. Forte di avere nuovamente tra le mani un goleador di razza e nell’attesa (inevitabilmente lunga) di rivedere Quagliarella calcare i terreni di gioco.
In coppia con Matri, la nuova "benzina" nel motore bianconero.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

venerdì 18 febbraio 2011

Lecce-Juve '04: Del Piero decide, Zeman piange

Prima che venisse disputata la partita tra Lecce e Juventus allo stadio "Via del Mare" il 14 novembre 2004, Fabio Capello si dichiarò convinto che quella sarebbe stata una tappa importante per il prosieguo della stagione bianconera, dato che capitava proprio nel momento in cui il campionato cominciava ad entrare nel vivo. Ad attendere Madama c'erano i salentini guidati da Zdenek Zeman, avversario per antonomasia della società torinese dal lontano 1998, allorquando aveva denunciato pubblicamente un mondo del pallone che faceva eccessivo ricorso alle farmacie, citando gli juventini Alessandro Del Piero e Gianluca Vialli come esempi di calciatori che avevano aumentato in modo evidente le proprie masse muscolari nel corso della loro carriera, scatenando l’inevitabile vespaio di polemiche. "Io non ho mai parlato di doping", disse, "ma di abuso di farmaci. Non ce l'avevo e non ce l'ho con Del Piero, i giocatori sono le vittime di questo sistema: la colpa, semmai, è dei medici". E così, mentre Vialli aveva da tempo appeso le scarpe al chiodo, capitò proprio a Del Piero un’ulteriore occasione per prendersi una personale rivincita contro il tecnico boemo.
La dodicesima giornata del girone di andata mise quindi di fronte la classe unita alla concretezza dell'armata bianconera e la spavalderia del Lecce, caricato alla vigilia dell'incontro dalle parole del suo allenatore: "Giocheremo per vincere mantenendo il nostro equilibrio: se la mia squadra segna più gol di quanti ne subisce, significa che è equilibrata. E se vincessimo sempre 5-4, alla fine arriveremmo primi". Per aggiungere ulteriore sale alla partita che si sarebbe disputata di lì a poco, Zeman provò a punzecchiare anche lo stesso Capello ("Sarei curioso di vedere che cosa avrebbe fatto alla guida di una piccola squadra..."), ricevendo - in cambio - una secca risposta da parte del tecnico friulano ("Ormai ho superato l'età per fare quell'esperienza").

Il nubifragio abbattutosi su Lecce sin dal giorno precedente l'incontro (con una breve sosta nella mattinata di domenica) e durato per tutti i 90 minuti del match trasformò il terreno di gioco in un pantano. Contrariamente ai buoni propositi il tecnico dei padroni di casa adottò un atteggiamento prudente, aggiungendo alla linea mediana il laterale destro Cassetti, nell'evidente intenzione di bloccare le folate offensive del terzino sinistro bianconero Zambrotta e di contenere le avanzate di Olivera, per l'occasione sostituto dello squalificato Nedved. Con l’utilizzo di questo accorgimento tattico il 4-3-3 con il quale era solito schierare sul campo la sua formazione si trasformò ben presto in un classico 4-4-2. Sin dai primi minuti della gara Zlatan Ibrahimovic salì alle luci della ribalta per aver messo il proprio zampino in tutte le principali azioni della Juventus. Al 2' non riuscì a concretizzare una chiarissima occasione da rete nonostante si fosse venuto a trovare solo davanti a Sicignano, grazie ad un invitante pallone ricevuto da Emerson, svelto a battere a sorpresa una punizione a suo favore. Successivamente (al 14') si liberò con destrezza di Diamoutene per porgere un assist a Del Piero, posizionato all'interno dell'area di rigore leccese: il numero 10 bianconero fu bravo a controllare il pallone, ad evitare l’intervento di Stovini e a realizzare il goal dell’1-0. Dopo essere passata in vantaggio Madama dovette subire una delle pochissime sortite offensive del Lecce: al 20' Buffon respinse un colpo di testa di Bjelanovic nel corso di un’azione originata da un calcio d'angolo battuto da Ledesma. Thuram e Cannavaro strinsero allora le maglie della difesa nel tentativo di limitare i pericoli per il numero uno bianconero. Fu ancora Ibrahimovic, verso la conclusione della prima frazione di gioco, a divorarsi un’altra palla goal dopo aver raccolto una respinta di Sicignano su un tiro scoccato da Pessotto.
All’inizio della ripresa lo svedese, di testa, porse un pallone a Olivera, la cui conclusione venne neutralizzata dal portiere dei padroni di casa. Le manovre di entrambe le squadre si svilupparono prevalentemente nella zona centrale del campo, dato che ai lati l’alta concentrazione di pozzanghere impediva ai calciatori di muoversi liberamente con il pallone tra i piedi. Il solo Camoranesi, autore di giocate sopraffine, dimostrò di essere l’unico tra i presenti a non risentire eccessivamente delle difficili condizioni ambientali.
Guidata dalla sapiente regia di Emerson, cui Capello affiancò per l’occasione Appiah nel cuore della linea mediana juventina, Madama riuscì a bloccare i rifornimenti a Bjelanovic e Bojinov, il duo d’attacco dei giallorossi. Zeman non modificò né l’assetto né la formazione titolare per quasi tutta la durata della gara, mentre la Vecchia Signora dovette fare a meno di Del Piero (uscito al 14’ della ripresa per una fitta all’adduttore sinistro) sostituito da Kapo. Curiosamente l'infortunio occorso al fantasista accadde nello stesso minuto nel quale nella prima frazione di gioco aveva realizzato la sua rete. Blasi per Appiah e Tudor al posto di un ottimo Pessotto completarono i cambi a disposizione di Capello. Il tecnico boemo, dal canto suo, attese sino a pochi istanti prima della fine della partita per inserire Eremenko e Vucinic, autore quest’ultimo, al 44', di una pericolosa conclusione che Buffon fu bravissimo ad alzare sopra la traversa.

Terminato l’incontro sul risultato di 1-0, Del Piero non nascose la propria soddisfazione per la realizzazione della rete decisiva: “Io non sono il tipo che vive cercando le rivincite, ma quando capita me le prendo”. Zeman si lamentò per le condizioni del terreno di gioco (“Impossibile parlare di calcio quando si gioca su un campo in queste condizioni, più giusto parlare di lotteria. Non si doveva giocare e basta”), mentre Luciano Moggi – con un chiaro riferimento allo scudetto perso dai bianconeri sotto il diluvio di Perugia nel maggio del 2000 - approvò la scelta del direttore di gara: “La verità, evidentemente, è una sola: è giusto giocare soltanto se la Juve perde”.
Madama conquistò così altri tre punti: su trentasei disponibili sino a quel momento, ne aveva accumulati ben trentuno. Aveva ragione Capello: il campionato cominciava ad entrare nel vivo.
Ed era iniziata la rincorsa della Vecchia Signora verso lo scudetto numero ventotto.

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lunedì 14 febbraio 2011

Al cuore non si comanda: la 50ma stella va a Edgar Davids. Boniek sconfitto

Fonte: www.juventus.com

Edgar Davids diventa “leggenda” bianconera

Si è chiusa oggi pomeriggio la votazione per eleggere la 50ª leggenda bianconera, selezionata da una rosa di 54 grandissimi giocatori che hanno indossato la maglia della Juventus. Nel corso di due settimane, attraverso il sito ufficiale Juventus.com, sono state effettuate oltre 12000 votazioni che hanno decretato la vittoria di Edgar Davids. L’olandese legherà così il proprio nome alla nuova casa della Juventus e da domani sarà possibile “accendere una stella” nel nuovo stadio e collocarla nel settore a lui dedicato.

«Sono contentissimo e onorato di essere stato scelto dai tifosi della Juve». E’ questa la prima reazione di Davids una volta appreso di essere stato il giocatore più votato. Del resto l’affetto per il “pitt-bull” da parte dei tifosi non è mai venuto meno e ancora oggi allo stadio è presente uno striscione che riproduce lo sguardo dell’olandese con gli ormai storici occhialini: «Non so dire perché sono rimasto nel cuore della gente. Forse perché, quando scendevo in campo davo più del 100%».

Edgar è stato protagonista di tanti trionfi bianconeri, ma quello che ricorda con più piacere «è la vittoria del 27° scudetto, quando festeggiammo a Torino, allo stadio, davanti a tutti i nostri tifosi».

Davids era già nella storia bianconera, ma ora, con l’assegnazione della stella, il suo nome rimarrà scolpito nel Nuovo Stadio: «Verrò sicuramente a Torino con la mia famiglia a vedere l’impianto e la mia stella, ma conto di venire già durante questa stagione per assistere a una partita e salutare la squadra».

Di seguito l’elenco dei 10 giocatori più votati in una rosa di 54 nomi. Le preferenze espresse sono state in totale 12655.

1) Edgar Davids (Voti: 7401; 58,48%)
2) Zbigniew Boniek (Voti: 659; 5,21%)
3) Michael Laudrup (Voti: 512; 4,05%)
4) Francesco Morini (Voti: 509; 4,02%)
5) Alessandro Birindelli (Voti: 452; 3,57%)
6) Massimo Bonini (Voti: 384; 3,03%)
7) Vladimir Jugovic (Voti: 382; 3,02%)
8) Fabio Cannavaro (Voti: 370; 2,92%)
9) Lilian Ulien Thuram (Voti: 338; 2,67%)
10) Giancarlo Marocchi (Voti: 263; 2,08%)

Eccolo in una intervista rilasciata lo scorso anno

domenica 13 febbraio 2011

Venimmo, vedemmo e... Godemmo!!!!!!


Juventus e Inter: ora spazio al campo

Adesso è arrivato il momento del campo, giudice supremo di tutti i risultati. Lì si affronteranno Juventus-Inter, in una gara che sino a qualche anno fa rappresentava il punto di incontro della forte rivalità tra i due club, mentre ora è diventato una delle occasioni nelle quali entrambe le società entrano in rotta di collisione. Importante, ma non l’unica.

Alla luce delle parole pronunciate da Andrea Agnelli durante la conferenza stampa del 29 gennaio scorso ("Moratti mi annoia sul tema Calciopoli"), le successive risposte di Massimo Moratti ("Il Giovin Signore… Non volevo annoiarlo… Mi dispiace") e di Ernesto Paolillo, amministratore delegato dell’Inter ("Ogni volta a parlare per primi non siamo stati noi, ricordo che a parlare per primi sono altri, ricordo che per aver risposto prima della partita di Torino, della Juve, sono stato tacciato di voler fomentare la tifoseria, noi non fomentiamo niente, vedo che altri stanno iniziando a fomentarla prima della partita Juve-Inter"), hanno dato il via ad una sequela di dichiarazioni destinate ad interrompersi soltanto con il fischio d’inizio della partita da parte di Paolo Valeri, l’arbitro designato per la gara.

Dopo, ovviamente, si riprenderà a discutere sullo stesso tema. Nell’attesa che arrivino riscontri all’esposto presentato dal Presidente bianconero in merito alla revoca dello scudetto assegnato al club milanese nel 2006, basato sulla successiva scoperta di una rete di contatti tra i tesserati della società nerazzurra ed esponenti del settore arbitrale che portò il club torinese a scrivere sul proprio sito: "E’ convinzione della Juventus, pertanto, che venga meno il presupposto della decisione assunta dal Commissario Straordinario della Federcalcio nel 2006: l’inesistenza, cioè, di «comportamenti poco limpidi» addebitabili alla squadra che risultò prima classificata dopo la penalizzazione delle altre" (10 maggio 2010).
Si tratta di un passato, questo, che "non" annoia mai, da riscrivere, che non può essere cancellato con una semplice scrollata di spalle. E’ una ferita aperta che non si rimarginerà sino a quando i fatti processati all’epoca non verranno nuovamente giudicati con equità e con gli strumenti (e le prove) attualmente a disposizione.

Poi c’è il campo. Il Milan vince nell’anticipo del pomeriggio di questa venticinquesima giornata contro il Parma di Amauri, Giovinco e di tutti quegli ex juventini che avranno pure scoperto nella città emiliana la località dei loro sogni, ma ciò non toglie che ora si trovano a pochi punti dalla zona retrocessione. I rossoneri preparano la fuga verso il tricolore attendendo curiosi l’esito della sfida tra bianconeri e nerazzurri allo stadio "Olimpico" di Torino. Se Madama riuscirà a riversare sul rettangolo di gioco tutti i buoni propositi della vigilia, ecco che la formazione allenata da Allegri potrà continuare tranquilla la propria marcia solitaria. Fermo restando che tra non molto dovranno passare pure loro da Torino in una gara che faranno bene a non sottovalutare, visto il risultato di quella del girone di andata.

La vittoria esterna del Napoli (a Roma) consente alla società partenopea di avvicinarsi al Milan e di allontanare le altre contendenti alle prime tre posizioni utili per accedere alla prossima Champions League senza dover passare attraverso i preliminari. Viceversa, la sconfitta dei giallorossi impedisce alla formazione di Ranieri di smuoversi da quota 39 punti, restando così ad una lunghezza soltanto dalla Juventus attualmente ottava in classifica. Al di là di ogni aspetto puramente sentimentale ed emotivo legato alla rivalità tra bianconeri e nerazzurri, la partita di stasera è molto importante anche ai fini di un ritorno della Vecchia Signora verso le zone più nobili della serie A.

Nell’incontro disputato con l’Inter il 3 ottobre scorso al "Meazza" (3 ottobre 2010) Del Neri cercò, attraverso l'utilizzo di alcuni accorgimenti tattici, di creare un argine come protezione per la sua difesa dalle incursioni di Maicon: "Praticamente un 4-5-1", disse a fine partita, "Volevo limitare l’azione di Maicon e in questo senso Quagliarella è stato bravissimo, così come Marchisio che in un ruolo non proprio suo è stato perfetto. Per me la chiave più importante della gara è proprio lì. Maicon è straordinario, decisivo, dovevo trovare una soluzione per evitare guai da quella parte".
Nella partita odierna il tecnico bianconero - assente Quagliarella - con ogni probabilità sposterà sulla fascia sinistra Chiellini, davanti al quale opererà nuovamente Marchisio.

Gli incroci pericolosi, comunque, non mancheranno in tutte le zone del campo. Sarà così anche sull’altro versante, laddove sarà Krasic - che ad ottobre fece trascorrere una bruttissima serata a Chivu - a vedersela con Javier Zanetti. Per quanto riguarda il resto: sono numeri, schemi, parole, considerazioni varie che verranno superate soltanto dal risultato finale. Il punto dal quale la Juventus ripartirà domenica prossima contro il Lecce, alla ricerca di una migliore posizione in classifica e di se stessa, l’obiettivo più difficile da raggiungere per la nuova gestione di Andrea Agnelli.
Con una consapevolezza: quella che il bonus "Calciopoli" è già stato usato.
Male.

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venerdì 11 febbraio 2011

Quando Jugovic e Zidane schiaffeggiarono l'Inter di Hodgson

Il 20 ottobre 1996 l'Inter di Mr. Roy Hodgson si presentò allo stadio "Delle Alpi" di Torino forte di un primo posto in classifica che - sino a quel momento - rispecchiava i sogni estivi di una Beneamata finalmente pronta a cucirsi sulle maglie lo scudetto numero quattordici della sua storia. Ad attenderla c'era la Juventus guidata da Marcello Lippi, fresca campione d'Europa, alla quale però la Triade aveva deciso di cambiare totalmente abito dopo il trionfo nella magica serata di Roma.
Priva di Del Piero e Antonio Conte e curiosa di scoprire il talento del neoacquisto Zinédine Zidane, Madama ospitò gli sfidanti pronta a dimostrare al proprio pubblico di essere ancora la più bella del reame. Si trattava della sesta giornata di campionato e davanti alle contendenti c'erano ancora tante, troppe gare da disputare sino alla fine della stagione per poter considerare l'incontro un qualcosa in più di una gara valevole per il prestigio e i tre punti. Non era ancora arrivato, in sintesi, il momento dei verdetti definitivi.

Lo spirito con il quale la Vecchia Signora azzannò la partita sin dai primi attimi di gioco lasciò di stucco l'Inter, incapace di opporre resistenza di fronte al furore agonistico messo in mostra dagli uomini di Lippi. Assente Paul Ince, il mediano nerazzurro che avrebbe dovuto occuparsi di Zidane, il francese si portò allegramente a spasso per il prato verde Ciriaco Sforza, naturale sostituto dell'inglese nel compito di arginare le giocate del numero 21 bianconero. Di Livio, Deschamps e Jugovic si impossessarono della linea mediana del campo, costringendo Zanetti, Winter e Djorkaeff (i loro dirimpettai) ad assumere un atteggiamento remissivo nei loro confronti. Una Juventus raccolta in non più di trenta metri schiaffeggiò ripetutamente i nerazzurri, stordendoli con un pressing asfissiante e pungendoli con un Bokisc devastante tanto nel crearsi le palle goals quanto a sbagliarle con incredibile puntualità. Soltanto al quarantesimo minuto del primo tempo Vladimir Jugovic, dopo un veloce scambio con Padovano, infilò Pagliuca per uno strameritato 1-0.
Prima, però, era andato in onda lo show della punta croata, definita a fine gara da Umberto Agnelli "tanto grande da meritare il pallone d'oro".
Al 13' della ripresa Ivan Zamorano, servito da Branca, con un destro in spaccata riuscì a colpire il palo, pareggiando il conto con quello centrato da Boksic (ancora lui) pochi istanti prima della rete dell'iniziale vantaggio bianconero. Infastidita dall'improvvisa sortita offensiva dei nerazzurri, Madama riprese a schiacciare sull'acceleratore: ancora il croato, saltato Pagliuca, cercò una conclusione a porta vuota, con Paganin che salvò sulla linea. Al 17' un potente sinistro di Zidane, scoccato a pochi metri di distanza dal limite dell'area di rigore interista, regalò al francese la sua prima rete nel campionato italiano e alla Juventus quel 2-0 che sanciva una superiorità nettissima. Dirà di lui, al termine dell'incontro, Marcello Lippi: "Io l'ho sempre difeso dalle critiche perché in allenamento ho sempre visto il suo lavoro, l'ho sempre giudicato positivo considerando anche che da poco tempo è con noi. Certo, ha fatto un bellissimo goal, penso che per lui sul piano morale potrà essere fondamentale".
Due minuti dopo Ferrara, su pallone proveniente da calcio d'angolo, colpì la traversa. Peruzzi, rimasto inoperoso per quasi tutta la durata della gara, potè giustificare la sua presenza con un intervento su conclusione di testa di Angloma su un cross originato anch'esso da un corner. Quella fu l'ultima azione degna di nota della partita.

Dopo che l'arbitro ebbe fischiato la fine delle ostilità, Massimo Moratti non riuscì a nascondere la sua delusione: "Al contrario degli avversari, la mia Inter non ha saputo combinare niente di decisivo. Non mi è piaciuta". E mentre Roy Hodgson cercava di trovare conforto in una classifica non ancora deficitaria ("i punti valgono più del gioco"), il presidente nerazzurro gli rispose stizzito: "Non vedo come i punti possano arrivare se non c’è il gioco".
Quell'incontro rappresentò l'alba di un nuovo scudetto bianconero, il numero ventiquattro. Umberto Agnelli, nonostante la bellissima prestazione della squadra, si mostrò dispiaciuto per le condizioni dell’impianto torinese teatro della sfida: "Non riguarda la partita in sé, perché in campo c' è stata una bellissima Juventus, con Boksic strepitoso e Zidane grande protagonista. Quello che non va proprio è lo stadio: è troppo triste osservare il Delle Alpi mezzo vuoto, è troppo brutto vedere quell'enorme distanza tra il pubblico e i giocatori. Abbiamo già presentato tre proposte alternative al Comune, perché così non si può proprio andare avanti. E aspettiamo risposte".
Sarà suo figlio Andrea, attuale Presidente del club, ad inaugurare la nuova casa bianconera la prossima estate. Il compito più arduo che lo attende, però, è un altro: quello di ricostruire la Juventus.


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mercoledì 9 febbraio 2011

Juve, è arrivato il momento di cambiare marcia

Il bilancio, ora, è in perfetta parità: l’anno scorso, arrivati alla ventiquattresima gara, la Juventus del "traghettatore" Zaccheroni aveva toccato quota 38 punti in classifica, la stessa raggiunta dalla formazione allenata da Luigi Del Neri. Nelle prime cinque giornate dell’attuale campionato, invece, Madama ha totalizzato due vittorie, due sconfitte ed un pareggio, un percorso identico a quello compiuto all’inizio di questo girone di ritorno. Non si tratta di numeri confortanti, proseguendo con un ritmo simile non andrà molto lontano. Urge un cambio di marcia, già a partire dalla prossima partita. Quella con l’Inter.

La Vecchia Signora arrivò al match contro i nerazzurri del 3 ottobre 2010 dopo la vittoria interna contro il Cagliari ed il pareggio in Inghilterra con il Manchester City nell’incontro valevole per l’Europa League. Si può dire, a posteriori, che lì nacque la Juventus di Del Neri, quella dei 18 risultati utili consecutivi che diede a molti l’illusione di poter competere ad altissimi livelli già a partire da questa stagione.

Reduce dalla sconfitta allo stadio "Olimpico" con il Palermo, nella gara contro i sardi esplose il talento di Milos Krasic: tre goals e gli applausi in tribuna di Pavel Nedved, a coronamento di una prestazione sontuosa che aiutò a mascherare le sbavature di un "cantiere" che non poteva ancora considerarsi chiuso. Matri realizzò una doppietta che non cambiò le sorti del risultato finale (terminò 4-2 per i bianconeri), ma fu importante per farsi riconoscere una volta di più da quelli che poi sarebbero diventati i suoi nuovi tifosi. Per il momento del perdono, invece, è bastato attendere sino a sabato scorso, allorquando al "Sant’Elia" la punta ha restituito al Cagliari le due reti a domicilio. L’arbitro Brighi regalò al fratello "bravo" di Felipe Melo un cartellino giallo con tanto di dedica, mentre la Juventus potè finalmente gustarsi un successo a Torino che le mancava addirittura dal 25 aprile, grazie al 3-0 inflitto al Bari nel campionato precedente.

Del Neri si disse soddisfatto della crescita della sua squadra ed ottimista per i margini di ulteriore miglioramento che faceva intravedere. La speranza era quella di "esserci a marzo per lottare con gli altri, è quello che conta".
Poi arrivò l’Epifania, che - come sostiene il popolare proverbio - "tutte le feste porta via": si ruppe Quagliarella e tornò il fratello "cattivo" del centrocampista brasiliano. Una Vecchia Signora spuntata ha dovuto attendere quasi un mese (5 febbraio) per rivedere le reti di un attaccante che potesse consentire al tecnico bianconero di affermare: "Ma alla fine conta fare gol: è dall’inizio di gennaio che ci mancava un finalizzatore. Adesso che ce l’abbiamo, tutto ha di nuovo ha un senso".

Ora ci sono le condizioni per provare a ripartire, anche se non basta riavvolgere il nastro per farlo: i punti di distacco dalla prima della classe sono passati dai tre di fine settembre agli undici attuali; sono diminuite le giornate che mancano alla conclusione del campionato; nel proprio cammino la Vecchia Signora ha già perso l’Europa League e la coppa Italia; il quarto posto verrebbe considerato oggi un buon risultato, mentre prima ci si scandalizzava al solo sentirlo nominare.

I nerazzurri prossimi avversari nel posticipo previsto nella serata di domenica, poi, saranno completamente diversi da quelli incontrati ad inizio ottobre al "Meazza": liberati dal peso di Benitez e accolto con un sorriso Leonardo, dopo aver vivacchiato a distanze siderali dalle zone alte della classifica per qualche tempo ora vedono nuovamente da vicino il Milan primo della classe, con la conseguente concreta possibilità di puntare allo scudetto. Per un Milito che si mangiava quei goals che l’anno precedente segnava ad occhi chiusi c’è adesso Pazzini, pronto a sostituirlo per tutte quelle partite che l’argentino dovrà saltare a causa dell’infortunio patito al bicipite femorale sinistro. Eto’o continua a caricarsi il peso dell’attacco sulle proprie spalle nel contesto di una squadra diventata ora più "italiana" (anche) grazie all’arrivo di Ranocchia ed alla prima convocazione in maglia azzurra di Thiago Motta. Mancherà Chivu, vittima nella gara di andata delle scorribande di Krasic e nel prosieguo della stagione di quel momento di follia che lo ha portato a colpire con un pugno Marco Rossi, prendendosi così una meritata squalifica.

Ma anche la Juventus, dal canto suo, non sarà la stessa, visto che si è già dimostrata capace di abbandonare quel 4-4-2 che sembrava fosse scolpito nel suo animo. Chiellini è tornato sulla fascia nella quale era cresciuto come calciatore, laddove - tra non molto - tornerà a disposizione anche De Ceglie, per una difesa che sembra essersi effettivamente rinforzata con l’arrivo di Barzagli. Il parco attaccanti dell’Inter, oltretutto, sarà la classica prova del nove per verificare eventuali miglioramenti del reparto difensivo. Il centrocampo così come è stato ridisegnato da Del Neri sembra calzare a pennello per Claudio Marchisio, non a caso diventato goleador nelle ultime tre gare (due reti realizzate tra Palermo e Udinese). Ora la speranza è quella di averlo disponibile per la partita di domenica.

Grazie alla vittoria di Cagliari l’ambiente bianconero ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Ma ci sono ancora da scacciare i fantasmi di un ulteriore fallimento, affidandosi (anche) all’istinto di Matri, il nuovo goleador di Madama. Per evitarlo è necessario un cambio di marcia, da subito, già a partire dalla prossima gara. Quella contro l’Inter. Non un’avversaria qualsiasi. E non soltanto per quanto è capitato dopo il 2006, ma anche per quello successo negli anni precedenti.
In occasione del 5 maggio 2002, per esempio. Una data che solo a sentirla pronunciare qualcuno avverte un profondo dispiacere.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 8 febbraio 2011

Quando finisce l’amore

Quando finisce l’amore bisognerebbe avere il coraggio di troncare.
Ti accorgi ad un certo punto che incrociare i suoi occhi non ti fa più battere forte il cuore. Succede. Mica tutte le storie d’amore durano per tutta la vita.
Capita, che dopo un lungo corteggiamento, ci si sposi e poi dopo, che so ..solo sei mesi di luna di miele, tutto diventi routine e poi solo musi lunghi, bisticci, litigi.
E quando capita, bisogna guardarsi in faccia, accettare la realtà e voltar pagina.
E’ inutile tornare a casa una volta ogni tanto con un bel mazzo di fiori e ripetere “Da oggi sarà tutto diverso, tornerà tutto come i primi tempi”. Non serve, un fiore ogni tanto non basta se poi dal giorno successivo si continua a commettere gli stessi errori, ad impuntarsi sulle stesse scelte.
Allora conviene parlarsi, decidere di lasciarsi ed andare – ognuno per proprio conto – verso un futuro che potrebbe essere ricco di soddisfazioni, proprio perché non si è più insieme.
Lei cosa ne pensa signor Amauri Carvalho de Oliveira ?
Non crede anche lei che se un rapporto – anche sportivo – non va bene, debba essere chiuso?
Non crede anche lei che segnare un gol ogni tanto e poi annunciare a tutti i giornali “Mi sono sbloccato, da oggi sarò decisivo” e poi smentirsi con pessime prestazioni partita dopo partita, sia inutile per il bene proprio e della squadra in cui si milita?
Non crede che una squadra debba avere la possibilità di provare un altro giocatore più funzionale ai propri schemi? E che un centravanti che non riesce più a segnare, a sua volta, non debba pensare a cambiare ambiente, compagni e schemi per vedere se riesce a ritrovarsi?
Magari sarà solo una rondine e non l’arrivo della primavera, ma in fondo ha visto anche lei quanti goals hanno già messo a segno Matri e Toni in sole due partite, e che bel goal in rovesciata è riuscito a fare lei con la maglia del Parma.
Insomma, lontani, stiamo meglio tutti
Quindi, signor Amauri, la pregherei, prima di tutto di evitare di pronunciare ancora frasi tipo “Vediamo ora se il problema ero io”, perché – anche se in futuro la Juve potrà avere altre difficoltà - è chiaro che, in quella squadra, lei era sicuramente uno dei problemi.
E poi fondamentalmente, mi piacerebbe che lei ripensasse a queste mie riflessioni sulla fine delle storie d’amore nei prossimi mesi. Lo faccia anche se, anzi soprattutto se, dovesse segnare molte reti nelle prossime partite (ed in questo caso, si dimostrerebbe che il bene di tutti arriva con ritardo proprio a causa della sua testardaggine!).
Perché sa quella sua frase “Per ora sono al Parma ma il 30 giugno tornerò ad essere un giocatore della Juve”, per noi tifosi bianconeri, più che un dato di fatto suona come una minaccia.

Articolo pubblicato su Juvenews.net


Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero

venerdì 4 febbraio 2011

Zoff, compleanno con vittoria


Dedico questo mio articolo ad Antonio, e al suo blog Parata di Zoff

Per Dino Zoff quel Cagliari-Juventus in programma allo stadio "Sant'Elia" il 28 febbraio 1982 non poteva rappresentare una gara qualsiasi, visto che si trattava del giorno in cui avrebbe festeggiato il suo quarantesimo compleanno. "Non so cosa organizzeranno in campo per me", disse, "magari prima mi faranno una festa con i fiori, poi la festa con i gol. Otto anni fa giocai a Cagliari dopo tanti brindisi, a Torino mi era nato il figlio, l'antivigilia, perdemmo per due a uno, un tiro di Riva su punizione mi piegò le mani".
Alcuni bianconeri, tra i quali lo stesso portiere, avevano preso parte all'amichevole tra Italia e Francia disputata il mercoledì precedente la trasferta in Sardegna, una gara persa dagli azzurri per 2-0 (le reti furono realizzate da Platini e Bravo). Il conto alla rovescia per il Mondiale di calcio che si sarebbe disputato in Spagna era già iniziato, così come le critiche per una Nazionale troppo poco convincente per poter ambire ad una vittoria finale. Zoff le allontanò con decisione: "Noi non siamo quelli di Parigi, noi quando siamo veri, voglio dire. Adesso la nostra reazione sarà positiva, faremo gruppo, faremo quadrato, faremo famiglia con Bearzot, è accaduto anche nel passato. Prima dell'Argentina, nel 1978, ci furono gli stessi brutti risultati con lo stesso pessimismo e la stessa polemica".

Paolo Carosi, tecnico del Cagliari, per l’occasione dovette fare a meno di Selvaggi e Marchetti, veri e propri punti di forza dell’attacco e del centrocampo degli isolani; di contro la Juventus ovviò all’assenza dello squalificato Gentile schierando al suo posto Osti. Sergio Brio annullò sin dai primi minuti dell’incontro Piras, il terminale offensivo del gioco dei padroni di casa, mentre Furino - sulla linea mediana del campo - sopperì con la propria furia agonistica alla mancanza di freschezza atletica di alcuni compagni di squadra, specialmente quelli reduci dalla gara infrasettimanale con la maglia della Nazionale.
Il Cagliari avvertì subito di trovarsi di fronte ad una Vecchia Signora opaca e svogliata, reduce da tre vittorie consecutive in campionato e forse distratta dall’imminente derby con il Torino previsto per la domenica successiva. La aggredì, sospinto dal pubblico locale e guidato in campo da un ottimo Brugnera, ma nel momento di maggior pressione venne punita dagli ospiti al 27’ della prima frazione di gioco: da una punizione calciata dalla fascia sinistra da Cabrini scaturì un cross diretto verso l’area di rigore dei sardi, Virdis lasciò scorrere la sfera che finì a Tardelli pronto a battere Corti con un potente colpo di testa, con il pallone che passava sotto le gambe del portiere avversario.
I padroni di casa si riversarono nella metà campo bianconera nell’intento di arrivare immediatamente al pareggio. Con il trascorrere dei minuti, però, apparve sempre più evidente l’inconsistenza dei loro attacchi, tanto che Zoff non dovette eseguire un solo intervento in tutto l’arco della partita (“Mi hanno regalato — disse a fine gara — una giornata di riposo, mi sembra il minimo che potessero fare per un vecchietto come me, adesso spero che continuino così”). L’unico giocatore che provò ad impensierirlo seriamente fu Osellame, il centrocampista del Cagliari che al 10’ della ripresa provò ad imitare Tardelli, compiendo però l’errore di colpire con troppa forza la sfera che, una volta toccato il terreno di gioco, si impennò sorvolando la porta bianconera, con lo stesso Zoff che si limitava ad osservarne la traiettoria. E così, mentre dall’altra parte Galderisi e Virdis non riuscivano ad essere incisivi nelle loro sortite offensive e Marocchino continuava ad andare a corrente alternata, sempre Osellame - quando ormai si era arrivati a cinque minuti dalla fine della partita - con un potente rasoterra colpì il palo esterno, senza però preoccupare eccessivamente il numero uno bianconero attento nel seguire la direzione del tiro.

Terminato l’incontro, mentre i giocatori del Cagliari reclamavano nelle consuete interviste post gara l’assenza di fortuna a loro favore (alla quale addebitavano il mancato pareggio), un Furino ancora 'carico' di adrenalina rispose a tono: “Si vince, si prendono i due punti e si mettono in saccoccia. Non mi sembra che il Cagliari meritasse il pareggio. Quali occasioni da gol ha avuto? Quella di Osellame non conta perché c'era un fallo su Cabrini. Fortunati? La fortuna aiuta i forti, no?
Dopo aver sgomitato con la Roma ad inizio campionato, la Juventus si rese protagonista di un avvincente testa a testa con la Fiorentina: la situazione di equilibrio si ruppe all’ultima giornata, allorquando i viola pareggiarono proprio al 'Sant’Elia' per 0-0 e William 'Liam' Brady, su calcio di rigore, regalò a Catanzaro lo scudetto numero venti alla Vecchia Signora. Quello rappresentò l’ultimo dono di un gentiluomo del pallone prima che fosse costretto a lasciare Torino per far posto a Michel Platini e Zbigniew Boniek.
Nel giorno del suo quarantesimo compleanno a Zoff vennero elargite belle parole da tutto il mondo calcistico. Gilmar, portiere brasiliano, dichiarò: “Zoff tra i più grandi del mondo, se non il più grande, anche per come ha reagito alle critiche dopo il 'Mundial' in Argentina”. Il numero uno bianconero, lusingato per il giudizio, raccolse i complimenti e 'rilanciò': “Questo è niente, vedrete come reagirò alle critiche dopo il 'Mundial' in Spagna”.
Quel campionato che ancora non era iniziato, ma del quale aveva già previsto le roventi polemiche che si sarebbero scatenate.
E, forse, la vittoria finale dell’Italia.

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giovedì 3 febbraio 2011

La Juve, Morganti, Tagliavento e le manette

Adesso il rischio che il cammino della Juventus da qui alla fine del campionato possa diventare un martirio è veramente concreto. Tutto ha avuto inizio il giorno dell’Epifania, in occasione della sconfitta interna contro il Parma (1-4), allorquando si materializzarono i peggiori incubi dei sostenitori bianconeri: dall’infortunio del miglior attaccante nella rosa a disposizione di Del Neri (Quagliarella) al ritorno del fratello "cattivo" di Felipe Melo (espulsione e successive tre giornate di squalifica); dai goals subiti per opera degli "ex" dal dente avvelenato (Giovinco e Palladino) alla rete segnata da Hernan Crespo, la punta che ha scelto la Vecchia Signora come uno dei suoi bersagli preferiti sin dal momento dell’approdo in Italia.

Il 2011 doveva essere l’anno del rilancio juventino. Bene, se il "buongiorno si vede dal mattino" la speranza è che arrivi presto "sera": su sei gare disputate in campionato ci sono state ben quattro sconfitte, un pareggio ed una sola vittoria (contro il Bari). I punti accumulati in classifica, in questo momento, sono gli stessi dell’era Ferrara-Zaccheroni. Per rimanere in linea con la passata stagione è giusto considerare anche l’eliminazione dalla coppa Italia per opera della Roma, così come l’anno scorso la Juventus uscì dal trofeo nazionale ai quarti di finale contro l’Inter, sconfitta che segnò il cambio in panchina tra il giovane allenatore bianconero ed il "traghettatore" di Meldola. Quello che non riuscì ad evitare il naufragio di una nave che stava imbarcando acqua ovunque, finendo - di fatto - anche lui sul banco degli imputati. In molti lo giudicarono un "bollito", prossimo alla pensione, baciato dalla fortuna in occasione della vittoria dello scudetto alla guida del Milan nel lontano 1999. Recentemente ha conquistato la Coppa d’Asia come commissario tecnico della nazionale giapponese, facendo ricredere - forse - qualcuno che lo criticava pesantemente al tempo della sua (breve) permanenza a Torino. Un episodio più o meno simile a quello capitato a Fabio Cannavaro nel momento in cui venne ceduto dall’Inter alla stessa Juventus senza troppi rimpianti, salvo poi vederlo vincere due scudetti, un pallone d’Oro e diventare campione del mondo con la maglia azzurra da protagonista assoluto.

L’infortunio di Quagliarella ha causato un contraccolpo psicologico fortissimo nell’ambiente bianconero. Ma questo non può (e non deve) servire come alibi nei confronti di quei giocatori che sino a quel momento si erano resi protagonisti di un buon campionato con ottime prospettive per il futuro prossimo, legate alla speranza che la società riuscisse ad acquistare nel mercato di gennaio (quello che una volta veniva definito di "riparazione") un attaccante da affiancare alla punta di Castellammare di Stabia. Così come la follia di Melo, che ha finito con l’autoescludersi per tre gare, non basta per giustificare un crollo verticale nel gioco juventino che non si è fermato nonostante il suo rientro in campo.
I fantasmi del passato, a conti fatti, non se ne sono mai andati da Vinovo: hanno solo aspettato il momento giusto per ripresentarsi. Il famoso "cantiere" aperto lo scorso mese di luglio è stato "chiuso" troppo presto; l’obiettivo dichiarato a inizio stagione del raggiungimento di un posto in Champions League non doveva cambiare nonostante le pressioni dell’ambiente (così come la parola "scudetto" doveva essere bandita, almeno per quest’anno); guardando il bicchiere "mezzo pieno" non bisogna dimenticare che ne esiste anche una sua parte "vuota"; la Vecchia Signora vista dal Presidente Agnelli come macchina da "Formula 1" con la benzina sbagliata ha un problema legato sia alla "qualità" del rifornimento che alla sua "quantità".

Regalati i primi due goals (ed i venti minuti iniziali) al Palermo, la Juventus ha dimostrato una reazione che fa ben sperare per le prossime partite. Fermo restando che la storia bianconera insegna che quella rabbia, in passato, i suoi giocatori l’avevano nel momento stesso in cui indossavano la maglia a strisce verticali prima di mettere il piede sul terreno di gioco, quando ancora si trovavano negli spogliatoi. Reagire quando hai preso due ceffoni, il più delle volte, non ti consente di rimettere in sesto un incontro. Mantenendo d’ora in avanti l’atteggiamento positivo della seconda parte della gara di mercoledì sera, Madama dovrà cercare assolutamente di raddrizzare una stagione diventata, col trascorrere delle giornate, negativa. Non si parli più di obiettivi: qui c’è da riprendere la confidenza con la vittoria, guardando la classifica soltanto nel momento in cui i recuperi delle gare non ancora disputate da altre squadre l’avranno definita in maniera più chiara. Per ora meglio coprirsi gli occhi: a leggerla viene solo da piangere.

Il 24 gennaio scorso, in occasione della serata degli "Oscar del calcio AIC", Emidio Morganti venne giudicato il miglior arbitro per l’anno 2010 davanti a Rizzoli e Tagliavento, gli altri due candidati. Quello fu lo stesso giorno in cui, durante il seminario "Il calcio e chi lo racconta", Massimo Moratti dichiarò: "Il fatto che l’Inter abbia vinto dopo Calciopoli dimostra quanto sia stata una truffa per il calcio italiano".
Nel momento della consegna del premio Cristiano Militello, noto personaggio televisivo italiano, si avvicinò a Roberto Rosetti lasciandogli una busta chiusa da far pervenire allo stesso Morganti unitamente al riconoscimento appena conquistato. In mezzo all’ilarità generale lui la prese (ammettendo: "Ho il sospetto di sapere cosa possa essere") per poi lasciarla al vincitore. Una volta aperta, si scoprì che si trattava di un paio di manette. Era chiaro il riferimento a Paolo Tagliavento e alla sua direzione di gara in quell’Inter-Sampdoria del 20 febbraio scorso, che si portò dietro un mare di polemiche dopo le decisioni contestate allo stesso fischietto in merito alle espulsioni di Samuel e Cordoba (e di Pazzini, allora in maglia blucerchiata), celebrate dal famoso gesto delle manette mimato da Mourinho. Tagliavento (che in passato non fu esente da errori evidenti in altri incontri), nella partita in questione ebbe l’unica colpa di aver arbitrato senza guardare in faccia nessuno, applicando le (giuste) decisioni che il suo ruolo gli imponeva. Ma quello era un momento particolare del campionato, con l’Inter che temeva di perdere il tricolore (la Roma stava recuperando terreno) e aveva paura ci fossero complotti ai suoi danni.
Strano, a pensarci bene: proprio ora che Calciopoli non esiste più.
Questa è l’Italia del pallone, Presidente Agnelli.

Articolo pubblicato su Tutto Juve.com

martedì 1 febbraio 2011

Mutu e la doppietta con cui stese il Palermo

"Le milanesi giocano in smoking, quelli della Juve sono operai: la differenza è tutta qui". Maurizio Zamparini, dopo aver visto perdere il suo Palermo contro la formazione allenata da Fabio Capello allo stadio “Renzo Barbera” l’8 gennaio 2006, cercò di spiegare con queste poche parole il predominio esercitato da Madama in quel campionato che l’avrebbe portata alla conquista dello scudetto numero 29.
Ed erano proprio i numeri della stagione disputata sino a quel momento dalla Vecchia Signora a destare stupore: 16 vittorie su 18 gare disputate; con il successo casalingo nell’incontro con la Reggina della domenica successiva la compagine bianconera avrebbe finito per chiudere il girone d’andata totalizzando 52 punti. Persino Luigi Simoni, l’ex tecnico dell’Inter protagonista di un testa a testa con la Juventus otto anni prima quando era alla guida dei nerazzurri, rimase di stucco: “Non ho mai visto una cosa del genere”.
All’allenatore bianconero la definizione di squadra operaia non piaceva un granché: “Ormai su di noi, su di me, ne ho sentite di tutti i colori. Persino che siamo difensivisti. Mah. In ogni caso, se questi fenomeni che ho in squadra continuano ad avere una mentalità operaia, andremo molto lontano”.

Nel giorno del suo ventisettesimo compleanno Adrian Mutu venne schierato da Fabio Capello sulla fascia sinistra della linea mediana juventina, nel classico 4-4-2 dove - assente per l’occasione Nedved - il rumeno completava un reparto composto da Camoranesi, Emerson e Vieira. Abbandonato da Roman Abramovich e Mourinho (proprietario e allenatore del Chelsea) dopo essere risultato positivo alla cocaina ed essere stato squalificato per sette mesi ai tempi della sua permanenza in Inghilterra, era stato riportato in Italia da Luciano Moggi. “Il merito della rinascita è in parte mia e in parte della Juventus”, sostenne alla fine di quella gara. Per dimostrare la sua riconoscenza aveva ricominciato a correre sul campo accettando di ricoprire un ruolo più defilato rispetto a quello per lui abituale di attaccante, un ruolo in cui il pallone bisogna andarlo a recuperare dai piedi degli avversari e non soltanto aspettarlo da quelli dei propri compagni di squadra.

Sotto di un goal dopo soli 12 minuti per merito di un potente rasoterra del difensore dei rosanero Terlizzi, la Vecchia Signora reagì con decisione realizzando due reti proprio con Mutu.
Al 15’ il rumeno, all’interno dell’area di rigore palermitana, entrò in possesso di un pallone da lui stesso indirizzato di testa sulla traversa nel tentativo di finalizzare un’azione originata da un cross di Camoranesi e proseguita con un assist di Ibrahimovic, dribblò un avversario e batté Lupatelli; al 34’ fu ancora lo svedese a regalargli un pallone che lui, inseritosi prepotentemente nelle retrovie dei padroni di casa, fu bravo a depositare a rete per il 2-1 definitivo .
Luigi Del Neri, allenatore del Palermo, provò allora ad alzare il ritmo del gioco dei suoi uomini, chiedendo ai laterali di centrocampo Gonzalez (a destra) e Santana (poi sostituito da Brienza, a sinistra) di aumentare la pressione sulla retroguardia bianconera e di rifornire l’attacco, composto dal duo Caracciolo e Makinwa. Di fronte a loro c’era Christian Abbiati, estremo difensore della porta juventina ancora per poche gare, visto l’ormai imminente ritorno tra i pali di Gianluigi Buffon dopo l’infortunio patito nel trofeo “Luigi Berlusconi” dell’agosto precedente in un contrasto con il rossonero Kakà (sul dualismo tra i due portieri, dirà Capello: “Chi è titolare? Sapete come la penso: Gigi può contare su una sorta di priorità, però di solito io guardo e poi decido”).
Messa sotto assedio dall’avversario, la Juventus riuscì a tenere duro e a non crollare. L’incontrò si vivacizzò col trascorrere dei minuti: l’arbitro Bertini giudicò involontario un tocco di mano di Terlizzi durante un suo contrasto con Trezeguet; lo stesso francese lambì un palo esterno, Vieira scheggiò la traversa con un colpo di testa e Ibrahimovic impensierì seriamente Lupatelli, mentre dal lato opposto Barone, Bonanni (subentrato a gara in corso a Makinwa) e Caracciolo provarono inutilmente a pareggiare le sorti dell’incontro. Del Piero, inserito da Capello al posto dello svedese quando la gara volgeva al termine, gestì male un contropiede, beccandosi una tirata d’orecchie del suo allenatore (“Forse pensava al record di Boniperti, ma invece dove passare la palla al centro”)
Il risultato non cambiò, e Mutu diventò il protagonista assoluto di una serata per lui indimenticabile: “È stata una sensazione indescrivibile, il compleanno più bello della mia vita, anche perché a maggio nascerà il mio secondo figlio. Mi sento un uomo nuovo e un po' me ne compiaccio: ho sbagliato, sono caduto e mi sono rialzato. Ho capito di avere svoltato l' ultimo giorno del 2005: mi sono guardato allo specchio la mattina, ho pensato allo scudetto e ai quattro riconoscimenti assegnatomi nel mio Paese e mi sono detto: Adrian, sì, stavolta ce l'hai fatta

La partita del “Renzo Barbera” confermò quanto già visto sino a quel momento: il campionato aveva trovato da tempo la sua padrona incontrastata, agli avversari restavano soltanto le briciole. E le parole. Proprio prima dell’incontro di Palermo Roberto Mancini, tecnico dell’Inter, si era lasciato andare ad una profezia: “Bastano due pareggi e per loro è finita. Se rimontiamo due o tre punti, li riprendiamo”. Gli rispose a tono Luciano Moggi: “Paura noi? Sì, davvero, stiamo tremando... Ma io capisco che chi sta dietro si diverta con le tabelle, mentre chi è davanti continua a correre. Quelle tabelle, a Mancini le lascio volentieri. E ribadisco che lui potrà essere soddisfatto di arrivare secondo, non è mica un brutto risultato”.
Per tutti, ma non per la Juventus: nella Torino bianconera, prima del 2006, veniva considerato alla stregua di una sconfitta.


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